Taranto. Per i “Mercoledì del MArTA”, appuntamento on line con Flavia Frisone, dell’università del Salento, sulla storia del colosso di Eracle: “Un eroe per la Magna Grecia. Eracle, Taranto e la politica dell’immagine”

Storia del colosso di Eracle e di una identità da ritrovare: è il tema affrontato il 31 marzo 2021 per l’ultimo appuntamento di marzo dei “Mercoledì del MArTa”. Alle 18, sul canale YouTube e sulla pagina Facebook del museo Archeologico nazionale di Taranto la prof.ssa Flavia Frisone, dell’università del Salento, introdotta dalla direttrice del museo Archeologico nazionale di Taranto, Eva Degl’Innocenti, parlerà di “Un eroe per la Magna Grecia. Eracle, Taranto e la politica dell’immagine”. “La conferenza”, anticipa la direttrice Eva Degl’Innocenti, “permetterà di mettere in luce i processi socio-culturali e geo-politici della costruzione identitaria della città di Taranto in diverse fasi della sua storia”.


La prof.ssa Flavia Frisone dell’università del Salento
I leoni di San Marco a Venezia, il Colosseo a Roma, o l’Arena a Verona, ma anche la statua della libertà a New York e l’Opera House di Sidney. Da sempre le città vengono riconosciute soprattutto grazie ai simboli iconici espressi attraverso la statuaria o l’architettura. Accadde anche a Taranto, che – va ricordato – tra IV e III sec. a.C. è stata la capitale culturale del Mediterraneo occidentale: ebbene, nel IV a.C. i tarantini commissionarono proprio ad uno dei più grandi maestri di arte statuaria, Lisippo, la grande statua in bronzo di Eracle, alta circa 5 metri e posizionata sull’acropoli. L’Eracle bronzeo fu per tanto tempo il simbolo di una città che seppe raggiungere splendore e potenza, fino alla definitiva conquista da parte dei Romani con il generale Quinto Fabio Massimo: con la caduta sotto i Romani, Taranto fu spogliata anche di numerosi monumenti e ricchezze. Fu proprio in quegli anni che la statua dell’eroe, simbolo e immagine della potenza tarantina, finì per adornare l’area del Campidoglio, prima di arrivare con le crociate a Costantinopoli ed essere rifusa. “Seguiremo le testimonianze di quella che costituisce una vera e propria costruzione identitaria della città in diverse fasi della sua storia”, spiega Flavia Frisone, “per divenire, attraverso culti, nomi, immagini, una precisa strategia comunicativa e diplomatica che accompagnò l’affermazione di Taranto come città egemone dell’Italia meridionale greca e non greca. Il tema è solo apparentemente erudito e “antiquario” – conclude –. Esso pur parlandoci della specificità di linguaggio delle relazioni politiche e diplomatiche antiche, rivela la modernità di alcuni percorsi storici o, forse, il cuore antico di quelli che oggi chiamiamo processi di globalizzazione”.
Giornata mondiale per le persone con disabilità. Il museo Archeologico nazionale di Napoli posta sui canali social podcast audio sull’Ermes a riposo e foto-racconto sui percorsi tattili nella Collezione Magna Grecia

Giovedì social nel segno dell’inclusione al museo Archeologico nazionale di Napoli per la Giornata mondiale per le persone con disabilità. L’accessibilità al patrimonio culturale è ancor più una priorità nei giorni di chiusura dei Musei a causa dell’emergenza Coronavirus: per questo, la Giornata Mondiale per le persone con disabilità, il 3 dicembre 2020, assume un particolare significato. Sulle piattaforme Facebook ed Instagram del Mann saranno condivisi post, che rappresenteranno non soltanto una sintesi di quanto fatto sinora, ma anche una proiezione verso le iniziative da realizzare in futuro.

Si parte alle 9 del 3 dicembre 2020 con un podcast audio, destinato, in primis, alle persone cieche ed ipovedenti: l’iniziativa è frutto della collaborazione tra i Servizi Educativi del Mann e la rete “Campania tra le mani”, coordinata dal Servizio di Ateneo per Attività di studenti con Disabilità (SAAD) dell’università Suor Orsola Benincasa di Napoli. La narrazione si concentra sulla collezione della Villa dei Papiri: tra i celebri capolavori del Museo è stata selezionata, per il primo e breve podcast, la celebre scultura dell’Ermes a riposo; l’opera, ritrovata ad Ercolano, è ritenuta una copia romana di un originale greco (IV sec. a.C.) attribuito a Lisippo.

In prospettiva, saranno previsti approfondimenti sui reperti della Napoli antica e sulle opere rappresentative delle collezioni museali. Per rendere i contenuti fruibili da tutti, il testo – disponibile on-line – è stato curato in collaborazione con l’associazione FIADDA onlus Campania (Famiglie Italiane Associate in difesa dei diritti degli Audiolesi), mentre l’audio è stato realizzato dal Centro Nazionale del Libro Parlato “F. Fratta” dell’Unione Italiana Ciechi e ipovedenti ha realizzato l’audio; immagini di Luigi Spina e Giorgio Albano arricchiranno il contenuto multimediale. Durante la giornata sarà postato anche un foto-racconto dei percorsi tattili realizzati nella Collezione Magna Grecia del Mann, progettata proprio per essere accessibile a tutti i visitatori; infine, condivise online anche le video-guide in LIS, incluse nel progetto “Conoscere per crescere”.
Poste Italiane dedica un francobollo alla scultura di Lisippo che lo Stato Italiano sta cercando di riportare in Italia dalla California, dove è esposta, e la cita come Atleta di Fano e non come Getty’s Bronze

L’Atleta di Fano, cui Poste Italiane dedicano un francobollo, è oggi esposto al Getty Museum di Los Angeles in California
Quasi un assist alla battaglia legale per farlo tornare a casa. Poste Italiane venerdì 25 novembre 2016 rendono omaggio con un francobollo alla statua dell’Atleta vittorioso dello scultore greco Lisippo, ripescata al largo di Fano nel 1964, oggi esposta al Paul Getty Museum in California e al centro di un contenzioso per la restituzione all’Italia. Il 25 novembre infatti le Poste emettono sei nuovi francobolli, tra cui, appunto, uno dedicato alla famosa scultura lisippea. L’Atleta di Fano o Atleta vittorioso o Atleta che si incorona o Lisippo di Fano, è conosciuto negli Stati Uniti anche come Victorious Youth (Giovane vittorioso) o Getty’s Bronze: la scultura bronzea, datata tra il IV e il II secolo a.C., è stata attribuita, su base esclusivamente stilistica, allo scultore greco Lisippo o ad un suo allievo. Nel francobollo di Poste Italiane la statua viene indicata come “l’Atleta di Fano” e non con la dizione di “Getty’s bronze” con la quale è indicata nel museo di Malibù, dove è esposta. “Un motivo di grande soddisfazione”, per il sindaco di Fano Massimo Seri, “perché l’emissione sancisce ufficialmente due punti importantissimi: il nome della statua e la sua appartenenza al patrimonio artistico e culturale italiano”. Secondo Seri, l’attestazione “dell’appartenenza al Patrimonio artistico e culturale italiano” offre forse ulteriori elementi alla battaglia legale che vede impegnato lo Stato Italiano nel contenzioso internazionale con il museo americano (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/05/28/latleta-di-lisippo-a-firenze-non-e-in-mostra-a-potere-e-pathos-ma-solo-sul-catalogo-il-capolavoro-e-rimasto-a-los-angeles-resta-aperta-la-vertenza-con-lo-stato-italiano-per-la-su/) . Il sindaco ha ringraziato il professor Alberto Berardi che con l’associazione Le Cento Città ha dato l’avvio al processo per la confisca del Lisippo. Dal 25 novembre al 4 dicembre 2016 a Palazzo Bracci Pagani a Fano si può visitare una mostra con l’annullo filatelico.
Palermo. Il museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas”, con le ricche collezioni di arte punica e greca, è stato riaperto al pubblico dopo un lungo restauro. Oltre duemila reperti, molti mai esposti prima
#eccomidinuovo è l’hashtag che ha accompagnato tutto l’evento tanto atteso: la riapertura del museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo. Il taglio del nastro ufficiale mercoledì 27 luglio 2016 alle 19 alla presenza dell’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio, il dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana Gaetano Pennino e la direttrice del museo Francesca Spatafora. Dopo i consistenti lavori di restauro dell’intero complesso monumentale e un rinnovato progetto espositivo, in attesa di completare il nuovo allestimento, si è deciso comunque di condividere con la comunità un primo importante traguardo, l’apertura cioè di una parte rilevante del museo che comprende oltre 2000 opere restaurate, alcune delle quali mai esposte al pubblico. “La riapertura al pubblico del museo Archeologico Antonino Salinas”, ha commentato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, “è un importante tassello di quel percorso per cui Palermo offre sempre più attività e luoghi di cultura, facendone strumenti per lo sviluppo sociale ed economico della città. Un importante risultato che, sono certo, contribuirà ad arricchire ulteriormente l’offerta culturale per i palermitani e i turisti che affollano il centro”.
Il museo Salinas di Palermo è il più antico e prestigioso museo della Sicilia, con una delle più ricche collezioni d’arte punica e greca d’Italia, nonché testimonianze di gran parte della storia siciliana. Il museo, dedicato ad Antonio Salinas, celebre archeologo e numismatico palermitano, è ospitato nella Casa dei Padri della Congregazione di San Filippo Neri, parte del complesso monumentale dell’Olivella, che comprende anche la chiesa di San Ignazio e l’attiguo Oratorio, confiscato alla congregazione nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi. Per andare incontro alle esigenze museali l’edificio venne completamente stravolto dalla sua forma originaria. E da allora ad oggi di interventi ne ha subito parecchi. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti degli alleati, ma fortunatamente le collezioni erano già state messe al sicuro nel monastero di San Martino delle Scale dall’allora direttrice del museo, Jole Bovio Marconi che nel 1949 si occupò del riallestimento museale con il recupero architettonico curato dall’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat. L’ultimo restauro e riammodernamento del museo è dei giorni nostri, intervento che ha costretto il Salinas alla chiusura tra il 2009 e il 2015. Ma ora finalmente i tesori in esso conservati sono di nuovo ammirabili dai visitatori.
Si va dagli interessanti reperti rinvenuti durante gli scavi subacquei (ancore di pietra, ceppi di piombo, lucerne, anfore ed iscrizioni) alla ricca sezione fenicio-punica con i sarcofagi dalla necropoli di Pizzo Cannita (Misilmeri) alle testimonianze da Mozia, Lilibeo e Monte Porcara (Bagheria). Grande interesse pure per le sale dedicate all’area archeologica di Selinunte, con la ricomposizione del frontone orientale con Gorgone del Tempio C, numerose metope con rilievi mitologici (Templi C ed E), sculture d’età arcaica e classica, la Tavola Selinuntina che celebra la ricchezza della città, le stele gemine del santuario di Zeus Meilichios. E poi ci sono oggetti e sculture provenienti da Solunto, Megara Hyblaea, Tindari, Camarina ed Agrigento, tra cui il grande ariete di bronzo del III secolo a.C. proveniente da Siracusa, l’Eracle che abbatte la cerva, copia romana da un originale di Lisippo, ed infine una copia romana in marmo del Satiro versante di Prassitele. L’epoca romana è, invece, documentata da una collezione di sculture e da mosaici staccati dalle ville di piazza Vittoria a Palermo, nei cui pressi era certamente collocato il foro della città romana.
Dopo otto anni di mostre in giro per il mondo, torna a casa al museo nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma il Pugilatore, o Pugile a riposo, scultura in bronzo capolavoro dell’arte greca
Otto anni di viaggi ed esposizioni per il mondo, ma ora è finalmente tornato a casa. Definitivamente. Il Pugilatore, capolavoro assoluto dell’arte greca, è di nuovo nella sua sede di Palazzo Massimo a Roma dopo essere stato nel 2008 a Berlino, nel 2013 a New York e a Francoforte, e nel 2015 a Firenze (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/03/13/mostra-kolossal-a-firenze-potere-e-pathos-bronzi-del-mondo-ellenistico-capolavori-per-la-prima-volta-insieme-poi-andranno-a-los-angeles-e-washington/) e Los Angeles, star della mostra “Power and Pathos: Bronze Sculpture of the Hellenistic World” al Getty Museum dove è stata visitata da oltre 170mila persone. Ad accoglierlo nella sala del museo nazionale Romano, il soprintendente Francesco Prosperetti, il direttore del museo Rita Paris e il pugile Nino Benvenuti (campione olimpico e campione mondiale dei pesi medi) il quale, dopo essersi inginocchiato di fronte a quello che è uno dei rarissimi bronzi dell’antichità pervenutici, si è detto ”estasiato ed emozionato”. Durante la delicata fase di sballaggio ecco emergere per primo il volto, l’espressione stupita e interrogante, che lo ha reso famoso nel mondo, poi dalla cassa che lo ha protetto nel viaggio di ritorno da Los Angeles esce anche il corpo possente liberato dalle imbracature usate per tenerlo fermo. I tecnici della società Montenovi (addetta al movimentazione del capolavoro) abilmente rimuovono i piani di legno che hanno tenuto bloccato il bronzo ellenistico durante gli spostamenti, seguiti attraverso sensori capaci di riportare continuamente ai restauratori della soprintendenza i dati delle condizioni microclimatiche o delle inclinazioni eventuali della cassa. Del resto, a proteggerlo ulteriormente, nei tre mesi di esposizione al Getty Museum, c’era una base antisismica, mentre anche lì venivano rispettate tutte le procedure di salvaguardia. Un capolavoro comunque in buone condizioni, restaurato da Olimpia Colicicchi negli anni ’80 e sottoposto a un intervento di manutenzione nel 2005. L’attrazione della statua, spiegato Prosperetti, “deriva non solo dalla sua bellezza, ma da quest’aura di mistero che lo circonda. Il mistero che avvolge i Bronzi di Riace è stato sempre un motivo di grandissimo interesse per il pubblico. Questo non è successo per il Pugilatore, ma le circostanze del ritrovamento e la mancanza di notizie ne fanno veramente un mistero”.
La statua bronzea del Pugile in riposo, conosciuta anche come Pugile delle Terme o Pugile del Quirinale, scultura greca alta 128 cm, datata alla seconda metà del IV secolo a.C. e attribuita a Lisippo o alla sua immediata cerchia, fu rinvenuta nel 1885 a Roma alle pendici del Quirinale nell’area del convento di San Silvestro, insieme al cosiddetto Principe ellenistico, altro bronzo però non faceva parte dello stesso gruppo, probabilmente sculture che abbellivano le Terme di Costantino. L’opera, realizzata con la tecnica della fusione a cera persa e con il metodo indiretto, è un insieme di otto segmenti. Le labbra, le ferite e le cicatrici del volto erano fuse separatamente in una lega più scura o in rame massiccio. Separatamente erano fuse anche le dita centrali dei piedi (un aspetto tecnico già riscontrato nei bronzi di Riace) per permettere una più accurata modellazione degli spazi interdigitali. Lo stesso si dica per la calotta cranica che doveva permettere l’inserimento degli occhi policromi dall’interno.
La scultura rappresenta un pugile seduto, colto probabilmente in un momento di riposo dopo un incontro; le mani sono protette dai cesti (dal latino: caestus), grossi e complessi guantoni introdotti nella pratica pugilistica dal IV secolo a.C.: le quattro dita sono infilate in un pesante anello costituito da tre fasce di cuoio tenute insieme da borchie metalliche. “La forze di quest’opera”, spiegano gli storici dell’arte antica, “sta nel contrasto fra la quiete e il contenimento geometrico espressi dalle braccia appoggiate sulle gambe, e l’improvviso scatto della testa che si volta verso destra aprendo all’estetica lisippea del kairos”. Gli inserti in rame, sulla spalla destra, sull’avambraccio, sui guanti e sulla coscia, rappresentano gocce di sangue colate dalle ferite nell’atto del volgersi della testa.
Il corpo è muscoloso, reso con un trattamento non dissimile da quello riscontrabile nell’Eracle a riposo della versione Pitti-Farnese (Ercole Farnese); il viso, di cui si notano la cura della barba e della pettinatura, è di un uomo maturo e presenta i segni del tempo e dei numerosi incontri passati. Le tumefazioni sulle orecchie, in particolare, anche oggi riscontrabili negli atleti dediti alla lotta greco-romana o al Judo senza pregiudicarne le funzioni uditive, rimarcando le innumerevoli lotte passate sembrano indicare in una sordità traumatica la ragione di quel volgersi repentino e teso della testa, in contrasto con la spossatezza del corpo contribuendo all’impatto realistico dell’opera. Alcune estremità della statua si presentano leggermente più lucide a causa dello sfregamento di antichi ammiratori, ciò dimostra quanto l’opera fosse tenuta in considerazione. L’enfasi sulle ferite da combattimento ha portato a identificare il pugile con quel Mys di Taranto che vinse per la prima volta nel 336 a Olimpia al termine di una carriera coronata da sconfitte.
“Giocare in termini di comunicazione sulla grande attrattiva proposta da pezzi di questa importanza”, prosegue il soprintendente Prosperetti, “è fondamentale in una prospettiva in cui i beni culturali devono diventare la molla di un rinnovamento di questa città”. Più in generale, riferendosi al museo nazionale Romano di Palazzo Massimo, Prosperetti sottolinea che “merita un ripensamento perché lo straordinario valore dei pezzi che sono stati portati qui dentro merita un ambiente più al passo con i tempi. Stiamo studiando un progetto, ne parleremo quando sarà pronto”.
L’Atleta di Lisippo a Firenze non è in mostra a “Potere e Pathos” ma solo sul catalogo: il capolavoro è rimasto a Los Angeles. Resta aperta la vertenza con lo Stato Italiano per la sua restituzione dopo la confisca. L’ass. Cento Città chiede al ministero di interrompere la collaborazione con il Paul Getty Museum
Chi pensava di andare a Palazzo Strozzi a Firenze alla mostra “Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico” per ammirare l’Atleta di Lisippo, evitandosi una più impegnativa “trasferta” al Paul Getty Museum di Los Angeles dove il famoso bronzo del IV secolo è attualmente conservato, è rimasto deluso. Il capolavoro non c’è. L’opera attribuita a Lisippo, al centro di un’aspra contesa tra Italia e Usa approdata di recente anche in Corte Costituzionale, è nel catalogo della mostra ma non è esposto: l’Atleta vittorioso non è mai arrivato nelle sale dell’esposizione. E il fatto risulta ancora più sconcertante se si tiene presente che tra gli ideatori e promotori della mostra, aperta fino al 21 giugno 2015 a Palazzo Strozzi a Firenze, c’è proprio il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, che ha operato insieme alla National Gallery of Art di Washington e alla soprintendenza per l’Archeologia della Toscana, portando in riva all’Arno eccezionali esempi di statue bronzee che raccontano gli sviluppi artistici dell’età ellenistica (IV-I secolo a.C.). È proprio in questo periodo che, in tutto il bacino del Mediterraneo e oltre, si affermano nuove forme espressive le quali, insieme a un grande sviluppo delle tecniche, rappresentano la prima forma di globalizzazione di linguaggi artistici del mondo allora conosciuto. “L’utilizzo del bronzo”, spiegano gli organizzatori, “grazie alle sue qualità specifiche, permise di raggiungere livelli inediti di dinamismo nelle statue a figura intera e di naturalismo nei ritratti, in cui l’espressione psicologica divenne un marchio stilistico.

Un sopralluogo delle autorità marchigiane al Paul Getty Museum di Malibu di Los Angeles dove è conservato l’Atleta di Lisippo
Probabilmente la “mancata” concessione dell’Atleta di Lisippo (che a Los Angeles chiamano “Bronzo Getty”, facendo imbufalire i marchigiani che non riconoscono agli americani la proprietà dell’Atleta di Fano) è legata alla annosa querelle giudiziaria che è ancora aperta. “Il Getty museum di Malibù deve restituire all’Italia la statua dell”Atleta vittorioso attribuita a Lisippo, uno dei capolavori dell’arte classica acquisito nel 1977 dal trust americano” (per l’astronomica cifra di quasi 4 milioni di dollari), aveva chiesto, nella sua requisitoria innanzi alla Terza sezione penale della Cassazione, il sostituto procuratore generale Francesco Salzano ancora nel maggio 2014. In pratica il procuratore generale aveva chiesto il rigetto del ricorso di Clark Stephen, il curatore del Getty che si oppone all’ordinanza di confisca della statua emessa dal gip di Pesaro il 3 maggio 2012. La vicenda era stata trattata solo in camera di consiglio – a porte chiuse, come tutti i casi di confisca – con le conclusioni scritte dell’Avvocatura dello Stato che il 2 maggio, nell’interesse del Ministero dei Beni culturali, aveva presentato memorie di replica alle obiezioni difensive del Getty. Ma proprio questa “procedura a porte chiuse” a sorpresa ha convinto la Cassazione nel giugno 2014 a “passare la palla” alla Corte Costituzionale, allontanando così ancora i termini della chiusura della vertenza. Il “grande valore artistico e archeologico” della statua di Lisippo, e il fatto che la magistratura e l’Avvocatura dello Stato “sostengono” che il capolavoro fa parte “del patrimonio indisponibile dello Stato”, aveva sottolineato la Cassazione nella sua ordinanza, “avrebbe meritato che il procedimento di confisca, a carico del museo Getty che custodisce il capolavoro, fosse trattato in pubblica udienza e non a porte chiuse come è invece avvenuto nonostante ciò sia imposto dalle norme del codice di procedura penale. E per questa ragione ha inviato gli atti sulla confisca dell’Atleta vittorioso alla Corte Costituzionale che – ad oggi, un anno dopo – non ha ancora deciso sulla sua legittimità.
Non è un caso che poche settimane fa, di fronte a questo impasse, l’associazione culturale marchigiana “Le Cento Città” abbia invitato il ministero per i Beni e le attività culturali “a sospendere ogni collaborazione culturale con il Trust Getty sino alla restituzione alla città di Fano della statua dell’Atleta Vittorioso di Lisippo, e a intervenire presso la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, dove è in corso la mostra “Potere e pathos”, per il ritiro di tutte le raffigurazioni della statua accompagnate dalla dizione Bronzo Getty”. Non solo, le Cento Città, che ha fatto riaprire il procedimento legale sull’esportazione illecita della statua negli Usa, chiede che il Mibac dia mandato all’Avvocatura dello Stato perché “persegua in ogni sede l’utilizzo di tale dizione per la presentazione della statua”. “La statua non appartiene per il diritto italiano al Trust J Paul Getty, ma il J. Paul Getty Trust continua a pubblicizzarla come Bronzo Getty. E da ultimo, ha pubblicato la fotografia della statua nel catalogo della mostra “Potere e Pathos bronzi del mondo ellenistico” organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi con questa didascalia”.
L’associazione Cento Città ricorda che il bronzo attribuito a Lisippo, e ripescato negli anni Sessanta del XX secolo al largo di Fano, è stato oggetto di tre procedimenti penali innanzi alla magistratura di Pesaro conclusisi con la sua confisca a favore del patrimonio culturale italiano. Fino alla Corte di Cassazione che ha sollevato una questione di costituzionalità relativamente alla procedura seguita dai giudici pesaresi per non aver consentito la presenza della stampa alle udienze di trattazione e discussione del caso. Ma le Cento Città sottolineano che “la stampa ha avuto modo di intervistare tutti i protagonisti del processo e l’opinione pubblica è stata ampiamente informata anche dalla stampa estera circa le tesi sostenute dal Trust J. Paul Getty. La presenza in aula dei giornalisti al processo, non contrastata né dal Pubblico Ministero né dal ministero dei Beni culturali e dalla associazione Cento Città, non era necessaria e, comunque sarebbe stata di danno ulteriore alla immagine del Trust coinvolto nel traffico clandestino di beni archeologici nei suoi direttori di settore, come accertato dalla magistratura romana in via definitiva. Ciò nonostante, il Mibac continua a mantenere rapporti di collaborazione con il J. Paul Getty Trust assolutamente non paritetici”. Ma, conclude l’associazione, “non si fa cultura con i furti, soprattutto quando sono definitivamente accertati. Auspichiamo che il J Paul Getty Trust dia finalmente prova di un ravvedimento operoso scrollandosi di dosso comportamenti che hanno offeso la cultura e la stessa legge americana”.
Il bronzo, datato tra il IV e il II secolo a.C., attribuito, su base esclusivamente stilistica, allo scultore greco Lisippo o a un suo allievo, fu ripescato casualmente al largo di Fano, da un peschereccio italiano e, dopo vari passaggi di mano, fu acquistato dal Getty Museum di Malibu nel 1977. L’ipotesi più accreditata è che in antichità la statua sia naufragata nel medio Adriatico insieme alla nave che la stava trasportando dalla Grecia verso la penisola italiana, e probabilmente puntava al porto di Ancona. Le dimensioni della statua (151,5 cm) erano proporzionate al vero. Il giovane atleta è rappresentato on nudità eroica. La statua si presenta con la base mancante sino all’altezza delle caviglie, forse i piedi si sono staccati nel momento in cui la statua si è impigliata nella rete del peschereccio che ne ha effettuato il recupero, ma non è escluso che la rottura sia da ricondurre in età antica al momento del naufragio della nave che trasportava l’opera verso occidente. Gli occhi, mancanti, furono probabilmente realizzati separatamente in pietra colorata o pasta vitrea e inseriti a fusione ultimata, mentre i capezzoli sono in rame. Mentre il braccio sinistro si distende lungo il fianco, il braccio destro è alzato, con il gomito all’altezza della spalla e la mano all’altezza della fronte. Questo gesto è stato interpretato come l’atto, appena compiuto, di incoronarsi con la corona del vincitore, apparentemente quella in olivo selvatico usata per i vincitori a Olimpia. I capelli corti sono raggruppati in ciocche fluenti e ondulate che si dipartono uniformemente verso destra e sinistra a partire dall’altezza dell’occhio sinistro. La struttura rigorosamente geometrica dell’opera, riscontrabile nell’anatomia del corpo e del viso, rimanda ad ambiente peloponnesiaco e sicionio in particolare. L’impostazione antitetica delle due metà del corpo conduce a Lisippo e alla sua scuola.
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