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Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani

Il recupero del dodicesimo rostro dalle acque antistante Levanzo appartenuto a una nave coinvolta nella battaglia delle Egadi del 241 a.C.

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi del 241 a.C.

E 12! Se ancora ci fossero stati dubbi sull’ubicazione della battaglia delle Egadi, combattuta nel 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che concluse a favore dei romani la lunga ed estenuante Prima Guerra Punica iniziata nel 264 a.C., ora dovrebbero essere fugati definitivamente. A tredici anni di distanza dal sequestro del primo rostro, che avviò le ricerche subacquee sistematiche, è stato recuperato a 80 metri di profondità, nei fondali a nord – ovest dell’isola di Levanzo, il dodicesimo rostro in bronzo della battaglia delle Egadi, cioè proprio dove da anni Sebastiano Tusa, responsabile della soprintendenza del Mare, ritiene si sia combattuto lo scontro finale. Questa importante scoperta conferma dunque la veridicità dell’ipotesi e aggiunge un tassello importante al patrimonio culturale della Sicilia. Il suo recupero è stato possibile ancora una volta grazie alla fruttuosa collaborazione che la soprintendenza del Mare ha intrapreso con la statunitense RPM Nautical Foundation guidata da George Robb e la direzione scientifica archeologica di Jeff Royal. Per la soprintendenza del Mare la ricerca è diretta da Sebastiano Tusa con la collaborazione di Stefano Zangara. Le ricerche sono state condotte con l’ausilio della nave oceanografica Hercules a posizionamento dinamico (DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica di ultima generazione.

Il dodicesimo rostro in bronzo a 80 metri di profondità nel mare di Levanzo (foto Luca Palezza)

Ma non è tutto. Perché questo dodicesimo rostro ha una particolarità eccezionale: il reperto, tra i 12 finora identificati, ha ancora la parte lignea della prua della nave incastrato al suo interno: Il reperto presenta la novità, tra i 12 finora identificati, ha la parte lignea della prua della nave all’interno: si notano le parti finali della chiglia, del dritto di prua, delle due cinte laterali e della trave di speronamento. La sua estrazione e il conseguente studio darà preziose informazioni sulla tecnologia navale adoperata per costruire le navi da guerra in quel periodo. Proprio il soprintendente Tusa, qualche anno fa, dava una spiegazione alla mancanza di ritrovamenti di reperti lignei: “L’assenza di legno è dovuta quasi certamente al fatto che le navi perdute in battaglia erano quelle adibite al combattimento. Erano, pertanto, prive di pesante carico che generalmente con il suo peso copre e fa sprofondare lentamente lo scafo al di sotto del sedimento del fondo marino preservandolo dall’aggressione della Teredo Navalis. Il legno è, pertanto, scomparso lasciando sul fondo le ceramiche usate dall’equipaggio, i chiodi e quegli elementi inorganici che facevano parte delle imbarcazioni affondate. Emerge, in tal modo, un vasto areale ove si raggruppano numerose concentrazioni di oggetti che offrono la percezione di numerose navi affondate costituendo l’ulteriore prova dell’identificazione esatta del luogo dello scontro”.

La sede logistica del team che partecipa alle ricerche archeologiche subacquee alle isole Egadi (foto Salvo Emma)

La svolta nel 2004. “Dapprima vi fu la consegna spontanea da parte di un pescatore”, ricorda Tusa, “di un elmo in bronzo del tipo Montefortino in uso proprio in quella battaglia da parte dei militi romani. Egli affermò di averlo trovato nello spazio di mare a poche miglia a Nord-Ovest di Levanzo. Poi venne l’elemento decisivo per darci la convinzione che la nostra ipotesi era esatta e che, pertanto, avrebbe avuto ottime possibilità di essere provata da auspicate ricerche. Fu la “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri. Chi lo deteneva ed era in procinto (su sua dichiarazione) di consegnarlo agli organi di tutela, ci diede la conferma che il luogo di rinvenimento era a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo. Fu una “scoperta” eccezionale poiché oltre al valore storico-topografico legato all’evento bellico, il primo rostro delle Egadi era il secondo in assoluto rinvenuto fino ad allora seguendo quello di Athlit rinvenuto nelle acque israeliane qualche decennio prima”.

Lo studio del regime dei venti nella battaglia delle Egadi (vedi https://libreriainternazionaleilmare.blogspot.it/2015/11/egadi-241-ac-il-vento-cambio-il-corso.html)

Uno dei rostri in bronzo recuperati e già restaurato

Le scoperte archeologiche consentono di ricostruire la dinamica della battaglia con notevole accuratezza anche grazie agli studi sul regime del vento che dovette caratterizzare quel fatidico giorno. Così la sintetizza Tusa: “Annone all’alba del 10 marzo del 241 a.C., invogliato da una leggera brezza da Sud che andava girando da Ovest, diede l’ordine di salpare da Marettimo poiché pensava che con il vento in poppa avrebbe raggiunto rapidamente la costa siciliana eludendo i rigidi pattugliamenti romani della costa tra Drepanum e Lilibeo. Evidentemente Lutazio Catulo, l’astuto ammiraglio romano, intuì la mossa del nemico e pose tutta o parte della sua flotta al riparo dell’alta mole di Capo Grosso. Quando la flotta cartaginese si andava avvicinando diede l’ordine di salpare mollando cime ed ancore e scaraventando la sua forza d’urto e di sorpresa sul nemico. Lo scontro avvenne a circa miglia 4 ad Ovest / Nord-Ovest di Capo Grosso di Levanzo. Lo scompiglio nelle file nemiche dovette essere terribile sicché, anche in virtù del cambiamento del vento che già nel pomeriggio iniziò a spirare da Nord- Nord-Est ed Est, impossibilitato a proseguire e con il vento nuovamente in poppa per una salvifica ritirata verso il suo Paese, Annone diede l’ordine di far vela verso Cartagine. Svanirono per sempre le speranze cartaginesi di risolvere il conflitto a proprio favore. Amilcare, privo di rifornimenti, dovette capitolare cedendo la Sicilia ai Romani. La dinamica del vento che nel pomeriggio gira da Nord giustifica il rinvenimento della ben nota “nave punica di Marsala” sulle sponde dell’Isola Longa (qualche miglio a Sud del teatro del conflitto) giustamente identificata da Honor Frost come pertinente quella battaglia”. La battaglia delle Egadi fu di epocale valore per il destino del Mediterraneo ed oltre nei secoli a venire. “Nell’ambito dei 118 anni di guerra che videro lo scontro titanico tra due grandi potenze dell’antichità”, conclude Tusa, “questo fu uno dei momenti più importanti che ebbe un peso non indifferente per la vittoria finale del 146 a.C. dei romani, non foss’altro che perché tolse ai cartaginesi il controllo strategico della Sicilia. Ma, soprattutto, perché, come ci dice espressamente Polibio, il più attento osservatore, seppur di parte, del conflitto, i romani dopo il 10 marzo del 241 acquisirono la legittimità e l’autorevolezza di grande potenza mediterranea e di potenza navale intraprendendo con l’abilità che seppero sviluppare nei secoli seguenti la ben nota fisionomia di potenza imperialista anche se il vero e proprio impero nascerà dopo altre due secoli”.

Sicilia. “Mater Gea: i culti femminili del Mediterraneo da Iside e Afrodite”. Si chiude ad Agrigento, dopo Brolo, nel Messinese, la mostra itinerante dal Tirreno allo Stretto alla Valle dei Templi con i due capolavori del museo archeologico di Marsala: Venere Callipigia e Iside. Polemiche sul loro spostamento

La Venere Callipigia di Marsala, copia romana del II sec. d.C., uno dei reperti più famosi del museo di Marsala

La Venere Callipigia di Marsala, copia romana del II sec. d.C., uno dei reperti più famosi del museo di Marsala

Luigi Biondo, neo direttore del Polo museale di Trapani-Marsala

Luigi Biondo, neo direttore del Polo museale di Trapani-Marsala

Marsala-Brolo-Agrigento: da Capo Lilibeo alla Valle dei Templi passando per lo Stretto, un viaggio che non è solo un “coast to coast” siciliano dal Tirreno allo Ionio fino al Mediterraneo, ma anche un viaggio nel tempo alla ricerca dei miti fondanti della nostra cultura, il mito della Grande Madre, di una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie, che rappresenta la terra, la fertilità, il femminile come mediatore tra l’umano e il divino. Nasce così “Splendida Sicilia Solidale – MATER GEA i culti femminili del Mediterraneo da Iside ad Afrodite”, una mostra itinerante che dal 12 agosto 2016 (e fino alla fine del mese) affronta l’ultima tappa, ad Agrigento, appunto, presentando la Venere Callipigia e l’Iside, due gioielli conservati nel museo archeologico Baglio Anselmi di Marsala, che oggi più propriamente dovremmo chiamare museo Lilibeo di Marsala, che somma in sé il Baglio Anselmi con l’annesso parco archeologico, alla cui guida è stato chiamato Luigi Biondo, nuovo direttore del Polo Museale che comprende anche il museo Pepoli di Trapani. Proprio Biondo, che a Marsala è coadiuvato da Annamaria Parrinello, ha dovuto affrontare non poche polemiche all’annuncio dello spostamento delle due statue dal museo di Marsala, attualmente parzialmente chiuso. Ci sono in corso infatti dei lavori di restauro e di ammodernamento su progetto dell’architetto Nuzzo. Il direttore dei lavori è Enrico Caruso, l’ex direttore del Baglio Anselmi che ha lasciato il posto a Biondo per andare a dirigere il parco archeologico di Selinunte. I lavori finiranno in autunno. “Sarà un museo europeo, moderno, fruibile per tutti”, assicura Biondo, che si è battuto anche per il mantenimento della nave punica al Lilibeo “perché a Marsala – diversamente da Trapani – c’è un progetto, una programmazione”.

La sala del museo archeologico Baglio Anselmi di Marsala che ospita la nave punica

La sala del museo archeologico Baglio Anselmi di Marsala che ospita la nave punica

La Venere Callipigia imballata pronta per affrontare il tour

La Venere Callipigia imballata pronta per affrontare il tour

Ma che Venere e Iside si mettessero in viaggio proprio non è andato giù ad Antonella Milazzo , parlamentare regionale del Pd. “Svuotare il museo Archeologico Baglio Anselmi di due delle sue opere più prestigiose è una decisione illogica, che penalizza la città di Marsala e la priva di una fonte di attrazione turistica proprio nel periodo estivo”, sentenzia. “Oltretutto si tratta di un tour rischioso per opere fragilissime, come la statua di Iside e la Venere Callipigia, che rappresentano il fiore all’occhiello per il museo marsalese nel mezzo di una importante ristrutturazione che lo vede parzialmente fruibile. Evidentemente l’assessore Vermiglio conosce poco Marsala e le ricadute negative che questa scelta avrebbe per la città: pare invece che nel suo assessorato conoscano molto bene la città di Brolo, al punto da decidere un prestito di opere che appare incoerente e penalizzante verso un museo che, anzi, avrebbe bisogno di essere supportato in questa fase di rilancio”. Ma per il neo-direttore questo tour è importante proprio per la valorizzazione del patrimonio del Baglio Anselmi: “A Brolo è stato organizzato un evento internazionale legato all’archeologia. Per questo abbiamo esposto le statue di Iside e della Venere Callipigia. È una cosa importante: è la prima volta che la Sicilia si accorge di Marsala, ed è un primo passo per dimostrare che qui c’è un polo di livello”. E conclude: “Mi piacerebbe fare rete con le altre realtà”, pensando ad esempio alla possibilità di organizzare visite sotterranee a Marsala, negli ipogei di corso Gramsci.

Il suggestivo allestimento a Brolo per l'esposizione della Venere Callipigia e di Iside da Marsala (foto Maurizio Forzano)

Il suggestivo allestimento a Brolo per l’esposizione della Venere Callipigia e di Iside da Marsala (foto Maurizio Forzano)

Il manifesto della mostra "Splendida Sicilia Solidale. Mater Gea"

Il manifesto della mostra “Splendida Sicilia Solidale. Mater Gea”

E così Venere Callipigia e Iside sono partite prima alla volta di Brolo, nel Messinese, dove (dal 30 luglio al 7 agosto 2016) sono state collocate al centro della sala espositiva multimediale Rita Atria, appositamente allestita, e poi di Agrigento, dove il 12 agosto, alle 18, nella Casa Barbadoro, nella splendida Valle dei Templi, un baglio recentemente restaurato come aula polifunzionale per allestimenti museali, immerso nella campagna akragantina tra mandorli e ulivi. L’esposizione delle due statue di Iside e Venere Callipigia, dedicata ai culti femminili del Mediterraneo, sfrutta una nuova formula che sperimenta le tecnologie innovative applicate ai Beni Culturali e consente ai visitatori di conoscere le fasi di rinvenimento dei reperti, con immagini, descrizioni e musiche suggestive, in un contesto espositivo di efficace semplicità ed eleganza. Un contenitore di arte, cultura per promuovere e diffondere i beni artistici del nostro immenso patrimonio rendendoli fruibili e itineranti. La mostra, di particolare effetto per la fascinosa bellezza promanata dai due reperti, racconta la storia della Sicilia antica. “L’esposizione”, sottolinea il soprintendente del Mare, Sebastiano Tusa, curatore della mostra, “è dedicata alle testimonianze archeologiche sulla spiritualità femminile del Mediterraneo attraverso immagini in forma scultorea di divinità potenti provenienti dai musei siciliani corrispondenti alle sedi di culto di fondamentale importanza nel mondo antico: il museo Lilibeo di Marsala (che ospita le statue marmoree di Venere Callipigia e di Iside), città collegata con l’antico santuario di Erice e con il mare”. “Figure umane reali – spiegano gli studiosi -, divenute statue armoniche che raffigurano il culto di Iside, delle grandi Dee Madri, che insegnano alle donne mediterranee, in un intersecarsi di religioni, culti, momenti storici che diventano millenni, l’arte della progenie, del matriarcato, del femmineo, del potere. Figure che poi divennero regine, sacerdotesse, artigiane, membre anziane del clan – la società era di carattere egualitario e più tardi nell’epoca medievale tutto ciò sarà simboleggiato nel vaso femminile. Un potere, quindi, non terreno ma spirituale che si estrinseca non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore, nella giustizia”.

14 gennaio 2005: negli scavi di capo Boeo viene trovata la statua di Venere Callipigia

14 gennaio 2005: negli scavi di capo Boeo viene trovata la statua di Venere Callipigia

La statua di iside trovata nel 2008 (Foto Maurizio Forzano)

La statua di iside trovata nel 2008 (Foto Maurizio Forzano)

La Venere Callipigia è stata ritrovata il 14 gennaio 2005, durante i lavori di scavo archeologico nell’area di pertinenza della chiesa di San Giovanni Battista a Capo Boeo di Marsala, eseguito dalla soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Trapani. La statua è copia romana del II secolo d.C. di un originale greco la cui tipologia di Venere Pudica si fa risalire a Prassitele e incarna l’ideale umano della dea della bellezza e della forza rigeneratrice dell’amore attraverso i gesti quotidiani del bagno. Scolpita in marmo bianco di probabile provenienza greca, è acefala e mutila della metà del braccio destro, che copriva pudicamente il seno, di più della metà del braccio sinistro, che reggeva il mantello (l’himation), di metà circa della gamba destra e di parte della gamba sinistra. La statua di Iside, identificata grazie alla posizione della mano posata sul petto, sempre di produzione romana, è stata ritrovata a Marsala l’estate di tre anni dopo (2008), durante i lavori di realizzazione del parco archeologico di Lilibeo, nelle fasi di scavo attigue alla Villa Romana. Rappresenta a grandezza naturale l’antichissima divinità di origine egizia, adottata in età imperiale nel Pantheon romano, anch’essa acefala e in marmo bianco. Iside, oltre ad assumere la prerogativa di protettrice dei naviganti, anche nella religiosità popolare romana fu introdotta a Roma attraverso i sovrani greci dell’Egitto, i Tolomei in epoca tardo ellenistica, conoscendo subito una ampia diffusione. “Due statue senza sguardo”, concludono gli organizzatori, “che aprono nuove visioni sullo sviluppo del turismo culturale in Sicilia”.

Palermo. Il museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas”, con le ricche collezioni di arte punica e greca, è stato riaperto al pubblico dopo un lungo restauro. Oltre duemila reperti, molti mai esposti prima

Il manifesto per la riapertura del museo Archeologico nazionale "Antonino Salinas" di Palermo

Il manifesto per la riapertura del museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo

#eccomidinuovo è l’hashtag che ha accompagnato tutto l’evento tanto atteso: la riapertura del museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo. Il taglio del nastro ufficiale mercoledì 27 luglio 2016 alle 19 alla presenza dell’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio, il dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana Gaetano Pennino e la direttrice del museo Francesca Spatafora. Dopo i consistenti lavori di restauro dell’intero complesso monumentale e un rinnovato progetto espositivo, in attesa di completare il nuovo allestimento, si è deciso comunque di condividere con la comunità un primo importante traguardo, l’apertura cioè di una parte rilevante del museo che comprende oltre 2000 opere restaurate, alcune delle quali mai esposte al pubblico. “La riapertura al pubblico del museo Archeologico Antonino Salinas”, ha commentato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, “è un importante tassello di quel percorso per cui Palermo offre sempre più attività e luoghi di cultura, facendone strumenti per lo sviluppo sociale ed economico della città. Un importante risultato che, sono certo, contribuirà ad arricchire ulteriormente l’offerta culturale per i palermitani e i turisti che affollano il centro”.

Il chiostro del complesso dell'Olivella della Congregazione di San Filippo Neri, sede del museo

Il chiostro del complesso dell’Olivella della Congregazione di San Filippo Neri, sede del museo

Il museo Salinas di Palermo è il più antico e prestigioso museo della Sicilia, con una delle più ricche collezioni d’arte punica e greca d’Italia, nonché testimonianze di gran parte della storia siciliana. Il museo, dedicato ad Antonio Salinas, celebre archeologo e numismatico palermitano, è ospitato nella Casa dei Padri della Congregazione di San Filippo Neri, parte del complesso monumentale dell’Olivella, che comprende anche la chiesa di San Ignazio e l’attiguo Oratorio, confiscato alla congregazione nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi. Per andare incontro alle esigenze museali l’edificio venne completamente stravolto dalla sua forma originaria. E da allora ad oggi di interventi ne ha subito parecchi. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti degli alleati, ma fortunatamente le collezioni erano già state messe al sicuro nel monastero di San Martino delle Scale dall’allora direttrice del museo, Jole Bovio Marconi che nel 1949 si occupò del riallestimento museale con il recupero architettonico curato dall’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat. L’ultimo restauro e riammodernamento del museo è dei giorni nostri, intervento che ha costretto il Salinas alla chiusura tra il 2009 e il 2015. Ma ora finalmente i tesori in esso conservati sono di nuovo ammirabili dai visitatori.

Ritornano le visite al museo Archeologico nazionale "Antonino Salinas" di Palermo

Ritornano le visite al museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo

Si va dagli interessanti reperti rinvenuti durante gli scavi subacquei (ancore di pietra, ceppi di piombo, lucerne, anfore ed iscrizioni) alla ricca sezione fenicio-punica con i sarcofagi dalla necropoli di Pizzo Cannita (Misilmeri) alle testimonianze da Mozia, Lilibeo e Monte Porcara (Bagheria). Grande interesse pure per le sale dedicate all’area archeologica di Selinunte, con la ricomposizione del frontone orientale con Gorgone del Tempio C, numerose metope con rilievi mitologici (Templi C ed E), sculture d’età arcaica e classica, la Tavola Selinuntina che celebra la ricchezza della città, le stele gemine del santuario di Zeus Meilichios. E poi ci sono oggetti e sculture provenienti da Solunto, Megara Hyblaea, Tindari, Camarina ed Agrigento, tra cui il grande ariete di bronzo del III secolo a.C. proveniente da Siracusa, l’Eracle che abbatte la cerva, copia romana da un originale di Lisippo, ed infine una copia romana in marmo del Satiro versante di Prassitele. L’epoca romana è, invece, documentata da una collezione di sculture e da mosaici staccati dalle ville di piazza Vittoria a Palermo, nei cui pressi era certamente collocato il foro della città romana.

Angela Di Stefano, l’archeologa che amava la Sicilia e le testimonianze fenicio-puniche: oggi la ricorda il Pigorini di Roma

Il museo archeologico nazionale "Antonino Salinas" già diretto da Angela Di Stefano

Il museo archeologico nazionale “Antonino Salinas” già diretto da Angela Di Stefano

La sua scomparsa nel 2012 aveva sorpreso tutti, giunta inaspettata ancora nel pieno della sua attività – anche da pensionata – di ricerca e tutela del patrimonio archeologico della Sicilia. Carmela Angela Di Stefano, ricorda Maurizio Vento, tra i suoi più stretti collaboratori, “ha lasciato una traccia indelebile nelle ricerche, negli scavi e negli studi archeologici (specialmente di archeologia fenicio-punica) per la vastissima preparazione che ne caratterizzava la nobile figura professionale, distintasi fin dagli inizi della carriera per l’amore e la passione manifestata con coerente dedizione e responsabile rigore”.

Carmela Angela Di Stefano

Carmela Angela Di Stefano

A un anno e mezzo dalla scomparsa, all’età di 74 anni, oggi sabato 14 dicembre alle 10.30 il museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini di Roma le dedica una giornata in ricordo di Angela di Stefano con introduzione di Maria Antonietta Rizzo (Università di Macerata), e interventi: “Dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene alla Soprintendenza Archeologica di Palermo” di Elena Lattanzi (già Soprintendente Archeologo della Calabria), “Palermo: ricerche archeologiche in territorio urbano” di Francesca Spatafora (Direttore del Museo Archeologico Regionale di Palermo), “Ricordi di una studiosa amica” di Dieter Mertens (Istituto Archeologico Germanico), “Lina Di Stefano, studiosa e amica” di Michel Gras (Direttore di ricerca al CNRS), “Il volto sereno dell’archeologia” di Piero Pruneti (Direttore della rivista Archeologia Viva). Nell’occasione verrà presentato il volume “Il castello a mare di Palermo” a cura di Lina di  Stefano e Giuseppe Lo Iacono da parte di Giuseppe Lo Iacono (già Soprintendente per i Beni Culturali e ambienti di Enna e Caltanissetta). Chiuderà la giornata un “ricordo della sorella” con Gianna Di Stefano Pucci.

Il volume Lilibeo Punica scritto da Angela Di Stefano

Il volume Lilibeo Punica scritto da Carmela Angela Di Stefano

Laureata a Palermo in Lettere classiche e successivamente formata alla scuola di Achille Adriani e di Ranuccio Bianchi Bandinelli con un ciclo di studi orientato verso il mondo della Grecia classica ed ellenistica, Angela Di Stefano modificò presto l’originario percorso occupandosi degli insediamenti della Sicilia punica, avviando la sua attività di ricerca a Marsala accanto ad Anna Maria Bisi. Quando quest’ultima, alla fine degli anni Settanta, si trasferì in altra sede per dedicarsi all’insegnamento universitario, Carmela Angela Di Stefano entrò per concorso come ispettore della soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale e quindi come soprintendente aggiunto accanto a Vincenzo Tusa, che ne deteneva la titolarità. Dopo la nuova articolazione provinciale delle soprintendenze in Sicilia, divenne soprintendente a Palermo reggendo simultaneamente in qualità di direttore il museo archeologico regionale “Antonino Salinas”, quindi venne assegnata quale soprintendente a Trapani, dove rimase fino al collocamento in pensione.

La nave punica di Marsala nel museo archeologico nazionale Baglio Anselmi

La nave punica di Marsala nel museo archeologico nazionale Baglio Anselmi

Carmela Angela Di Stefano è stata un’indiscussa protagonista della ricerca archeologica a Marsala, Mozia, Palermo e Solunto e tuttora rimane la maggiore autorità scientifica nel campo degli studi archeologici sull’antica Lilibeo (Marsala). Ma a lei si devono anche le più importanti attività finalizzate alla demanializzazione dell’area archeologica di Capo Boeo e di altri siti ricadenti nel centro urbano di Marsala; a lei dobbiamo, inoltre e non ultimo, la creazione del Museo archeologico di Marsala, realizzato nel 1986, dove è conservata la nave punica scoperta nello Stagnone di Marsala al largo dell’Isola Grande e recuperata tra il 1971 e il 1974 sotto la direzione dell’archeologa inglese Honor Frost.