A quasi tremila metri di quota, al Lagazuoi Expo Dolomiti a corollario della mostra “ÖTZI & VALMO – Quando gli uomini incontrarono le Alpi”, laboratori e visite guidate permettono di scoprire come vivevano l’uomo di Similaun (Ötzi) e l’uomo di Mondeval (Valmo)
Lo spazio espositivo Lagazuoi Expo Dolomiti, a 2778 metri, abbiamo già avuto modo di conoscerlo in occasione della presentazione della prima mostra temporanea, “ÖTZI & VALMO – Quando gli uomini incontrarono le Alpi” che fino al 2 aprile 2018 ci permette di ammirare i ritrovamenti più rilevanti dei primi abitanti delle Alpi, l’uomo di Similaun e l’uomo di Mondeval, per la prima volta insieme, a raccontarci la vita dell’uomo preistorico in alta quota dopo l’ultima grande glaciazione. Un viaggio a ritroso nel tempo; un’occasione per immergersi in una storia remota quanto affascinante, la nostra; un’esperienza da vivere in un contesto d’eccezione, un laboratorio aperto alle idee che esplora il rapporto tra uomo e ambiente, tra contaminazioni di attualità e ricerca storica, scientifica e artistica, il tutto all’interno del nuovo spazio espositivo sopra Cortina d’Ampezzo, una delle gallerie più ad alta quota esistenti (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/10/a-quasi-3mila-metri-di-quota-per-lavvio-del-lagazuoi-expo-sopra-cortina-dampezzo-con-panorama-mozzafiato-sulle-dolomiti-apre-la-mostra-otzi-valmo-quando-gli-uomi/).
Ma ora il pubblico è invitato non solo a incontrare Ötzi & Valmo, ma anche a vivere come loro, accompagnando gli archeologi in un ciclo di laboratori e visite guidate, e sperimentando, anche attraverso i sensi, le condizioni di vita degli abitanti delle Alpi nella preistoria. Fino al 2 aprile, un ricco calendario di visite guidate animate ed esperienze di archeologia sperimentale portano il pubblico a scoprire come vivevano l’uomo di Similaun (Ötzi) e l’uomo di Mondeval (Valmo). Ötzi visse 5300 anni fa, durante l’Età del Rame, in Val Senales, mentre il suo “antenato”, Valmo, cacciatore mesolitico, venne inumato 8mila anni fa a soli 8 km dal Lagazuoi. Il loro ritrovamento ha segnato la storia dell’archeologia moderna, e nonostante l’eccezionale mole di reperti, non hanno ancora terminato di rivelare i loro segreti ai ricercatori.
Tre i laboratori gratuiti, per altrettante domeniche consecutive, dalle 10 alle 12 e dalle 13 alle 15, coinvolgeranno gli spettatori aiutandoli a superare le barriere del tempo, e avvicinandoli alla comprensione della Preistoria. Si inizia domenica 4 marzo 2018: il tema sarà “Strumenti musicali e suoni della Preistoria” per esplorare una forma di espressività e creatività a partire dai reperti archeologici. La settimana successiva, domenica 11 marzo 2018, appuntamento con “Flintknapping on the Lagazuoi”: dimostrazioni di scheggiatura della selce all’Expo Dolomiti, una tecnica che rivela una sorprendente abilità. Infine, domenica 18 marzo 2018 andrà in scena il laboratorio “Salendo ai pascoli”, che ripercorre le tracce dei primi pastori per scoprire la storia dell’alpeggio. Inoltre, su prenotazione, ogni lunedì e mercoledì, dalle 13 alle 17, gli archeologi dell’associazione Tramedistoria accompagneranno il pubblico a “toccare con mano” e scoprire gli strumenti utilizzati da Valmo e Ötzi per affrontare la vita in montagna.
A quasi 3mila metri di quota, per l’avvio del Lagazuoi Expo, sopra Cortina d’Ampezzo, con panorama mozzafiato sulle Dolomiti, apre la mostra “ÖTZI & VALMO – Quando gli uomini incontrarono le Alpi”: il racconto dei 2700 anni che separano l’Uomo di Mondeval dall’Uomo venuto dal ghiaccio, con i cambiamenti climatici che hanno permesso la colonizzazione delle Alpi e condizionato lo stile di vita dell’uomo
Oetzi visse 5300 anni fa in val Senales, Valmo 8000 anni fa vicino al passo Giau: la magia delle Dolomiti li farà incontrare virtualmente in una location eccezionale, la nuova galleria Lagazuoi EXPO Dolomiti, a 2778 metri di quota, quattro sale su tre piani, lobby, coffee e terrace bar, senza barriere architettoniche sia per l’accesso alla funivia al passo Falzarego che nell’edificio posto sulla vetta del monte Lagazuoi a Cortina d’Ampezzo, accanto allo storico e omonimo rifugio, con un panorama mozzafiato sulle Dolomiti Patrimonio UNESCO. Ospiterà mostre temporanee dedicate alla fotografia, all’arte del passato e a quella contemporanea, alla storia e alla preistoria del territorio. L’inaugurazione ufficiale della straordinaria galleria è prevista per il 2 febbraio 2018. Ma già dal 10 gennaio 2018 apre le sue porte al pubblico per la prima mostra temporanea, “ÖTZI & VALMO – Quando gli uomini incontrarono le Alpi”: fino al 2 aprile 2018 si potranno ammirare i ritrovamenti più rilevanti dei primi abitanti delle Alpi, l’uomo di Similaun e l’uomo di Mondeval, per la prima volta insieme, a raccontarci la vita dell’uomo preistorico in alta quota dopo l’ultima grande glaciazione. La mostra è stata realizzata in collaborazione con il museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore (BL), l’associazione Tramedistoria, l’università di Ferrara, il Neanderthal Museum di Mettmann (Germania), GEO, il museo Archeologico di Bolzano, l’associazione Amici del Museo della Val Fiorentina.
L’Uomo venuto dal ghiaccio (Uomo del Similaun, Ötzi), con gli oggetti che lo accompagnano costituisce il nucleo centrale del museo Archeologico dell’Alto Adige (Bolzano) dove modelli, ricostruzioni, immagini stereoscopiche, video e stazioni multimediali interattive permettono di dare uno sguardo al più remoto passato del versante meridionale della catena alpina, con ricchezza di informazioni e al tempo stesso in modo gradevole. “Cinquemila anni fa”, spiegano gli esperti del museo altoatesino, “un uomo si avventurò sulle gelide alture dei ghiacciai della Val Senales, dove morì. Nel 19 settembre 1991 venne scoperto per caso, insieme ai suoi abiti e al suo equipaggiamento, mummificato, congelato, un evento sensazionale per l’archeologia e un’istantanea eccezionale, che colse una persona dell’età del rame in viaggio in alta quota”. La notizia del ritrovamento di un cadavere mummificato nelle alte quote della Val Senales varcò i confini locali e nazionali per diffondersi in tutto il mondo. “La persona riemersa da un sonno glaciale di 5300 anni”, continuano gli esperti, “fu subito soprannominata con simpatia Ötzi, dal nome della valle che confina con il luogo del suo ritrovamento, pesava 15 chilogrammi, era alta 1 metro e 60 cm. Accanto a lui si trovarono resti delle sue scarpe, del mantello, della faretra, dei suoi calzoni e, fra l’altro, la straordinaria ascia, lavorata prima a colata e poi saldata, oggetto che per primo, forse, permise una vaga datazione dell’illustre antenato”.
Quattro anni prima, nel 1987, sull’altopiano di Mondeval de Sora, che si trova a monte dell’abitato di Selva di Cadore a quota 2150 metri, fu scoperta una sepoltura mesolitica. L’iniziale segnalazione da parte di Vittorino Cazzetta permise a una equipe di ricercatori di ritrovare lo scheletro di un cacciatore mesolitico vissuto 7500 anni fa. Anche questa scoperta fu di portata mondiale, sia per il fatto che lo scheletro e il ricco corredo funebre erano in uno stato di ottima conservazione ma anche perché fino a quel tempo non si era a conoscenza che i cacciatori mesolitici frequentassero l’alta montagna. Il masso erratico dove è stata ritrovata la sepoltura presumibilmente fungeva da capanno e riparo per i periodi di caccia. Oggi lo scheletro dell’Uomo di Mondeval e l’intero corredo assieme ad altre informazioni sulla vita di questo nostro antico antenato sono visibili al museo Vittorino Cazzetta a Selva di Cadore.
Questi due eccezionali frequentatori del comprensorio dolomitico li ritroviamo dunque virtualmente insieme al Lagazuoi EXPO Dolomiti, un nuovissimo centro espositivo e congressuale unico, annesso alla stazione a monte della funivia Lagazuoi a 2732 m di altitudine, dove si arriva in 3 minuti partendo dalla stazione di passo Falzarego. La mostra “ÖTZI & VALMO – Quando gli uomini incontrarono le Alpi” ripercorre come un trailer i 2700 anni che separano questi due uomini, Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio (Iceman), vissuto 5300 anni fa in val Senales a 85 km in linea d’aria dal Lagazuoi, e Valmo, l’Uomo di Mondeval, vissuto 8000 anni fa vicino al passo Giau, a 2150 metri di quota e a 8 km in linea d’aria dal Lagazuoi, e illustra i cambiamenti climatici che hanno permesso la colonizzazione delle Alpi e condizionato il loro stile di vita. Per fabbricare i propri utensili Valmo usava la selce e Ötzi anche il rame. Valmo e Ötzi dovevano affrontare il freddo della montagna, procurarsi il cibo e difendere il loro gruppo. La mostra illustra, con repliche e calchi, come abbiano perfezionato le tecniche e le conoscenze fondamentali per vivere in alta quota, un bagaglio di esperienze conosciute da Valmo e trasmesse a Ötzi lungo le 80 generazioni che li separano.
Mummia del Similaun a TourismA 2017. Kaufmann, conservatore museo Archeologico di Bolzano: “Il rame dell’ascia di Oetzi veniva dalla Toscana, e non dalle Alpi”. Lo ha scoperto uno studio dell’università di Padova
Ad annunciare la scoperta è stato Günther Kaufmann, curatore del museo Archeologico dell’Alto Adige ospite venerdì 17 febbraio 2017 al XIII incontro nazionale di Archeologia Viva al palazzo dei congressi di Firenze nell’ambito della terza edizione di TourismA, il Salone dell’Archeologia e del Turismo Culturale, con l’intervento “L’Uomo venuto dal Ghiaccio: le ricerche continuano. Ecco le novità”. Sono passati oltre 25 anni dal ritrovamento della mummia del Similaun (fu infatti rinvenuta sul ghiacciaio dell’Oetztal il 19 settembre 1991, da qui il nomignolo Oetzi), ma continua a rivelare nuovi aspetti della sua vita, soprattutto dopo aver trovato la sua sistemazione definitiva nel museo Archeologico dell’Alto Adige, dove è la star indiscussa dal 1998. La mummia di 5300 anni fa è conservata in una camera frigorifero a temperatura costane di 6 gradi sotto zero, che vuole riprodurre le condizioni in cui è rimasto per millenni sotto il ghiaccio. E nelle sale vicine sono esposti i capi di abbigliamento e gli oggetti che portava con sé, l’ascia in rame, il pugnale in selce, l’arco, la faretra, le punte di freccia, un cinturone con marsupio, una gerla. “La ricerca continua. In realtà non si è mai fermata”, ha ricordato Kaufmann.

Günther Kaufmann, curatore del museo Archeologico dell’Alto Adige, mostra a TourismA 2017 la Tac con la punta di freccia piantata nella spalla di Oetzi
Con la Tac si scoprì che aveva piantata nella spalla sinistra una punta di freccia. “È stato colpito a morte: la ferita vicino alla succlavia”, spiega Kaufmann, “ha provocato un’emorragia interna. È morto dissanguato. Ma non è stata l’unica scoperta. La mano destra ha rivelato una ferita che l’uomo si sarebbe procurato due-tre giorni prima. Quindi ciò significa che prima di trovare la morte in un agguato in alta montagna, era stato coinvolto in una lite corpo a corpo. Invece i recenti studi sugli isotopi di Stronzio e Piombo, ha permesso di ricostruire la vita di Oetzi, nato tra la val d’Isonzo e la val Pusteria. “Da adulto si è invece spostato in val d’Adige”, continua Kaufmann, “mentre l’ultima parte della sua vita l’ha passata nella zona di Merano, quindi vicino alla val Venosta, dove fu ucciso”. Curioso anche lo studio dei tatuaggi. Sulla mummia del Similaun ne sono stati trovati 61, divisi in 19 gruppi. “Non si tratta di tatuaggi decorativi, ma dell’esito di una terapia contro i dolori. Non è un caso che i tatuaggi siano posizionati in aree soggette a dolore come la spina dorale, il ginocchio o il collo del piede”.
Oltre allo studio delle cause del suo decesso, è stato anche indagato come aveva vissuto, cosa aveva mangiato, come era vestito. È stato analizzato anche il suo dna: il genoma rivela che gli antenati di Oetzi sono arrivati in Europa durante la rivoluzione neolitica. Ora grazie ad uno studio dell’Università di Padova che ha analizzato il rame della lama dell’ascia che la mummia aveva con sé, si è scoperto che il rame corrispondeva a quello che all’epoca veniva estratto in Toscana. Questo, secondo il prof. Gilberto Artioli, esperto di geoscienze e docente all’università di Padova, apre nuovi scenari: “Mai ci saremmo aspettati che ci fossero dei legami commerciali o forse anche culturali fra l’arco alpino e la Toscana”. L’ascia con i margini rialzati è infatti ben nota in Italia centrale, dove potrebbe essere stata prodotta. “Sarebbe interessante verificare – per ora le analisi non sono state fatte – se anche gli altri due esemplari di ascia in rame a margini rialzati trovati in Italia settentrionale sono state prodotte con rame dalla Toscana”. L’ascia di Oetzi non era comunque solo uno status symbol, conclude Kaufmann, ma fu usata per abbattere alberi. “Dalle tacche si può calcolare che con quest’ascia poteva impiegare 30-35 muniti per tagliare un fusto di 25 centimetri di diametro”.
Dalla manna al grano dei faraoni, dal vino cotto degli antichi romani al grano monococco della mummia del Similaun: Coldiretti porta a Expo la mostra “No farmers No Party” con i prodotti antenati del “made in Italy” salvati dagli agricoltori italiani

Il grano monococco, la manna e l’idromele: tre prodotti dell’antichità che Coldiretti presenta a Expo Milano nella mostra “No farmers, no party”
C’è la biblica manna nel racconto di Mosè o il vino cotto apprezzato dagli antichi romani, il fagiolo del borgo di Cortereggio o il grano di saragolla noto anche come grano dei faraoni. Coldiretti porta a Expo i cibi più antichi della tradizione italiana, gli antenati del made in Italy, che rischiavano di scomparire e sono stati salvati dagli agricoltori: è la prima esposizione dedicata a prodotti salvati nei secoli dagli agricoltori italiani nel Padiglione Coldiretti “No Farmers No Party” all’inizio del cardo sud. Come nel caso del fagiolo piemontese del borgo di Cortereggio, che in passato, per la sua qualità, era utilizzato come bene di scambio per acquistare l’uva del Monferrato, che serviva per fare il vino. Scomparso dai mercati italiani già negli anni ’80 del secolo scorso è stato salvato da un agricoltore che ne ha consegnato qualche chilo all’Università di Torino per conservarne il germoplasma. Oggi la Piattella, che può dunque essere prodotta con la stessa qualità di una volta, è entrata addirittura nel menù dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti. “Quello che esponiamo con orgoglio è il risultato di generazioni di agricoltori”, sottolinea il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, “impegnati a difendere la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari”.
Tra i cibi in mostra il più noto è forse la manna, che deve la sua fama all’episodio riportato nella Bibbia: gli Ebrei guidati da Mosè erravano nel deserto del Sinai, piegati dagli stenti e dalla fame quando ricevettero da Dio questi fiocchi bianchi e dolci dal gusto di miele. A salvarla dall’estinzione sono stati gli agricoltori siciliani, che la estraggono dal frassino per utilizzarla come dolcificante per i diabetici, nelle cure dimagranti e nelle terapie disintossicanti. Viene, invece, dall’antica Roma il vino cotto, bevanda marchigiana prodotta facendo bollire il mosto di uve bianche o rosse in caldaie di rame e lasciata quindi a fermentare e riposare in botti di legno per anni. I patrizi e gli imperatori romani concludevano i loro succulenti banchetti con calici di cotto proveniente dalle campagne picene, tanto che Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., ne descrive il metodo di preparazione e la considera tra le bevande più ricercate d’Italia.
Risale addirittura a 23mila anni fa – spiega Coldiretti – il grano monococco (Triticum monococcum), la specie geneticamente più semplice e antica di grano coltivato, originario della zona centro-settentrionale della Turchia. Anche l’esame della famosa mummia del Similaun (3350-3310 a.C.) ha accertato la presenza del grano monococco a base della dieta nell’età del Rame. La coltivazione di questo cereale scompare però alla fine dell’età del Bronzo (1000-900 a.C.), ma in Lombardia alcuni agricoltori hanno deciso di recuperarla, valorizzandone le caratteristiche dietetico-nutrizionali, grazie all’ottima composizione della sua farina, al basso livello di glutine e al limitato impatto ambientale della sua produzione. Dalle Piramidi deriva, invece, il grano saragolla, conosciuto anche come Grano degli Egizi o del Faraone, che oggi si coltiva in Abruzzo dove fu introdotto nel 400 d.C. Quasi abbandonata con l’avvio delle importazioni di grano dall’estero, la coltivazione del saragolla è stata salvata dai piccoli agricoltori della zona collinare del basso Adriatico. I Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, – prosegue Coldiretti – erano particolarmente amati dai Romani che nei pranzi nuziali erano soliti offrirli come cibo augurale per la fecondità degli sposi. Ricercati fin dall’antichità sia per le proprietà benefiche per stomaco e intestino, sia per i loro presunti effetti afrodisiaci, ebbero un posto di rilievo nei trattati di medicina nonché nelle diete proposte dai più famosi personaggi dell’antichità come Galeno, Plinio il Vecchio, Pedanio e persino da Ovidio. La loro coltivazione è stata recuperata in Basilicata. Anche l’idromele, bevanda a base di miele – evidenzia la Coldiretti – era molto noto nell’antichità come “la bevanda degli dei” che Omero chiamava ambrosia. Secondo alcuni si tratta addirittura della bevanda fermentata più antica del mondo, più della birra. Era tradizione, in molte parti d’Europa, che alle coppie appena sposate fosse regalato idromele sufficiente per la durata di una luna, un periodo di tempo di quasi un mese. Il termine “luna di miele” deriva proprio dal fatto che per la durata di una luna la coppia godeva del consumo di questa deliziosa bevanda.
È nato, invece, dall’incontro tra la cultura agroalimentare friulana e quella germanica il Prosciutto di Sauris Igp. La tecnica di produzione, infatti, è legata alla tradizione delle popolazioni tedesche, insediatesi in Friuli Venezia Giulia nel secolo XIII, di lavorare e conservare, attraverso l’affumicatura, la carne e le cosce suine, Da allora, il metodo dell’affumicatura viene tutt’oggi effettuata con le stesse modalità, per assicurare al prodotto le caratteristiche inconfondibili per le quali è conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini regionali e nazionali. Anche il mais sponcio ha una storia che risale al 1500, quando viene introdotto nelle zone montane di Belluno. Presenta spighe affusolate a tutolo bianco, con semi dalla inconfondibile forma a punta (rostro), da cui il nome dialettale sponcio, cioè che punge, ed è la base della tradizionale polenta gialla di montagna: densa, soda, forte e profumata, con le caratteristiche pagliuzze marroni. Ma è ripresa anche – conclude la Coldiretti – la coltivazione del farro, uno dei primissimi cereali coltivati dall’uomo, proveniente dalla Mesopotamia, da cui, attraverso l’antico Egitto e il Mediterraneo, arrivò nella penisola italica. Molto coltivato nell’antichità, con tracce che risalgono al 7000 a. C., menzionato anche nella bibbia (Ezechiele 4-9), ebbe grande prestigio durante il periodo romano e i legionari ne portavano sempre delle scorte con sé nei loro movimenti da un territorio all’altro.
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