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È morto a Roma lo storico e filologo biblista Giovanni Garbini: grande esperto di lingue semitiche, studiò fenici, ebrei e arabi preislamici. Scoprì omissioni storiche e manipolazioni del testo della Bibbia

Un selfie del prof. Giovanni Garbini con colleghi e allievi

Un selfie del prof. Giovanni Garbini con colleghi e allievi

Per lui fenici, ebrei e arabi preislamici non avevano segreti. Lo storico e filologo Giovanni Garbini, illustre orientalista studioso delle lingue semitiche che ha affrontato con una nuova metodologia i problemi della filologia biblica legati all’Antico Testamento, è morto a Roma il 2 gennaio 2017 all’età di 85 anni, come ha reso noto l’Accademia dei Lincei, di cui era socio dal 1990, nel giorno dei suoi funerali. Nato a Roma l’8 ottobre 1931, Garbini aveva iniziato la carriera accademica all’istituto universitario Orientale di Napoli (oggi università “L’Orientale” di Napoli), per passare poi alla Scuola Normale di Pisa e infine, fino al pensionamento, all’università di Roma “La Sapienza”, di cui era professore emerito di filologia semitica.  È stato anche componente della sua fondazione Leone Caetani per gli studi musulmani.

Giovanni Garbini, grande esperto di lingue semitiche, è morto a 85 anni

Giovanni Garbini, grande esperto di lingue semitiche, è morto a 85 anni

Garbini ha dedicato la sua vita di studioso alle lingue semitiche da un punto di vista storico-comparativo e si è dedicato all’interpretazione dei diversi aspetti della cultura di fenici, ebrei e arabi preislamici. Ma è nell’ambito della filologia biblica che il semitista ha offerto studi innovativi, rivelando omissioni storiche e manipolazioni presenti nel testo sacro che hanno condotto Garbini a interpretare differentemente la vicenda biblica e a contestualizzarla maggiormente nel quadro della storia del Vicino Oriente.  Secondo Garbini, l’origine del popolo ebraico andrebbe ricercata in quella parte del deserto siriano collocata tra il Tigri e l’Eufrate, a ovest dei monti Kashia. Di qui alcune tribù aramaiche si sarebbero stanziate nel territorio di Damasco e poi sarebbero scese verso il sud, verso l’attuale territorio palestinese. La vicenda di Mosè e dell’esodo dall’Egitto sarebbero invece un mito ancora più antico, autonomo rispetto a quello di Abramo e dei patriarchi. Un regno unitario davidico-salomonico, quindi, sarebbe stato soltanto una creazione leggendaria in quanto il popolo aramaico stanziato in Palestina avrebbe costituito il Regno di Israele, sotto la dinastia degli Omridi, solo intorno al 900 a.C. In precedenza, il beniaminita Saul, avrebbe costituito un regno locale nella Palestina centrale che, progressivamente, sarebbe stato riassorbito dai filistei. David sarebbe stato una specie di capitano di ventura del IX secolo al servizio dei Filistei e Salomone un personaggio assolutamente mitico. Garbini avrebbe inoltre accertato l’esistenza, a Gerusalemme, tra il regno di Ezechia e quello di Giosia, di un lungo regno ammonita, cancellato dagli scribi ebrei. Le ricostruzioni storiche della Bibbia, frutto di gruppi spesso in contrasto tra loro, si sarebbero formate solo dopo la caduta del regno di Giuda e dopo il rientro degli esiliati, cioè durante la dominazione persiana.

"Storia e ideologia nell'Israele antico" di Giovanni Garbini (1986)

“Storia e ideologia nell’Israele antico” di Giovanni Garbini (1986)

Vasta la produzione bibliografica di Garbini, gran parte della quale pubblicata dalla casa editrice Paideia di Brescia: “Storia e ideologia nell’ Israele antico” (1986); “Il semitico nordoccidentale” (1988); “La religione dei fenici in Occidente” (1994); “Introduzione alle lingue semitiche” (1994); “Note di lessicografia ebraica” (1998); “Il ritorno dall’esilio babilonese” (2001); “Storia e ideologia nell’Israele antico” (2001); “Mito e storia nella Bibbia” (2003); “Introduzione all’epigrafia semitica” (2006); “Scrivere la storia d’Israele. Vicende e memorie ebraiche” (2008); “Cantico dei cantici. Testo, traduzione, note e commento” (2010); “Letteratura e politica nell’Israele antico” (2010); “Dio della terra, dio del cielo. Dalle religioni semitiche al giudaismo e al cristianesimo” (2011); “I Filistei. Gli antagonisti di Israele” (2012); “Il Poema di Baal di Ilumilku” (2014); “Vita e mito di Gesù” (2015). Nel 2007 è stato pubblicato da Paideia in suo omaggio il volume “L’opera di Giovanni Garbini. Bibliografia degli scritti 1956-2006”, catalogo di oltre cinquanta anni di produzione scientifica.

Sulle tracce di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme: nuovo ambizioso progetto tra archeologia biblica e storia del regista veneziano Alberto Castellani per un film in due puntate

Maria e Giuseppe in viaggio verso Betlemme: il regista Alberto Castellani ne seguirà le orme per un nuovo film

Maria e Giuseppe in viaggio verso Betlemme: il regista Alberto Castellani ne seguirà le orme per un nuovo film “Storia di Myriam e Yoseph: in cammino nella terra dei Padri”

Scrive l’evangelista Luca: “Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide , chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa , che era incinta”. Tutto è iniziato da queste poche parole, spiega Alberto Castellani, il regista veneziano in partenza l’8 luglio per Israele e la Palestina, con un nuovo ambizioso progetto: seguire il viaggio di Maria e Giuseppe da Nazaret a Betlemme. “In questa laconicità di informazione sta proprio il fascino della mia ricerca che ho voluto sviluppare in fase di sceneggiatura e che intendo ora sperimentare direttamente sul territorio”. Due settimane di riprese, un gruppo di lavoro collaudato, il sostegno della Cei (Conferenza episcopale italiana) e dell’ambasciata di Palestina a Roma, la consulenza di professori di grande valenza, come Pietro Kaswalder, SBF Jerusalem (scomparso recentemente) e Danilo Mazzoleni , PIAC Pontificio Istituto di Archeologia, e il contributo di esperti del calibro del biblista il card. Gianfranco Ravasi, di Alberto Bobbio di Famiglia Cristiana e dell’egittologo Alberto Elli: ecco in sintesi il progetto del film “Storia di Myriam e Yoseph: in cammino nella terra dei Padri”, programma che, nelle intenzioni di Castellani, dovrebbe essere suddiviso in due puntate da mandare in onda sul canale 28-TV 2000 e su un gruppo di emittenti europee e statunitensi. “Sarà un’indagine sul campo per cercare di dar voce al misterioso silenzio evangelico”.

Mappa della Palestina in epoca erodiana (I sec. a.C. - I sec. d.C.)

Mappa della Palestina in epoca erodiana (I sec. a.C. – I sec. d.C.)

Dopo aver seguito le orme dello svizzero Johann Ludwig Burckhardt che duecento anni fa scoprì Petra, la capitale dei Nabatei, in Giordania, da cui è scaturito il fortunato film “Sulla via di Petra” (https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2013/11/28/a-bologna-petra-inedita-nel-film-di-castellani/), ora il regista veneziano che da più di vent’anni rivolge la sua attenzione all’archeologia del Medio Oriente, cerca di indagare su quello che può ragionevolmente essere accaduto duemila anni fa in terra di Palestina quando una coppia di sposi , destinati ad entrare ben presto nella storia, si accinsero a compiere un viaggio che da Nazareth si sarebbe concluso a Betlemme. Ponendosi subito una domanda: quale via può aver percorso dalla Galilea verso Betlemme di Giuda, Giuseppe, della casa di Davide e la sua giovanissima sposa prossima al parto, allorché l’editto di Augusto ordinò il censimento delle genti di Palestina? A venire in “soccorso” di Castellani è stato Pietro Kaswalder, eminente studioso di geografia biblica, recentemente scomparso, che ha tracciato una ipotesi di lavoro: “Più che la Valle del Giordano, che si estendeva lungo la parte orientale della Palestina alla sinistra del fiume, o della romana Via Maris, tra la piana dello Sharon e la costa del Mediterraneo, plausibile è apparso il percorso della cosiddetta Via Centrale o della Montagna che nella tradizione dei primi pellegrini cristiani , ma non solo, era chiamata Strada della Fede o anche Via dei Patriarchi”. E su tale itinerario che Castellani e la sua troupe hanno deciso di orientare i loro passi programmando più di due settimane di presenza in Israele. Punto di partenza non poteva essere, ovviamente, che il villaggio di Nazareth.

I due attori che interpretano Maria e Giuseppe nel film di Castellani

I due attori che interpretano Maria e Giuseppe nel film di Castellani

È lo stesso Castellani a raccontarci come si muoverà sulle orme di Maria e Giuseppe. “Dopo una indagine accurata sui locali reperti archeologici custoditi nella Basilica della Annunciazione, sugli scavi della cosiddetta Casa di Giuseppe fino alla più recente scoperta archeologica sulla presunta Casa di Gesù, ci sposteremo lungo la valle di Esdrelon, percorrendola in gran parte. Qui toccheremo il villaggio di Taanich, che conserva il ricordo della biblica Deborah, giungendo successivamente a Jenin, l’antica Betulia nota per l’episodio di Giuditta ed Oloferne. Da qui a Dotan, località non lontana da Jenin, per rivivere sul crinale di un piccolo tell apparentemente anonimo il racconto dell’Antico Testamento di Giuseppe venduto dai fratelli”.

Un pellegrino percorre lentamente le strade della Samaria

Un pellegrino percorre lentamente le strade della Samaria

Sarà quindi la volta di Samaria/Sebaste in cui missioni archeologiche italiane, francesi ed israeliane stanno cercando di portare alla luce il passato di questa città attraverso una attività scavo e conservazione dei reperti fino ad ora rinvenuti . E poi la mitica Nablus , l’antica Neapolis della famiglia Flavia, e il rinnovarsi del ricordo di Giuseppe figura legata a tante storie della Bibbia e del Corano. “Mi auguro di poter documentare anche la sua tomba venerata in cui ancor oggi converge la popolazione locale per richieste di buon raccolto, di fertilità e di amore: questo soprattutto da parte delle donne”. A Nablus non mancherà una indagine sul sito di Tel Balata uno dei più importanti della Cisgiordania tra i biblici monti Ebal e Garizin e, se possibile , un contatto con la antichissima comunità Samaritana. “La vicina Shiloh, la città di Giosué e dell’Arca dell’Alleanza – continua -, ci propone uno dei luoghi più emozionanti del mondo ebraico e della sua fede millenaria, già attivo, prima della costruzione del Santuario di Gerusalemme”. Tappa obbligata l’altopiano sassoso di Bethel dove, secondo tradizione, Abramo piantò le sue tende ed eresse un altare e Giacobbe uno dei tre padri del popolo ebraico, ebbe il misterioso sogno su una discendenza destinata a diffondersi “ come polvere della terra” ( Gn 28,14). Pochi chilometri ed ecco la attuale capitale dello stato palestinese, la moderna Ramallah e la vicina Tell en Nasbeh con il ricordo del profeta Samuele e la testimonianza dei risultati delle missioni archeologiche statunitensi che hanno portato alla luce una imponente raccolta di documenti dal calcolitico all’età del ferro fino alle indagini accurate operate verso la metà del secolo scorso dal francescano padre Bagatti. “Infine ecco una Gerusalemme insolita, quasi nascosta: la valle della Geenna, le mitiche piscine di Salomone, l’ eccezionale testimonianza delle preziose lamine di Ketef Hinom, oggi conservate all’Israel Museum. Una certificazione incisa con caratteri paleo ebraici e scritta attorno al 600 prima di Cristo, conferma della fondatezza e della esistenza del testo biblico quattrocento anni prima della scoperta dei rotoli nelle grotte di Qumram nel Mar Morto”.

La grotta della Natività a Betlemme come oggi la vedono i pellegrini

La grotta della Natività a Betlemme come oggi la vedono i pellegrini

Con il sito di Kathisma, sul crinale dell’ultima collina alla periferia di Gerusalemme, che fa riferimento ad una sosta richiesta da Maria ormai prossima al parto e la documentazione di ciò che resta, a detta degli archeologici israeliani, di una chiesa che doveva essere addirittura più bella e maestosa di quella del Santo Sepolcro costruita al tempo di Costantino , l’itinerario si conclude nell’ormai vicina Betlemme. “E anche qui sarà l’archeologia ad aiutarci per dare spessore storico ad un evento ed a una sua localizzazione tuttora dibattuta. Dietro solitarie pietre di vallate deserte, dietro eventi ancestrali che soltanto la toponomastica di villaggi sperduti o addirittura scomparsi è ancora in grado di richiamare – conclude Castellani -, cercherò di offrire lo spaccato di un mondo che di lì a poco si sarebbe aperto al cristianesimo prima che secoli di storia, di sovrapposizioni o di leggende nascondessero in parte l’ immagine autentica di una terra che i piedi di Gesù, di lì a poco avrebbero cominciato a percorrere. Per rivivere idealmente quel lontano cammino che mi condurrà verso quella debole luce che appena rischiara una grotta dove ogni giorno sostano in preghiera migliaia di fedeli”.

Pellegrini “Sulle vie della fede”: in occasione del viaggio-pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa su Tv 2000 il documentario di Alberto Castellani tra storia, tradizione, archeologia e spiritualità

Il regista Alberto Castellani sul set della serie tv "Sulle vie della fede"

Il regista Alberto Castellani sul set della serie tv “Sulle vie della fede”

Papa Francesco è impegnato nel viaggio-pellegrinaggio in Terrasanta sulle orme di Paolo VI

Papa Francesco è impegnato nel viaggio-pellegrinaggio in Terrasanta sulle orme di Paolo VI

Pellegrini “Sulle vie della fede”. Oggi come ieri. Così nel giorno che Papa Francesco inizia il suo “storico” viaggio in Terra Santa tra Giordania Palestina e Israele, il canale satellitare TV 2000 propone questa sera (sabato 24) e domani sera (domenica 25) alle 21 la serie di documentari “Sulla via della fede”, appunto, prodotta dal regista veneziano Alberto Castellani, attivo nel settore della comunicazione audiovisiva, con particolari interessi su tematiche storiche, archeologiche e multiconfessionali. “Sta scritto – spiega il regista – che ci sono gesti dell’uomo che, in un variare di forme, si ripetono. Testimoniano qualche cosa che perdura, che segna indelebilmente l’ambiente: qualcosa di affermato, sostenuto e trasmesso di generazione in generazione come patrimonio irrinunciabile. Ad essi l’uomo non rinuncia. Perché in essi l’uomo riesce a comprendere sé stesso e vede svelato e realizzato il significato della sua esistenza. Tra questi “gesti” vi è il pellegrinaggio. Che è un viaggio, ma non un viaggio qualunque”. E proprio il viaggio di Papa Francesco ne è una prova tangibile.

Pellegrinaggi ieri e oggi: nel Medioevo pellegrini al Santo Sepolcro in Terra Santa

Pellegrinaggi ieri e oggi: nel Medioevo pellegrini al Santo Sepolcro in Terra Santa

Pellegrinaggi ieri e oggi: pellegrini moderni percorrono la Via Dolorosa a Gerusalemme

Pellegrinaggi ieri e oggi: pellegrini moderni percorrono la Via Dolorosa a Gerusalemme

“Sulle vie della fede” recupera la dimensione umana e religiosa del pellegrino di ieri e di oggi. È un viaggio percorso ai nostri giorni, per ritrovare lo spirito di ieri: un progetto di vita che attraversa la storia dell’uomo. L’occasione per riscoprire tracce di lontani itinerari, quel che resta di abbazie nascoste, di modesti luoghi di ristoro, di antichi ospedali, di semplici cappelle votive. Per prendere coscienza e idealmente condividere una quotidianità che il pellegrino di un tempo decideva di affrontare con un briciolo di follia. Un cammino quasi sempre ostile per ambienti avversi, variare di stagioni, esplodere di guerre e di epidemie, presenze di briganti o di feudatari dispotici. Vicende in cui possono convivere, come per ogni storia dell’uomo, gioie e dolori, disagi e gratificazioni, coraggio e debolezze, fede e credenze.

Gerusalemme, la Città Santa, è da secoli meta privilegiata dei pellegrinaggi

Gerusalemme, la Città Santa, è da secoli meta privilegiata dei pellegrinaggi

“Sulle vie della fede” diventa così un lungo racconto alla scoperta di un fenomeno che affonda le sue radici in quelle della storia più lontana a contatto con i pellegrinaggi dell’Egitto faraonico, della cultura mesopotamica, del popolo di Israele, dei misteri di Atene ed Eleusi, del mondo islamico e dell’estremo oriente, fino alle cronache dei primi pellegrini cristiani che cominciarono a frequentare, già nel terzo secolo, la terra di Palestina dove Gesù visse e svolse il suo ministero di predicazione e di amore. “Ho voluto comprendere – spiega Castellani – il desiderio di conoscenza che spinse la pellegrina Elena, madre dell’imperatore Costantino, a riscoprire i luoghi santi cristiani. Il perché, ad esempio, di quella sete di esperienza che indusse un’altra viaggiatrice, Egeria, ad attraversare le terre del Medio Oriente dal Sinai a Costantinopoli, a Gerusalemme”. Un “andare” destinato a diventare non più episodico ma fenomeno di massa vissuto dal pellegrino medievale.

Il regista Alberto Castellani con il film "Sulle vie della fede" ha ripercorso gli itinerari dei pellegrini

Il regista Alberto Castellani con il film “Sulle vie della fede” ha ripercorso gli itinerari dei pellegrini

Castellani, per il suo programma, ha coinvolto un pool di esperti. Danilo Mazzoleni, decano del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana in Roma, come consulente soprattutto del pellegrinaggio che ha come itinerario finale Roma. Marina Montesano, docente di Istituzioni medievali e Storia medievale alle università di Genova e S. Raffaele di Milano ha suggerito alla regia itinerari e luoghi che avevano come destinazione Gerusalemme e Santiago di Compostela. Don Gianmatteo Caputo, architetto e consulente per la Cei dell’Ufficio Nazionale dei Beni Culturali nonché direttore Museo Diocesano d’Arte Sacra di Venezia, ha fornito il suo contributo soprattutto per quanto concerne il ruolo di Venezia, scalo fondamentale del pellegrinaggio medioevale. A questi consulenti si sono aggiunti poi i contributi di don Giorgio Maschio, della Facoltà Teologica del Triveneto, e di Maurizio del Maschio, studioso del dialogo interreligioso e conoscitore delle località della Terra Santa, anche quelle meno frequentate, che saranno visitate dalla troupe e di altri esperti appartenenti al mondo ebraico, islamico e dell’estremo oriente. “Roma, Venezia, Gerusalemme e più tardi Santiago di Compostela divengono così tappe codificate per il Cristiano itinerante”, conclude Castellani. “Un’esperienza mantenutasi nei secoli, testimoniata oggi da schiere di fedeli che con altri mezzi ma con simile spirito percorrono le stesse vie: le “vie della fede”, come suggerisce il titolo del programma.

Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli nell’Ultima Cena? Una missione italiana di archeologi del cibo in Israele alla ricerca del menù della Pasqua

Una missione archeologica italiana indagherà sul cibo dell'Ultima Cena

Una missione archeologica italiana indagherà sul cibo dell’Ultima Cena

Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli nell’Ultima Cena? L’unica fonte disponibile, i Vangeli, dicono poco o nulla e sono pure in contraddizione. A cercare di scoprirlo sarà una spedizione italiana di “archeologi del cibo” con un’indagine sulle abitudini alimentari che li porterà da Tel Aviv a Gerusalemme nel mese di aprile. Gli studiosi, che lavorano in importanti musei di Torino, sono diventati divulgatori di “Archeoricette” e da due mesi stanno studiano al caso del menu del Cenacolo, incrociando le informazioni delle diverse branche dell’archeologia e tentando di approfondire le conoscenze sull’arte culinaria del tempo di Gesù. “Benché non ci siano testi che lo documentino”, spiegano gli archeologi Generoso Urcioli e Marta Berogno, “l’arte della cucina esisteva ben prima del Medioevo. Ogni civiltà ne ha avuta una”.

L'Ultima Cena in un mosaico di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna

L’Ultima Cena in un mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Secondo quanto dicono i vangeli sinottici, il giovedì mattina i discepoli si presentarono a Gesù e gli chiesero in quale luogo egli volesse celebrare la Pasqua ebraica. Gesù mandò due discepoli (Luca specifica Pietro e Giovanni) in città dicendo loro che avrebbero incontrato lungo la via un uomo con una brocca d’acqua, diretto verso la casa del suo padrone. I due avrebbero dovuto seguirlo e chiedere al padrone di casa se era possibile per Gesù celebrare la Pasqua nella sua dimora. Il Cenacolo, secondo le ultime ipotesi, andrebbe individuato nella casa del padre, o comunque di qualche parente, di Marco, il futuro evangelista (ritenuto da alcuni come il giovinetto fuggito nudo durante l’arresto di Gesù). Sulla cena, l’Ultima Cena, solo qualche cenno: l’uso di intingere il pane nelle erbe amare (gesto col quale Gesù svelò il traditore Giuda). Poi, mentre la cena andava avanti, senza che gli evangelisti diano particolari indicazioni in merito, Gesù compì un atto alquanto insolito nel rito pasquale. Prese del pane e dopo aver pronunziato la preghiera di benedizione, lo spezzò e dandolo ai discepoli disse: “Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Poco dopo prese un calice colmo di vino e dopo averlo benedetto allo stesso modo disse: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”. Così Gesù istituisce il sacramento dell’Eucarestia. In tutti i vangeli canonici, la passione di Gesù avviene in occasione della festa della Pasqua ebraica, la Pesach. Questa festa, che ricordava l’uscita degli Ebrei dall’Egitto narrata nel libro dell’Esodo, prevedeva un giorno di preparazione alla festa, la cena della Pasqua e il giorno di Pasqua. Nel giorno di preparazione della Pasqua, gli Ebrei portavano un agnello al Tempio (o più frequentemente lo acquistavano lì) per farlo sacrificare, poi tornavano a casa e preparavano una cena particolare carica di simboli collegati all’esodo (carne di agnello, erbe amare per ricordare la schiavitù in Egitto, pane azzimo per ricordare la fretta nell’uscita dall’Egitto, e diverse coppe di vino rituali). Giunto il tramonto, che secondo la tradizione in vigore presso gli Ebrei indicava l’inizio del giorno di Pasqua, si consumava il pasto pasquale. In Marco si dice chiaramente che le preparazioni per l’ultima cena avvennero il giorno prima di Pesach, e che si trattava della cena di Pesach, che viene consumata alla sera, quando è iniziato il giorno della Pesach. In Giovanni si dice esplicitamente che il pasto consumato è quello prima della festa di Pesach e che il pasto di Pesach deve essere ancora consumato; inoltre si narra che coloro che arrestarono Gesù non vollero entrare nel pretorio di Pilato per non diventare ritualmente impuri e poter quindi mangiare il pasto di Pesach, e poi si dice esplicitamente che il giorno della morte di Gesù “era la Preparazione della Pasqua”.

Elementi caratteristici della cena di Pesach, la Pasqua ebraica

Elementi caratteristici della cena di Pesach, la Pasqua ebraica

Come si vede, gli elementi forniti dalle fonti – i Vangeli – sono alquanto modesti e generici. Per questo l’indagine sui cibi portati in tavola all’Ultima Cena portata avanti dai nostri “archeologi del cibo” non potrà che iniziare da piatti palestinesi dei nostri giorni, come Sabich, Chamin, Shakshouka o Rugelach per cercare di scoprire gli omologhi antichi. Nello studio degli archeologi del cibo ci sono comunque alcune certezze: una – spiegano – è che “Gesù e i suoi erano Ebrei e seguivano la tradizione”, l’altra che “il Cristianesimo è l’unica religione monoteista che non ha divieti alimentari”. Ma sono tanti i misteri culinari irrisolti: “Potrebbero avere compiuto – sottolineano i ricercatori torinesi – un atto rivoluzionario abbattendo le prescrizioni che il popolo eletto di Israele aveva introdotto per distinguersi dagli altri popoli del Vicino Oriente”. Per rispondere a questi dubbi Urcioli e Berogno hanno programmato una missione in Israele e Palestina, proprio nel periodo pasquale, accompagnati da una giornalista e fotografa, Sarah Scaparone. Per sostenere la ricerca che, al momento, non ha finanziamenti di alcun tipo, hanno aperto una pagina per il crowdfunding (www.ndiegogo.com/projects/ultima-cena).

Israele. Scoperta a Tel Kabri in Galilea una cantina di 4mila anni fa: è la più antica del mondo

Lo scavo a Tel Kabri in Galilea nel nord di Israele

Lo scavo a Tel Kabri in Galilea nel nord di Israele

Le nozze di Cana sono sicuramente la descrizione di un banchetto tra i più famosi riportati dai Vangeli: è in quella parabola, in cui Gesù compie il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, che veniamo a conoscenza dell’abitudine molto diffusa all’epoca di dare grandi feste a palazzo e di innaffiare le portate del banchetto con abbondanti libagioni di vino che i servi del padrone di casa andavano a prendere nelle cantine, vicine alla sala del ricevimento, dove il signore conservava il vino migliore. Ma quello di Cana non è l’unico esempio e neppure il più antico. Nella Bibbia il banchetto ha un simbolismo pregnante, dal banchetto dell’alleanza alla Pasqua del Signore, è il momento della comunione con Dio. E sempre il banchetto prevede il pasto (sacro) innaffiato di vino. Ora per quei racconti, per quelle parabole dallo scopo didattico-morale-religioso, ma che riprendevano comunque momenti di vita quotidiana in cui chi ascoltava poteva immedesimarsi, c’è un riscontro oggettivo: nello scavo archeologico  del Palazzo reale di Tel Kabri, in Galilea, storica regione della Palestina, oggi divisa amministrativamente tra Israele e Cisgiordania, sono stati trovati una sala per banchetti in grado di tenere mezzo migliaio di ospiti e un annesso magazzino con 40 giare risalente a 4mila anni fa, deposito che si è rivelato la più antica cantina di vino del mondo finora scoperta.

Una veduta aerea dello scavo del palazzo cananeo a Tel Kabri in israele

Una veduta aerea dello scavo del palazzo cananeo a Tel Kabri in israele

La campagna di scavi del 2013 (23 giugno-1.agosto), i cui risultati sono stati presentati nelle scorse settimane, è stata diretta da Assaf Yasur- Landau dell’Università di Haifa e Eric H. Cline della George Washington University, con Andrew Koh della Brandeis University come direttore associato. Lo scavo è stato sostenuto con sovvenzioni dalla National Geographic, dalla Israel Science Foundation (ISF), Bronfman Philanthropies, e dall’Istituto per la Preistoria dell’Egeo (INSTAP). Ma non sono mancati anche donatori privati. Il team internazionale di circa 60 persone compresi i volontari, provenienti dal Regno Unito, Israele, Inghilterra, Canada, Paesi Bassi e Australia, si è concentrato sul palazzo dei governanti della città, costruito intorno a 3850 anni fa nel periodo del Bronzo Medio. Il palazzo rimase in piedi per almeno 300 anni e a un certo punto copriva una superficie di 6mila metri quadrati su almeno due piani. Yasur-Landau ha reso noto che è stata scoperta un’enorme sala banchetti con residui di festini a base di carne per oltre 500 persone; ogni ospite aveva ricevuto tagli di carne da 500 grammi. Gli archeologi hanno scoperto un magazzino di circa 15 metri quadrati, accanto alla sala del banchetto. In un primo momento avevano trovato una sola giara, alta circa un metro. Scavando ulteriormente sono venute alla luce molte altre giare fino a scoprire che il vano ne conteneva non meno di 40, l’equivalente di 3mila bottiglie di rossi e bianchi dei nostri giorni per un volume totale di circa duemila litri.

Durante la campagna 2013 sono state trovate 40 giare da vino

Durante la campagna 2013 sono state trovate 40 giare da vino

Lo staff interdisciplinare si è subito messo al lavoro: la conservazione e il restauro della ceramica sono stati affidati a JJ. Gottlieb e Roee Shafir (Università di Haifa); le analisi scientifiche incluse quelle dei residui ad Andrew Koh (Brandeis University); la datazione al radiocarbonio a Felix Höflmayer (German Archaeological Institute a Berlino); la geoarcheologia a Ruth Shahack-Gross (The Weizmann Institute); la petrografia a David Ben-Shlomo (Università Ebraica di Gerusalemme); l’analisi degli isotopi stabili a Gideon Hartman University of Connecticut); lo studio dei resti animali a Guy Bar-Oz e Nimrod Marom (Università di Haifa), e la microfauna a Lior Weissbrod (Università di Haifa). “È una scoperta molto importante, per quanto ne sappiamo è la più grande e più vecchia cantina nel Vicino Oriente Antico”, ha commentato Eric Cline, archeologo della George Washington University, uno dei direttori degli scavi, come riferisce la stampa di Tel Aviv citata dal sito Israele.net. “È la prima volta che troviamo un deposito così ricco ancora con le giare presenti all’interno di un palazzo cananeo del Medio Bronzo, e che restituisce residui da analizzare e permette di ricostruire la provenienza della ceramica. Sono sicuro che da questo scavo potremo ottenere molte informazioni sull’economia di un palazzo cananeo del II millennio a.C.” La cantina era situata nei pressi di una sala per banchetti, “un luogo dove l’elite di Kabri e, eventualmente, gli ospiti stranieri hanno consumato carne di capra e vino”, ha spiegato il co-direttore Yasur-Landau dell’Università di Haifa. “La cantina e la sala del banchetto sono state distrutte durante lo stesso evento violento, forse un terremoto, che li ha coperte con uno strato di detriti di mattoni di fango e intonaco”.

Un team interdisciplinare sta sottoponendo Tel Kabri a molteplici analisi

Un team interdisciplinare sta sottoponendo Tel Kabri a molteplici analisi

Non è stato subito chiaro che le giare contenevano vino. Poi Andrew Koh della Brandeis University, un esperto in chimica archeologica e studi classici, analizzando i materiali organici che coprivano le giare, ha trovato tracce di componenti di base del vino come l’acido tartarico e siringico. Koh ha trovato anche tracce di composti che all’epoca erano popolari ingredienti del vino: la resina di terebinto, miele, menta, cannella e bacche di ginepro. Sono ingredienti molto simili a quelli utilizzati per duemila anni in un vino medicinale egiziano. Hanno anche analizzato le proporzioni di ciascun composto scoprendo una notevole coerenza nel contenuto dei diversi vasi. “La ricetta di questo vino è stata rigorosamente rispettata in ogni vaso “, ha spiegato il direttore associato Koh, nel riferire la scoperta al Meeting annuale 2013 delle Scuole americane di Ricerche in Oriente. “Non era vino fatto in casa da dilettanti. Ogni singola giara conteneva vino fatto secondo la stessa ricetta, nelle stesse esatte proporzioni”. Gli archeologi ora vogliono continuare ad analizzare la composizione di ciascuna soluzione, magari scoprendo informazioni sufficienti per ricrearne il sapore cercando di ricostruire la ricetta e riprodurre il vino cananeo di quasi 4mila anni fa.