Antico Egitto a Vittorio Veneto. Con Franco Naldoni alla scoperta degli astri con gli occhi degli antichi egizi nella conferenza a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto
Alla scoperta degli astri con gli occhi degli antichi egizi. Dopo l’incontro – in qualche modo preparatorio – di sabato 9 giugno con la presentazione del DVD “Origine e significato delle costellazioni” curato da Alessandro Benassai, presidente dell’associazione Archeosofica, a Vittorio Veneto – come annunciato – arriva Franco Naldoni. Il ricercatore dell’associazione Archeosofica di Firenze, esperto di Egittologia, sabato 16 giugno 2018 alle 18 sarà nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv), messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” (prorogata fino alla fine del mese di giugno 2018) per la conferenza “Egitto immagine del cielo, il linguaggio degli astri. Astronomia egiziana”. È lo stesso Naldoni che anticipa i contenuti del suo intervento. “Il fatto che gli antichi templi egizi siano perfettamente orientati secondo precisi dettami astronomici come il sorgere e il tramontare del sole, il culminare di questo in alcuni segni, il sorgere e il tramontare di alcune stelle, oppure in coincidenza di fasi lunari”, spiega, “non deve sorprenderci perché gli antichi sacerdoti, in possesso di una conoscenza iniziatica, non disgiungevano l’osservazione astronomica dall’arte alchemica e dalla teurgia con il preciso fine di ottenere una trasformazione spirituale di tutto il composto umano. L’antica scuola egizia non separava la divina astrologia dalle altre discipline destinate a formare l’aspirante alla deificazione. Questa scienza era perciò associata alla teologia, alla filosofia, all’astronomia, all’alchimia, alla fisiologia occulta, alla medicina, alla teurgia ed interveniva con le sue leggi e i suoi metodi per liberare il nucleo centrale della personalità dal condizionamento della natura inferiore, forzando la natura stessa”.
“Nell’era delle specializzazioni – continua – la Natura non è vissuta ma analizzata nei suoi molteplici fenomeni, al contrario nell’Antico Egitto quest’ultima era vissuta come un grande corpo sacro e animato, espressione visibile di un mondo metafisico che parlava all’uomo e lo influenzava con il linguaggio degli astri, così come l’uomo poteva influenzare gli stessi corpi celesti. Ecco perciò che la costante utilizzazione di immagini astronomiche nei miti, nelle leggende, nella poesia di questo antico popolo, sottolinea lo stretto rapporto tra scienza e religione e quindi fra il mondo terrestre e quello celeste. In Egitto persino la semplice distribuzione geografica di tombe e templi manifesta questo rapporto del cielo con la terra, templi che furono eretti da coloro che custodivano le chiavi della scienza”.
“Alla luce chiara e sicura delle ricerche compiute da Alessandro Benassai e prima ancora da Tommaso Palamidessi”, assicura Naldoni, “vedremo molti templi tornare ad essere testimoni di questa antica Scienza. Primo fra questi l’Osireion di Abydos con la sua sala del sarcofago. Il soffitto di questa stanza, oramai andato perso per l’incuria e l’abbandono, grazie alle immagini fotografiche di Paolo Renier è ancora fonte preziosa di informazioni non solo sulla profonda conoscenza astronomica degli antichi sacerdoti egizi ma soprattutto sul fine al quale questa era riservata ovvero liberare la coscienza dell’aspirante alla deificazione dal condizionamento degli astri utilizzando proprio la scienza degli astri. Il profondo simbolismo delle immagini di questo soffitto ci farà vedere come gli antichi sacerdoti avessero ben chiare le risposte alle tre domande della Sfinge: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo”.
“E proprio la misteriosa Sfinge si farà, anche lei, testimone di questa antica Scienza. Hor-em-Akhet, cioè Horo che è all’orizzonte, dal volto umano e dal corpo fatto di tre animali, eretta nel deserto di Giza in prossimità delle piramidi, non è altro che la sintesi dell’uomo zodiacale animato dal Sole. Thutmosi IV si riferisce alla sfinge chiamandola Khepri-Ra-Atum ovvero i tre aspetti che il Sole assume all’alba, a mezzogiorno, e al tramonto. Molti sovrani d’Egitto vollero che il loro volto fosse inglobato nel corpo di una Sfinge, segno della loro cosmizzazione, della loro identificazione nel Vivente, che gli Arabi chiamarono El Haiath e che divenne per i Greci lo Zodiakos, da zoe, vita, esistenza”.
“Leggendo i frammenti del libro di Dendera, troviamo uno Zodiaco perfettamente rappresentato”, spiega ancora Naldoni, “ma con l’ordine dei segni misteriosamente invertito e con delle misteriose figure sul cerchio che delimita il cielo settentrionale visibile a quell’epoca, associate ad alcune stelle. Se ne contano 36 che dividono il cerchio dell’Eclittica e dell’Equatore Celeste in 36 settori di 10° ciascuno, definiti dai greci decani, ognuno dei quali è caratterizzato da precise stelle fisse. Sono le 36 forze che derivano dal Sole, i 36 geni che governano il mondo. Sono le immagini dei geni stellari e zodiacali, ovvero le personificazioni delle Entità stellari e zodiacali nel sistema cosmologico egiziano che diverranno poi gli Ushabti, statuine che accompagnavano il sovrano nel suo viaggio nell’oltretomba, gli esseri celesti che esercitavano la loro influenza mediante la forza delle stelle e ai quali il re poteva rivolgersi in trasmissione telepatica fra uomo e stella nel suo cammino verso l’Eternità”.
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