Sassari. Riapre il museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna”, chiuso dal 3 dicembre 2018 per lavori di riallestimento, ristrutturazione e restauro. Ecco tutte le novità

L’ingresso del nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” a Sassari (foto drm-sardegna)
Poco più di un anno fa, era il 19 giugno 2021, al museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, chiuso dal 3 dicembre 2018 per lavori di riallestimento, ristrutturazione e restauro, riapriva la sezione Etnografica nel Padiglione Clemente con la mostra-evento “Sulle tracce di Clemente”, ideata e realizzata da Antonio Marras. La mostra, aperta per oltre un anno fino al 30 settembre 2022, avrebbe accompagnato il pubblico alla riapertura del museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari che rappresenta la più importante istituzione museale della Sardegna settentrionale. E ora siamo arrivati al momento tanto atteso.

Una fase dell’allestimento del museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari (foto drm-sardegna)
Mercoledì 3 agosto 2022 il museo Sanna riapre ai visitatori. Il giardino del Museo ospiterà l’inaugurazione del nuovo allestimento, realizzato in seguito ai lavori che hanno interessato diversi ambienti della struttura museale. Dopo l’inaugurazione sarà possibile visitare il Museo dalle 20 alle 23. La direttrice della Direzione regionale Musei Sardegna, Luana Toniolo, la direttrice del museo, Elisabetta Grassi, e il segretario regionale, Patricia Olivo, illustreranno il progetto del nuovo allestimento e le future attività. Interverrà il direttore della Direzione generale Musei, prof. Massimo Osanna. Le attività di recupero e riallestimento degli ultimi anni sono state portate avanti da diversi Uffici del ministero della Cultura: il Segretariato regionale del ministero della Cultura per la Sardegna con un progetto di riqualificazione del museo e l’allestimento della sala centrale del Padiglione Castoldi, a cura dell’archeologa Gabriella Gasperetti e dell’architetta Francesca Condò; e la Direzione regionale Musei Sardegna, che negli ultimi mesi ha avviato un piano di lavoro per l’allestimento temporaneo dell’intero complesso museale, restituendo alla città i reperti più importanti del Museo Sanna. Una nuova veste, moderna e funzionale, riqualifica gli spazi e i percorsi di visita e da forma ad un museo sempre più partecipato ed inclusivo: la “casa” della città. Spazi e percorsi di visita sono stati progettati con l’obiettivo di realizzare un museo partecipato ed inclusivo.

Vasi esposti nelle vetrine del museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari (foto drm-sardegna)
Ecco le principali novità. MUSEO La sala centrale del museo storico, sotto una veste completamente nuova, è dedicata all’archeologo Vincenzo Dessì, studioso, esperto di numismatica e appassionato collezionista, con l’allestimento della sua collezione di beni archeologici. SALA CONFERENZE Una nuova sala conferenze, prima interna alle sale espositive, è stata realizzata in un’ala adiacente al museo per dare più spazio alle ricche collezioni. LUCE Nuove vetrate daranno più respiro alle sale espositive, insieme ad un nuovo impianto di illuminazione. GIARDINO Anche nel giardino si potranno apprezzare i nuovi percorsi di visita tematici.
Dopo Berlino (96mila visitatori) la mostra “Sardegna Isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo“ è approdata al museo statale Ermitage di San Pietroburgo: quasi 200 reperti provenienti dai musei archeologici sardi, compreso uno dei grandi guerrieri di Mont’e Prama, a raccontare la storie e il fascino dell’Isola. Gli interventi all’inaugurazione e il percorso espositivo

Dopo Berlino, dove, nonostante le restrizioni legate alla pandemia, la mostra, ospitata al museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino ha registrato un successo straordinario, con oltre 96mila visitatori, la mostra “Sardegna Isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo“ è approdata in Russia, al museo statale Ermitage, seconda tappa del tour internazionale dell’esposizione (dal 26 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022), con i quasi 200 reperti provenienti dai musei archeologici di Cagliari, Nuoro e Sassari, compreso uno dei grandi guerrieri di Mont’e Prama – prestito eccezionale – a raccontare la storie e il fascino dell’Isola e le tracce impressionanti di un passato lontano che essa ancora conserva. Le prossime tappe saranno al museo Archeologico nazionale di Salonicco (dall’11 febbraio al 15 maggio 2022) e al museo Archeologico nazionale di Napoli (dal 10 giugno all’11 settembre 2022).

“Sardegna Isola Megalitica” è la mostra-evento promossa dalla Regione Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio (parte di un articolato progetto di Heritage Tourism finanziato dall’Unione Europea) insieme al museo Archeologico nazionale di Cagliari, alla Direzione regionale Musei della Sardegna e ai Musei sede della mostra – museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino, il museo statale Ermitage di San Pietroburgo, il museo Archeologico nazionale di Salonicco e il museo Archeologico nazionale di Napoli. L’esposizione ha il patrocinio del MAECI e del MIC, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il coordinamento generale di Villaggio Globale International. La mostra – che nella tappa russa è sostenuta anche dall’Ambasciata Italiana in Russia e dall’Istituto Italiano di Cultura – ha inoltre ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica.

Alla cerimonia inaugurale, trasmessa in diretta sul canale YouTube del Museo, insieme al direttore generale del museo statale Ermitage Michail Piotrovsky erano presenti anche il neonominato ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace, alla sua prima partecipazione ufficiale a un evento a San Pietroburgo, il console generale d’Italia Alessandro Monti e la direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura Paola Cioni; per la Regione Sardegna, insieme alla delegazione è volato a San Pietroburgo l’assessore degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica Quirico Sanna, per i Musei sardi Francesco Muscolino, direttore regionale dei musei della Sardegna e direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari. Presenti anche Maurizio Cecconi e Irina Artemieva rispettivamente segretario generale e direttore scientifico di Ermitage Italia e una delegazione anche da Cabras, con il sindaco della città e il presidente della Fondazione Mont’e Prama.

Riflettori sulle sepolture delle “domus de janas” di epoca neolitica ed eneolitica e sulle iconiche riproduzioni statuarie di “dee madri”, talvolta veri e propri capolavori artistici; sulle incredibili architetture dei nuraghi che hanno caratterizzato l’Età del Bronzo nell’Isola e sulle cosiddette “tombe di giganti”; sui contatti tra civiltà lontane e sugli eccezionali bronzetti nuragici raffiguranti donne, uomini, guerrieri e animali; su spade votive, modellini di edifici e di navi e sugli incredibili, monumentali Guerrieri di Mont’e Prama: autorappresentazione di un passato mitico riferito all’apogeo dell’Età nuragica, ma in piena Età del Ferro.

Il percorso. Si parte dunque dal periodo recente e finale del Neolitico, quando si diffondono le ”domus de janas” scavate nella roccia, ovvero in lingua sarda le “case delle fate o delle streghe” – in diversi casi successivamente monumentalizzate in facciata – o quando si diffondono i dolmen e poi, in Età del Rame, quando si costruisce un altare monumentale unico nel panorama del Mediterraneo – ma con parallelismi nelle ziqqurath del Vicino Oriente – come il santuario di Monte d’Accoddi e si realizza la muraglia monumentale di Monte Baranta.

Quindi la mostra conduce nel cuore della civiltà nuragica, vero simbolo dell’unicità della Sardegna. Gli impressionanti nuraghi, costruiti in numero elevatissimo a partire dal 1600/1800 a.C. circa con blocchi di basalto, trachite e granito, di grande varietà tipologica e funzionale ma tutti accomunati dalle torri a tholos (sistema di copertura), sono stati al centro di importanti dibattiti e interpretazioni che hanno messo a fuoco le loro molteplici funzioni, rievocate in mostra dai manufatti esposti: l’alimentazione, l’agricoltura e allevamento, il controllo del territorio, le produzioni artigianali. Attorno ad essi, in molti siti, si sono sviluppati villaggi più o meno estesi, talvolta racchiusi da antemurali altrettanto imponenti, anche questi intervallati da torri.

Nello stesso contesto, ispirati al megalitismo, sono anche gli edifici legati al campo funerario e i luoghi di culto, pur con tutti i mutamenti della religiosità che si possono supporre nell’ampia fase nuragica. Le “tombe di giganti”, così chiamate a livello popolare a causa delle imponenti dimensioni, che nell’immaginario venivano collegate al gigantismo dei defunti, erano in realtà sepolture comunitarie ospitanti anche centinaia di individui e connesse forse al culto degli antenati, davanti alle quali venivano praticati rituali e offerte, spesso al cospetto della rappresentazione di divinità (betili). Allo stesso modo anche i luoghi di culto e i santuari si articolano in numerose tipologie edilizie tutte improntate al megalitismo: tempi a pozzo, fonti sacre e templi a megaron sono diffusi in tutta la Sardegna a partire dal Bronzo Recente e spesso le differenti tipologie coesistono all’interno dello stesso complesso.

La religiosità delle genti nuragiche è qui rappresentata al suo massimo grado dall’enorme numero di ex voto figurati in bronzo – i cosiddetti “bronzetti” di cui la mostra darà conto con alcuni reperti di grandissimo interesse – che riproducono figure umane, maschili e femminili nei diversi ruoli della società, ma anche animali, oggetti e persino edifici. Proprio la produzione della bronzistica figurata offre uno spaccato vivace della società nuragica, del vestiario, della gestualità, delle armi, dei sistemi alimentari; mentre la presenza di collane e vaghi in ambra, rinvenuti negli scavi degli ultimi trent’anni in tanti santuari della Sardegna, testimonia stretti collegamenti dell’Isola non solo con il mondo mediterraneo, ma anche con le reti commerciali e culturali della Penisola e dell’Europa centrale.

Anche nell’Età del Ferro (I millennio a.C.), in una società in cui si sono profondamente modificate le dinamiche sociali, economiche e costruttive, i nuraghi, pur non edificati da vari secoli, continuano a essere centrali nell’immaginario collettivo quale simbolo di un passato mitico in cui tutta la popolazione dell’Isola si riconosce. Finito il tempo degli ingegnosi e arditi costruttori di torri nuragiche, si diffondono dunque le miniature di tali edifici, in pietra, ceramica, bronzo e anche in materiali deperibili, utilizzate probabilmente come altari in rituali collettivi e rinvenuti infatti al centro di edifici megalitici intesi come “capanne delle riunioni”.

È questo il momento in cui alcuni gruppi emergono sugli altri e si formano le prime aristocrazie. A Mont’e Prama una di queste si autorappresenta e si autocelebra con un complesso scultoreo unico nel suo genere, composto da quasi 40 imponenti statue in pietra di Guerrieri, Arcieri e Pugilatori, oltre a modelli di nuraghe e betili. Per la nuova società, il tempo lontano degli eroi era oggetto di venerazione e di richiamo identitario. Evento irripetibile è il prestito di una delle celebri sculture di Mont’e Prama da parte del museo Archeologico nazionale di Cagliari per questa storica esposizione internazionale: un “Pugilatore” alto con piedestallo 190 cm e pesante circa 300 kg. Rinvenute in frammenti a partire dagli scavi del 1975-1979 e ricomposte grazie a interventi di restauro di eccezionale delicatezza e dai risultati sorprendenti (i primi nel 2007-2011), queste imponenti statue, nelle loro raffigurazioni schematiche realizzate secondo uno stile convenzionale d’impronta geometrica, non trovano paragoni nel variegato patrimonio artistico e monumentale della Sardegna e ancora sono aperte a diverse interpretazioni.

Un dato tuttavia è certo: la civiltà nuragica era ormai al tramonto. Nonostante questo, il suo retaggio continuerà ad essere leggibile attraverso i secoli, malgrado il mutare dell’orizzonte semantico: dapprima con l’arrivo dei Fenici attestati lungo le coste sarde a partire dal IX secolo a.C., quindi con la presa dell’Isola da parte di Cartagine, alla fine del VI secolo, e poi con l’arrivo dei Romani. Anche dopo la conquista romana (238 a.C.) l’eredità nuragica appare leggibile, come testimoniano i resti della cultura materiale in mostra e in alcuni casi le fonti epigrafiche che ci restituiscono una onomastica prelatina. Persino in età medievale i nuraghi e addirittura le “domus de janas” sono ancora oggetto di riutilizzo e molti villaggi medievali si addensano intorno alle torri nuragiche. Un mondo in evoluzione che non dimentica le sue origini.

Michail Piotrovky – che ha ringraziato sentitamente l’Italia e la Sardegna per aver voluto essere comunque presenti e vicini all’Ermitage nonostante la difficile situazione pandemica che sta vivendo in questi giorni la Russia, ha evidenziato la fascinazione della cultura megalitica e nuragica sarda e della mostra allestita all’Ermitage: “Nei materiali che raccontano di questa mostra sono scritte parole magiche come Nuraghi, betili, Tombe di Giganti: tutte parole che sembrano prese da una favola. Se noi parliamo di Stonehenge che è famoso in tutto il mondo è un neonato rispetto alle cose che riusciamo a vedere oggi, che rappresentano un paradigma dell’antica civiltà, qui rappresentato dal dialogo tra la pietra e il bronzo, tra la scultura litica gigantesca e le raffinata piccole figure di bronzetti, un dialogo che sarà ripreso dalla civiltà successive, compresa quella greca e greco-romana. Con il suo viaggio internazionale – ha aggiunto Piotrosvky – la mostra si inserisce di fatto in un complesso vastissimo progetto che viene chiamato “l’Europa senza confini” che racconta delle antiche civiltà e che raccorda la storia della prima Europa antica all’Europa come la conosciamo adesso. Anche in Russia, nel Caucaso e nel Mar Nero, ci sono vestigia di civiltà analoghe – resti di torri, betili, fortezze – che raccontano della stessa cultura che ci accomuna alla tradizione europea”.

L’ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace alla mostra all’Ermitage (foto Aleksey Bronnikov)
“Questa iniziativa, a un mese dall’assunzione del mandato a Mosca”, ha sottolineato l’ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace, “mi ha dato il privilegio di rinnovare i legami di amicizia e di collaborazione con San Pietroburgo e con questo prestigiosissimo museo che rappresenta il punto di riferimento in tutto il mondo per la promozione dell’arte e che da anni dà vita a progetti di altissimo livello con la collaborazione della nostra Ambasciata, del Consolato Generale e dell’Istituto Italiano di Cultura, che invitano a scoprire il ricco patrimonio artistico, storico e archeologico della nostra bellissima Italia e mostrano anche l’inesauribile attrazione che lega la cultura italiana e la cultura russa. La mostra dedicata alle antiche civiltà e culture della Sardegna – ha poi continuato – raccontando magnificamente storia di pietra nel cuore del Mediterraneo permette anche di veicolare in Europa un concetto legato all’Italia ovvero il costante connubio che esprimono tutte le nostre regioni tra bellezza paesaggistica e ricchezza storico-artistica, tra esperienza culturale ed esperienza di tradizioni e gastronomia”.

L’assessore regionale Quirico Sanna e il direttore dei musei della Sardegna Francesco Muscolino alla mostra all’Ermitage (foto Aleksey Bronnikov)
Dalle magnifiche sale del Palazzo d’Inverno dell’Ermitage grande soddisfazione è stata espressa anche dall’assessore regionale Quirico Sanna: “Con grande orgoglio e piacere presentiamo il patrimonio archeologico delle terra di Sardegna al mondo. Speriamo che questa collaborazione tra la Sardegna e il Museo Ermitage, uno dei più prestigiosi e importanti a livello internazionale, possa portare ad una sempre maggiore conoscenza della storia e della cultura di questa nostra meravigliosa terra”. E Francesco Muscolino, direttore regionale dei Musei della Sardegna e direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari: “La seconda tappa della mostra, ospitata nella prestigiosissima sede dell’Ermitage, si conferma come un ottimo esempio di proficua collaborazione tra il Ministero della Cultura, la Regione Sardegna e i grandi musei internazionali. Ai funzionari tecnico-scientifici del Ministero va, in particolare, il merito di aver redatto, in collaborazione con i colleghi degli altri musei ospitanti e con altri studiosi, il complesso progetto scientifico della mostra, accompagnata anche da un ponderoso catalogo”.
Museo nazionale Archeologico “Antonio Sanna” di Sassari, chiuso dal 2018: slitta al 18 giugno l’attesa riapertura della sezione Etnografica nel Padiglione Clemente con la mostra-evento “Sulle tracce di Clemente”, ideata e realizzata da Antonio Marras: una selezione dell’immenso patrimonio etnografico (abiti, vestiti, gioielli, manufatti artistici) del Museo insieme a reperti archeologici e a testimonianze di arte moderna e contemporanea


Il giardino su cui si affaccia il museo nazionale Archeologico “Antonio Sanna” di Sassari (foto drm-sardegna)
Sassari e tutti gli appassionati devono portare ancora un po’ di pazienza. Non sarà infatti il 21 maggio 2021 la data “storica” della riapertura – nella sua sede naturale e originaria del Padiglione Clemente – della sezione Etnografica del museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, chiuso dal 3 dicembre 2018 per lavori di riallestimento, ristrutturazione e restauro. L’inaugurazione della mostra “Sulle tracce di Clemente” è posticipata a venerdì 18 giugno 2021. I lavori per l’allestimento della grande mostra progettata dallo stilista e designer Antonio Marras procedono senza sosta, nell’attesa del passaggio della Sardegna a zona bianca e con l’obiettivo di garantire la partecipazione del pubblico ad una visita in massima sicurezza. La mostra resterà allestita per un intero anno, occupando lo spazio del cosiddetto Padiglione Clemente. Il progetto è finanziato con contributo della Fondazione di Sardegna (erogazione liberale) per gli interventi di sostegno, promozione, valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale regionale. Il museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari rappresenta la più importante istituzione museale della Sardegna settentrionale. La raccolta museale, è costituita da una sezione archeologica, con reperti che vanno dal Paleolitico alla fine del Medioevo) e da una sezione etnografica, che comprende tessuti, legni, mobili, ceramiche, gioielli, cesti, armi, utensili e abiti tradizionali.


Reperti archeologici nella mostra “Sulle tracce di Clemente” a Sassari (foto drm-sardegna)
Nella mostra “Sulle tracce di Clemente” vi sarà esposta una selezione dell’immenso patrimonio etnografico (abiti, vestiti, gioielli, manufatti artistici) del Museo insieme a reperti archeologici e a testimonianze di arte moderna e contemporanea, a proporre un dialogo tra origini antiche, tradizione e attualità, tra memoria e presente. “L’idea della mostra”, spiega il professor Bruno Billeci, direttore regionale Musei Sardegna, “nasce dalla volontà di valorizzare questo ricco patrimonio, il cui nucleo principale è costituito dalla donazione del cav. Gavino Clemente. La collezione etnografica del Museo non è solo la più antica della Sardegna ma anche una delle più ricche dell’isola per quantità e varietà di reperti. Per l’allestimento e, ancora pima, per l’ideazione della mostra, abbiamo potuto avvalerci della fantasia, del gusto ma anche della competenza di un “allestitore” d’eccezione, lo stilista Antonio Marras, che voglio ringraziare per l’entusiasmo che sta profondendo in questa impresa”. “Fatti salvi i criteri museografici e le necessità legate alla ottimale conservazione dei materiali”, continua Elisabetta Grassi, direttrice museo nazionale “G.A. Sanna”, “Antonio ha avuto mano libera nel valorizzare i reperti. E il risultato che si sta proprio in queste settimane configurando in forma definitiva è, a mio parere, emozionante”.

Il museo nazionale Archeologico ed Etnografico “Giovanni Antonio Sanna”, istituito nel 1878 come Regio Museo Antiquario, assunse la denominazione di Regio Museo di Antichità ed Arte “Giovanni Antonio Sanna” nel 1931. L’edificio principale, progettato dall’arch. Carlo Maria Busiri Vici, fu realizzato tra il 1926 e il 1932, per volontà di Zely Sanna Castoldi, figlia dell’industriale e politico Giovanni Antonio Sanna, a cui il museo è intitolato; nuovi corpi di fabbrica furono realizzati nei decenni successivi, per rispondere alle accresciute esigenze espositive e conservative. Fra questi emerge, per importanza ed estensione, il cosiddetto Padiglione Clemente, realizzato nel 1950 per volontà del cav. Gavino Clemente, noto ebanista sassarese, che nel 1947 donò al museo la sua ricca collezione etnografica, a condizione che fosse esposta in un apposito padiglione a lui intitolato. Fin dalla sua prima costituzione, il museo di Sassari nasce come organismo espositivo polivalente. La Sezione Etnografica, incrementata nel tempo dai contributi di altri benefattori e da un consistente numero di acquisti, è attualmente è una delle più ricche della Sardegna, oltre ad essere la più antica del genere nell’isola. La Sezione Archeologica è la parte più consistente dei beni in dotazione e permette di seguire le vicende dell’uomo nell’isola fin dal Paleolitico, attraverso tutte le fasi della preistoria e della protostoria. Le varie epoche storiche sono documentate dalle collezioni di età fenicio-punica, romana e medievale. I materiali archeologici sono in parte riconducibili a collezioni e in parte provenienti da campagne di scavo condotte sul territorio dalla competente Soprintendenza, istituita nel 1958.


Il Padiglione Clemente a Sassari (foto drm-sardegna)
Il nucleo principale della collezione etnografica fu donato dal noto ebanista sassarese cav. Gavino Clemente, direttore creativo dell’omonimo mobilificio che a cavallo tra Ottocento e Novecento costituì a Sassari una importante realtà preindustriale, grazie anche all’invenzione del cosiddetto stile sardo (1911 – 1940). A Gavino Clemente, che fin dalla giovinezza iniziò la raccolta degli oggetti di valore etnografico che costituirono la sua preziosa collezione, si deve anche la collezione di costumi sardi conservata al museo nazionale di Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Per ospitare la consistente donazione effettuata al museo Sanna, Clemente fece costruire un apposito Padiglione a lui intitolato. Un altro importante nucleo di materiali della sezione etnografica è riconducibile alla figura di Zely Bertolio, la giovane pronipote di Giovanni Antonio Sanna, prematuramente scomparsa nel 1932, il cui corredo costituito da mobili tradizionali sardi, gioielli e piccoli oggetti artistici e d’uso fu donato dalla madre Enedina al Museo sassarese. Nel tempo la collezione etnografica è stata incrementata dai contributi di altri benefattori e da un consistente numero di acquisti; attualmente è una delle più ricche della Sardegna, oltre ad essere la più antica del genere nell’isola. Per lungo tempo però, anche a causa di problemi di conservazione dei delicatissimi materiali, non è stata esposta al pubblico e, solo recentemente (2011) è stata parzialmente riallestita nelle sale prima occupate dalla Collezione d’Arte (oggi ospitata presso la Pinacoteca Nazionale). Il Padiglione Clemente fu trasformato tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo e, attualmente, si presenta come una galleria su due livelli (piano terra 208 mq; primo piano 178 mq), utilizzata negli ultimi anni prevalentemente per esposizioni temporanee. Il Polo Museale della Sardegna, nell’ambito del riallestimento e della definizione del nuovo percorso espositivo, vuole valorizzare la ricca collezione etnografica del Museo, restituendola alla sua collocazione originaria, ovvero il Padiglione Clemente. Con il nuovo allestimento si vuole valorizzare tali beni attraverso un percorso visivo e narrativo che susciti emozione nel visitatore e rielabori il passato in chiave contemporanea.


Schizzo di Antonio Marras per l’allestimento della mostra “Sulle tracce di Clemente” (foto marras)

Antonio Marras impegnato nell’allestimento della mostra “Sulle tracce di Clemente” (foto drm-sardegna)
L’allestimento. “Influssi mediterranei, fenici, punici, bizantini, arabi, catalani, spagnoli, francesi ecc. ci fanno essere quelli che siamo, nella lingua, nei pensieri e nel vestire. Il costume sardo affascinò e affascina per la straordinaria varietà, per gli elementi strutturali, decorativi, cromatici e per il suo significato di identificazione etnica”, chiosa Antonio Marras. “La nostra attività si svolge nell’Isola dove sono nato e cresciuto, che conserva ancora nella lingua, nelle tradizioni il fascino misterioso che nasce dalla mescolanza. Un miscuglio di lingue, culture, storie, tradizioni, usanze, pensieri, contaminazioni, stratificazioni, la rendono così particolare. Da sempre mi attrae il linguaggio poetico, il lavoro del poeta. Rifiuta le regole, viola i codici, libera tutti i sensi e dà voce all’inesprimibile. Tessuto e testo rimandano entrambi a una origine comune: tessere, intrecciare. Entrambi sono il risultato di intrecci: il tessuto, di fili di lana o cotone; la poesia, di parole. Sento molto vicino lo scarto linguistico, lo scarto dalla norma grammaticale, la devianza dalla lingua quotidiana, l’uso libero e personale delle parole, scelte, combinate, accostate in modo inconsueto. In modo da creare giochi di ossimori insospettati. Ed è questo l’approccio verso l’allestimento del padiglione Clemente”, afferma Marras. Che aggiunge: “La scienza e la tecnologia hanno abbattuto confini, frantumato barriere, accostato e mescolato popoli e continenti e difficilmente, oggi, un gruppo o popolo o etnia sceglie di vivere nel proprio isolamento. Anzi, il confronto/scontro con gli altri è il tratto caratterizzante del nostro tempo: la storia di gruppi, popoli, etnie si intreccia con altre storie e diventa sempre più complessa. In questo panorama, nel pericolo avvertito di una temuta globalità omologante, si fa strada la volontà di affermare il diritto a difendere e salvaguardare la propria identità e valorizzare la diversità come fattore di ricchezza e patrimonio da custodire e far conoscere. Per noi, l’identità non è un dato statico, né è pura memoria, ma qualcosa di dinamico, dialettico, una costruzione continua, variegata, fatta di realtà distinte che, fra opposizioni e separazioni, si modellano e rafforzano. Per questo associazioni, mischie, inserti, opposizioni, accostamenti, intersezioni, confronti, richiami, assonanze, collaborazioni, voci diverse sono le parole chiave per interpretare il concetto nuovo dell’allestimento”.
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