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Archeologia in lutto. È morto a 89 anni il professor Erik Hornung, uno degli ultimi grandi egittologi del Novecento, specialista straordinario della storia e della religione egizia. Suo il grande studio sul Libro dell’Amduat

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Il prof. Erik Hornung, egittologo

Lutto nel mondo dell’archeologia. Lunedì 11 luglio 2022, all’età di 89 anni, si è spento l’egittologo lettone Erik Hornung, uno dei più importanti studiosi moderni di religione egizia, professore emerito dell’università di Basilea. È proprio il settore Egittologia dell’università di Basilea a darne notizia. “Abbiamo il triste dovere di annunciare che il professor Erik Hornung (1933-2022) è deceduto l’11 luglio”, scrive l’ateneo elvetico nel necrologio. “Erik Hornung è stato professore di Egittologia all’università di Basilea dal 1967 al 1998. Era uno specialista straordinario della storia e della religione egizia. Per molti anni della sua carriera si è dedicato in particolare all’edizione sinottica, all’analisi e alla traduzione dei libri dell’aldilà nelle tombe della Valle dei Re. Nel corso degli oltre 30 anni trascorsi all’università di Basilea, ha dato un notevole contributo alla specializzazione in Egitto, formando diverse generazioni di studenti e di dottorati. Erik Hornung sarà ricordato come uno scienziato estremamente stimolante e produttivo, un insegnante di talento, un collega e un amico”. Al dolore dei famigliari e dei colleghi per la perdita di Erik Hornung si unisce il museo Egizio di Torino.

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Copertina del libro “The Egyptian Amduat”, nell’edizione 2010, di Erik Hornung e Theodor Abt nella traduzione di David Warburton

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Il prof. Erik Hornung, egittologo

Hornung era nato a Riga (Lettonia) nel 1933 e si era laureato all’università di Tubinga nel 1956. Professore di Egittologia all’università di Basilea dal 1967 al 1998, il suo principale campo di ricerca fu quello della letteratura funeraria, in particolare della Valle dei Re. Vice presidente della Società degli Amici delle Tombe Regali d’Egitto dal 1988, dal 2000 è stato anche Corresponding Fellow della British Academy nella sezione di Africa, Asia e Medio Oriente. Il professor Hornung è stato tra i maggiori esperti di letteratura religiosa e religioso-funeraria egiziana. Sua è la prima pubblicazione del Libro dell’Amduat, guida per l’aldilà egiziano, diviso in tre volumi (voll. I-II, 1963 – vol. III, 1967), di cui nel 2010 è uscita un’edizione in unico volume in inglese tradotta da David Warburton con la collaborazione di Theodor Abt, membro del consiglio di amministrazione del Centro di Ricerca e Formazione per la Psicologia dell’Inconscio secondo C.G. Jung e M.-L. von Franz (Zurigo). Insieme ad Abt, la cui ricerca è incentrata sulla relazione tra il mondo esterno e i bisogni dell’inconscio, escono anche i volumi La conoscenza per l’Aldilà. L’Amduat egiziano – Una ricerca per l’immortalità, e Il Libro delle Porte.

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Dall’album dei ricordi. Da sinistra, Maurizio Zulian, Graziano Tavan, Paolo Renier, Erik Hornung e Theodor Abt a Zurigo

Ho avuto l’onore di conoscere il professor Erik Hornung una quindicina di anni fa in un indimenticabile incontro a Zurigo a casa di Theodor Abt. Accompagnavo due amici grandi esperti e innamorati dell’Antico Egitto: Maurizio Zulian, conservatore onorario per la sezione Scienze naturali e Archeologia in immagini della Fondazione Museo Civico di Rovereto, e Paolo Renier, ideatore e promotore del Progetto Abydos: proprio loro avevano combinato l’incontro per un confronto e un approfondimento su alcuni temi della civiltà dei faraoni. “Abbiamo perso uno degli ultimi grandi egittologi del Novecento, che ci lascia contributi ancora oggi fondamentali e imprescindibili”, il commento di Maurizio Zulian alla notizia della morte del professor Hornung.

Road to Rome. A Vittorio Veneto la mostra “30 anni per Abydos – Egitto”: esperienze di Paolo Renier dal 1989 al 2019 con testimonianze fotografiche e ricostruzioni del tempio di Seti I. Primo passo verso la grande mostra di Roma

La locandina della mostra “30 anni per Abydos – Egitto” di Paolo Renier a Vittorio Veneto

Road to Rome. Se fossimo in ambito calcistico questo sarebbe l’incipit dell’iniziativa di Paolo Renier “30 anni per Abydos – Egitto”. Perché la mostra che il 31 agosto 2019 alle 18 apre alla Rotonda Villa Papadopoli di Vittorio Veneto (Tv) potrebbe essere considerata una prova generale, o almeno il primo step, verso l’obiettivo prestigioso: la Grande Moschea di Roma. Grazie infatti all’interessamento dell’Accademia d’Egitto a Roma e di Mariapia Ciaghi, direttrice de “Il Sextante”, Editoria-Comunicazione-Eventi di Roma, il complesso disegnato da Paolo Portoghesi potrebbe ospitare al suo interno, dove ci sono spazi notevoli adatti a esposizioni significative, le gigantografie di rilievi e architetture di Abydos e i plastici dei suoi monumenti più significativi realizzati da Paolo Renier con la collaborazione di Maurizio Sfiotti. Senza dimenticare che c’è un’altra sede espositiva prestigiosa che si è detta interessata al lavoro del fotografo (anche se il termine è riduttivo) trevigiano: è Villa Manin di Passariano (Ud), la dimora dell’ultimo doge di Venezia.

Andreas M. Steiner, direttore di Archeo

In attesa del “gran salto”, godiamoci l’esposizione di Vittorio Veneto che ripercorre i 30 anni di esperienze di Paolo Renier in Egitto, e in special modo ad Abydos, a partire proprio da quel 1989, lontano ormai ma che segnò una svolta nella vita di Renier, quando realizzò il suo primo viaggio in Egitto, partecipando a un tour promosso dalla rivista Archeo, diretta da Andreas M. Steiner con il quale nel tempo è nata una stretta amicizia. Non è un caso che proprio Steiner sia tra gli invitati d’onore alla vernice vittoriese. Dopo quel viaggio memorabile per Paolo, ne seguirono molti altri: 30 anni ininterrotti all’insegna del motto “Rispetto, conoscenza, valore” che è diventato un po’ il mantra di Renier. “È proprio in questo contatto diretto con l’Antico Egitto”, spiega, “in questo vivere quasi in simbiosi con la città sacra ad Osiride che mi resi conto che proprio in questo sito nasce la storia della regalità e monumentalità dei Faraoni”.

La stanza del sarcofago nell’Osireion ad Abydos (foto Paolo Renier)

Il fotografo Paolo Renier con l’egittologa Carla Alfano

L’egittologo Sergio Donadoni nel suo studio a Roma (foto Paolo Renier)

Anni di viaggi, ma anche di incontri e di eventi. Uno dei primi, e tra i più importanti, fu la piccola mostra fotografica su Abydos negli spazi dell’Accademia d’Egitto a Roma, nel 2004, con la presentazione dell’egittologa Carla Alfano: piccola ma sufficiente per far conoscere a tutti le capacità e gli obiettivi di Paolo Renier e, soprattutto, il suo amore per Abydos. Ma in quell’occasione non fu presentata solo la mostra fotografica ma anche il libro “Abydos, Egitto” che Renier scrive con il cuore: un viaggio emozionale di immagini e testi alla scoperta della città sacra ad Osiride, un reportage praticamente irripetibile – visto il degrado che ha colpito molti monumenti, a partire da quello più simbolico, l’Osireion – che incontra l’entusiasmo e l’approvazione del decano degli egittologi, Sergio Donadoni, il quale – nella prefazione – ha parole di ammirazione per la sensibilità di Renier fotografo nel solco di una tradizione che affonda nell’Ottocento. Tra gli invitati alla vernice di Roma c’era anche Roberto Giacobbo, all’epoca direttore del programma Voyager su Rai3 che nel febbraio 2005, memore della mostra all’Accademia d’Egitto, invitò Renier come fotografo in una spedizione In Egitto: “Fu in quell’occasione – ricorda – che ebbi modo di conoscere e di lavorare con Zahi Hawass, il più famoso egittologo egiziano, allora segretario del Consiglio supremo delle Antichità”.

Paolo Renier con l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago ad Abydos (foto Graziano Tavan)

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)

È dalla mostra di Roma che nasce l’idea di un viaggio in Egitto, invitato dall’allora ministro egiziano alla Cultura, Farouk Hosny, incontrato nel suo ufficio al Cairo, e mirato su Abydos per incontrare i protagonisti, cioè i direttori delle missioni archeologiche ad Abydos. Così nel dicembre 2004 Paolo Renier spiega il suo progetto di valorizzazione di Abydos al responsabile della missione tedesca, Gunter Dreyer, lo scopritore a Umm el-Ghaab, nella zona Sud-Ovest di Abydos, dei primi ideogrammi e segni di scrittura databili a 5200 anni fa: straordinari reperti, iscritti su piccole tavolette in avorio o in pietra, testimonianze delle prime dinastie dei faraoni, oggi conservate al museo Egizio del Cairo e all’università tedesca al Cairo. E ancora, ecco l’incontro con gli egittologi americani Stephen P. Harvey, dell’università di Chicago, scopritore dell’ultima piramide (siamo ormai nel Medio Regno) nella zona a sud, vicino alle montagne, dove invece sono state trovate tracce dell’uomo preistorico di 200mila anni fa, e Matthew Adams, dell’università di New York, impegnato nella zona di Shunet el-Zebib, nella grande muraglia del faraone Khasekhemwy (2700 a.C.), un monumento in mattoni crudi con mura perimetrali alte anche 15 metri e larghe 4-5, che racchiudono un grande spazio vuoto, il cui significato e utilizzo lascia aperti ancora molti interrogativi.

Paolo Renier mostra le straordinarie immagini della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abido

In questi anni, tra il 2003 e il 2005, Paolo Renier realizza la sua opera più preziosa: la ricognizione fotografica a 360 gradi del soffitto astronomico dell’Osireion. “Riuscii a entrare nella Stanza del Sarcofago con grande difficoltà”, racconta, ancora emozionato, “rischiando anche la vita, perché si camminava in un acquitrino putrido pieno di larve pericolose e su un pavimento irregolare, scivoloso e pieno di buche, purtroppo invisibili per la scarsa illuminazione e l’acqua melmosa. Ma sentivo che dovevo farcela, perché umidità e pipistrelli, insieme all’incuria dell’uomo, stavano minando irrimediabilmente l’integrità della stanza segreta del faraone Seti I”. E continua: “Feci varie riprese del soffitto, con i suoi bellissimi rilievi che raffigurano due scene della dea Nut”. È qui che incontra un altro egittologo, James Westerman, incaricato dal governo egiziano di studiare la provenienza e i livelli in continuo movimento dell’acqua ancora presente nel canale attorno all’isola centrale dell’Osireion. Un modo per cercare di capire i segreti di questo tempio, molto particolare, un unicum, con dieci pilastri in granito rosa di 80-90 tonnellate l’uno e un canale attorno all’isola centrale profondo una quindicina di metri. “Westerman con le sue ricerche geologiche”, interviene Renier, “è riuscito a definire quando fu costruito il tempio dell’Osireion, datandolo almeno al 4000/5000 a.C., quindi prima dei faraoni. Mi piace pensare che Seti I abbia scoperto e capito l’importanza di questo monumento e abbia deciso di costruire qui il suo tempio, inglobando l’Osireion, probabilmente per riti straordinari, legati probabilmente ai livelli della sua acqua purificatrice. Non dimentichiamo che l’Osireion è così chiamato perché gli antichi egizi ritenevano che custodisse la testa di Osiride”.

La locandina della mostra “Il tempio di Osiride svelato. L’Antico Egitto nell’Osireion di Abydos” al museo Archeologico nazionale di Firenze nel 2009

Il Progetto Abydos e le mostre. Ormai Paolo Renier e il suo Progetto Abydos per la conoscenza e la valorizzazione del sito sono una realtà. È il momento di allargare la platea. Vengono così organizzate alcune mostre che allargano le conoscenze e le collaborazioni. Si inizia nel 2006 con “Abydos, Egitto. Ricostruzione scenografica del sito di Abydos” nella prestigiosa cripta della basilica di San Lorenzo a Firenze, con il contributo di Maria Cristina Guidotti direttrice del museo Egizio di Firenze. L’anno successivo la stessa mostra viene proposta al Palazzo del Turismo al Lido di Jesolo (Ve), e nel 2008 passa nell’aula magna dell’istituto scolastico di Tarzo (Tv). Nel 2009 Renier torna a Firenze con “Il tempio di Osiride svelato. L’Antico Egitto nell’Osireion di Abydos”. Stavolta siamo nel cuore archeologico di Firenze. La mostra infatti viene ospitata nella sezione Egizia del museo Archeologico nazionale di Firenze, dove, con la direttrice Maria Cristina Guidotti, viene proposto un percorso di documenti fotografici e gigantografie insieme a splendidi reperti egizi del museo fiorentino.

Manifesto della mostra “Il tempio di Osiride svelato” alla Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista a Venezia

La locandina della mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” nelle antiche scuderie di Dolo (Ve)

Nel 2012 la mostra diventa sempre più ricca. Alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia va in scena “Il tempio di Osiride svelato”, mostra allestita tra un antico cimitero coperto e l’annessa bellissima chiesa di S. Giovanni Evangelista. “Non abbiamo mai visto un allestimento così in sintonia con le nostre particolari sale: Renier è riuscito a sposare i nostri ambienti religiosi con la spiritualità dell’Antico Egitto”, il commento del Guardian Grande della Scuola. Per l’occasione il museo Egizio di Firenze ha messo a disposizione ben 23 reperti tra cui un sarcofago con la dea Nut, restaurato e presentato per la prima volta, che dialogava idealmente con le raffigurazioni della dea Nut del soffitto astronomico riprodotto, grazie alle immagini di Renier, nella cappella centrale dell’altare della chiesa. A Venezia intervengono Matthew Adams dell’università di New York, Emanuele Ciampini dell’università Ca’ Foscari di Venezia e Alessandro Roccati dell’Accademia delle Scienze di Torino. Nel 2013 con la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” nelle antiche scuderie di Dolo (Ve), Renier con l’egittologa di Ca’ Foscari, Federica Pancin, “ricrea” l’Osireion, la tomba di Osiride, cioè il luogo più sacro nella città più sacra dell’Egitto dei faraoni: Abydo, a 150 chilometri da Luxor, ai margini dei deserto occidentale, è la città di Osiride, il dio dell’Oltretomba ma anche della Rinascita, per tremila anni meta di pellegrinaggi dal faraone all’egiziano comune; la città dove le prime dinastie (solo dalla V le sepolture monumentali sono state spostate a nord, nella piana di Giza) hanno posto le loro tombe; la città che prima il faraone Seti I (XIX dinastia) e poi il figlio Ramses II hanno monumentalizzato (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2013/11/30/in-riva-al-brenta-losireion-di-abydo-e-i-misteri-dellantico-egitto/).

Maurizio Sfiotti durante i rilievi dell’Osireion ad Abydos, in Egitto

Il plastico dell’Osireion realizzato da Maurizio Sfiotti: in primo piano il Corridoio ipogeo

Nel 2014 un nuovo salto di qualità con la mostra a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Tv): “Egitto. Come faraoni e sacerdoti nel tempio di Osiride custodi di percorsi ormai inaccessibili” con la collaborazione dell’egittologa di Ca’ Foscari, Federica Pancin (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2014/09/09/lantico-egitto-a-conegliano-nella-mostra-a-palazzo-sarcinelli-viaggio-alla-scoperta-dei-misteri-di-osiride-ad-abido-dalla-stanza-del-sarcofago-con-il-soffitto-astronomico-in-scala-11-al-co/). La mostra è preceduta da un ennesimo viaggio-missione ad Abido. Stavolta ad accompagnare Renier c’è Maurizio Sfiotti, presidente dell’associazione culturale Osireion di Abydos, che realizza i rilievi necessari a realizzare in scala 1:20 i modellini del tempio di Seti I con le sette cappelle e dell’Osireion, ma anche le misure esatte del soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago. Questi modellini vengono esposti proprio nella mostra di Conegliano. E, per la prima volta, è possibile toccare con mano il soffitto astronomico della stanza del sarcofago a ridosso dell’Osireion di Abido, posizionato con tutto il suo straordinario potere comunicativo in verticale in uno sviluppo che avvolge il visitatore.

Paolo Renier tra i pannelli della mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

Nel 2015, grazie all’invito e alla collaborazione della associazione Zheneda e di Ceneda Arte e Cultura, Renier approda per la prima volta alla Rotonda Villa Papadopoli di Vittorio Veneto (Tv) con la mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I: le sacre rappresentazioni” (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2015/04/24/lantico-egitto-a-vittorio-veneto-il-tempio-del-faraone-seti-i-ad-abido-nella-mostra-di-paolo-renier-alla-rotonda/), un allestimento del tutto originale dove, ovviamente, non manca l’esposizione in scala 1:1 del soffitto astronomico dell’Osireion di Abido (vero unicum che può permettersi di mostrare solo Paolo Renier) e un excursus su Abido, la città sacra dedicata a Osiride il dio dell’Aldilà e della resurrezione. Ma stavolta il focus è incentrato tutto sul grande faraone Seti I, il padre di Ramses II, sotto il cui regno l’arte egizia toccò uno dei suoi punti più elevati, un vero “rinascimento”. Tre anni dopo Renier è ancora a Vittorio Veneto con “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” dove Renier presenta un racconto particolare in cui il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/05/21/1989-2018-paolo-renier-per-abydos-egitto-a-vittorio-veneto-il-fotografo-trevigiano-racconta-per-immagini-e-emozioni-la-sua-trentennale-esperienza-dedicata-alla-citta-sacra-dei-fara/).

Franco Naldoni, ricercatore dell’associazione Archeosofica di Firenze, esperto di Egittologia

E siamo al 2019. Ancora a Vittorio Veneto, con “30 anni per Abydos – Egitto. Esperienze di Paolo Renier dal 1989 al 2019. Testimonianze fotografiche, ricostruzioni del tempio di Seti I”, a cura di Paolo Renier e Maurizio Sfiotti, in collaborazione con le associazioni Zheneda, Osirion Abydos, Archeosofica, aperta alla Rotonda Villa Papadopoli fino al 13 ottobre 2019. All’inaugurazione, sabato 31 agosto 2019, alle 18.30, Renier e Sfiotti insieme a Franco Naldoni dell’associazione Archeosofica di Firenze anticiperanno, con approfondimenti, alcuni temi che saranno trattati nella prossima grande mostra. Road to Rome.

Antico Egitto a Vittorio Veneto. Paolo Renier chiude gli incontri a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018” con il suo intervento su “L’energia di Abydos, il valore simbolico di Sethi I, il retaggio spirituale”

Paolo Renier, autore del Progetto Abido, in mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto

Paolo Renier fa il bis per il gran finale della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” alla Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv), messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, mostra che, dopo la proroga concessa a grande richiesta del pubblico, chiuderà definitivamente domenica 1° luglio 2018. A Vittorio Veneto Paolo Renier presenta un racconto particolare dove il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici: dalla “folgorazione” per la civiltà dei faraoni e, soprattutto, per la città sacra di Abydos in occasione del suo primo viaggio – come turista – sulle rive del Nilo (era il 1989), alla nascita del progetto Abydos, alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion. E ora, alla vigilia del finissage della mostra, Renier fa il bis o, meglio, completa il suo racconto, come richiesto proprio dagli attenti partecipanti all’incontro di sabato 23 giugno 2018 nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli. Quindi sabato 30 giugno 2018, stavolta non più alle 18 ma alle 17 (per avere più tempo da condividere con i presenti), il fotografo trevigiano, autore e promotore del Progetto Abydos, riprende la conversazione dal titolo impegnativo “L’energia di Abydos, il valore simbolico di Sethi I, il retaggio spirituale”, durante la quale farà scorrere sullo schermo la sua storia con i testi e le immagini, presenti nel percorso della mostra, sviluppando i tre titoli-temi attraverso l’esperienza trentennale in Egitto dedicata a “Rispetto, Conoscenza e Valore di Abydos-Egitto”.

La grande frattura nella falesia sopra Abido, dove gli antichi egizi ponevano l’ingresso dell’Aldilà (foto Paolo Renier)

Abydos non è un sito qualsiasi dell’Antico Egitto. Quando Renier parla di “energia di Abydos” cerca di rendere quell’atmosfera speciale che ancora oggi si respira tra i suoi templi da dove lo sguardo spazia sul deserto fino all’orizzonte chiuso da un’alta falesia dove si apre una gola che per gli antichi egizi era la porta di accesso all’Aldilà. Di certo per millenni Abydos ha esercitato un’attrazione particolare sugli antichi egizi. Già il nome originale (Ȝbḏw, pronunciato convenzionalmente Abdju) che significa collina del tempio, ci porta dritti all’essenza della città sacra per eccellenza perché appunto si riteneva che in quell’antica città, nel tempio simbolo della collina primigenia emergente dal Nun, vi fosse conservata la testa di Osiride. Forse è un caso che proprio ad Abido sia stata trovata l’unica rappresentazione nota del grande faraone Cheope. Ma forse non è un caso che per ben 3000 anni Osiride sia stato venerato ad Abido dove appunto si diceva fosse conservata la reliquia più preziosa del dio: la sua testa. Un’immagine del reliquiario campaniforme che la racchiudeva si può ammirare ancora oggi. È raffigurata su una splendida pittura policroma all’interno del tempio abideno del faraone Sethi I. Del resto la tradizione raccontava che intorno alla tomba di Osiride ci fossero 365 altari per le offerte, uno per ogni giorno dell’anno.

La grande distesa di cocci che ancora oggi si può vedere nella zona di Umm el-Qa’ab ad Abido (foto Graziano Tavan)

Si perdono nella preistoria le origini della città sacra, che sicuramente fu capoluogo importante se non addirittura capitale dell’Alto Egitto nel periodo predinastico di Naqada e nel protodinastico. E proprio la necropoli di Umm el-Qa’ab (che significa in arabo la Madre dei Vasi, perché quando l’egittologo inglese Flinders Petrie scoprì questo sito – all’inizio del XX secolo – la collina sacra era letteralmente ricoperta da vasi: otto milioni di vasi deposti lì nel corso dei secoli da mani scomparse migliaia di anni fa, in offerta a Osiride, il signore dell’oltretomba) sembra essere l’anello di congiunzione tra l’Antico Egitto prima e dopo l’unificazione. Nel cosiddetto “cimitero U”, uno dei tre della necropoli di Umm el-Qa’ab, sono state portate alla luce ben 650 tombe di epoca predinastica (periodo Naqada I) e sepolture più raffinate (3800-3150 a.C.) dedicate a personaggi importanti, i primi dominatori delle Due Terre. Nella zona centrale c’è il “cimitero B” che ospita gli ultimi re predinastici sepolti approssimativamente dal 3150 al 3050 a.C. Tra i resti di questi signori si trovavano un tempo le spoglie di re Narmer, che la tradizione vuole unificatore delle Due Terre, e di re Horus Aha, il Combattente. Infine, nell’area sud della necropoli abidena, si estende il cimitero più ampio che abbraccia le tombe di una regina e sei re della I dinastia e di due re della II dinastia. Personaggi sepolti intorno al 3050 – 2800 a.C. Uno di questi regnanti, Horus Djer, governò per ben 50 anni. Salì al trono intorno al 2980 a. C. Secoli dopo, la sua tomba sarebbe stata trasfigurata dalla leggenda e divenuta il centro di un culto del dio Osiride.

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L’egittologa Federica Pancin al lavoro ad Abido seguita dal custode del tempio di Sethi I(foto Paolo Renier)

“La necropoli di Umm el-Qa’ab”, scrive Federica Pancin, egittologa di Ca’ Foscari, “costituiva la tappa più importante nella celebrazione dei misteri osiriaci, che si teneva ogni anno ad Abido e a cui partecipavano gli abitanti di ogni parte dell’Egitto e di ogni estrazione sociale: la divinità si manifestava in queste occasioni, quando la sua effigie usciva dal tempio e veniva portata in processione per la città e nel deserto. La grande partecipazione è confermata dalle centinaia di stele, recuperate dalle diverse missioni archeologiche, che i pellegrini più facoltosi provenienti da tutto l’Egitto lasciavano ad Abido, anche se è più verosimile che essi non si recassero fin lì direttamente e commissionassero invece ai locali o ad agenti di viaggio i loro monumenti”. E continua: “La tomba di Djer/Osiride fu meta di pellegrinaggi nazionali per oltre un millennio: ogni anno, verosimilmente nel mese di Khoiak, si celebrava la processione in cui veniva messa in scena la passione di Osiride, che assicurava il successo della rigenerazione di Osiride e, con essa, la rinascita della vegetazione della Valle del Nilo”.

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)

Forse non è un caso che proprio nella necropoli di Umm el-Qa’ab siano stati trovati i primi ideogrammi e segni di scrittura datati 3200 a.C. A scoprirli è stato l’egittologo tedesco Gunter Dreyer che Paolo Renier, insieme a chi scrive, ebbe l’onore di incontrare nel suo viaggio-missione del 2004 proprio nella casa della missione tedesca ai margini del deserto di Abido. “Straordinari e importantissimi reperti”, ricorda Renier nella mostra di Vittorio Veneto, “scolpiti in piccole tavolette in avorio o in pietra, vere testimonianze delle prime dinastie dei faraoni, e che in seguito per la loro importanza, essendo i primi segni di scrittura, sono state portate al museo Egizio del Cairo, dove le possiamo ancora vedere esposte nelle teche appena si entra nella sala principale”.

Il faraone Seti I in delicato bassorilievo nel tempio di Seti I ad Abido straordinariamente reso dalla maestria di Paolo Renier

E poi non si può ricordare Abido senza menzionare il faraone Sethi I (e il figlio Ramses II) con il suo grande tempio, una delle opere architettoniche più complesse e straordinarie dell’Antico Egitto, dove l’arte egizia tocca livelli sublimi, forse mai più superati, e con l’annesso Osireion, un unicum nell’architettura dei faraoni, e per certi versi ancora uno dei monumenti più misteriosi, e per questo più affascinanti, non solo di Abido. “Il sito di Abido”, scrive Renier, “si trova esattamente al centro dell’Egitto, e questo non credo sia un caso, anche perché non conosco in tutto l’Egitto un luogo così carico di spiritualità”. Il fotografo trevigiano ricorda bene di aver visto coppie di giovani sposi desiderosi di avere figli, la sposa accompagnata da alcune donne vestite di nero, compiere dei particolari riti nel tempio di Sethi I e nell’acqua dell’Osireion. “Chiaramente non ho mai saputo e soprattutto cercato di voler conoscerne il seguito di quei momenti così intimi di vita con particolare e autentica devozione. Mi piace ricordare che nel Vangelo dell’apostolo Giovanni, c’è questa parabola: “…..a Gerusalemme vi è, presso la Porta delle Pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaeta che ha cinque portici. Sotto di essi c’era sempre un gran numero di sofferenti, ciechi, zoppi e paralitici che attendevano il mutamento dell’acqua, poiché un Angelo del Signore scendeva in tempi stabiliti nella piscina e l’acqua ne era mutata, e il primo che entrava nella piscina, dopo tale mutamento, veniva risanato da ogni infermità …..e Gesù gli disse: “ vuoi essere guarito? ” L’infermo rispose: “ Signore io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si increspa, perciò mentre io mi avvicino, qualche altro scende prima di me.”…..Gesù gli ordinò: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina! ”. Allora mi viene spontanea una domanda: ma se succedeva questo mutamento dell’acqua con incredibili miracoli, in un tempio più piccolo e più semplice di quello di Abydos, cosa poteva succedere nell’imponente edificio dell’Osireion?”.

La sezione trasversale del tempio di Seti I ad Abido evidenzia il canale sotterraneo

“L’acqua è sempre stata veramente un elemento protagonista nel tempio di Sethi I”, continua Renier, “unico tempio in Egitto con due grandi pozzi uguali costruiti all’inizio della grande scalinata di accesso, ora coperti di sabbia. Al tempo del faraone quello di sinistra poteva essere una specie di nilometro che misurava i livelli del Nilo, nonostante la distanza dal fiume di oltre 10 chilometri. Invece quello di destra poteva forse misurare l’altezza dell’acqua del canale dell’Osireion, che ancor oggi ha dei livelli diversi durante l’anno. Tutti e due i pozzi, comunque, servivano per purificare il visitatore. C’è però chi sostiene l’idea che forse il pozzo di destra potesse servire anche all’illuminato che doveva superare una speciale prova, quella di immergersi nell’ingresso di un percorso sotterraneo, per poi nuotare in apnea lungo un condotto di circa 120 m. situato proprio sotto il tempio di Sethi I, forse con delle camere di respiro per poter arrivare fino alle scale di accesso nel piano centrale del vicino tempio dell’Osireion. Una volta eseguiti rituali di particolare spiritualità, in questa specie di isola circondata dall’acqua di un canale, probabilmente si poteva aver accesso al corridoio ipogeo, non a caso lungo ancora circa 120 m., che però questa volta conduce all’esterno di tutto il complesso del tempio di Sethi I, in mezzo al deserto”.

Il sito di Nag Hammadi in Egitto dove sono stati trovati preziosi codici antichi

Gli antichi codici di Nag Hammadi (Egitto)

I codici di Nag Hammadi. E forse non è neppure un caso, come intende Renier porre all’attenzione del pubblico in chiusura del suo incontro, che proprio a pochi chilometri da Abido, a Nag Hammadi, siano stati trovati antichi codici, risalenti al III – IV secolo d.C. e contenenti per la maggior parte scritti gnostici cristiani composti, probabilmente, intorno al II-III secolo d.C.. La scoperta risale al 1945, quando in una giara di terracotta un gruppo di beduini del villaggio di al-Qasr trovò alcuni papiri, che rimasero però nascosti per lungo tempo dopo il ritrovamento; andarono dispersi, ma furono fortunatamente recuperati, messi a disposizione degli studiosi. E infine pubblicati nel 1985. I testi sono scritti in copto antico, benché la maggior parte di essi siano stati tradotti dal greco. L’opera più importante presente in essi è il Vangelo di Tommaso, l’unico manoscritto della raccolta a essere completo. “Vorrei riuscire, nei miei prossimi eventi”, conclude Renier, “ad avvicinarmi a una più reale conoscenza del passato attraverso le mie immagini e soprattutto le mie esperienze egizie, con l’aiuto dei miei più cari amici studiosi, e assieme cercare di scoprire la vera storia che ci lega così incredibilmente all’antico Egitto dei faraoni”.

Antico Egitto a Vittorio Veneto. Con Franco Naldoni alla scoperta degli astri con gli occhi degli antichi egizi nella conferenza a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”

Dettaglio del famoso soffitto astronomico nella tomba di Seti I nella Valle dei Re a Tebe Ovest

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto

Alla scoperta degli astri con gli occhi degli antichi egizi. Dopo l’incontro – in qualche modo preparatorio – di sabato 9 giugno con la presentazione del DVD “Origine e significato delle costellazioni” curato da Alessandro Benassai, presidente dell’associazione Archeosofica, a Vittorio Veneto – come annunciato – arriva Franco Naldoni. Il ricercatore dell’associazione Archeosofica di Firenze, esperto di Egittologia, sabato 16 giugno 2018 alle 18 sarà nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv), messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” (prorogata fino alla fine del mese di giugno 2018) per la conferenza “Egitto immagine del cielo, il linguaggio degli astri. Astronomia egiziana”. È lo stesso Naldoni che anticipa i contenuti del suo intervento. “Il fatto che gli antichi templi egizi siano perfettamente orientati secondo precisi dettami astronomici come il sorgere e il tramontare del sole, il culminare di questo in alcuni segni, il sorgere e il tramontare di alcune stelle, oppure in coincidenza di fasi lunari”, spiega, “non deve sorprenderci perché gli antichi sacerdoti, in possesso di una conoscenza iniziatica, non disgiungevano l’osservazione astronomica dall’arte alchemica e dalla teurgia con il preciso fine di ottenere una trasformazione spirituale di tutto il composto umano. L’antica scuola egizia non separava la divina astrologia dalle altre discipline destinate a formare l’aspirante alla deificazione. Questa scienza era perciò associata alla teologia, alla filosofia, all’astronomia, all’alchimia, alla fisiologia occulta, alla medicina, alla teurgia ed interveniva con le sue leggi e i suoi metodi per liberare il nucleo centrale della personalità dal condizionamento della natura inferiore, forzando la natura stessa”.

Franco Naldoni, ricercatore dell’associazione Archeosofica di Firenze, esperto di Egittologia

“Nell’era delle specializzazioni – continua – la Natura non è vissuta ma analizzata nei suoi molteplici fenomeni, al contrario nell’Antico Egitto quest’ultima era vissuta come un grande corpo sacro e animato, espressione visibile di un mondo metafisico che parlava all’uomo e lo influenzava con il linguaggio degli astri, così come l’uomo poteva influenzare gli stessi corpi celesti. Ecco perciò che la costante utilizzazione di immagini astronomiche nei miti, nelle leggende, nella poesia di questo antico popolo, sottolinea lo stretto rapporto tra scienza e religione e quindi fra il mondo terrestre e quello celeste. In Egitto persino la semplice distribuzione geografica di tombe e templi manifesta questo rapporto del cielo con la terra, templi che furono eretti da coloro che custodivano le chiavi della scienza”.

Paolo Renier mostra le straordinarie immagini della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abido

“Alla luce chiara e sicura delle ricerche compiute da Alessandro Benassai e prima ancora da Tommaso Palamidessi”, assicura Naldoni, “vedremo molti templi tornare ad essere testimoni di questa antica Scienza. Primo fra questi l’Osireion di Abydos con la sua sala del sarcofago. Il soffitto di questa stanza, oramai andato perso per l’incuria e l’abbandono, grazie alle immagini fotografiche di Paolo Renier è ancora fonte preziosa di informazioni non solo sulla profonda conoscenza astronomica degli antichi sacerdoti egizi ma soprattutto sul fine al quale questa era riservata ovvero liberare la coscienza dell’aspirante alla deificazione dal condizionamento degli astri utilizzando proprio la scienza degli astri. Il profondo simbolismo delle immagini di questo soffitto ci farà vedere come gli antichi sacerdoti avessero ben chiare le risposte alle tre domande della Sfinge: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo”.

La Sfinge sembra fare la guardia alle grandi piramidi della piana di Giza

“E proprio la misteriosa Sfinge si farà, anche lei, testimone di questa antica Scienza. Hor-em-Akhet, cioè Horo che è all’orizzonte, dal volto umano e dal corpo fatto di tre animali, eretta nel deserto di Giza in prossimità delle piramidi, non è altro che la sintesi dell’uomo zodiacale animato dal Sole. Thutmosi IV si riferisce alla sfinge chiamandola Khepri-Ra-Atum ovvero i tre aspetti che il Sole assume all’alba, a mezzogiorno, e al tramonto. Molti sovrani d’Egitto vollero che il loro volto fosse inglobato nel corpo di una Sfinge, segno della loro cosmizzazione, della loro identificazione nel Vivente, che gli Arabi chiamarono El Haiath e che divenne per i Greci lo Zodiakos, da zoe, vita, esistenza”.

Lo Zodiaco del tempio di Dendera, oggi conservato al Louvre

“Leggendo i frammenti del libro di Dendera, troviamo uno Zodiaco perfettamente rappresentato”, spiega ancora Naldoni, “ma con l’ordine dei segni misteriosamente invertito e con delle misteriose figure sul cerchio che delimita il cielo settentrionale visibile a quell’epoca, associate ad alcune stelle. Se ne contano 36 che dividono il cerchio dell’Eclittica e dell’Equatore Celeste in 36 settori di 10° ciascuno, definiti dai greci decani, ognuno dei quali è caratterizzato da precise stelle fisse. Sono le 36 forze che derivano dal Sole, i 36 geni che governano il mondo. Sono le immagini dei geni stellari e zodiacali, ovvero le personificazioni delle Entità stellari e zodiacali nel sistema cosmologico egiziano che diverranno poi gli Ushabti, statuine che accompagnavano il sovrano nel suo viaggio nell’oltretomba, gli esseri celesti che esercitavano la loro influenza mediante la forza delle stelle e ai quali il re poteva rivolgersi in trasmissione telepatica fra uomo e stella nel suo cammino verso l’Eternità”.

L’Antico Egitto a Vittorio Veneto. L’ing. Rubino nelle conferenze della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”, interviene su “Il codice geometrico armonico universale del sarcofago, piramide di Cheope”

L’Osireion di Abydo, il luogo più sacro dell’Antico Egitto (foto Graziano Tavan)

L’ing. Alfonso Rubino

Per i tanti appassionati dell’Antico Egitto che seguono Paolo Renier nella conoscenza dell’Osireion, un unicum nell’architettura della civiltà dei faraoni, cioè la mitica tomba di Osiride, il dio dell’Oltretomba cui era dedicata la città sacra di Abydos, il “codice geometrico armonico” studiato dall’ingegner Alfonso Rubino, esperto di geometria sacra, non è una novità. Lo studioso era già intervenuto a Conegliano nel 2014 in occasione della mostra di Paolo Renier a Palazzo Sarcinelli “EGITTO come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2014/10/29/lantico-egitto-a-conegliano-ce-un-codice-geometrico-armonico-alla-base-dellosireion-di-abido-lo-ha-scoperto-ling-rubino-grazie-ai-rilievi-reali/). Sabato 2 giugno 2018, alle 18, nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv),  messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, per le conferenze promosse in occasione della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”, Alfonso Rubino interviene su “Il codice geometrico armonico universale del sarcofago, piramide di Cheope”.

La Grande Piramide di Cheope sull’altopiano di Giza (foto Paolo Renier)

Lo studio, anticipa Rubino, si basa sulle misure del sarcofago della Grande Piramide di Giza eseguite nel 1883 da Sir William Matthew Flinders Petrie (227,63 x 97,79 x 104,92), misure in centimetri che ci portano a trovare una stretta correlazione con le misure e le proporzioni dell’Arca dell’Alleanza riportate nel Libro dell’Esodo (25, 10-21; 37, 1-9 ), rese col cubito ebraico pari a 44,45 cm. “Secondo questi dati l’Arca dell’Alleanza misurava dunque 111,125 cm. di lunghezza per 66,675 cm. di larghezza. Fin qui questi numeri dicono poco. Ma non per Rubino che prima inizia a disegnare un reticolo geometrico quadrato con semilato di lunghezza pari a 97,79 cm., cioè la larghezza del sarcofago di Cheope. Quindi procede a tracciare linee linee diagonali e linee verticali passanti dai punti di intersezione del rombo interno al reticolo quadrato e alle linee diagonali già tracciate. A Vittorio Veneto, assicura Rubino, queste operazioni saranno facilmente comprensibili dalla grafica. Qui dobbiamo accontentarci delle spiegazioni. “Dopo questi tracciamenti si giunge a identificare un quadrato che ha il lato pari a 11/14 di 195,58 cm. che dà 153,67 cm. E questa non è una misura qualsiasi”, spiega, “ma rappresenta una soluzione geometrica (approssimata) della quadratura del cerchio detta di Archimede: il perimetro del quadrato è uguale al perimetro della circonferenza inscritta nel reticolo quadrato e corrisponde al valore approssimato π ∗ = 22/7”.

Il sarcofago del faraone nel cuore della Grande Piramide (foto Paolo Renier)

Il modello geometrico armonico rappresenta l’icnogramma del Sarcofago della Grande Piramide (studio ing. Rubino)

Il percorso per giungere a identificare il “codice geometrico armonico” non è ancora concluso. Rubino arriva a tracciare 7 circonferenze dello stesso raggio pari ai 3/14 di 97,79 cm. (cioè la larghezza del sarcofago di Cheope) che dà 20,955 cm. Alla fine si riesce a tracciare un doppio profilo rettangolare. Il profilo rettangolare esterno misura  227,5003 cm. x 97,79 cm., mentre il profilo rettangolare interno 197,8654 cm. x 68,1552 cm. con una distanza tra i due profili  di 14,8174 cm. “Il confronto tra le misure calcolate del modello e le misure rilevate del Sarcofago”, spiega Rubino, “dimostra una elevata coerenza dei dati. Ad esempio se osserviamo la leggera anomalia dello spessore della parete del lato Nord tra rilievo e modello e modifichiamo il dato rilevato con il valore medio degli altri tre spessori misurati, l’errore si riduce ulteriormente. Penso che il modello geometrico armonico presentato sia l’autentico icnogramma del Sarcofago della Grande Piramide”.

Negli studi dell’ing. Rubino il dio Shu del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell?osireion risponde agli stessi canoni dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci

L’icnogramma del Sarcofago è suscettibile di un ulteriore sviluppo che permette di definire un nuovo rettangolo di proporzioni e dimensioni esattamente corrispondenti a quelle dell’Arca dell’Alleanza. L’icnogramma integrato del Sarcofago e dell’Arca dell’Alleanza permette a sua volta di spiegare e giustificare le proporzioni e le dimensioni di due primarie opere pittoriche di Leonardo da Vinci: l’Annunciazione , e la Vergine delle Rocce conservata al Museo del Louvre. “Lo studio presentato dimostra che sia il Sarcofago della Grande Piramide che l’Arca dell’Alleanza , descritta nella Bibbia, sono manufatti che derivano da un unico preciso icnogramma di quadratura del cerchio. Quadratura detta di Archimede. L’Arca dell’Alleanza è di fatto una filiazione compositiva del codice geometrico armonico del Sarcofago come lo sono l‘Annunciazione e la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci”. Concetti, studi, confronti che l’ingegnere spiegherà al pubblico di Vittorio Veneto, dando risposte a dubbi e curiosità dei presenti. Anche perché Rubino ha in mente un gran finale: l’applicazione del codice geometrico armonico al bassorilievo del dio Shu al centro del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abydos che ci porta direttamente all’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Un motivo in più per non mancare a Vittorio Veneto.

L’Antico Egitto a Vittorio Veneto. L’arch. Zanovello apre le conferenze della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”: studiando il cubito sacro, unità di misura base per gli antichi egizi, ha dato forma e significato al percorso di iniziazione che si articolava all’interno dell’Osireion

Una veduta dall’alto dell’Osireion di Abydos, monumento unico nell’architettura sacra dell’Antico Egitto (foto Paolo Renier)

Oggi le loro misure sembrano incomprensibili. Ma i monumenti antichi non vanno letti con la lente di ingrandimento del sistema metrico decimale moderno, bensì con l’unità di misura con la quale gli architetti del tempo li hanno pensati e realizzati. Ne è convinto l’architetto Rinaldo Zanovello che sabato 26 maggio 2018 alle 18 nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv),  messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, apre il ciclo di conferenze promosse in occasione della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”, con un intervento su “Il Cubito sacro: strumento simbolico per conoscere l’Osireion di Abydos”. L’unità fondamentale per la misura delle lunghezze nel mondo egizio era infatti il cubito (in latino: cubitum, cioè gomito), che rappresentava la lunghezza dell’avambraccio del faraone, dal gomito alla punta del dito medio. Erano in uso due tipi di cubito: il cubito piccolo di circa 44,7 cm, usato per le misurazioni quotidiane, e il cubito regale, utilizzato in architettura, di 52,36 cm, ovvero la misura presa dal gomito alla punta del dito medio, più la larghezza di un palmo. Una caratteristica del cubito architettonico consisteva nel fatto che le misure verticali venivano effettuate con pertiche, mentre le misure orizzontali venivano effettuate facendo rotolare un odometro (un cilindro del diametro di un cubito verticale). Quindi un cubito orizzontale era lungo 3,14 volte un cubito verticale. Le piramidi classiche avevano un rapporto tra l’altezza e il lato di base che era di 4:1 (4:3,14 >1) e quindi un angolo di circa 51°. Le piramidi meno ripide avevano un rapporto di 3:1 (3:3,14 <1) e quindi un angolo di circa 41°.

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L’architetto Rinaldo Zanovello nel sopralluogo all’Osireion di Abydos (foto Paolo Renier)

La conferenza di Rinaldo Zanovello, architetto e studioso di architettura simbolica e sacra, è il risultato di un soggiorno ad Abydos con il fotografo Paolo Renier. “Con la missione a maggio 2013 in Egitto”, ricorda Renier, “si è potuto raccogliere una documentazione aggiornata e realizzare i rilievi necessari per le ricostruzioni in scala 1:20 e in scala 1:1. È stato un bellissimo lavoro di squadra che è servito indubbiamente a definire al meglio i risultati delle varie spedizioni rendendoli interessanti anche per un pubblico di non esperti”. Zanovello anticipa i temi dell’incontro di Vittorio Veneto: “Affronterò le questioni più significative del luogo e della sua storia, mostrando per mezzo di parallelismi le forti analogie tra l’Osireion e il mito di Osiride e utilizzando il cubito sacro per decodificare il percorso di iniziazione situato all’interno del tempio iniziatico dell’Osireion”. Non dimentichiamo che uno degli elementi architettonici dell’Osireion è il corridoio che costituiva l’accesso all’ipogeo sacro: un percorso voltato sulle cui pareti laterali si potevano leggere dei testi oltremondani del repertorio regale, realizzati interamente con la tecnica della pittura a secco, perciò molto di quello che poterono leggere i primi scopritori oggi è andato perduto. “Sulla parete a Est”, spiega l’egittologa Federica Pancin, “c’è la più antica e completa versione conosciuta del Libro delle Cripte, che illustra il viaggio del Sole nella Duat, l’Aldilà. Il Sole dispensa benefici a coloro che, nel giudizio di Osiride, si sono dimostrati degni di Resurrezione. Mentre agisce senza pietà per chi ha peccato in vita. Sul lato occidentale, invece, figurano le scene e i testi del Libro delle Porte, che scandisce le fasi del viaggio solare, scandite in dodici sezioni percorse in dodici ore”. Per l’architetto Zanovello c’è un percorso di iniziazione, una “via attraverso il quale l’homo naturalis – cioè l’uomo decaduto in seguito a una sorta di “peccato originale” – riesce a ritornare alla condizione adamitico-originaria di Homo Spiritualis, nella quale conscio e subconscio sono nuovamente riuniti”. Come si vede ci sono tutti gli elementi per una conferenza di grande interesse.

“1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”: a Vittorio Veneto il fotografo trevigiano racconta per immagini e emozioni la sua trentennale esperienza dedicata alla città sacra dei faraoni fino alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion

Un delicato rilievo dal tempio di Sethi I ad Abydos reso magistralmente da Paolo Renier

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto

La stanza del sarcofago nell’Osireion ad Abydos (foto Paolo Renier)

Paolo Renier tra i pannelli della mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

Il titolo non deve trarre in inganno. “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” non è la solita mostra. Soprattutto non è il tipo di mostra cui ci ha abituato il fotografo e grafico trevigiano Paolo Renier con al centro del racconto espositivo il soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abydos. Era successo nel 2009 al museo Archeologico nazionale di Firenze con “Il tempio di Osiride svelato. L’antico Egitto nell’Osireion di Abydos”; nel 2012 alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia con “Il tempio di Osiride svelato”; e nel 2014 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Tv) con “Egitto, come faraoni e sacerdoti nel tempio di Osiride”. Questa volta nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv),  messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, fino al 24 giugno 2018 Paolo Renier presenta un racconto particolare dove il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici: dalla “folgorazione” per la civiltà dei faraoni e, soprattutto, per la città sacra di Abydos in occasione del suo primo viaggio – come turista – sulle rive del Nilo (era il 1989), alla nascita del progetto Abydos, alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion: un’opera unica e irripetibile, visto che purtroppo nel frattempo lo stato di salute del monumento, lasciato nel degrado, è profondamente compromesso: danneggiato dall’umidità, dai nidi dei pipistrelli, e dall’incuria dell’uomo. Il rilievo fotografico del soffitto astronomico realizzato da Paolo Renier è oggi un “monumento” scientifico riconosciuto e richiesto dai più grandi egittologi del mondo. Ma a Vittorio Veneto non vediamo la ricostruzione in scala 1:1 del soffitto astronomico, bensì le circostanze e le vicende che hanno portato il fotografo e grafico trevigiano a realizzare i suoi preziosi reportage.

Grandi fotografie e racconti nella mostra di Paolo Renier a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

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L’egittologo Sergio Donadoni nel suo studio a Roma (foto Paolo Renier)

Una mostra da leggere, prima ancora che da gustare con gli occhi. Anche se, ovviamente, le straordinarie immagini dell’Egitto di Renier accompagnano passo passo il visitatore. “In queste immagini”, scrive, “ci sono la bellezza e il fascino irresistibile dell’antico Egitto. Ma anche il mondo, intimo spirituale, voluto e costruito dal faraone Sethi I ad Abydos, per relazionarsi con il ristretto pantheon degli dei e del mondo dell’aldilà”. La sua consacrazione Renier la ebbe niente meno che da uno dei padri dell’Egittologia del Novecento, Sergio Donadoni, che accettò di scrivergli la presentazione al libro “Abydos. Egitto”, punto di arrivo delle conoscenze di Renier sulla città sacra degli antichi egizi, ma anche di partenza per far conoscere e salvare la stessa dal degrado attraverso il Progetto Abydos. Così scrive Donadoni: “…va vista l’opera di Renier, che è frutto ed espressione di uno specifico innamoramento per una specifica località, in confronto con l’aspirazione alla totalità propria degli altri: non l’Egitto in genere, ma Abido è quel che incanta questo osservatore. Un centro che merita una simile dedizione, carico com’è di storia, di significato, di arte.  …In questa ricchezza di possibili prospettive, Renier si muove senza altra pretesa se non quella di dirci come il suo occhio sia compiaciuto di questa o quella visione, di questa o quella possibilità di sfruttarla figurativamente. Se conosce il valore storico dei vari monumenti, delle varie rappresentazioni, non è di quello che ha fatto la sua guida nella sua scelta e nel suo approccio. Alla esigenza del capire il passato e l’arte del passato, oppone quella, non meno essenziale ed autentica, del sentirlo. Sono due modi diversi e complementari di far valer quello che è la vera caratteristica dell’arte, il suo essere in perpetuo contemporanea di chi se ne appropri il messaggio”. Sergio Donadoni era riuscito a cogliere l’essenza e lo spirito che in questi decenni ha mosso Paolo Renier inserendolo con grande naturalezza e semplicità nella storia dei primi artisti esploratori della terra dei Faraoni, dalle prime immagini dipinte alle litografie e poi dalle prime lastre fotografiche alle prime foto in bianco e nero.

Paolo Renier nell’acqua melmosa della stanza del sarcofago dell’Osireion ad Abydos

Paesaggio nilotico ad Assuan (foto Paolo Renier)

Paolo Renier con Horus ad Abydos

Paolo Renier sulla tomba di Omm Seti

Così, passando da un pannello all’altro, seguiamo il percorso artistico-emozionale di Renier nella terra d’Egitto, attraverso un racconto – come si diceva – ricco di aneddoti. “Durante quel viaggio”, scrive a esempio ricordando la traversata del lago Nasser nel 2009, “nelle limpidi notti stellate, disteso su un lettino sopra il ponte della nave, osservavo incantato la splendida luce della stella Sirio (pensando alla dea Iside) e della bellissima costellazione di Orione (pensando al grande Osiride). Solo così, avvolto ed estasiato da incredibili e commoventi emozioni, riuscivo a consolarmi e non pensare alla triste alluvione che stavo percorrendo. Ad Abydos alcuni mesi dopo, la presenza di una strana giovane donna vestita con una tunica bianca, il capo coperto e i piedi nudi, che incontrai nel corridoio delle liste dei Faraoni e dei Semidei a sinistra del tempio di Sethi I, si rivolse a me dicendomi che quella mattina ero con lei dentro alla grande piramide di Cheope. Non capii bene cosa volesse e chiesi a un amico arabo li vicino che conosceva diverse lingue, di cercare di aiutarmi, ma quando ci rivolgemmo a lei, non c’era più, subito la cercai nel tempio e la vidi scomparire verso l’ingresso. Da alcuni giorni soggiornavo ad Abydos ed era chiaramente impossibile che io assieme a lei quella stessa mattina, potevamo essere a più di 500 km di distanza. Ho ancora presente i suoi occhi scuri, i capelli neri e il pallido volto, ma non capii e non seppi mai chi fosse, comunque poi quella mattina e i giorni seguenti mi sentii stranamente molto più sereno e in pace con me stesso”. E ancora: “Ad Abydos conobbi Horus, personaggio mistico del luogo del quale ancor oggi non conosco esattamente il vero nome perché tutti continuano a chiamarlo solo così; lui è come il capo spirituale del villaggio soprattutto per aver conosciuto fin da piccolo Doroty Eady, l’egittologa inglese che dedicò tutta la sua vita con una straordinaria passione verso il grande faraone Sethi I, ed è anche per questo che fu chiamata dagli arabi Omm Seti, cioè La madre di Seti. Una donna che fin da bambina fu avvolta nel magico e incredibile amore per questo faraone e il suo tempio di Abydos: infatti Omm Seti vivrà gli ultimi suoi 30 anni di vita per la ricostruzione del tempio di Sethi I, lei seppe rimettere esattamente al loro posto originale moltissimi reperti caduti e rovinati dal tempo, con incredibile conoscenza. A 77 anni, prima di morire, nel 1981 espresse il suo grande desiderio di essere sepolta nel deserto di Abydos, nella grande gola tra le montagne dove tramonta il sole. E Horus, in questi ultimi anni, è riuscito finalmente a realizzare il sogno di Omm Seti. Nel 2013 ebbi la grande fortuna di essere accompagnato da lui in questo luogo incredibile, dove il vento disegna delle magiche e coinvolgenti onde nella sabbia: un suono e una luce, come in un fantastico sogno, mi avvolsero e sulla sua tomba segnata con delle pietre, rimpiansi il desiderio di non averla mai conosciuta, in lei avrei trovato una grande sintonia”.

Paolo Renier con l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago ad Abydos (foto Graziano Tavan)

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)

Importanti studiosi confermano il valore di Abydos. “Ebbi la fortuna di conoscere personaggi importanti nelle mie permanenze ad Abydos, come l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago”, racconta Renier. “Lui scoprì alcune piramidi nella zona a sud vicino alle montagne (dell’epoca di Amosi I della XVIII dinastia: il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto, ndr), inoltre Harvey mi rivelò che sull’altipiano esistono incredibili testimonianze di 200mila anni fa. Ebbi anche la fortuna di conoscere nella sede della missione germanica immersa nel deserto l’importante egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo; lui scoprì nella zona di Abydos, denominata Umm El-Ghaab, i primi ideogrammi e segni di scrittura datati 3200 a.C. Straordinari e importantissimi reperti scolpiti in piccole tavolette in avorio o in pietra, vere testimonianze delle prime dinastie dei faraoni e che, per la loro valenza (sono i primi segni di scrittura), sono custodite al museo del Cairo esposte nelle teche appena si entra nella sala principale”.

Paolo Renier al Cairo con fratel Aldo Benetti (foto Graziano Tavan)

“Ricerche egizie”, manoscritti e dattiloscritti di fratel Aldo Benetti

Un amico speciale. “La mia passione per conoscere la terra e le persone legate a questa importante e straordinaria storia dell’antico Egitto, in quasi 30 anni d’incredibili continue esperienze, è maturata sempre di più diventando il Progetto Abydos, creato sui principi fondamentali di Rispetto, Conoscenza e Valore soprattutto per il sito moto importante e poco conosciuto di Abydos. Sono riconoscente all’Egitto per avermi fatto conoscere le persone che mi hanno creduto, sostenuto e incoraggiato, voglio ricordare soprattutto un grande amico che prima di morire all’età di 88 anni, mi ha lasciato molti suoi libri manoscritti e dattiloscritti delle sue Ricerche Egizie: il mio carissimo fratel Aldo Benetti, missionario comboniano in Egitto per ben 55 anni, notevole studioso dell’antico regno dei Faraoni con una profonda e straordinaria esperienza. Nei miei viaggi in Egitto cercavo spesso di passare per la sua sede al Cairo e lui era sempre molto ospitale e disponibile nell’accompagnarmi per conoscere questa grande città, facendomi rivivere anche assieme agli amici arabi straordinarie esperienze portandomi in luoghi che difficilmente si possono visitare. Mi inviava spesso dal Cairo le sue lettere raccontandomi i suoi difficili momenti di vita dedicata soprattutto per aiutare i ragazzi arabi, i più deboli e i più bisognosi, e non si dimenticava mai di incoraggiarmi nell’andare avanti con il mio impegno per la conoscenza di Abydos, spesso lo considerava molto importante. Una volta mi scrisse: “Caro Paolo coraggio, tu stai perseguendo il ministero della Memoria Storica”, questo suo particolare incoraggiamento mi aiuta ancor oggi nonostante le continue difficoltà. Sarò sempre riconoscente a fratel Aldo, anche perché decise di consegnare personalmente i miei libri al museo del Cairo, alla biblioteca di Alessandria e all’ambasciata italiana in Egitto”.

È morto il professor Sergio Donadoni, fondatore dell’Egittologia moderna in Italia, decano degli egittologi italiani, protagonista del salvataggio dei templi egizi di Abu Simbel. Il ricordo di chi l’ha conosciuto e della sua allieva più famosa, l’egittologa Edda Bresciani

L'egittologo Sergio Donadoni in una delle sue missioni archeologiche in Egitto

L’egittologo Sergio Donadoni in una delle sue missioni archeologiche in Egitto

L’Egittologia è in lutto. Uno dei suoi più autorevoli protagonisti del Novecento è venuto a mancare: l’archeologo Sergio Donadoni, decano degli egittologi italiani, rispettato e conosciuto in tutto il mondo scientifico non solo per le sue grandi capacità di studioso-ricercatore e di insegnante-accademico ma anche per la sua umanità, protagonista del salvataggio internazionale dei templi egizi di Abu Simbel dopo la creazione della diga di Assuan, è morto a Roma il 31 ottobre 2015 all’età di 101 anni. Era professore emerito di egittologia all’Università “La Sapienza” di Roma e accademico dei Lincei, nonché insegnante all’Université Libre di Bruxelles. I funerali si sono svolti lunedì 2 novembre, alle 11, nella chiesa romana dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. Nato a Palermo il 13 ottobre 1914, figlio del critico letterario Eugenio, Sergio Donadoni aveva studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si era laureato nel 1935 con Annibale Evaristo Breccia. La sua formazione di egittologo la maturò alla scuola francese, studiando per due anni a Parigi dove appunto si specializzò in Egittologia, e nel 1948 nella capitale danese di Copenaghen. Donadoni ha insegnato nelle università di Milano, Pisa e infine Roma.

Il museo Egizio al Cairo: fu fondato nel 1902

Il museo Egizio al Cairo: fu fondato nel 1902

Chi scrive ha avuto l’onore di conoscere e frequentare il prof. Donadoni in una occasione speciale: le celebrazioni per il centenario del Museo Egizio del Cairo. Lui era il più grande tra i grandi egittologi convenuti sulle rive del Nilo, ma non lo ha mai fatto pesare. Tanto meno con i suoi interlocutori, anche i più modesti. Il prof. Donadoni aveva una risposta per ogni domanda gli venisse rivolta, anche quando la richiesta rivelava l’assoluta mancanza delle più elementari conoscenze sull’Antico Egitto. E quando si passeggiava per le strade del Cairo era tutto un saluto reverente e riconoscente “al professore” da persone, le più disparate, che erano state al suo servizio o comunque lo avevano conosciuto nei lunghi decenni di missione archeologica in Egitto. Sergio Donadoni era uomo colto e semplice, nonostante la sua statura scientifica. Come più volte ha avuto modo di testimoniare Paolo Renier, fotografo trevigiano ammaliato dall’Egitto in generale e della città di Abido sacra a Osiride in particolare, che a Donadoni si era rivolto per un consiglio sul progetto di valorizzazione e conoscenza del sito di Abido e si ritrovò come risposta la più bella presentazione mai avuta (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/04/24/lantico-egitto-a-vittorio-veneto-il-tempio-del-faraone-seti-i-ad-abido-nella-mostra-di-paolo-renier-alla-rotonda/ sul suo impegno e il suo lavoro fotografico nell’Osireion.

Una fase della ricostruzione del sito archeologico di Abu Simbel

Una fase della ricostruzione del sito archeologico di Abu Simbel

Sergio Donadoni ha diretto scavi in Egitto (Antinoe, Qurna), in Nubia (Ikhmindi, Sabagura, Tamit) e in Sudan (Sonki Tino, Gebel Barkal). Nell’ambito della collaborazione internazionale per il salvataggio dei templi egizi dovuto alla creazione della diga di Assuan, l’Italia partecipò con nove spedizioni condotte da Sergio Donadoni tra gli anni ’50 e ’60. Nel 1964 diresse la missione archeologica in Egitto e in Sudan dell’Università di Roma con scavi e ricerche in diverse antiche località, tra cui Tebe. A queste sono da aggiungerne altre quattro organizzate dal museo Egizio di Torino. Partecipò inoltre al salvataggio del tempio rupestre di Ellesija e a quello di Abu Simbel. Dal 1958 al 1969 esplorò sistematicamente con fini archeologi e architettonici, sei siti: Ikhmindi, Farriq, Kuban, Sabagura, Sonki e Tamit arricchendo di testimonianze e documentazioni la storia della Nubia. Sergio Donadoni è autore di una vasta bibliografia, che comprende, tra gli altri titoli “La civiltà egiziana” (1940), “L’arte egizia” (1955), “Storia della letteratura egiziana antica” (1957), “Le pitture murali della chiesa di Sonki Tino nel Sudan” (1968), “L’Egitto dal mito all’egittologia”. Era dottore honoris causa della Université Libre di Bruxelles. Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi e dell’Institut d’Egypte. È stato insignito del Premio Feltrinelli per l’Archeologia nel 1975 ed era Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica (2000).

Il professor Sergio Donadoni, fondatore della moderna egittologia in Italia

Il professor Sergio Donadoni, fondatore della moderna egittologia in Italia

Il ricordo più intenso del professor Sergio Donadoni, fondatore dell’Egittologia moderna in Italia, è stato scritto dalla sua allieva più famosa, la professoressa Edda Bresciani, professore Emerito dell’Università di Pisa, una degli altri grandi egittologi italiani del Novecento. La biografia di questi due studiosi è strettamente incrociata e descrive molta parte della storia dell’Egittologia a Pisa e in Italia. Questa disciplina nacque infatti proprio all’Università di Pisa nel 1826, quando Leopoldo II di Lorena decise di istituire una cattedra di egittologia affidandola al ventiseienne pisano Ippolito Rosellini. Alla sua morte, nel 1843, l’insegnamento fu chiuso e per oltre un secolo tacque sia a Pisa che in Italia. Tornò quindi ad essere attivato nell’Ateneo pisano dall’anno accademico 1950-’51, con un incarico affidato proprio al professor Donadoni, allievo della Scuola Normale e laureato nel 1934 con il grande egittologo Annibale Evaristo Breccia, docente dell’Università di Pisa, di cui fu anche Rettore dal 1939 al 1941. Con il trasferimento del professor Donadoni all’Università di Milano nel 1959, la cattedra passò alla sua allieva Edda Bresciani – la prima laureata italiana in Egittologia – che nel 1968 sarebbe diventata ordinario della disciplina all’Università di Pisa. Scrive Edda Bresciani: “Ho parlato al telefono con Sergio Donadoni il 13 ottobre scorso per augurargli, come ogni anno in questo giorno, un gioioso anniversario. Mi rispose con la consueta urbanità, la voce forse un po’ fievole è vero, ma intatto l’eloquio elegante ironico ma insieme affettuoso. Perché il mio maestro ed io ci volevamo bene; anche se aveva l’abitudine di riferirsi a me come “quel diavolo di ragazza”… Adesso nessuno più mi chiamerà così. È morto nei suoi 101 anni, dopo una vita splendida dedicata alla ricerca, ricca di soddisfazioni private, scientifiche, pubbliche. Universalmente conosciuto e ammirato, la sua assenza avrà per anni avvenire il suono del dolore. Non credo che sia il caso qui che elenchi i libri, gli articoli, i contributi i Sergio Donadoni che hanno dato le linee fondamentali dell’egittologia non solo italiana ma mondiale. Io adesso non riesco a comporre altre frasi oltre all’espressione di un vuoto che non saprà essere colmato; adesso piango la grande persona che ci ha lasciati, piango il maestro, piango lo studioso. Alla famiglia, alla moglie Annamaria, antica amica, ai suoi figli ai nipoti che tanto amava, l’espressione della partecipazione sincera al loro dolore”.

L’Antico Egitto a Vittorio Veneto. “Il tempio del faraone Seti I” ad Abido nella mostra di Paolo Renier alla Rotonda

La locandina della mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I:  le sacre rappresentazioni” alla Rotonda di Vittorio Veneto

La locandina della mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I: le sacre rappresentazioni” alla Rotonda di Vittorio Veneto

La Rotonda di Vittorio Veneto, sede della mostra di Renier

La Rotonda di Vittorio Veneto, sede della mostra di Renier

L’Antico Egitto torna o, meglio, resta nella Marca Trevigiana. Dopo le esperienze di Conegliano (con la mostra a Palazzo Sarcinelli “Egitto, come Faraoni e Sacerdoti nel tempio di Osiride custodi di percorsi ormai inaccessibili”, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=conegliano) e di Oderzo (con la mostra a Palazzo Foscolo “Omaggio a Tutankhamon.  L’Arte Egizia incontra l’Arte Contemporanea”, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=oderzo ) ora tocca a Vittorio Veneto dove il 25 aprile, alla Rotonda, in piazza Giovanni Paolo I, si inaugura una nuova mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I:  le sacre rappresentazioni”, proposta sempre da Paolo Renier grazie all’invito e alla collaborazione della associazione Zheneda e di Ceneda Arte e Cultura con il patrocinio della Città di Vittorio Veneto. Renier viene così incontro a quanti, con insistenza, avevano chiesto di prorogare l’esperienza coneglianese. Ma attenzione, a Vittorio Veneto non sarà una “copia” di quanto proposto a Palazzo Sarcinelli. Anzi, sarà un allestimento del tutto originale dove, ovviamente, non potrà mancare l’esposizione in scala 1:1 del soffitto astronomico dell’Osireion di Abido (vero unicum che può permettersi di mostrare solo Paolo Renier che lo fotografò dettagliatamente qualche anno fa) e un excursus su Abido, la città sacra dedicata a Osiride il dio dell’Aldilà e della resurrezione. Ma stavolta il focus sarà incentrato tutto sul grande faraone Seti I, il padre di Ramses II, sotto il cui regno l’arte egizia toccò uno dei suoi punti più elevati, un vero “rinascimento”. E capolavoro dei capolavori è proprio il tempio che Seti I realizzò ad Abido e che oggi, come sanno i fortunati che riescono ad arrivare nella città sacra di Osiride, accoglie – quasi abbraccia – gli ospiti con la sua monumentale facciata che in origine doveva misurare 180 metri, e oggi – perdutane una parte – raggiunge gli 80 metri, che sono pur sempre dimensioni ragguardevoli.

Gigantografie dei rilievi del tempio di Seti I ad Abido realizzate da Paolo Renier

Gigantografie dei rilievi del tempio di Seti I ad Abido realizzate da Paolo Renier

Il tempio di Seti I, dedicato a Osiride, noto come “grande tempio di Abido”, scoperto nel 1830, venne eretto per venerare gli antichi sovrani, la cui necropoli si trovava presso le sue mura. Secondo sovrano della XIX dinastia, Sethi I ascese al trono circa 30 anni dopo la caduta del regno di Akhenaton. Il tempio, in finissima pietra calcarea, a forma di L, è uno tra i più belli per lo stato straordinario di conservazione in cui si trova e per i rilievi policromi tra i più belli del Nuovo Regno. Sono proprio questi rilievi (“Le sacre rappresentazioni”, come ricorda il titolo della mostra) oggetto dell’allestimento di Vittorio Veneto, riprodotti come non si possono ammirare da nessun’altra parte grazie alle riproduzioni in scala 1:1 e alle gigantografie di Paolo Renier che qui mostra tutta la sua abilità e sensibilità di fotografo e di appassionato dell’Antico Egitto. Qualità ed esperienze esaltate, all’inizio dell’avventura di Renier ad Abido, dal decano degli egittologi italiani, Sergio Donadoni, uno dei massimi ricercatori del Novecento, che ha da qualche settimana tagliato il traguardo delle cento candeline. Scrisse Donadoni: “L’opera di Renier è frutto ed espressione di uno specifico innamoramento per una specifica località, in confronto con l’aspirazione alla totalità propria degli altri: non l’Egitto in genere, ma Abido è quel che incanta questo osservatore. Un centro che merita una simile dedizione, carico com’è di storia, di significato, di arte. Renier si muove senza altra pretesa se non quella di dirci come il suo occhio si sia compiaciuto di questa o quella visione, di questa o quella possibilità di sfruttarla figurativamente.  Se conosce il valore storico dei vari monumenti, delle varie rappresentazioni, non è di quello che ha fatto la sua guida nella sua scelta e nel suo approccio. Alla esigenza del “capire” il passato e l’arte del passato oppone quella, non meno essenziale ed autentica, del sentirlo. Sono due modi diversi e complementari di far valer quello che è la vera caratteristica dell’arte, il suo essere in perpetuo contemporanea di chi se ne appropri il messaggio”.

Paolo Renier con gli organizzatori di Vittorio Veneto davant ai pannelli del Soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago

Paolo Renier con gli organizzatori di Vittorio Veneto davant ai pannelli del Soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago

Vediamo un po’ meglio come si articola la mostra di Vittorio Veneto. All’ingresso della mostra il visitatore è accolto da una presentazione generale del sito di Abido con una descrizione dell’area archeologica, poi scendendo una scalinata (proprio come se si entrasse in una tomba) si troverà dentro al tempio del faraone Seti I, padre di Ramses II, così il visitatore potrà ammirare i rilievi delle sacre rappresentazioni dove le straordinarie immagini di Renier esaltano l’arte decorativa dell’Antico Egitto: qui tocca veramente i momenti più alti. Si potrà poi essere accompagnati nel cuore della mostra, entrando nella Stanza del Sarcofago che conserva il famoso Soffitto astronomico: qui l’opera documentaria di Paolo Renier non è solo importante sotto il profilo artistico, ma anche scientifico, permettendo un primo anche se parziale salvataggio del reperto e costituendo una fonte fotografica integrale e a grandezza originale.  Le due splendide divinità Nut scolpite nel Soffitto, costituiscono non solo due eccezionali espressioni artistiche del Nuovo Regno, ma anche due preziosi documenti storici di inestimabile valore, un tesoro eccezionale per la storia dell’astronomia e della religione egizia. La mostra si inaugura il 25 aprile alle 18 e sarà poi aperta al pubblico tutti i sabati e domeniche dalle 15 alle 19 fino al mese di luglio, con ingresso gratuito (visite guidate solo su prenotazione mail: info@studiorenierpaolo.it – cell. 333.9628610),

L’Antico Egitto a Conegliano. Visita guidata per immagini alla mostra sull’Osireion di Abido attraverso otto video originali

Le gigantografie di Paolo Renier ricreano nella mostra di Conegliano l'atmosfera magica della città sacra di Abido

Le gigantografie di Paolo Renier ricreano nella mostra di Conegliano l’atmosfera magica della città sacra di Abido

Una settimana. Rimane ancora una settimana di tempo per visitare a Conegliano la mostra “EGITTO come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili” allestita fino al 21 dicembre (salvo proroghe) a Palazzo Sarcinelli da Paolo Renier e dall’associazione culturale Osireion. Della mostra Archelogiavocidalpassato ha parlato diffusamente. Stavolta proponiamo una visita alla mostra per immagini con otto video realizzati da Paolo Renier.

PRIMA PARTE. Il percorso della mostra inizia nell’androne di Palazzo Sarcinelli dove si può ammirare la ricostruzione in scala 1:1 dell’angolo nord-orientale della Camera Centrale dell’Osireion di Abido, con la facciata e due dei pilastri settentrionali, grazie alla ricostruzione Rexpol.

SECONDA PARTE. Saliti le scale e raggiunto il piano nobile, un breve corridoio porta alla prima sala dove si fa conoscenza del sito di Abido, con la localizzazione e le caratteristiche del territorio della città sacra a Osiride con l’esposizione del modello in scala della zona d’interesse, corredato da fotografie delle tombe reali proto dinastiche di Umm el-Qaab, del Tempio di Osiride a Kôm el-Sultan e del complesso di Shunet ez-Zebib.

TERZA PARTE. In questa sala si arriva a tu per tu con l’Osireion: le fotografie di Paolo Renier svelano i segreti della tomba di Osiride a cominciare dal corridoio ipogeo, oggi inaccessibile ai turisti. E poi l’eccezionale plastico in scala 1:20 dell’intero complesso, realizzato da Maurizio Sfiotti. Si entra così direttamente nell’Osireion, potendo toccare con mano la mole dei pilastri monolitici in granito e la profondità del canale che circonda l’isola centrale.

QUARTA PARTE. Grazie alle straordinarie immagini di Paolo Renier possiamo ammirare i rilievi del tempio di Sethi I, dove l’arte figurativa dell’Antico Egitto tocca uno dei momenti più alti. In mostra è lo stesso Renier a spiegare come è riuscito a rendere la qualità delle figure, e le notevoli difficoltà tecniche superate per raggiungere i risultati che oggi tutti possiamo apprezzare.

PARTE QUINTA. Siamo nel cuore della mostra: si entra nella stanza del Sarcofago, che conserva il famoso soffitto astronomico che qui possiamo vedere come si può osservare neppure se siamo all’interno dell’originale. Il soffitto si dipana, avvolgendo lo spettatore, in 18 tavole in scala 1:1 realizzate da Paolo Renier, che oggi non solo sono l’unica riproduzione del “tesoro” di Abido – vista le enormi difficoltà che si devono superare per accedere alla Stanza, ma anche probabilmente l’ultima poiché da quando Renier ha realizzato il servizio fotografico a oggi l’umidità ha degradato inesorabilmente i rilievi.

PARTE SESTA. Ancora con i rilievo del soffitto astronomico negli occhi, si passa alla stanza successiva dove si illustra la cosiddetta Cappella di Osiride, cioè l’ambiente più sacro del Tempio di Sethi I ad Abido, dedicato ad Osiride, la divinità protagonista della mostra. Al centro il plastico in scala 1:20 realizzato da Maurizio Sfiotti del complesso di Osiride, e sulle pareti i pannelli fotografici che ritraggono le scene sacre all’interno della cappella. Le gigantografie sottolineano il legame tra Osiride e la Regalità, il filo conduttore di tutto il percorso espositivo.

PARTE SETTIMA. Non poteva mancare, in una mostra sui tesori di Abido, uno spazio dedicato al Tempio di Ramses II, il secondo più importante santuario della città sacra a Osiride, che conserva ancora preziosi rilievi policromi. Presenti anche due pannelli realizzati con la tecnica del tattoo wall, opera di Gianni Moro della GM arredamenti, vere e proprie lastre lapidee su cui sono state stampate due scene tratte dalle pareti del complesso sacro ramesside.

PARTE OTTAVA. Il percorso della mostra si completa con la Sala multimediale, dove un monitor mostra a rotazione brevi filmati che documentano il sito e il lavoro dell’ultima missione di Paolo Renier, Maurizio Sfiotti e Federica Pancin, , ma che cercano di illustrare anche la realtà del villaggio di Abido moderno e dei suoi abitanti. A chiudere la Sala del vino, dove si approfondisce la tematica della preparazione del vino, argomento che collega l’antico Egitto al territorio trevigiano. La ricostruzione in scala 1:1 di un torchio di Antico Regno permette di capire le antiche tecniche di lavorazione delle uve e serve da spunto per descrivere quelle moderne, prerogative delle cantine di Conegliano. La spiegazione dei processi antico-egiziani di coltivazione, vendemmia, spremitura, torchiatura e vinificazione sarà affidata alle immagini delle tombe nella Valle del Nilo, riproposte fedelmente da un artista contemporaneo.