Firenze. All’Archeologico per “Incontri al museo” conferenza del direttore Mario Iozzo “I Bronzi di Riace a Firenze: storia di un’emozione collettiva” proprio nell’anniversario dell’inaugurazione della prima esposizione dei due guerrieri dopo il lungo restauro
15 dicembre 1980 – 15 dicembre 2022: per i 50 anni dalla scoperta e per l’anniversario della mostra, il direttore del museo Archeologico nazionale di Firenze, Mario Iozzo, presenta “I Bronzi di Riace a Firenze: storia di un’emozione collettiva” nell’ambito degli “Incontri al Museo” 2022 – 2023. Il 15 dicembre 1980 al museo Archeologico di Firenze si inaugurava infatti la straordinaria mostra “I bronzi di Riace” che esponeva per la prima volta al pubblico le due statue restaurate a Firenze dopo il loro ritrovamento. Il MAF festeggia i 50 anni dalla loro scoperta con una conferenza del direttore Mario Iozzo “I Bronzi di Riace a Firenze: storia di un’emozione collettiva” giovedì 15 dicembre 2022 alle 17, proprio nella stessa data della storica inaugurazione. Le due celebri statue furono rinvenute nello specchio di mare antistante Riace il 16 agosto 1972. La moderna cittadina di Riace si trova pochi km a Sud della colonia greca di Kaulonía, già identificata alla fine dell’800 dall’archeologo Paolo Orsi nel sito dell’attuale Monasterace Marina (Reggio Calabria). Secondo il mito su questa spiaggia battuta da un mare impetuoso, una tempesta avrebbe sospinto l’amazzone Clete, nutrice della regina delle amazzoni Pentesilea, mentre si recava a Troia a recuperare il corpo della sua signora, uccisa da Achille.

La mostra “I Bronzi di Riace” allestita nel salone del Nicchio al museo Archeologico nazionale di Firenze (foto maf)
Allestita negli ambienti del Salone del Nicchio, l’esposizione consentì di riaprire momentaneamente l’accesso a un settore del museo che era stato travolto dall’alluvione, attraendo lunghe code di visitatori davanti all’ingresso di piazza SS. Annunziata in attesa di vedere i miracoli compiuti in cinque anni di lavori dai laboratori del Centro di Restauro della soprintendenza Archeologica di Firenze. “Ho avuto la fortuna di essere testimone di un grande evento archeologico e di un sorprendente fenomeno sociale e culturale”, racconta Mario Iozzo. “Nell’arco di un mese 250mila persone visitarono la mostra che fu poi prorogata fino a giugno, prima del riallestimento al Quirinale voluto da Sandro Pertini. Il pubblico stava in coda per ore per conquistare un biglietto da 125 lire per vedere i due capolavori mentre la loro fama cresceva di giorno in giorno…”.

Lunghe code di visitatori davanti al museo Archeologico di Firenze per la mostra “I Bronzi di Riace” (foto maf)
Le due sculture furono trasportate a Firenze nel gennaio del 1975 e furono affidate alle cure dei restauratori Renzo Giachetti ed Edilberto Formigli e nell’autunno del 1980 al termine dei lavori furono esposte a Firenze accompagnate dall’illustrazione delle varie fasi di restauro. Prima di tornare “a casa” i bronzi furono poi esposti fino al 12 luglio anche al Palazzo del Quirinale, dove richiamarono trecentomila visitatori in soli dodici giorni. Le operazioni svolte a Firenze valsero alla soprintendenza Archeologica della Toscana il riconoscimento del premio “Campione d’Italia per la promozione della Cultura e dell’Arte”, per aver reso “attuale l’antico” e fatto riscoprire “nella coscienza dell’uomo i valori perenni di civiltà”.
Firenze. Al museo Archeologico nazionale per il ciclo “Incontri al museo” Mino Gabriele (università di Udine) presenta il suo libro “I sette talismani dell’Impero”

Il museo Archeologico nazionale di Firenze, diretto da Mario Iozzo, e la direzione regionale Musei della Toscana, guidata da Stefano Casciu, per il ciclo “Incontri al museo 2021/2022”, giovedì 17 febbraio 2022, alle 17, organizzano la conferenza “I sette talismani dell’Impero” a ingresso gratuito. Mino Gabriele dell’università di Udine, presenta il suo libro “I sette talismani dell’Impero” (Adelphi). Ai nostri occhi può sembrare strano che i trionfi dell’Impero romano venissero allora attribuiti soprattutto a sette oggetti gelosamente custoditi nei penetrali dei templi dell’Urbe, e che dalla loro presenza si facesse dipendere la durevolezza e l’invincibilità di quel mondo. Eppure, già in epoca regia e, guardando a Costantinopoli, ancora dopo la caduta dell’Urbe, i Romani credevano fermamente che quegli oggetti – doni prodigiosi, testimoni della benevola volontà soprannaturale, reliquie magiche e arcane – fossero i veri fautori dell’ordine e dell’eternità dell’imperium, le sue autentiche e sicure fondamenta. Di quei talismani, e della loro tutela occulta e simbolica, racconta questo libro di Mino Gabriele, che ripercorre storie e leggende, discerne il vero dal falso, riesce a cogliere i significati manifesti e quelli nascosti attraverso l’esame critico delle fonti letterarie e dei riscontri archeologici, ricostruendo così un irripetibile, straordinario patrimonio di miti. E per il lettore, anche grazie alle immagini che arricchiscono il volume, sarà un viaggio appassionante nel mondo sacro degli antichi, dove il credibile e l’incredibile convivevano in sorprendente e ordinaria comunione.
Al museo Archeologico nazionale di Firenze (dopo il rinvio primaverile per il Covid-19) aperta la mostra “Tesori dalle terre d’Etruria. La collezione dei conti Passerini, Patrizi di Firenze e Cortona”: per la prima volta riunita dopo 150 anni la collezione con quasi 300 opere

Ben 293 reperti, fra i quali spiccano vasi ateniesi di grande qualità, alcuni con iconografie rarissime, e uno dei più antichi e più importanti vasi etruschi dell’intera produzione a figure rosse, un grande vaso per mescolare l’acqua e il vino utilizzato nei simposi dell’aristocrazia etrusca dell’Ager Clusinus, il territorio dell’antica Chiusi. E poi 18 ricordi e cimeli di Napoleone Passerini, tra cui persino la sua pipa personale, gentilmente concessi in prestito dai pronipoti. Ecco finalmente visitabile nel salone del Nicchio al museo Archeologico nazionale di Firenze la mostra “Tesori dalle terre d’Etruria. La collezione dei conti Passerini, Patrizi di Firenze e Cortona”, già programmata per la tarda primavera e rimandata a causa dell’emergenza sanitaria, a cura di Mario Iozzo, direttore del museo Archeologico nazionale di Firenze e da Maria Rosaria Luberto, archeologa della Scuola Archeologica Italiana di Atene, con il coordinamento generale di Stefano Casciu, direttore regionale dei Musei della Toscana. Il catalogo scientifico, edito da Sillabe, è a cura di Mario Iozzo e Maria Rosaria Luberto.

Dal 29 ottobre 2020 al 30 giugno 2021, per la prima volta dopo 150 anni viene esposta al pubblico, interamente riunita nei suoi nuclei principali, la collezione archeologica che fu del conte Napoleone Passerini (1862-1951) e della sua famiglia, in gran parte conservata nei magazzini del museo Archeologico di Firenze, ora completata da 82 pezzi prevalentemente etruschi e greci, consegnati da una generosa donatrice nel 2016 al Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale di Firenze. Grandi pannelli iconografici presentano i capolavori che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento lasciarono la collezione e raggiunsero il Metropolitan Museum of Art di New York, l’allora Walters Art Gallery di Baltimora, il Museum of Fine Arts di Boston, il Bible Lands Museum di Gerusalemme, la collezione Silver di Los Angeles, inclusi alcuni pregevoli vasi che molto probabilmente transitarono dalla collezione Passerini prima di finire all’estero, fornendo così un quadro completo dell’insieme degli oggetti raccolti dal Passerini.

Il conte cortonese Nicola Passerini (foto Maf)
“Napoleone Passerini, il conte cortonese figlio del facoltoso Pietro Passerini da Cortona”, ricordano gli archeologi del Maf, “oltre ad essere agronomo di chiara fama, fondatore e proprietario dell’Istituto Agrario di Scandicci, e aver selezionato la razza Chianina nelle sue fattorie in Val di Chiana, fu appassionato collezionista e fin dall’adolescenza radunò la straordinaria raccolta, in parte ereditata dal padre, promuovendo scavi e acquistando capolavori. I primi reperti provengono da una trentina di tombe etrusche con splendidi corredi, rinvenute nei suoi vasti possedimenti di Bettolle (Sinalunga) e Scandicci, e da una grande necropoli di 60 tombe della collina di Foiano della Chiana. Già nel 1877 la sua collezione annoverava almeno 400 vasi, senza contare ossi, avori, ferri, paste vitree, una ingente quantità di oggetti domestici e funerari in bronzo, suppellettili di ogni genere, vasi da dispensa e da commercio, orci da miele e vasi per derrate solide e liquide, molti dei quali con iscrizioni che contribuiscono in modo sostanziale ad accrescere le conoscenze sul lessico della lingua etrusca. Inoltre, il valore della collezione è straordinario perché proviene da un preciso e ben definito contesto territoriale e culturale, quello della Val di Chiana, da sempre cerniera fra i territori di Chiusi, Siena e Arezzo, del quale documenta aspetti di vita e cultura tra VII e I secolo a.C., in particolare quelli espressione dell’aristocrazia di Chiusi”.
Giornate europee del Patrimonio 2020. Apertura straordinaria con visite guidate al museo Archeologico nazionale di Firenze: “Reinterpretare il Passato”

Tavoletta scrittoria in avorio, Marsiliana d’Albegna, Circolo degli Avori, decenni centrali del VII secolo a.C. (foto Maf)
n occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2020, dal tema “Imparare per la vita”, il museo Archeologico nazionale di Firenze ha deciso di aprire le proprie porte per scoprire insieme al pubblico come gli antichi possano essere per noi grandi maestri di architettura, di scrittura e di vita. “Reinterpretare il Passato” sarà il fulcro di tutte le visite guidate proposte in questa giornata. Il percorso si articolerà attraverso le sale soffermandosi sulle testimonianze dirette, ma anche su quelle che per le loro particolari caratteristiche possono insegnarci molto sulle abitudini dei nostri antenati. Una serie di visite guidate rivolte a piccoli gruppi, brevi e diversificate, permetteranno a tutto il pubblico di godere del museo e delle sue opere nel pieno rispetto della normativa vigente per l’emergenza Covid-19. Orario: domenica 27 settembre 2020 apertura straordinaria dalle 9 alle 13 (con biglietto normale). Visite guidate al giardino, con le ricostruzioni dei monumenti etruschi e la rivisitazione “etrusca” della struttura del giardino stesso (Michele Recanatini). Segni e parole del passato sui monumenti del Museo: Iscrizioni greche e latine “parlanti “ (Mario Iozzo); Iscrizioni etrusche “parlanti” (Claudia Noferi).
Tesori italiani all’estero. Dal museo Archeologico nazionale di Firenze la kylix attica di Chachrylion vola in prestito per 4 anni al Met di New York. Il direttore Iozzo: rappresenta Eros in una forma primordiale, forza dell’armonia del cosmo, da cui scaturisce la creazione

La kylix di Chachrylion in vetrina al museo Archeologico nazionale di Firenze: per quattro anni, fino al 2023, sarà esposta al Met di New York (foto Maf)
La kylix di Chachrylion con l’Eros alato è volato dal museo Archeologico nazionale di Firenze al Metropolitan Museum of Art di New York dove rimarrà quattro anni. La preziosa coppa corallina con la raffigurazione di Eros, firmata dal vasaio ateniese Chachrylion, datata al 510 a.C. e proveniente da Orvieto, ha attraversato l’oceano per essere esposta al Met. Il prestito, concesso per ben 4 anni, rientra nel quadro dell’Accordo Internazionale Italia-USA firmato nel 2006, in base al quale gli USA hanno restituito molte opere d’arte antica e moderna illecitamente uscite dall’Italia, mentre il nostro Paese concede prestiti a lungo termine e favorisce mostre importanti con opere che generalmente sarebbero difficilmente concesse. La coppa resterà a New York da ottobre 2019 a ottobre 2023; in occasione del trasferimento il direttore del museo Mario Iozzo ha tenuto una conferenza per illustrare l’importanza del vaso e i vari aspetti che lo rendono così raro e speciale. Al suo posto, nel museo fiorentino, è stata collocata un’analoga coppa, della medesima importanza, custodita da decenni nei magazzini, con una singolare raffigurazione di Efesto (dio del fuoco e dei lavori artigianali, quindi anche dei vasai stessi e dei pittori che lo raffiguravano), assiso su un singolare trono alato, probabilmente forgiato da lui stesso, dio dei metalli e delle tecniche di fusione! Esiste solo un’altra raffigurazione simile, su una coppa attica a figure rosse della stessa epoca, oggi esposta nel museo di Berlino.
All’esterno della coppa – spiegano gli archeologi del Maf – si trovano le imprese di Teseo, mentre l’interno è dipinto con vernice corallina e decorato da una figura centrale isolata, nel tondo: Eros alato che sembra sospeso nel vuoto. Il dio, rappresentato in questo periodo come un giovane nudo (e non, ancora, con l’immagine del puttino che ci è tanto familiare), è ritratto con una prospettiva piuttosto contorta, con il torso di prospetto, le gambe di profilo e le ali una dietro l’altra. Fluttua in aria, mentre regge un fiore di loto, simbolo di bellezza, desiderio e fertilità. Questa pittura vascolare è ritenuta una delle più antiche raffigurazioni sulla ceramica attica di Eros senza Afrodite, e sembra rientrare in un filone iconografico del dio sviluppatosi proprio a partire dagli ultimi decenni del VI secolo, probabilmente in relazione alla creazione di culti ufficiali in suo onore ad Atene.
È un dio strano, Eros – continuano gli esperti del Maf -: non è annoverato tra gli dei dell’Olimpo da Omero, ma sarebbe, secondo le più antiche cosmogonie, la forza creatrice primigenia a cui si deve addirittura l’origine della stirpe divina; secondo Esiodo alla sua potenza sarebbero da ricondurre l’origine del Buio e della Notte, che a loro volta generano il Vento, la Luce del giorno e tutta la progenie di Urano e Gea. Secondo Platone l’etimologia del nome Eros lo qualificherebbe come “colui che scorre dentro” e altrove il filosofo si riferisce a lui come a un daimon, cioè una figura intermedia tra gli uomini e gli dei. Secondo le dottrine orfiche, che vivono nel VI secolo un periodo di particolare favore ad Atene, Eros sarebbe nato da un uovo d’argento. Alla sua schiusa, il giovane dio avrebbe svelato il contenuto dell’uovo, le due metà primordiali della Terra e del Cielo, che spinti dall’Amore avrebbero procreato tutti i loro discendenti.
L’ipotesi del direttore del MAF Mario Iozzo è che si tratti proprio di questa versione di Eros quella che troviamo rappresentata sulla coppa fiorentina: “Non vediamo dove stia volando Eros, che sembra fluttuare tra terra e cielo, e il disegno nasconde un interessante dettaglio: i genitali del dio non ci sono, mentre in tutte le altre figure maschili che volano, nell’arte greca, si vedono sempre! E se questa omissione fosse voluta? Non potrebbe trattarsi di un riferimento alla natura androgina ed ermafrodita del dio? Nei Poemi Orfici si dice infatti che i suoi genitali fossero “posti dietro, verso l’ano”, e quindi non erano visibili di profilo, proprio come è nella nostra coppa. Questo Eros sarebbe dunque colui che garantisce, con la sua forza catalizzatrice e la spinta alla coesione, l’armonia del cosmo, da cui scaturisce la creazione; la forza inarrestabile da cui scaturisce la vita”.
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