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Al via la mostra “I Greci prima dei Greci. Alle origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli” articolata in tre sedi: museo civico di Procida, museo Archeologico nazionale di Napoli e parco archeologico dei Campi Flegrei

napoli_baia_mostra-greci-prima-dei-greci_locandinaIl museo Archeologico nazionale di Napoli, il parco archeologico dei Campi Flegrei, la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli e il museo civico di Procida “Sebastiano Tusa” partecipano a Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 condividendo il progetto della mostra “I Greci prima dei Greci. Alle origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli” (29 settembre – 31 dicembre 2022). La mostra ripercorre le tappe fondamentali della presenza greca nel golfo di Napoli, che tanta parte ebbe nello sviluppo socio-economico e culturale della Campania antica e, più in generale, nella formazione della cultura occidentale. La mostra sarà presentata al pubblico giovedì 29 settembre 2022, alle 12, al Castello di Baia (Bacoli, via Castello n.39), con un secondo momento inaugurale nel pomeriggio, alle 17, al museo Archeologico nazionale di Napoli.

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Una fase dell’allestimento al museo Archeologico nazionale di Napoli della mostra “I Greci prima dei Greci” (foto mann)

Il percorso espositivo si articola in modo complementare nelle sedi coinvolte e prende avvio al museo civico di Procida, dove si presenta il ruolo di Vivara nella media età del Bronzo quale importante snodo commerciale nella rete di traffici marittimi attivi nel bacino del Mar Mediterraneo. Sull’isolotto giunsero dalla Grecia intraprendenti mercanti micenei, alla ricerca di materie prime, soprattutto metalli. Il racconto prosegue con un focus dedicato alla civiltà micenea e alle attestazioni materiali riconducibili a questa cultura nel Golfo di Napoli, con particolare riguardo alle evidenze da Vivara e, nell’entroterra, dal sito di Afragola. Si passa poi a illustrare la ripresa dei contatti tra Egeo e area campana nella prima metà dell’VIII secolo a.C., dopo la cesura riscontrata a partire dallo scorcio del II millennio a.C. Con la nascita di Pithekoussai, infine, si introduce il tema della colonizzazione greca in Occidente. L’itinerario si conclude al parco archeologico dei Campi Flegrei (museo Archeologico dei Campi Flegrei al Castello di Baia e al parco archeologico di Cuma), dove s’illustra la fondazione di Cuma, che rappresenta il definitivo stanziamento sulla terraferma di genti elleniche in Campania. Qui i Greci impiantarono una vera e propria città, leggibile in ogni sua parte (abitato, necropoli, santuari).

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Ceramica micenea in situ nello scavo archeologico di Vivara (foto archivio MCP Missione Vivara)

La prima tappa della mostra, al museo civico di Procida, si svilupperà nella sezione “Storia antica dell’isola di Procida” e, in particolare, nella sala III, dedicata al porto-approdo di Vivara, alla vita quotidiana, agli incontri e agli scambi. Nel corso della media età del Bronzo Vivara, grazie alla sua posizione strategica e alla sua particolare conformazione morfologica, divenne uno dei centri più importanti nell’ambito dei traffici marittimi che collegavano la Grecia micenea con il Mediterraneo occidentale. Le imbarcazioni provenienti dall’Egeo approdavano presso l’antico porto-approdo vivarese (oggi sommerso) portando grandi giare adatte all’uso quotidiano ma anche vasi finemente decorati con pittura brillante, caratterizzati da motivi floreali, cerchi concentrici, spirali e bande, oggi testimoniati dal ritrovamento di numerosi frammenti ceramici. A raccontare la presenza greco-micenea sull’isolotto sono anche preziosi oggetti ornamentali, manufatti in bronzo e numerose tracce riconducibili alla lavorazione dei metalli. L’area flegrea ha visto un’intensa frequentazione dei primi naviganti egei fin dalla prima metà del II millennio a.C., frequentazione che sembra interrompersi per poi riprendere con quella che viene definita la prima colonizzazione greca in Occidente, avvenuta nel corso dell’VIII secolo a.C., prima con l’impianto di Pithekoussai e poi nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C. con la fondazione di Cuma. Il museo civico di Procida ospiterà alcuni reperti provenienti da una delle tombe più antiche indagate proprio presso l’antica colonia greca di Cuma, i cui approfondimenti saranno affrontati presso le sedi espositive del parco archeologico dei Campi Flegrei.

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Oggetti in bronzo da Vivara conservati nella sezione Preistoria e Protostoria del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto giorgio albano)

Il racconto al Mann si articolerà nelle sezioni permanenti “Preistoria e Protostoria” e “L’isola d’Ischia”, mediante il dialogo tra una selezione di reperti e apparati didattici già in allestimento e oggetti custoditi nei depositi, svelati al pubblico per l’occasione. Il percorso prenderà avvio nella sala CXXIX con un’introduzione dedicata alla civiltà micenea, supportata da un piccolo saggio della sua arte: tre vasi di fattura egea appartenenti al ricchissimo patrimonio “sommerso” del Mann, accompagnati da brevi cenni sulla storia della loro acquisizione. Addentrandosi nella sezione “Preistoria e Protostoria”, la narrazione proseguirà nella sala CXLVII: qui si presenteranno i dati a disposizione sulle interazioni tra i Micenei e l’area del Golfo di Napoli durante l’età del Bronzo, partendo dalle testimonianze di Vivara (Bronzo medio) – in esposizione permanente – e, per l’entroterra, dai materiali archeologici provenienti dal sito di Afragola (Bronzo recente e finale), messi a disposizione dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli. Alcuni manufatti di provenienza egea, appartenenti a corredi funerari dalle necropoli di Capua e Cuma (sala CXXVII), offriranno lo spunto per illustrare la fase dei contatti tra Egeo e Campania nella prima età del Ferro. Nella sala CXXV della sezione “Isola d’Ischia”, infine, si descriverà la nascita di Pithekoussai, primo episodio della colonizzazione greca in Occidente.

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Oggetti da Cuma conservati al museo Archeologico dei Campi Flegrei nel castello di Baia (foto di vittorio infante)

Il percorso espositivo del PAFLEG riguarda il tema del consolidamento della presenza greca nel territorio flegreo e coinvolge il parco archeologico di Cuma e il museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia, con l’obiettivo di tracciare un percorso di approfondimento che racconti i luoghi connessi all’arrivo dei Greci a Cuma e le interrelazioni culturali che quest’approdo genera. Tale racconto si declina nel Museo in un’esperienza immersiva che interessa ciò che si suole definire “cultura materiale”, non luoghi ma oggetti, che custodiscono storie, serbano la memoria di viaggi e ripercorrono rotte marittime. In questo percorso tra le sale del Museo della sezione Cuma (in particolare, sale 5-10) sarà possibile scoprire come il “greco” è fatto di aspetti molto diversificati, di tante città che vantano prodotti di eccellenza e che in qualche modo nelle stive di navi si incontrano e approdano a Cuma e nelle isole. Qui, dove ogni cosa parla un linguaggio greco, dalle evidenze strutturali agli oggetti di uso quotidiano, avvengono ancora altri incontri con le genti dell’entroterra e si viene a creare un’eccezionale relazione interculturale, della quale gli oggetti conservano la memoria e registrano la diffusione, ma che di fatto è concepita da uomini.

Ischia. “Pithecusa: vecchi scavi, nuove scoperte”: prima conferenza all’Archeologico di Lacco Ameno del progetto “Kepos 2022 paesaggi e archeologia” promosso dalla Fondazione Walton per valorizzare il patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola

lacco-ameno_archeologico_progetto-kepos_logoNasce a Ischia “Kepos 2022 paesaggi e archeologia”, progetto di divulgazione scientifica promosso dalla Fondazione Walton per valorizzare il patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola d’Ischia. Responsabile Scientifico del progetto, l’archeologa Mariangela Catuogno. “Kepos 2022 paesaggi e archeologia” è un articolato progetto di conferenze e convegni, che mira a riflettere sul patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola d’Ischia e del mondo mediterraneo, attraverso una divulgazione scientifica chiara ed efficace, con un focus sulle nuove forme di gestione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici presentate da specialisti del settore. Sette gli incontri in calendario ai quali interverranno studiosi, manager dei beni culturali ed esperti di divulgazione, per un approccio multidisciplinare al tema.

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La Baia di Sammontano negli anni ’50 (foto progetto kepos)

Primo appuntamento venerdì 10 giugno 2022, alle 11, a Villa Arbusto di Lacco Ameno, sede del museo Archeologico di Pithecusae. La soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro e Maria Luisa Tardugno, funzionario archeologo responsabile per il territorio di Ischia, parleranno di “Pithecusa: vecchi scavi nuove scoperte”, illustrando le attività di tutela, fruizione e valorizzazione della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio dell’Area Metropolitana di Napoli sul territorio ischitano. L’incontro del 10 giugno 2022, che darà il via al ciclo di conferenze Kepos, preceduto da una breve presentazione del progetto, permetterà dunque di fare il punto sulla situazione isolana, tra lo splendore del passato, i piani per il futuro e le problematiche del presente, puntando a stimolare nella comunità ischitana il sentimento di identità e di partecipazione al patrimonio storico ed ambientale dell’isola e offrendo ai turisti la possibilità di conoscere lo straordinario patrimonio artistico ischitano.

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Il logo di “Kepos 2022 Paesaggi e Archeologia”

Il logo di “Kepos 2022 Paesaggi e Archeologia” è l’immagine stilizzata dell’albero della vita che si trova sul fregio della Coppa di Nestore, prodotta a Rodi, tra il motivo a losanga e quello a meandro tratteggiato spezzato. Secondo alcuni l’elemento decorativo stilizzato compare anche nella produzione vascolare pithecusana locale: ad esempio è dipinto sul fondo di una lekythos e sulla vasca di numerosi crateri di produzione locale rinvenuti nell’abitato dell’antica Pithekoussai, diventando così la “firma” dell’artigiano. L’albero della vita fin dall’antichità fu simbolo di rinascita e di vitalità; nella produzione artistica pithecusana si configura come elemento mutuato dal mondo orientale, testimonianza dei precocissimi contatti commerciali con Al Minà, alla foce dell’Oronte, con Rodi e col Delta del Nilo. Kepos è un progetto culturale della Fondazione Walton – Giardini La Mortella, che nella sua mission propone un nuovo approccio alla gestione dei Beni Culturali alimentando il senso di partecipazione e rinascita collettiva: l’albero della vita di Kepos è paradigma della volontà, che anima questo progetto, costruttrice di una identità culturale consapevole, attenta alle innovazioni, dinamica e comunicativa nel suo proporsi.

Lacco Ameno: viaggio alla scoperta del Settecento, il Secolo dei Lumi, sull’isola d’Ischia. Conferenza di Mariangela Catuogno su “Il ‘700 a Lacco Ameno: dal Grand Tour alle prime scoperte archeologiche”

Un viaggio alla scoperta del Settecento, il Secolo dei Lumi, sull’isola d’Ischia. E in particolare a Lacco Ameno, il suo centro più piccolo, ma non meno frequentato degli altri dai giovani rampolli dell’aristocrazia e dalle nuove classi dirigenti d’Europa che puntavano verso l’Italia per completare il loro iter formativo. Sono gli anni e i fervori del Grand Tour, quando, dopo la riscoperta di Ercolano e Pompei, scoppia la febbre per l’Antico. Se ne parlerà lunedì 6 giugno 2022, alle 18.30, a Villa Gingerò, nel complesso museale di Villa Arbusto a Lacco Ameno, in occasione della conferenza “Il ‘700 a Lacco Ameno: dal Grand Tour alle prime scoperte archeologiche”, organizzata dal Comune di Lacco Ameno, in collaborazione con il museo Archeologico Pithecusae e AIParc Isola d’Ischia. Dopo i saluti di Giacomo Pascale, sindaco di Lacco Ameno, del suo vice Carla Tufano, e di Caterina Mazzella, presidente AIParc Isola d’Ischia, la conferenza sarà tenuta da Mariangela Catuogno, archeologa e responsabile commissione archeologia C.T. AIParc Ischia.

Nella Palestra Grande agli scavi la mostra “Pompei e gli Etruschi”: 800 reperti provenienti da musei italiani e europei. 1^ parte: excursus sulle prime influenze etrusche in Campania prima di Pompei

La locandina della mostra “Pompei e gli Etruschi” alla Palestra Grande di Pompei fino al 2 maggio 2019

Da sinistra, Paolo Giulierini, Massimo Osanna e Stéphane Verger (foto Graziano Tavan)

Ancora pochi giorni e il lungo ponte tra Pasqua e il 1° maggio volga al termine. E col periodo festivo finisce anche la grande mostra “Pompei e gli Etruschi” aperta alla Palestra Grande degli scavi di Pompei, fino al 2 maggio 2019. Chi ha tempo ne approfitti. A cura del già direttore generale Massimo Osanna e di Stéphane Verger, directeur d’études à l’École Pratique des Hautes Etudes di Parigi, la mostra è promossa dal parco archeologico di Pompei, in collaborazione con il museo Archeologico nazionale di Napoli, il Polo museale della Campania e l’organizzazione di Electa. Dopo l’Egitto nel 2016 e la Grecia nel 2017, questa nuova esposizione affronta la controversa e complessa questione dell’Etruria campana e dei rapporti e contaminazioni tra le élite campane etrusche, greche e indigene, al cui centro vi è Pompei. Circa 800 reperti provenienti da musei italiani e europei, esposti in 13 sale allestite nel portico nord della Palestra grande, consentono un excursus dalle prime influenze etrusche in Campania prima di Pompei, alla Pompei – città nuova etrusca – in una Campania multietnica, fino al suo tramonto, e alla memoria di alcune usanze etrusche che si conservarono ancora per qualche tempo. Materiali in bronzo, argento, terracotte, ceramiche, da tombe, santuari e da abitati, consentono di analizzare e mettere a confronto più elementi per affrontare le controverse dinamiche della presenza etrusca in Campania.

Offerte dal santuario extraurbano di Fondo Iozzino a Pompei (foto Graziano Tavan)

Fulcro della mostra sono i ritrovamenti venuti alla luce dai recenti scavi nel santuario extraurbano del Fondo Iozzino – tra i principali santuari (oltre a quello di Apollo e di Atena) fondati a Pompei alla fine del VII sec a.C. – che hanno restituito una grande quantità di materiale di epoca arcaica, quali armi e servizi per le libagioni rituali con iscrizioni in lingua etrusca. Questi materiali si affiancano, in mostra, a quelli provenienti dalle altre città etrusche della Campania – Pontecagnano in primis e Capua – dove sono noti luoghi di culto importanti, con caratteristiche simili a quello del Fondo Iozzino. Testimonianze di sfarzose tombe principesche in cui venivano sepolti i membri più importanti di grandi famiglie aristocratiche sono, invece, i corredi funerari dalla tomba Artiaco 104 di Cuma di un principe cosmopolita (i resti del defunto incinerati vennero deposti in un calderone in argento, alla maniera degli eroi descritti nell’Iliade di Omero: “mangiava e beveva come un greco, ma portava abiti e armi etruschi e si comportava come un re orientale”.); quello di una principessa di Montevetrano (tomba 74), vicino a Pontecagnano; e quello della lussuosa tomba di un principe orientalizzante dal Lazio (la tomba Barberini di Palestrina). Le dinamiche degli incontri di culture, le integrazioni tra gruppi sociali, lo spazio mediterraneo come luogo e teatro di culture fluide e identità recintate costituiscono il filo conduttore delle mostre della Palestra Grande di Pompei, a partire da quelle che hanno riguardato l’Egitto, la Grecia e ora l’Etruria.

Vasetti dal tempio di Apollo di Pompei (foto Graziano Tavan)

Piccola visita guidata per chi non può visitare la mostra (Sala introduttiva) Siamo intorno al 600 a.C. “I primi secoli della storia di Pompei sono poco noti”, spiegano i curatori, “perché gli strati più antichi della città sono stati ricoperti e in gran parte distrutti dalla città sannita dei secoli III e II a.C. e da quella romana sepolta nel 79 d.C. Oggi si ritiene unanimemente che quella prima città, il cui nome è ignoto, sia stata fondata intorno al 600 a.C. da alcuni Etruschi giunti dall’Etruria interna (la regione situata a nord di Roma, tra la costa tirrenica e i fiumi Tevere e Arno). In precedenza anche altri Etruschi si erano stabiliti in Campania. Già 300 anni prima, durante l’epoca villanoviana, alcuni gruppi giunti dall’Etruria meridionale avevano fondato due importanti città nelle zone agricole più ricche della regione: Capua nella pianura campana e Pontecagnano nella piana del Sele”. All’epoca la Campania era occupata da popolazioni locali italiche, che coabitarono con i nuovi arrivati. Non formavano un’entità etnica omogenea, ma erano divise in piccole comunità che coltivavano le pianure intorno al Vesuvio e le prime alture dell’entroterra. La regione era idealmente situata sugli itinerari marittimi lungo la costa tirrenica. Per questo motivo, i Greci giunti nella seconda metà dell’VIII secolo dall’isola di Eubea, a Nord di Atene, fondarono la colonia di Pithecusae sull’isola di Ischia e la potente città di Cuma nei Campi Flegrei. Alla fine dell’VIII secolo, la Campania era quindi occupata da un insieme di comunità che si differenziavano dal punto di vista etnico e culturale. Vi si parlava una moltitudine di lingue suddivise in tre grandi gruppi: una lingua locale italica, l’osco, e due lingue straniere, l’etrusco e il greco. Le relazioni che queste comunità intrattenevano tra loro favorirono rapidamente la formazione di culture ibride e di lingue diversificate, ma furono anche all’origine di incessanti conflitti armati provocati dalla esasperata rivalità per il possesso della terra e il controllo del mare.

Ruota in legno dal sito dell’età del Ferro di Longola di Poggiomarino (foto Graziano Tavan)

Gli Etruschi in Campania prima di Pompei: c. 900 – c. 750 a.C. (Sala 1) Nell’Età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) la Campania era una regione ricca e produttiva. L’insediamento indigeno di Longola, nella valle del Sarno, che prosperava grazie ad abbondanti risorse agricole (comprese quelle vinicole) e alla pastorizia, sviluppò quindi anche un’attività artigianale diversificata: lavorazioni in legno e in osso, metallurgia del bronzo e intaglio dell’ambra importata dal Nord Europa. Il villaggio era in contatto con le comunità etrusche e greche stabilitesi nella pianura campana e intratteneva relazioni di scambio anche con regioni più lontane, come l’Italia del sud e la costa adriatica. Vi si praticavano riti religiosi in ambito domestico, come attestano i numerosi vasi in miniatura e le figurine in terracotta e bronzo. Intorno al 900 a.C., i primi etruschi si stabilirono nella pianura campana e nella piana del Sele mentre altri gruppi villanoviani fondavano Felsina (Bologna). In entrambi i casi si può senz’altro parlare di una vera e propria colonizzazione per appropriazione delle terre in aree particolarmente fertili. Le prime urne cinerarie villanoviane rappresentano infatti i defunti come guerrieri muniti di elmo e armati.

Bruciaprofumi in bronzo dalla tomba 74 di Montevetrano di Pontecagnano (foto Graziano Tavan)

La Campania si apre sul Mediterraneo: c. 750 – c. 700 a.C. (Sala 2) Nella seconda metà dell’VIII secolo la Campania si aprì verso il Mediterraneo. Le sepolture più importanti riunivano oggetti italici, etruschi e greci, ma anche altri realizzati a nord delle Alpi, sardi, indigeni dell’Italia del sud, fenici e provenienti dal Vicino Oriente. Il numero maggiore di manufatti importati si concentrava nelle preziose parure e nel servizio da banchetto. Come in Etruria, le donne aristocratiche svolgevano un ruolo importante nella gestione delle risorse economiche della casa, nella produzione tessile e nell’adozione di modelli ideologici stranieri. La tomba 74 di Montevetrano, vicino a Pontecagnano, è una delle migliori rappresentazioni delle diverse trasformazioni storiche in atto.

Calderone in bronzo dalla tomba Artiaco 104 di Cuma (foto Graziano Tavan)

Il tempo dei principi tirrenici cosmopoliti: c. 700 – c. 630 a.C. (Sala 3) Intorno al 700 a.C., all’inizio dell’epoca detta “orientalizzante”, i principali centri della costa tirrenica erano controllati da grandi famiglie aristocratiche i cui membri più importanti venivano sepolti in sfarzose tombe principesche, secondo una moda che si era affermata tanto in Etruria (da Vetulonia a Nord, fino a Cerveteri a Sud) quanto in Lazio (a Praeneste) e in Campania (dall’insediamento greco di Cuma alla città etrusca di Pontecagnano). In questo contesto principesco tirrenico orientalizzante, il defunto della tomba Artiaco 104 di Cuma occupa un posto a parte. I suoi resti incinerati sono stati deposti in un calderone in argento, come quelli degli eroi dell’Iliade di Omero: mangiava e beveva come un greco, ma portava abiti e armi etruschi e si comportava come un re orientale.

Brocca greca di produzione cumana con raffigurazioni di pesci dalla tomba 592 di San Valentino Torio a Sarno (foto Graziano Tavan)

La Campania, una tappa sulle rotte del commercio arcaico: VII-VI secolo a.C. (Sala 4) Nel VII secolo a.C. la domanda crescente di vino, olio e prodotti di lusso da parte delle élite occidentali provocò uno sviluppo del commercio marittimo che perciò si estese a tutto il Mediterraneo. Si moltiplicarono anche i relitti, come quello dell’imbarcazione commerciale dell’Isola del Giglio al largo della Toscana che, provenendo forse dalla costa occidentale dell’Asia Minore, aveva lambito la Campania e da lì avrebbe dovuto raggiungere Massalia (Marsiglia) se non fosse colata a picco prima di lasciare le coste dell’Etruria. In quell’epoca la costa campana si riempì di insediamenti che si trovavano lungo i nuovi itinerari marittimi e prendevano parte al commercio del vino. Sull’isola di Ischia, nel villaggio di Punta Chiarito, si coltivava la vite. Qui arrivavano i prodotti provenienti dalla Grecia, dalla Campania e dall’Etruria in senso stretto.

Olla con protomi di ariete dalla tomba 312 delle necropoli Formaci a Capua (foto Graziano Tavan)

Dalle vecchie famiglie principesche alle nove élite urbane e rurali: c. 630 – c. 550 a.C. (Sala 5) Verso la fine del VII secolo a.C., le poche grandi famiglie aristocratiche continuavano a farsi seppellire secondo i rituali eroici greci e principeschi etruschi. Ma quest’epoca vide prosperare soprattutto un’élite media, che si sviluppò tanto nei grandi centri urbani etruschi come Capua e Pontecagnano quanto nei centri secondari etruschi e italici, come Cales nel nord della Campania o Stabia nella valle del Sarno. La trasformazione sociale e politica favorì lo sviluppo di botteghe che realizzavano in serie ceramiche di qualità ordinaria: il bucchero nero etrusco e la ceramica etrusco-corinzia, imitata a partire dalle produzioni greche da artigiani etruschi di Vulci e Cerveteri stabilitisi nelle città della Campania. Anche i vasi in metallo del banchetto erano produzioni di serie importate da Orvieto, nell’Etruria interna.

Grandi riaperture al museo Archeologico nazionale di Napoli. Con la sezione Egiziana torna fruibile la sezione Epigrafica, collezione di iscrizioni greco-romane tra le più prestigiose al mondo: dalle Tavole di Eraclea alle Laminette orfiche di Thurii

Il nuovo allestimento della collezione Epigrafica del museo Archeologico nazionale di Napoli

Il nuovo allestimento della collezione Epigrafica del museo Archeologico nazionale di Napoli

napoli_mann_collezione-epigraficaNon solo faraoni. Al museo Archeologico nazionale di Napoli (Mann) è tempo di grandi ritorni. Sabato 8 ottobre 2016 non solo riapre la sezione Egiziana con un nuovo allestimento per la più antica collezione d’Europa sulla civiltà dei faraoni (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/10/02/i-faraoni-tornano-a-napoli-dopo-sei-anni-di-chiusura-riapre-la-sezione-egiziana-del-museo-archeologico-di-napoli-1200-reperti-la-piu-antica-collezione-egizia-deuropa-nata-nel-1821-come-rea/), ma viene restituita al pubblico anche la sezione Epigrafica, nel riordinamento curato dal dipartimento di Studi umanistici della Università Federico II di Napoli, con materiali unici al mondo per la storia della scrittura e le vicende dell’area napoletana. Si tratta di una delle raccolte di iscrizioni del mondo greco-romano tra le più prestigiose. Sono infatti alcune migliaia i materiali epigrafici di proprietà del Mann di Napoli: dal nucleo Farnese alle raccolte dei Borgia, dalla collezione dell’erudito campano Francesco Daniele e di monsignor Carlo Maria Rosini fino ai ritrovamenti effettuati in Campania e nel Mezzogiorno d’Italia dal Settecento ai giorni nostri. Un percorso ricco in cui il visitatore scopre duecento documenti – alcuni particolarmente rari – selezionati tra i più significativi presenti nel museo per la storia della scrittura e le vicende dei principali centri dell’area napoletana.

Una delle laminette orfiche n oro ritrovate a Thurii e conservate al Mann

Una delle laminette orfiche in oro ritrovate a Thurii e conservate al Mann

La novità di questo allestimento sono proprio le testimonianze di aspetti della vita pubblica e privata di norma difficilmente documentabili in centri diversi da quelli vesuviani, quali i manifesti elettorali, gli annunci di giochi di gladiatori, i graffiti su intonaco, a volte in versi a volte accompagnati da rozzi disegni. Dalla documentazione in lingua greca, con testi provenienti dalle colonie dell’Italia meridionale (le prime attestazioni di scrittura greca in Occidente, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., sono state scoperte a Pithecusa/Ischia) si passa alle iscrizioni provenienti proprio da Neapolis, dove il greco rimane lingua ufficiale fino alla caduta dell’Impero romano. Eccezionale poi la raccolta di iscrizioni in lingue pre-romane dell’Italia centro-meridionale (in osco, vestino, volsco, sabellico), come l’iscrizione in lingua volsca da Velletri del IV secolo a.C. o quella sabellica da Bellante della metà del VI secolo a.C.
Tanti i materiali più significativi: le cosiddette Tavole di Eraclea, lastre bronzee incise su entrambe le facce, con testi in greco e latino di età differenti, rinvenute nel 1732 in Basilicata nel luogo di probabile riunione dell’assemblea federale della Lega italiota; in greco sono le Laminette orfiche di Thurii: sottili sfoglie d’oro provenienti da due sepolture del IV secolo a. C. appartenenti a una setta misterica di carattere popolare, non ignara dell’ortodossia orfico-pitagorica; in osco invece la Meridiana delle Terme Stabiane. Ma vanno anche ricordati i frammenti (8 dei 12 rinvenuti sono infatti conservati al Mann) della cosiddetta Tavola bembina – scoperta tra Quattro e Cinquecento e appartenuta prima ai duchi d’Urbino, poi all’umanista Pietro Bembo e quindi ai Farnese – con i testi della lex de repetundis e di una lex agraria relativa ad aree demaniali e – infine – le iscrizioni con i nomi di quanti vinsero i Sebastà in diverse edizioni, in gare atletiche, ippiche e artistiche, scoperte alla fine del XIX secolo durante i lavori del Risanamento in prossimità di piazza Nicola Amore a Napoli dove, nel 2003 durante i lavori per la linea 1 della metropolitana, sarebbero stati rimessi in luce il tempio per il culto di Augusto e il portico di uno dei ginnasi di Napoli con numerosi altri frammenti di analoghe monumentali iscrizioni.

“Non chiudete il museo archeologico di Ischia”: appello dell’associazione Bianchi Bandinelli per evitare lo sfratto da Villa Arbusto dei tesori dell’antica colonia greca di Pithecusae

Uno scorcio del parco di villa Arbusto a Lacco Ameno di Ischia, sede del museo archeoloigico

Uno scorcio del parco di villa Arbusto a Lacco Ameno di Ischia, sede del museo archeoloigico

La mappa dell'isola d'Ischia, l'antica Pithecusae

La mappa dell’isola d’Ischia, l’antica Pithecusae

La storia dell’isola di Ischia, dalla preistoria alla colonia greca di Pithecusae fino all’età romana, è racchiusa tra le mura dell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto che ospita il museo archeologico di Ischia. E ora quel museo istituito 25 anni fa per esporre al pubblico i reperti che raccontano l’affascinante storia di Pithecusae, ritenuto il più antico insediamento fisso dei Greci che avevano raggiunto l’Italia Meridionale, rischia di chiudere. Un’ipotesi contro la quale scende in campo con un accorato appello l’associazione Bianchi Bandinelli: “Non chiudete il museo archeologico di Ischia a villa Arbusto”, edificio di fine Settecento ora di proprietà del Comune di Lacco Ameno, in difficoltà finanziaria come molti enti locali. Aperto circa 25 anni fa, il museo espone i tanti reperti che raccontano questa lunga storia, frutto degli scavi condotti sull’isola – in località San Montano, nel comune di Lacco Ameno – dalla fine degli anni ’40 del Novecento sotto la direzione di Giorgio Buchner, che ha studiato e pubblicato i contenuti di oltre settecento sepolture, deposte in fosse, di inumati e di incinerati, databili dalla metà dell’VIII a.C. all’età romana imperiale.

La cosiddetta "coppa di Nestore" conservata nel museo archeoloigco di villa Arbusto ad Ischia

La cosiddetta “coppa di Nestore” conservata nel museo archeoloigco di villa Arbusto ad Ischia

Il museo archeologico di Pithecusae rischia di chiudere

Il museo archeologico di Pithecusae rischia di chiudere

A Villa Arbusto sono conservati reperti dalla preistoria all'età romana

A Villa Arbusto sono conservati reperti dalla preistoria all’età romana

Tre le sezioni principali che espongono i reperti delle diverse epoche rinvenuti sull’isola: la Preistorica, con oggetti del neolitico, età del bronzo e del ferro composta perlopiù da materiali ceramici e litici. Il periodo greco, che raccoglie la corposa collezione dei reperti della colonia greca di Pithecusae. Così chiamarono Ischia gli Eubei che vi si insediarono nel VII sec. a.c.: per alcuni il nome significherebbe “l’isola delle scimmie” (i malefici Cercopi abitanti delle terre vulcaniche), per altri invece “l’isola dei vasi”. Una sezione è dedicata agli oggetti che testimoniano le prolifiche attività commerciali di Pithecusae con Oriente, Grecia, Spagna, Puglia e Sardegna. Un’altra alla raccolta di corredi funerari provenienti dalla necropoli di San Montano, di cui fanno parte i più importanti i vasi pitecusani, come la famosa “tazza da Rodi” sulla quale è inciso, in alfabeto euboico, un epigramma che allude alla celebre “coppa di Nestore” descritta nell’Iliade: versi, con cadenza epica, contemporanei alle più antiche parti dell’Iliade, nei quali si decanta il piacere di bere vino in una coppa perfetta come quella usata da Nestore. Si tratta della più antica iscrizione in lingua greca ritrovata in Italia, e fa il paio con una seconda che ci restituisce la firma di un decoratore di vasi in attività nella stessa Pithecusa. Infine, c’è il periodo romano, di cui fanno parte i rilievi votivi in marmo dal santuario delle Ninfe, in località Nitrodi (Barano), e dei lingotti in piombo e stagno della fonderia sommersa di Carta Romana. Buona parte di questo patrimonio archeologico di inestimabile valore ha ritrovato la luce grazie agli scavi effettuati da Buchner a partire dal 1952. Ora però il comune, in difficoltà finanziaria, avrebbe deciso di vendere Villa Arbusto, e il museo rischia lo sfratto. Da qui l’appello dell’associazione – sottoscritto già da decine di intellettuali, professori universitari ed esperti tra cui l’ex soprintendente di Pompei Pietro Guzzo – che chiede la ministero di beni culturali e turismo di vigilare sulla vicenda.