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“Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma”: lo studio pubblicato su Science. Le ricerche del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, descrivono l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna

Su Science pubblicato lo studio del Dna antico che ricostruisce 12mila anni di migrazioni verso Roma (foto Muciv)

Duemila anni fa, le strade di Roma brulicavano di persone provenienti da tutto il mondo antico. Le rotte commerciali dell’impero si estendevano dal Nord Africa all’Asia e nuovi immigrati si riversavano ogni giorno, sia per scelta che per forza. Ora, un antico studio sul DNA ha mostrato che connessioni lontane sono state scritte nei genomi dei romani. Inizia così l’articolo di Lizzie Wade pubblicato sul numero di Science “Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma” del 7 novembre 2019 sulla ricostruzione genetico-storica, cui hanno partecipato anche i ricercatori del Servizio di Bioarcheologia del museo delle Civiltà di Roma-Eur, come spiega la Newsletter del Muciv: migrazioni, diversità e inclusività hanno infatti caratterizzato la millenaria storia di Roma e del suo territorio circostante. Lo studio è stato condotto da un team internazionale composto da genetisti, bioinformatici, antropologi, archeologi e storici, coordinato da ricercatori dell’università di Stanford, dell’università di Vienna e della Sapienza Università di Roma. I dati del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, hanno permesso di descrivere l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti – degli antichi Romani e degli abitanti delle regioni italiane limitrofe – nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna. Si è ottenuto un quadro che racconta il divenire della Città Eterna da una nuova prospettiva, confermando ma soprattutto arricchendo quanto avevamo appreso dalle fonti, dagli archivi e dalle ricerche archeologiche.

Una sequenza di Dna

I risultati dall’analisi dei campioni più antichi concordano con quanto già osservato in molte altre regioni europee: circa 8000 anni fa l’area, già popolata da cacciatori-raccoglitori, si arricchisce della presenza di agricoltori di origine mediorientale; successivamente, tra 5mila e 3mila anni fa, vede l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina. Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il Dna “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall’Europa centrale e settentrionale.

Alfredo Coppa, professore di Antropologia Fisica della Sapienza Università di Roma

Ron Pinhasi, professore di Antropologia Evolutiva all’università di Vienna

“L’analisi del Dna ha rivelato che, mentre l’Impero Romano si espandeva nel mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. “Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo”, aggiunge Ron Pinhasi, professore di Antropologia Evolutiva all’università di Vienna e uno dei senior authors insieme a Jonathan Pritchard, professore di Genetica e Biologia all’università di Stanford e ad Alfredo Coppa, professore di Antropologia Fisica della Sapienza Università di Roma. “Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell’antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica”, dichiara Alfredo Coppa. “Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del museo sull’Antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa” aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del museo delle Civiltà di Roma.

Jonathan Pritchard, professore di Genetica e Biologia all’università di Stanford

Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il Dna antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. “I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione”. “I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo”, afferma Ron Pinhasi. “Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati “, aggiunge Alfredo Coppa. “Ora è il tempo di affrontare nuovi studi che guardino entro l’Impero Romano all’interazione di gruppi di diversa estrazione sociale, includendo non solo i movimenti di specifici popolazioni da regioni diverse ma anche la mobilità sociale sia nelle provincie sia al centro”, dice Ron Pinhasi. “E, inoltre, a meglio comprendere le relazioni con i popoli pre-romani dell’Italia”, conclude Coppa.

“Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta”: Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti con le esperienze di 34 archeologi italiani spiegano com’è l’archeologia oggi e come può diventare un lavoro. Grande festa e incontro al museo Pigorini di Roma

La copertina del libro di Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti "Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta"

La copertina del libro di Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti “Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta”

Chi è l’archeologo? Cosa fa l’archeologo? Bella domanda. Nell’immaginario collettivo la prima risposta che viene è il professore che scava tesori, decifra testi misteriosi, evita trappole mortali, duella con mummie: in una parola, Indiana Jones. Oppure lo vede chiuso nelle aule polverose di una biblioteca a studiare fonti lontane nei secoli e poi in giro per il mondo a scavare o imbalsamato tra le vetrine di un noioso museo. Niente di tutto questo. La realtà è ben diversa e certo meno avventurosa e poetica: da una parte i (pochi) che sono riusciti a trovare un posto nella pubblica amministrazione (università, soprintendenze, musei), dall’altra una schiera di volontari-freelance-collaboratori, in una parola: disoccupati o, al massimo, inoccupati. Ma si può cambiare una situazione che ai “giovani-che-amano-l’archeologia” non sembra dare un futuro? Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti ne sono convinti. E lo hanno scritto. Anzi hanno scritto un libro che è un vero manuale del giovane archeologo, ricco di esperienze e consigli, idee e progetti, difficoltà ed errori da evitare. Ecco dunque “Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta” (Cisalpino Edizioni), da consigliare – prima ancora che ai giovani che sognano di fare l’archeologo – alle università perché inseriscano nei corsi di laurea anche degli insegnamenti che allarghino gli orizzonti e le applicazioni lavorative dell’archeologia.

La giornalista Cinzia Dal Maso, co-autrice di "Archeostorie"

La giornalista Cinzia Dal Maso, co-autrice di “Archeostorie”

“L’archeologo del XXI secolo non vive più di solo studio e scavo”, spiegano gli autori. “Oggi la moderna ricerca impone di affiancare al lavoro in cantiere e ai libri in biblioteca modi sempre nuovi di indagare, comunicare e gestire l’antico. Bastano un po’ di fantasia, versatilità e intraprendenza per dar vita oggi, da archeologo, alle attività più disparate”. Come hanno fatto i professionisti che si raccontano in Archeostorie: sono 34 professionisti che – sotto l’attenta regia della giornalista Cinzia Dal Maso e dell’archeologo Francesco Ripanti – narrano ciascuno la propria esperienza “di frontiera” e riflettono sul significato del proprio lavoro nel mondo d’oggi. Sono persone che hanno dato vita a un’archeologia forse un po’ “indie e underground” – come l’ha definita Giuliano De Felice nella conclusione – ma sicuramente viva, pragmatica e ricca di energia. Ancorata nel presente e per nulla immersa solo nel passato. Esperienze di archeologia vissuta, di un’archeologia che con molto impegno e un po’ di fantasia può diventare veramente un lavoro. Così nel manuale di Cinzia e Francesco troviamo chi cura un museo e chi gestisce un’area archeologica, chi narra il passato ai bambini e chi lo “fa vedere” ai ciechi, chi usa nel racconto le tecnologie e i linguaggi più diversi e persino i videogame; c’è poi chi ricostruisce l’antico in 3D e chi lo sperimenta dal vivo, chi organizza i dati di scavo e chi li rende disponibili per tutti; c’è chi scrive sui giornali e chi parla di archeologia alla radio o in tivù, chi realizza documentari e chi racconta l’archeologia sui social network; c’è ancora chi punta sul marketing e chi sul crowdfunding, chi fa dell’archeologia un’esperienza per tutti e chi difende le bellezze da furti e scempi. C’è anche chi studia e scava, e nel libro racconta la vita vera di studio e scavo al di là dei miti e dei sogni.

Comunicare l'archeologia attraverso i disegni come fa Francesca Giannetti

Comunicare l’archeologia attraverso i disegni come fa Francesca Giannetti

C’è entusiasmo ed energia nelle esperienze degli autori, tutti archeologi che hanno voluto ostinatamente fare della loro passione una professione, pur vivendo in un mondo che vanifica le aspirazioni dei più. Ma questa loro “ostinazione” è così contagiosa che sta già diventando un movimento. Pronti a trovarsi con quanti condividono passione e convinzioni al punto da organizzare una festa: la festa di Archeostorie. “Abbiamo deciso di farci conoscere raccontando in modo concreto le nostre storie ed esperienze. Per spiegare a tutti cosa fanno ogni giorno gli archeologi veri, al di là dei miti e dei sogni, e quanto il loro lavoro serva alla società tutta. Per far capire agli studenti di archeologia che non sono per forza destinati alla disoccupazione. E stimolare i loro professori a indirizzare gli studenti verso questi mestieri, così da formare professionisti e non disoccupati”.

La locandina-invito della grande festa di Archeostorie al museo Pigorini di Roma

La locandina-invito della grande festa di Archeostorie al museo Pigorini di Roma

L’appuntamento della grande festa è venerdì 10 aprile alle 17 al museo preistorico etnografico Pigorini di Roma, in sala conferenze: sono invitati tutti gli archeologi a unirsi e raccontare anche loro la propria storia. A mostrare che i possibili mestieri degli archeologi sono molti, e non sono affatto immersi nel passato ma concretamente radicati nel nostro mondo. Alla festa, insieme a Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti che presenteranno il loro libro “Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta”, parteciperanno Salvo Barrano, Luca Bondioli, Stefano De Caro, Adele Lagi, Massimo Vidale, Enrico Zanini, e gli autori Marta Coccoluto, Cinzia Dal Maso, Giuliano De Felice, Astrid D’Eredità, Antonia Falcone, Alessandro Fichera, Francesco Ghizzani Marcia, Marina Lo Blundo, Carolina Megale, Valentino Nizzo, Anna Paterlini, Luca Peyronel, Francesco Ripanti, Paola Romi, Lidia Vignola. Sarà proiettato in prima assoluta un video di animazione di Giuliano De Felice.

Comunicare l'archeologia attraverso il cinema come fa il laboratorio dello Iulm di Milano

Comunicare l’archeologia attraverso il cinema come fa il laboratorio dello Iulm di Milano

C’è un filo rosso che lega le diverse e variegate esperienze: la voglia, la necessità, la convinzione che studiare archeologia, lavorare in archeologia, significa comunicare, narrare, raccontare storie, che alla fine vuol dire raccontare l’uomo che c’è dietro ogni oggetto, reperto, traccia, segno che la ricerca, lo scavo, la conservazione, la tutela, la valorizzazione riporta alla nostra attenzione. Se facciamo un passo indietro qualcosa del genere l’aveva indicato già quarant’anni fa Sabatino Moscati col suo “Le pietre parlano”. Forse era troppo avanti. Ma oggi? I protagonisti di Archeostorie, scrive Giuliano De Felice, “dimostrano con il proprio lavoro quotidiano che il destino dell’archeologo non è necessariamente una scelta drammatica tra l’illusione della ricerca e l’umiliazione della ruspa. Le loro archeostorie riescono a farci ritrovare fiducia nel futuro di questa disciplina, più di ogni pur auspicabile riforma della formazione, della ricerca o della tutela. Cinzia e Francesco hanno infatti avuto la straordinaria intuizione – e la altrettanto straordinaria caparbietà – di trasformare qualcosa di tangibile e di concreto quel moto spontaneo e disordinato che già esiste nei social network, nei blog, nei canali YouTube, ma che risulta invisibile, se non addirittura inviso, all’accademia, all’amministrazione pubblica, alla politica. Non possiamo certo sapere oggi – conclude – quale sarà l’archeologia di domani, ma di una cosa siamo sicuri: indipendentemente da quanto sarà in grado di maturare, crescere e cambiare, dovrà prima di tutto riuscire a trasformare le proprie competenze e i propri sogni in esperienze di tutti. Come? Adesso lo abbiamo capito: imparando a raccontarsi”.