Appuntamento con l’Antico Egitto a Trento. Giovedì 23 febbraio 2023, alle 17, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale, presentazione a ingresso libero del libro “Champollion in Egitto. Diario di una spedizione scientifica (1828-1829)” (edizioni Kemet) di Giacomo Cavillier, direttore della Missione archeologica italiana a Luxor e direttore del Centro Champollion di Genova e Il Cairo. . Il volume racconta l’esperienza umana e scientifica vissuta da Jean-François Champollion nella Valle del Nilo nel 1828-1829, durante la cosiddetta Spedizione Franco-Toscana. Questo diario di viaggio costituisce la testimonianza degli aspetti umani ed emozionali dello studioso proiettato per la prima volta in un Egitto regolato da differenti codici culturali ed esistenziali.
La locandina della mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri. 1922-2022” aperta dal 29 ottobre 2022 a Palazzo Zaguri a Venezia
Terza parte della visita guidata live della mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri” a Palazzo Zaguri a Venezia con il curatore prof. Maurizio Damiano. Nella precedente il prof. Damiano ci ha portato per mano a scoprire la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo, descritta nella sezione “il fiume del tempo” (vedi Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 2. parte: il “fiume del tempo”, la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo | archeologiavocidalpassato). In questa puntata il prof. Damiano ci riporta alla fine del Settecento, quando il generale Napoleone Bonaparte intraprese la Campagna d’Egitto che fece riscoprire l’Antico Egitto: fu allora che scoppiò l’Egittomania. E con l’Ottocento iniziarono le spedizioni alla ricerca delle antichità egizie. La visita continua incontrando un piccolo spazio dove sono esposte due preziose rarità: una copia dell’Histoire d’Egypte di Auguste Mariette e un bronzetto della collezione di Sami Gabra, direttore del museo Egizio del Cairo negli anni Venti del Novecento.
“Con la distruzione della Biblioteca di Alessandria l’Antico Egitto è finito”, ricorda Damiano. “L’Egitto viene dimenticato per secoli. Finché arriva Napoleone che – è noto – faceva parte della massoneria, una massoneria illuminata. Non è un caso quindi che nella Campagna d’Egitto porti non solo i suoi soldati ma anche i savant: una commissione di studiosi composta da geologi, botanici, e archeologi. Tra loro c’era Vivant Denon che sarebbe stato il creatore del museo del Louvre. Denon torna con il generale Bonaparte mentre le truppe resteranno in Egitto per un anno finché vengono catturate dagli inglesi. E una volta tornato in patria Denon pubblica un grande volume con i suoi disegni. E questo fece scoppiare l’Egittomania che ancora non è finita”. In questo spazio della mostra c’è una riproduzione della Stele di Rosetta. “E così ricordiamo Champollion”, continua. “Perché il 2022 non è solo il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, ma anche il bicentenario della decifrazione dei geroglifici con la stele di Rosetta”. Sono poi esposti degli oggetti che sono appartenuti agli archeologi che hanno operato in Egitto. “In genere quando si fanno le missioni archeologiche, specie quelle che durano anni”, spiega Damiano, “quando si torna al proprio Paese qualcosa si porta a casa, ma la maggior parte delle cose sono lasciate lì. Queste vengono incamerate dal Governo, e lasciate nei magazzini. Ora il Governo le mette a disposizione per queste esposizioni”. Lì accanto si nota un grammofono che ricorda quello usato da un giovane tenente che ha dormito nella tomba di Tutankhamon dalla sua scoperta per sette anni (a proposito di maledizione: lui è morto a 98 anni!): questo ufficiale, la notte, suonava l’opera italiana a tutto volume che rimbombava nella valle dei Re, e così tenne lontani i predoni, terrorizzati”.
Lasciato l’ultimo piano di Palazzo Zaguri, si incontra un piccolo spazio dove sono esposte – come si diceva – due preziose rarità. La prima riguarda Auguste Mariette, fondatore del museo del Cairo e del servizio delle antichità, e autore, tra l’altro, della storia da cui poi è stato tratto il libretto dell’opera Aida. “Auguste Mariette”, riprende Damiano, “aveva fatto fare il primo volume sul museo del Cairo e la storia d’Egitto. Ne aveva fatte fare solo 600 copie di sua proprietà da donare a certi visitatori, amici particolari”. In mostra ne è esposta una copia dell’Histoire d’Egypte di Auguste Mariette perfettamente conservata. “Se si guarda con attenzione si può leggere una dedica di Mariette a monsieur Gustave Pereire, colui che portò per la prima volta la ferrovia in Egitto. Questo è un pezzo molto raro, già di per sé anche se non ci fosse la dedica di Mariette. Altro pezzo molto raro – continua – è questo bronzetto che rappresenta Bastet-La Gatta che faceva parte della collezione di Sami Gabra, direttore del museo Egizio del Cairo negli anni Venti del Novecento. Lui teneva nel suo ufficio dei bronzetti del museo che avrebbero dovuto stare in magazzino. Ma poiché nelle frequenti visite di re, regine, qualche imperatore succedeva che questi gli chiedessero un souvenir, e poiché era molto imbarazzante dire loro di no, decise di fare dei calchi coi quali si fece fare in bronzo delle repliche perfette. Così alla richiesta “Posso avere…” rispondeva “è un onore maestà” e gli dava la replica. E in questo modo non si toccavano i pezzi originali del museo”.
Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).
L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)
Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.
Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.
La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.
Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.
Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.
Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.
Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.
Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
L’ingresso della saletta al primo piano del museo Egizio di Torino dove è esposto il restaurato Papiro dei Re nel nuovo allestimento (foto graziano tavan)
Ancora pochi giorni, fino al 21 novembre 2022, per scoprire nella sala 9 al primo piano del museo Egizio di Torino il nuovo allestimento temporaneo del Papiro dei Re corredato da strumenti multimediali e infografiche che rivelano la storia e i contenuti del celebre documento. Trecento frammenti, assemblati in quasi 200 anni. È il Papiro dei Re o Canone Regio, restaurato nel 2022 sulla base di un nuovo progetto di ricerca.
Dal 27 settembre 2022, bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, considerato il padre dell’Egittologia, il museo Egizio offre ai visitatori la possibilità di ammirare il Papiro dei Re, che ritorna in esposizione in museo in un nuovo allestimento dopo essere stato sottoposto ad un’opera di ricerca e restauro. Strumenti multimediali e infografiche ne rivelano la storia, gli studi e l’opera di restauro, frutto di una collaborazione tra il museo Egizio, l’università di Copenaghen e l’Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Stattlichen Museen zu Berlin.
La postazione interattiva vi permetterà di visualizzare i diversi frammenti e di conoscere le storie dei protagonisti del papiro. Un video mostra come funziona.
Il Papiro dei Re è l’unico vero elenco, oltre al manoscritto di Manetone, che include i nomi di sovrani altrimenti sconosciuti. Fu acquistato dal console Bernardino Drovetti attorno al 1820, e fu visto e descritto per la prima volta da J.F. Champollion nel 1824. Nell’arco di 200 anni, grazie agli sforzi di diversi studiosi, è stato possibile unire la maggior parte dei circa 300 frammenti. L’ultimo restauro risaliva al 1930 ed era stato condotto da Hugo Ibscher (Berlino) ed Erminia Caudana (Torino), che avevano riposizionato i frammenti fissandoli con sottili strisce di seta.
Myriam Krutzsch (Berlino) al lavoro nel restauro del Papiro dei Re al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
In occasione del 200° anniversario della decifrazione dei geroglifici, il papiro è stato completamente restaurato nel 2022 da Myriam Krutzsch (Berlino). Il progetto di restauro ha seguito la nuova ricostruzione elaborata da Kim Ryholt (Copenaghen), che negli ultimi anni si è dedicato allo studio del papiro. Ha aggiunto più di venti frammenti che non erano inclusi nelle precedenti edizioni e ne ha riorganizzato molti altri che erano stati collocati in posizioni risultate ora erronee. Grazie alla cooperazione fra Torino – Berlino – Copenaghen è ora possibile presentare al pubblico la cosiddetta “Lista dei Re di Torino” restaurata e riordinata, consentendo così nuovi studi del testo.
Il 27 settembre 2022 è una data importante per l’egittologia. Si celebra infatti il bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, considerato il padre dell’Egittologia. Ecco perché il Museo Egizio sarà aperto gratuitamente al pubblico dalle 19 alle 22 con prenotazione online obbligatoria a questo link: INGRESSO – Champollion e la decifrazione dei geroglifici – Museo Egizio (museitorino.it) Card e Abbonamento Musei non sono validi. I visitatori potranno ammirare il Papiro dei Re, che ritorna in esposizione in museo in un nuovo allestimento dopo essere stato sottoposto ad un’opera di ricerca e restauro. Al manoscritto composto da centinaia di frammenti, che Champollion fu tra i primi a studiare, quando giunse a Torino nel 1824, sarà dedicata temporaneamente una nuova saletta del Museo. Strumenti multimediali e infografiche ne riveleranno la storia, gli studi e l’opera di restauro, frutto di una collaborazione tra il Museo Egizio, l’università di Copenaghen e l’Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Stattlichen Museen zu Berlin.
Alle 18 in Sala Conferenze i visitatori potranno incontrare coloro che hanno dato nuova vita al Papiro dei Re, uno dei manoscritti più importanti dell’antico Egitto. Si terrà infatti “History Content and Restoration of the so-called Turin King List”, una conferenza dedicata al progetto scientifico e alle fasi del restauro del Papiro dei Re. La conferenza sarà introdotta dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, seguiranno gli interventi di Susanne Töpfer, responsabile della Collezione Papiri del museo Egizio; Myriam Krutzsch, restauratrice di papiri, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Stattlichen Museen zu Berlin che ha restaurato il manoscritto; e Kim Ryholt, egittologo dell’università di Copenhagen, che ha curato il progetto scientifico del restauro. L’evento è gratuito, la conferenza si terrà in inglese con traduzione simultanea in italiano in cuffia per chi lo desidera. Ingresso su prenotazione: https://www.eventbrite.it/e/418600995847. Il posto verrà riservato fino alle 18. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming in lingua inglese sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo.
Il Papiro dei Re è l’unico vero elenco, oltre al manoscritto di Manetone, che include i nomi di sovrani altrimenti sconosciuti. Fu acquistato dal console B. Drovetti attorno al 1820, e fu visto e descritto per la prima volta da J.F. Champollion nel 1824. Nell’arco di 200 anni, grazie agli sforzi di diversi studiosi, è stato possibile unire la maggior parte dei circa 300 frammenti. L’ultimo restauro risaliva al 1930 ed era stato condotto da H. Ibscher (Berlino) ed E. Caudana (Torino), che avevano riposizionato i frammenti fissandoli con sottili strisce di seta. In occasione del 200° anniversario della decifrazione dei geroglifici, il papiro è stato completamente restaurato nel 2022 da M. Krutzsch (Berlino). Il progetto di restauro ha seguito la nuova ricostruzione elaborata da K. Ryholt (Copenaghen), che negli ultimi anni si è dedicato allo studio del papiro. Ha aggiunto più di venti frammenti che non erano inclusi nelle precedenti edizioni e ne ha riorganizzato molti altri che erano stati collocati in posizioni risultate ora erronee. Grazie alla cooperazione fra Torino – Berlino – Copenaghen è ora possibile presentare al pubblico la cosiddetta “Lista dei Re di Torino” restaurata e riordinata, consentendo così nuovi studi del testo.
Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831
Un tour esclusivo. La sera del 27 settembre 2022 i visitatori potranno sperimentare un percorso di visita dedicato alla scrittura egizia dal titolo “Sulle tracce di Champollion”. Tra stele, papiri, statue, sarcofagi e oggetti di uso comune, sotto la guida di un egittologo i visitatori scopriranno il meccanismo alla base della scrittura geroglifica e proveranno a ricercare nelle iscrizioni nomi e formule ricorrenti. Per l’occasione, saranno ricordati i momenti emblematici dell’avventura della decifrazione dei geroglifici a cura di J.F. Champollion e i visitatori avranno la possibilità di ammirare il Papiro dei Re, restaurato. Per prenotare la visita: Visita fissa Sulle tracce di Champollion – Museo Egizio (museitorino.it).
Il nuovo allestimento per l’esposizione al museo Egizio di Torino del cosiddetto “Papiro erotico-satirico” (foto museo egizio)
Una fase dei delicatissimi restauri del cosiddetto “Papiro erotico-satirico” del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Per la prima volta il “Papiro Erotico-Satirico” viene presentato al museo Egizio di Torino in un sicuro stato di conservazione e in un allestimento totalmente nuovo, che delizierà a lungo i visitatori, grazie all’intervento di CRC Innova in collaborazione con il museo Egizio di Torino. Dopo circa 200 anni di vari trattamenti e considerato il fragile stato di conservazione, il papiro erotico-satirico è stato infatti soggetto di un accurato intervento di pulitura, restauro e consolidamento. Grazie al contributo della Fondazione CRC, il papiro è stato consolidato secondo strategie preventive preservando l’antico aspetto dei frammenti con metodi reversibili. Le macchie di colla con cui i frammenti erano montati sul vetro sono state accuratamente rimosse dal papiro, tutti i frammenti sono stati puliti senza distruggere la superficie, le fibre sono state consolidate e i frammenti sono stati fissati con strisce di carta giapponese rimovibile. Durante il processo è stato possibile anche porre nella giusta collocazione alcuni frammenti che in passato erano stati posizionati in punti errati.
Il Papiro Erotico-Satirico è il “papiro del mese” proposto e descritto nella sezione della Collezione papirologica del museo Egizio. La storia del Papiro “Erotico-Satirico” comincia a Torino, quando i suoi frammenti giungono nel 1824 insieme agli altri oggetti della collezione Bernardino Drovetti. Proprio durante il lavoro su un cumulo di frammenti, Jean-François Champollion nota delle immagini che rinviano a un inatteso senso profano che non si concilia affatto con l’immagine solenne che gli intellettuali dell’epoca attribuiscono alla civiltà faraonica. Champollion non si rende conto che tanto le scene grottesche quanto quelle satiriche appartengono a uno stesso documento. Ciò apparirà chiaro solo grazie ad alcuni studiosi che, proprio negli stessi anni, effettueranno delle copie di quei frammenti proponendo delle ricostruzioni. Tra i primi a eseguire una copia vi è lo spagnolo Louis De Usoz, che tracciò un fac-simile dei disegni su carta trasparente oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Spagna. Il tedesco Gustav Seyffarth, il primo a ipotizzare un collegamento tra la parte erotica e quella satirica, esegue poi un fac-simile e una seconda copia a mano libera meno ricca di dettagli ma con l’aggiunta di colori ad acquerello, oggi conservata al Brooklyn Museum. Un’altra copia di estrema importanza è quella realizzata, tra il 1826 e il 1827, dall’italiano Ippolito Rosellini sul cui modello si basa anche una copia oggi conservata al Louvre, entrambe a colori. Questi prototipi restituiscono dunque informazioni utili sull’aspetto che il papiro aveva circa 200 anni fa, quando venne osservato per la prima volta, evidenziando ciò che il tempo aveva inevitabilmente cancellato. Oggi, grazie agli strumenti che la ricerca scientifica e le scienze della conservazione hanno a disposizione, possiamo raccontare questo straordinario quanto enigmatico papiro.
Particolare della sezione satirica del cosiddetto “Papiro erotico-satirico” del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
La parte satirica. Il papiro è composto da due parti, apparentemente non collegate fra di loro ma entrambe di carattere ironico e satirico. Il manoscritto si legge da destra verso sinistra. La parte destra del papiro raffigura un mondo al contrario in cui gli animali si comportano come esseri umani. Alcuni di essi indossano vestiti, altri suonano strumenti musicali, mentre altri ancora combattono con arco e frecce. I ruoli di predatore e preda sono invertiti: topi e uccelli hanno la meglio sui gatti, mentre le gazzelle fanno prigionieri i leoni con lance e corde.
Particolare della sezione erotica del cosiddetto “Papiro erotico-satirico” del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
La parte erotica. Nella parte sinistra è rappresentata una scena erotica in cui giovani donne, verosimilmente cantanti, stanno avendo rapporti intimi in diverse posizioni con uomini raffigurati con falli sovradimensionati. Mentre le giovani donne sono tutte di bell’aspetto, gli uomini sono calvi e grassi. È importante sottolineare che questo papiro è un documento umoristico e satirico. In Egitto le caricature che mettono in scena animali e soggetti sessualmente espliciti sono sempre state considerate di carattere ironico, così come spesso avviene nelle vignette moderne.
Il cosiddetto “Papiro erotico-satirico” del museo Egizio di Torino sul tavolo dei restauratori (foto museo egizio)
Il restauro. Il papiro, quando giunse a Torino nel 1824, versava già in uno stato frammentario con numerose crepe e danni causati dall’intervento di insetti e localizzati in diversi punti. Per questo motivo, Giulio Cordero di San Quintino commissionò subito un restauro che fu condotto tra il 1825 e il 1827 da Gustav Seyffarth. In tale occasione Jean-François Champollion suggerì di intervenire incollando i frammenti su cartone. Nonostante tale indicazione, Seyffarth decise tuttavia di consolidare i frammenti con piccole e strette strisce di carta. In seguito, nel 1946, il manoscritto fu nuovamente restaurato da Erminia Caudana, che fissò i frammenti su seta, li consolidò e fissò le due parti tra vetri. Dall’analisi effettuata sul papiro sono emerse diverse tracce di ulteriori trattamenti conservativi realizzati nel corso del tempo, tra i quali il pesante rivestimento lucido, costituito da colla animale o gelatina, che copre l’intera superficie. Tale spesso strato di rivestimento ha favorito il processo di degrado dei pigmenti (divenuti acidi marroni) con conseguente perdita della coloritura originaria. Inoltre la colla apposta, particolarmente dura, ha provocato stress alle fibre del papiro rendendo difficoltosa la pulitura dei frammenti. Sono state inoltre individuate numerose strisce di garza, alcune delle quali foderate con uno sottile strato di carta, incollate sul verso per unire i frammenti. Alcune strisce, oggi particolarmente danneggiate, erano state invece incollate al bordo probabilmente per fissare i frammenti su un precedente supporto.
L’ingresso della mostra “Champollion e Torino” al museo Egizio di Torino per il ciclo “Nel laboratorio dello studioso” (foto museo egizio)
La stele dedicata ad Amenhotep I e Ahmose Nefertari della collezione Drovetti esposta nella mostra “Champollion e Torino” (foto museo egizio)
A un mese dal bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, padre dell’egittologia, il museo Egizio di Torino racconta e approfondisce con la mostra “Champollion e Torino” un inedito aspetto della vita dello studioso francese, che nel 1824 giunse a Torino per collaborare all’ordinamento dei reperti della collezione del Museo Egizio, appena fondato. E davanti alla ricca collezione egittologica esclamò la frase divenuta famosa: “La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”. In particolare, Champollion restò estasiato dalla statua di Ramses II, oggi esposta nella Galleria dei Re. Di essa, lo studioso francese disse: “In breve, ne sono innamorato”. La mostra “Champollion e Torino” curata da Beppe Moiso e Tommaso Montonati, curatori del museo Egizio e dell’Archivio Storico fotografico del museo, apre il 26 agosto 2022. L’esposizione fa parte del ciclo “Nel laboratorio dello studioso”, una serie di mostre bimestrali che accompagnano i visitatori dietro le quinte dell’Egizio, alla scoperta dell’attività scientifica, condotta dai curatori ed egittologi del Dipartimento Collezione e Ricerca del museo. La mostra, aperta al pubblico fino al 30 ottobre 2022, è visitabile al primo piano del museo. E il 27 settembre 2022, in occasione del bicentenario della decifrazione dei geroglifici, il museo osserverà un orario di apertura speciale, fino alle 22, con ingresso gratuito a partire dalle 18.30.
L’allestimento della mostra “Champollion e Torino” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831
Champollion, l’uomo che ci ha permesso di comprendere i testi dell’antico Egitto, dai papiri alle iscrizioni, decifrando i geroglifici nel 1822, arriva a Torino il 7 giugno 1824 e da subito si concentra sul riordino e sullo studio dei reperti egizi della collezione di antichità egizie, riunite dal console francese Bernardino Drovetti e giunta a Torino dopo essere stata acquistata da re Carlo Felice di Savoia. Appena giunto in città, Champollion alloggia all’hotel Féder in strada della Zecca 8 (l’attuale via Verdi), si trasferisce poi presso l’amico Ludovico Costa, in via Barra di Ferro (attuale via Bertola). La sua permanenza in città si protrae fino al marzo 1825, mesi durante i quali visita i luoghi di cultura cittadini, studia la collezione del museo e tesse legami con diversi intellettuali torinesi. Anche se non mancheranno le frizioni con Giulio Cordero di San Quintino, conservatore del museo, che si occupa della prima catalogazione della collezione Drovetti, quando ancora è stivata al porto di Livorno.
Appunti autografi di Jean-François Champollion conservati al museo Egizio di Torino ed esposti nella mostra “Champollion e Torino” (foto museo egizio)
All’arrivo di Champollion alcuni dei reperti oggi esposti al museo Egizio erano ancora conservati nelle casse in cui arrivarono a Torino dall’Egitto. Il suo lavoro dapprima si concentra sul riconoscimento dei nomi reali all’interno dei cartigli, riportati sia in geroglifico sia in ieratico. La collezione del museo Egizio per lui fu una folgorazione. In una lettera al fratello scrisse in italiano: “Questo è cosa stupenda” e trascorre le sue giornate torinesi a catalogare, decifrare e a prendere appunti. Pubblicazioni ottocentesche e lettere autografe di Champollion, reperti e statuette sono gli ingredienti principali della mostra che ricostruisce i 9 mesi del padre dell’egittologia nel capoluogo piemontese.
Alcuni frammenti del papiro dei Re o Canone Regio conservato al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Le note della Marcia trionfale risuonano al terzo piano del museo Egizio di Torino, dove sono previste aperture speciali a Pasqua 2022 (ore 9-21), Pasquetta (ore 9-18.30) e 25 aprile 2022 (ore 9-21) . È quello forse uno dei brani più iconici di una delle opere liriche più famose al mondo: Aida. Ambientata nell’antico Egitto, racconta la storia travagliata e piena di passione della giovane principessa etiope Aida, prigioniera degli egizi, e del condottiero Radamès. Amore, passione, fedeltà, tradimento, tragedia, magnificenza si mescolano nel libretto dell’opera verdiana che voleva celebrare la grande storia dell’Antico Egitto. Ma come nasce Aida? cosa si nasconde dietro quest’opera eterna? Fino al 5 giugno 2022 la mostra “Aida, figlia di due mondi”, con cui il museo Egizio celebra il 150mo anniversario del debutto di “Aida”, avvenuto al Cairo il 24 dicembre 1871 e alla Scala di Milano l’8 febbraio 1872, anni in cui il dialogo e lo scambio culturale tra Europa ed Egitto erano intensi, racconta l’avventura creativa di “Aida” e il clima culturale e politico in cui nacque l’opera di Giuseppe Verdi.
Locandina della mostra “AIDA. Figlia di due mondi” al museo Egizio di Torino dal 17 marzo al 5 giugno 2022
L’egittologo Enrico Ferraris, curatore al museo Egizio di Torino
La mostra è curata da Enrico Ferraris, egittologo del museo Egizio e ideatore di un progetto transmediale che travalica i confini dell’Egizio e coinvolge diverse istituzioni culturali, in un percorso che spazia tra opera, teatro, egittologia, storia, letteratura e cinema, frutto di un progetto scientifico firmato a quattro mani dal direttore del museo Egizio, Christian Greco e dal curatore, Enrico Ferraris. Main partner dell’esposizione è l’Archivio Storico Ricordi, mentre l’Istituto nazionale di Studi Verdiani e il Teatro Regio di Torino sono i partner scientifici. L’università di Torino, insieme al museo nazionale del Cinema, all’Aiace, al Teatro Regio di Torino e al Conservatorio, ha curato un palinsesto trimestrale di incontri, approfondimenti e rassegne cinematografiche, dedicati ad “Aida” e all’Egitto antico e contemporaneo, nell’ambito del progetto UniVerso. Al Circolo dei lettori poi è previsto un Gruppo di lettura dedicato, a partire da fine marzo e ad aprile un incontro col giallista Giancarlo De Cataldo, che propone una riflessione sul melodramma come teatro di tutti i sentimenti umani. Dallo scenario originale di “Aida” ai bozzetti di costumi, scenografie e gioielli, usciti dalla matita dell’egittologo Auguste Mariette, artefice del primo museo di antichità Egizie al Cairo, fino alle diverse stesure del libretto e degli spartiti di Giuseppe Verdi: la mostra ripercorre la genesi dell’opera, attraverso documenti, memorabilia, reperti, lettere e spartiti provenienti da 27 tra archivi e musei di tutta Europa, dal Louvre all’Archivio di Stato di Parma. Ricostruzioni filologiche di scene e costumi del debutto di “Aida”, realizzate dal Teatro Regio di Torino, ma anche podcast, videogame, pillole video, incontri e rassegne cinematografiche accompagnano il visitatore in un periodo storico che va dagli anni Quaranta agli anni Settanta dell’Ottocento.
Il musicista Giuseppe Verdi: la sua “Aida” debuttò alla Scala di Milano l’8 febbraio 1872: 150 anni fa (foto museo egizio)
È l’inizio di giugno del 1870, quando Giuseppe Verdi, dopo una lunga trattativa, accetta dal viceré d’Egitto, Ismail Pascià, un compenso senza precedenti per comporre “Aida”, un’opera lirica, in lingua italiana, ambientata al tempo dei faraoni. L’Egitto punta sulla lirica per rispolverare il proprio passato glorioso e allo stesso tempo portare alla ribalta internazionale il proprio desiderio di modernità ed emancipazione dall’Impero Ottomano. E se l’Egitto nell’Ottocento guarda all’Europa come modello di modernità, nel Vecchio Continente già a partire dal 1809 la pubblicazione della “Déscription de l’Egypte” accende la passione per faraoni, papiri e reperti antichi. Esattamente 200 anni fa, nel 1822, con la decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean François Champollion, nasce l’Egittologia e due anni dopo, nel 1824 a Torino vede la luce il primo museo al mondo dedicato interamente alle antichità egizie, primo nucleo dell’attuale Museo Egizio. Due mondi, l’Egitto e l’Europa, che nel 1800 si intersecano e si intrecciano a più riprese. Ed è proprio questo intreccio di culture che la mostra “Aida, figlia di due mondi” vuole indagare.
Il viceré d’Egitto, Ismail Pascià: fu lui a commissionare “Aida” a Giuseppe Verdi
Il percorso espositivo si divide in due sezioni. La prima è dedicata al committente e all’ideatore di “Aida”, rispettivamente il viceré d’Egitto, Ismail Pascià, e il suo funzionario, l’egittologo e direttore degli scavi in Egitto, Auguste Mariette. Dalla nascita del Museo di Boulaq (1863), primo nucleo del Museo delle Antichità Egizie del Cairo, cui diede i natali lo stesso Mariette, all’Esposizione Internazionale di Parigi (1867), dove l’Egitto debuttò con i suoi imponenti padiglioni, tra cui il “Tempio di Hathor”, una ricostruzione scenografica di diversi templi e reperti egizi, ideata sempre da Mariette, fino all’inaugurazione del Canale di Suez e del nuovo Teatro Khediviale del Cairo (1869): sono le tappe del progetto di modernizzazione sostenuto dal viceré d’Egitto, Ismail Pascià. È proprio all’Esposizione Universale di Parigi che Ismail Pascià rimane colpito dal “Don Carlos” di Verdi. E due anni dopo, per dare lustro al nuovo Teatro Khediviale del Cairo, il viceré d’Egitto pensa proprio al maestro di Busseto. Un clima che per Mariette sarà decisivo per dare i natali ad “Aida” e, più in generale, per raccontare al mondo il passato glorioso dell’Egitto e codificarne una nuova immagine internazionale.
Per la mostra “Aida” i Laboratori artistici del Regio hanno realizzato un modellino in legno del Teatro dell’Opera del Cairo dove andò in scena l’opera verdiana (foto museo egizio)
Al centro della seconda sezione la genesi vera e propria dell’opera, da quando cioè il nome di Aida compare per la prima volta, in una lettera datata 27 aprile 1870, fino alla sua prima rappresentazione al Cairo e poi a Milano. Per volere di Ismail Pascià, Mariette scrive, infatti, di suo pugno al librettista del “Don Carlos”, Camille Du Locle, svelandogli una storia dal “titolo curioso, Aida”. È l’inizio di un carteggio tra il Cairo, Parigi e Busseto, che in parte è possibile ammirare in mostra a Torino, grazie ai prestiti dell’Archivio Storico Ricordi. I bozzetti originali di Mariette, conservati alla Bibliotèque National de France, hanno preso vita grazie al Teatro Regio. Per questa mostra i Laboratori artistici del Regio hanno realizzato appositamente un modellino in legno del Teatro dell’Opera del Cairo dove andò in scena l’opera verdiana.
Il centenario della scoperta della Tomba di Tutankhamon è uno dei grandi anniversari archeologici del 2022
Per l’archeologia il 2022 è un anno di grandi anniversari. A cominciare l’Antico Egitto (vedi il video promo (3) Facebook): 100 anni della scoperta della tomba di Tutankhamon e 200 della decifrazione della stele di Rosetta e della scoperta dell’antica lingua egizia che segna la nascita ufficiale dell’Egittologia. Ma anche l’Italia ha un calendario di tutto rispetto, dai 100 anni della scoperta della necropoli di Spina ai 50 anni dal rinvenimento dei Bronzi di Riace.
Howard Carter davanti al sarcofago con la mummia del faraone Tutankhamon
La famosa maschera di Tutankhamon e il pugnale in ferro trovato avvolto tra le bende della mummia del faraone bambino
4 novembre 1922: è la data ufficiale della scoperta della Tomba di Tutankhamon nella valle dei Re, a Tebe Ovest, quindi sulla sponda occidentale del Nilo. Ma l’evento che avrebbe avuto una risposta mediatica eccezionale portando per la prima volta in prima pagina l’Archeologia. Il racconto di quei giorni è noto, a cominciare dal famosissimo dialogo tra l’archeologo Howard Carter e il suo finanziatore Lord Carnarvon del 24 novembre 1922: “Era venuto il momento decisivo. Con mani tremanti praticammo una piccola apertura nell’angolo superiore sinistro…”. “Potete vedere qualche cosa?”. “Sì, cose meravigliose”. In realtà la scoperta della sepoltura del re bambino era avvenuta all’inizio del mese di novembre 1922. Il 1° novembre 1922, Carter fece spostare il campo di scavo proprio dinanzi all’ingresso della tomba KV9 di Ramses VI, faraone della XX dinastia, in un settore di forma triangolare dove aveva già lavorato parecchi anni prima, ma che aveva incomprensibilmente abbandonato. Qui erano precedentemente stati rinvenuti i resti (ritenuti archeologicamente privi di importanza) di alcune capanne costruite dagli operai che avevano lavorato alla tomba KV9 e proprio in quel punto, tre giorni dopo, il 4 novembre 1922, fu scoperto il primo gradino di una scala di accesso a un ipogeo: la tomba intatta di Tutankhamon, nota come KV62, giovanissimo sovrano della XVIII dinastia che salì al trono a 9 anni e morì a 18, poco prima di compierne 19, divenuta famosa per la ricchezza del suo corredo e dei sarcofagi che proteggevano la mummia reale, che costrinse le autorità egiziane dell’epoca a rivedere l’organizzazione degli spazi del museo Egizio del Cairo, riservando un’intera ala al faraone bambino (vedi 4 novembre 1922 – 4 novembre 2020: nel 98.mo anniversario della scoperta del secolo, ingresso scontato nella tomba di Tutankhamon. Il ministro El-Anani: “L’anno prossimo tutto il tesoro del faraone bambino esposto al Grand Egyptian Museum” | archeologiavocidalpassato).
La stele di Rosetta conservata al British museum di Londra
Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831
27 settembre 1822, Jean François Champollion detto Champollion il Giovane annuncia la decifrazione dei geroglifici: nasce l’Egittologia. Secondo quanto raccontato dal nipote, Aimé Champollion-Figeac, Champollion il 14 settembre 1822 aveva notato che un cartiglio di Abu Simbel conteneva quattro segni geroglifici. Intuì che il primo segno circolare rappresentasse il sole che in copto si dice “ri”. Mentre il segno che appariva due volte alla fine del cartiglio era la “s” nel cartiglio di Tolomeo. Ciò gli fece concludere che se il nome nel cartiglio inizia con Re e termina con “ss”, potrebbe quindi corrispondere a “Ramesse”, suggerendo che il segno al centro rappresentasse “m”. Un altro cartiglio conteneva tre segni, due uguali a quelli del cartiglio Ramesse: un ibis, simbolo del dio Toth. Seguendo il ragionamento fatto per Ramesse giunse a indicare che il nome nel secondo cartiglio sarebbe Thothmes, cioè il faraone Thutmosis. Il passo successivo su sulla Stele di Rosetta: Champollion conosceva le parole copte che avrebbero tradotto il testo greco e poteva dire che segni fonetici come “p” e “t”, che erano già stati identificati nel nome di Tolomeo, si sarebbero adattati a queste parole. Da lì poteva indovinare i significati fonetici di molti altri segni. L’annuncio ufficiale delle sue proposte di letture dei cartigli greco-romani nella Lettre à M. Dacier (titolo completo: Lettre à M. Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques “Lettera a M. Dacier riguardante l’alfabeto dei geroglifici fonetici”) che completò il 22 settembre 1822. Questa comunicazione scientifica, sotto forma di una lettera, inviata a Bon-Joseph Dacier, segretario francese dell’Académie des Inscriptios et Belles-Lettres, è considerata il documento fondante dell’Egittologia, ma rappresentava solo un inizio. Champollion non dice nulla della scoperta sui cartigli di Ramesse e Thutmose, non dice ancora nulla (forse per prudenza) di quanto già sa o intuisce, e si limita a suggerire che segni fonetici avrebbero potuto essere usati nel lontano passato dell’Egitto. Ma la strada è aperta.
Coppa attica a figure rosse dalla tomba 512 di Spina (foto museo archeologico ferrara)
Le Valli di Comacchio che conservano le tracce dell’antica città etrusca di Spina (foto http://www.rivadelpo.it)
23 aprile 1922: scoperta della necropoli della città greco-etrusca di Spina, nelle Valli di Comacchio. La scoperta del sito è legata alle opere di bonifica del primo dopoguerra, come ricostruisce Nereo Alfieri in “Spina. Storia di una città tra Greci ed etruschi” (catalogo mostra, 1994). La prima comunicazione, infatti, è dell’ing. Aldo Mattei, direttore della sezione staccata del Genio civile a Comacchio, con una lettera alla soprintendenza agli Scavi e Monumenti archeologici di Bologna: “Nella valle Trebba (Valli settentrionali di Comacchio), in cui è stata compiuta la bonifica idraulica a cura dello Stato e dove si stanno facendo da Comuni interessati opere di bonifica agraria, è stato scoperto casualmente da un operaio un sepolcreto probabilmente dell’epoca etrusca: così almeno ritengo vai vasi istoriati scoperti”. Questa sobria segnalazione – scrive ancora Alfieri – dette l’avvio a un’impresa archeologica tra le più notevoli dell’Italia settentrionale. La ricerca dell’antica Spina tra le paludi nel delta del Po era stata fino ad allora un vero giallo archeologico che aveva appassionato eruditi e studiosi illustri fin dal Medioevo. Il primo che ipotizzò il sito di Spina a Valle Trebba fu il medico bolognese Gian Francesco Bonaveri (fine del XVII secolo) attratto dalla singolarità di quell’ambiente lagunare da cui emergevano di tanto in tanto manufatti antichi, ma del celebre e florido emporio marittimo descritto dagli autori greci e romani sembrava essersi persa ogni traccia. E la sua intuizione trovò conferma solo due secoli dopo. Alla scoperta casuale del 1922 seguirono le indagini scientifiche dirette dalla soprintendenza alle Antichità dell’Emilia e della Romagna, istituita il 19 settembre 1924. Le campagne di scavo, condotte fino al 1935 dal neo soprintendente Salvatore Aurigemma nell’area di Valle Trebba portarono alla luce la zona settentrionale della necropoli di Spina con più di 1200 sepolture i cui materiali sono oggi esposti al museo Archeologico nazionale di Ferrara. Ma la ricerca continua. L’obiettivo è scoprire il nucleo abitato dell’antica Spina (vedi Ritrovare l’antica città etrusca di Spina (le vaste necropoli sono state una delle scoperte più importanti del Novecento): è l’obiettivo del progetto Eos (Etruscans on the Sea) dell’università di Bologna all’interno del progetto interreg Value. A Comacchio la presentazione in streaming della prima campagna di scavo e le attività future. Intanto a Stazione Foce sta nascendo la ricostruzione dell’abitato di Spina | archeologiavocidalpassato).
I Bronzi di Riace esposti in una speciale sala del museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria (foto MArRC)
Agosto 1972: il ritrovamento dei Bronzi di Riace da parte del sub Stefano Mariottini
16 agosto 1972: rinvenimento dei Bronzi di Riace. Era il 16 agosto 1972 quando un giovane sub dilettante romano, Stefano Mariottini, si immerse nel mar Ionio a 230 metri dalle coste di Riace Marina. Quando, a 8 metri di profondità, fu attratto da un qualcosa che emergeva dalla sabbia del fondo marino: sembrava un braccio. Non si sbagliava. Era il braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata statua A: aveva scoperto le statue di due guerrieri considerati tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’età classica. Stefano Mariottini aveva scoperto i Bronzi di Riace. Da quel momento è iniziato un delicato, lungo processo di restauro. Prima all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e poi direttamente a Reggio Calabria, man mano che si riscontravano nuove problematiche sui fragili bronzi. L’ultimo spettacolare intervento di restauro conservativo, dal 2009 al 2013, in una sala appositamente predisposta a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria, da dove a un certo punto era sembrato non dovessero più tornare a casa. Ciò avvenne grazie a un blitz notturno dell’allora ministro ai Beni culturali Massimo Bray con la soprintendente Simonetta Bonomi: il guerriero A e B furono rimessi in piedi e trasportati in assoluta sicurezza a Palazzo Piacentini, sede del museo Archeologico nazionale della Magna Grecia, alloggiati in una speciale sala dotata di uno specifico sistema di filtraggio, e di un percorso di depurazione, attraverso il quale transitano i visitatori, per mantenere sempre costante il clima in cui sono conservati i Bronzi. Inoltre è stata attivata una protezione antisismica (vedi 16 agosto 1972, il sub Mariottini scoprì nel mar Ionio i Bronzi di Riace. L’anno prossimo saranno passati 50 anni. Al museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria si lavora per #BronzidiRiace2022: incontro strategico tra il direttore e l’assessore alla Cultura. In attesa di promuovere i Bronzi di Riace nel mondo, il MArRC promuove in classe la storia e il patrimonio archeologico della Calabria antica | archeologiavocidalpassato).
Il corteo reale con le 22 mummie lascia il museo Egizio di piazza Tahrir per raggiungere la nuova dimora al museo nazionale della Civiltà egizia (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Il presidente della Repubblica araba d’Egitto, Abdel Fatah al-Sisi (foto ministry of Tourism and Antiquities)
L’Egitto si autocelebra e presenta al mondo il meglio di sé: dai luoghi straordinari della civiltà dei faraoni ai grandi interventi di restauro dei luoghi della cultura, di qualsiasi cultura, fino all’efficienza di uno Stato moderno. La Parata d’oro dei Faraoni diventa così l’occasione per l’Egitto di mostrarsi al mondo e di mostrare al mondo tesori noti e nuove proposte che i turisti e quanti amano la valle del Nilo del mondo troveranno una volta superata la pandemia. Più di due ore di diretta (talora con un eccesso di parlato) gestita da una regia attenta che non lascia nulla all’improvvisazione: c’è la capitale, il Cairo, che – dal museo Egizio di Tahrir al nuovo museo nazionale della Civiltà egizia in Fustat – diventa un grande set hollywoodiano con migliaia di figuranti ad accompagnare il cammino delle 22 mummie reali alla nuova prestigiosa dimora, in uno scintillio di luci e giochi fantasmagorici colti da telecamere fisse e droni; ci sono i più prestigiosi siti archeologici, come il tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari o la piana delle piramidi di Giza, animati da coreografie, o il Grande museo Egizio (Gem) che ospiterà l’intero tesoro di Tutankhamon e alla sua prossima apertura rappresenterà uno dei più grandi e prestigiosi progetti di museologia del Terzo millennio nel mondo. Al centro un unico protagonista indiscusso, il presidente dell’Egitto Abdel Fatah al-Sisi, che accompagna con la sua presenza tutti i diversi momenti dell’evento. E per una notte fa dimenticare i molti problemi che anche l’Egitto deve affrontare in questi momenti difficili per tutti.
Il museo Egizio in piazza Tahrir al Cairo (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Il nuovo museo nazionale della Civiltà egizia di Fustat al Cairo (foto ministry of Tourism and Antiquities)
La Parata d’oro dei Faraoni si apre con una veduta dal drone di piazza Tahrir chiusa in fondo dal museo Egizio seguita da un’altra sul museo nazionale della Civiltà egizia (Nmec): cioè l’inizio e la fine del corteo delle mummie reali. I ritmi sono ancora lenti. La parata è aperta da un drappello di guardie a cavallo seguite dai carri da guerra degli antichi egizi: in realtà guardie e aurighi hanno il compito dell’apripista. Controllano il percorso e vanno a posizionarsi all’ingresso del Nmec per fare da picchetto d’onore all’arrivo degli illustri ospiti. Da Tahrir a Fustat, in un “rimbalzo di linea” andiamo a conoscere il nuovo museo con l’arrivo del presidente al-Sisi accolto dal ministro al Turismo e alle Antichità Khaled el-Enani. È il momento dell’inaugurazione ufficiale del nuovo museo. Poi si vanno a scoprire gli spazi e i tesori qui conservati a narrare la Civiltà egizia dalla preistoria ai faraoni agli arabi e all’islam. Quindi al-Sisi si sposta attraverso un dedalo di corridoi e raggiunge l’auditorium del Nmec dove inizia il programma ufficiale della Parata d’oro e sul palco si apre il grande schermo sul Cairo e l’Egitto.
Le preziose decorazioni della tomba di Wathy a Saqqara scoperta nel 2018 (foto ministry of Tourism and Antiquities)
“Egitto, terra di civiltà”, uno spot sui tesori dell’Egitto: siamo accompagnati a scoprire i grandi interventi che hanno portato agli antichi splendori monumenti noti in tutto il mondo. Si inizia dal complesso di Saqqara, si entra nella piramide a gradoni di Djoser, realizzata dall’architetto Imhotep 4400 anni fa, e si esce dalla grande scala monumentale inaugurata il 5 maggio 2020 dopo sei anni di restauro che ha interessato l’intera piramide. Si passa alla tomba di Wathi scavata nella roccia 300 anni dopo la piramide di Djoser. È stata una delle grandi scoperte recenti (dicembre 2018). Entrare nell’ipogeo completamente decorato è un’emozione. Nel gennaio 2020 è stata invece inaugurata ad Alessandria la sinagoga Elynahu Hanavi costruita dagli egiziani nel XIV secolo. Da Alessandria al Cairo Vecchia o Copta nella chiesa della Vergine Maria, riaperta al pubblico dopo i restauri integrali nell’ottobre 2014, nota come la Chiesa Sospesa, perché realizzata sopra un passaggio tra due torrette di una fortezza babilonese. Fu fortezza romana risalente al II sec. d.C. I restauri hanno risanato l’edificio dalle infiltrazioni che impedivano quasi completamente l’accesso alla fortezza. Fu la prima sede ufficiale del papa della chiesa ortodossa di Alessandria quando fu spostata al Cairo. Contiene molte reliquie di santi, e icone di Gesù Cristo e della Vergine Maria. La chiesa rupestre dei martiri Sergio e Bacco, nota anche come Abu Serghis al Cairo, è stata invece riaperta al pubblico dopo i restauri nell’ottobre 2016. All’inaugurazione intervenne il papa copto Teodoro II di Alessandria. È importante perché fu costruita sopra la grotta dove trovò rifugio la Sacra Famiglia nel suo peregrinare in Egitto. Quindi si tocca la moschea di al-Azhar al Cairo, una delle più note moschee del mondo islamico, costruita nel 970 dai Fatimidi, riaperta dopo i restauri nel marzo 2018. È sede della prestigiosa università di al-Azhar. Nel gennaio 2017, invece, è stato inaugurato dopo tre anni di restauri il museo di Arte islamica, che ospita la più grande collezione al mondo di tesori islamici. Nel 2014 il museo aveva infatti subito un attacco terroristico che aveva devastato la facciata e almeno 170 manufatti. Sempre al Cairo, nel gennaio 2020, si sono completati i restauri, durati tre anni, della moschea di al-Fath nel distretto di Abdeen, uno dei capolavori dell’architettura islamica. In Boulaq, un altro quartiere del Cairo, sorge il museo delle Carrozze reali, fondato da Khedive Ismail nel XIX secolo come garage dei veicoli reali: dopo un lungo abbandono, grazie a un elaborato restauro il museo è stato riaperto il 31 ottobre 2020. Infine il Palazzo del Barone Empain a Eliopolis, sobborgo a Nord-est del Cairo, è stato restaurato e inaugurato nel giugno 2020. Sempre nel 2020 è stata rinnovata piazza Tahrir, teatro di importanti eventi dell’Egitto.
Il monumentale viale delle Sfingi a Luxor sarà presto di nuovo ammirato dal pubblico (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Progetti in corso e futuri. Intanto sta andando avanti il progetto di restauro del monumentale viale delle Sfingi a Luxor che presto sarà riaperto all’ammirazione del pubblico. E per la prima volta è stato realizzato un museo di Antichità a Sharm el-Sheikh e Hurghada: il primo aperto nell’ottobre 2020, il secondo nel febbraio 2020. E così si arriva a Fustat, dove è sorto il museo nazionale della Civiltà egizia (Nmec) di cui, in occasione della Parata d’Oro dei Faraoni del 3 aprile 2021, è stata inaugurata la galleria principale e la sala delle mummie reali. Anche la piana delle Piramidi a Giza è stata oggetto di un progetto di sviluppo. E ora il mondo sta attendendo l’annuncio della data di apertura del Grande museo Egizio (Gem). E poi c’è il museo delle Capitali d’Egitto nella Nuova Capitale Amministrativa il cui progetto è nato più di due anni fa quando il presidente dell’Egitto decise di istituire una città per le arti e la cultura. Da qui l’idea del museo che narra le diverse capitali del Paese nel corso dei tempi. E alla sua apertura sarà una sorpresa per tutti. Così mentre nascerà la Nuova Capitale Amministrativa il mondo potrà cogliere quanto l’Egitto sia orgoglioso della sua storia e della sua civiltà.
Effetti speciali e giochi di luci a piazza Tahrir al cairo (foto ministry of Tourism and Antiquities)
La musica scivola sul Nilo (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Lo schermo si spegne. Sul palco il ministro al Turismo e alle Antichità Khaled el-Enani sottolinea come tutta questa attenzione alla cultura sia fondamentale anche per il rilancio del turismo. Quindi introduce i dettagli del corteo e delle 22 mummie reali: dalla loro scoperta alla fine dell’Ottocento nel nascondiglio di Deir el-Bahari o nella tomba di Amenhotep II nella Valle dei Re alla loro musealizzazione all’Egizio di piazza Tahrir, dal loro studio e conservazione alla decisione di creare una grande sala tutta per loro al nuovo museo nazionale della Civiltà egizia. Il ministro el-Enani lascia il palco e le immagini corrono a catturare gli scorci di un Cairo illuminato a festa. La musica scivola lentamente sul Nilo mentre si cominciano a scoprire uno dopo l’altro i nomi di re e regine pronti ad affrontare il nuovo viaggio custoditi nei loro preziosi sarcofagi. È iniziata ufficialmente la Parata d’oro dei Faraoni. Sul palco dell’auditorium del Nmec prende posto una grande orchestra che da questo momento, e per tutta l’ora successiva, scandirà il ritmo, sempre più serrato, della parata reale e sullo schermo si legge un grande grazie agli apparati dello Stato, a celebrità, musicisti, artisti, costumisti, e studenti universitari che come volontari hanno dato il loro contributo al grande evento.
Lo spettacolare tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari (foto ministry of Tourism an Antiquities)
Nuovo excursus storico sui tesori d’Egitto: un modo per ricordare al mondo la grandezza degli egizi. Si inizia con la piramide di Cheope, una delle sette meraviglie del mondo antico, che a 4500 anni dalla sua realizzazione ancora stupisce per la sua monumentalità e rivela le grandi capacità degli antichi egizi. Da Giza a Deir el-Bahari, al tempio della regina Hatshepsut, realizzato 3500 anni fa da un architetto geniale e da artigiani ispirati, a creare quasi un abbraccio alla montagna di Tebe Ovest. Il regno della regina Hatshepsut rappresentò un periodo fecondo per le architetture e le costruzioni: “una donna forte come cento uomini”, dice il proverbio. E un altro afferma: “L’Egiziano è un portatore” di talento e creatività, di civiltà e cultura. Per questo l’Egitto è ricco di antichità. E tra queste forse la più famosa è probabilmente la tomba del giovane faraone Tutankhamon: una tomba inviolata, con tutto il suo tesoro (oltre 5mila reperti) e la mummia conservata nel suo sarcofago. La sua maschera d’oro sembra appena fatta. E così il discorso ci porta al Grande museo Egizio che conserverà il tesoro di Tutankhamon, e così per la prima volta tutti gli oggetti scoperti nella tomba saranno esposti nello stesso luogo. Il Gem rappresenta il più grande progetto culturale e intellettuale del XXI secolo. Ma se oggi possiamo raccontare la millenaria storia dell’Antico Egitto è grazie al francese Jean-Françoise Champollion che nel 1822 decifrò i geroglifici studiando l’iscrizione scritta in geroglifico, demotico e greco antico sulla Stele di Rosetta. Le immagini rimbalzano da Deir el-Bahari a Giza, da Saqqara a Tahrir.
Il presidente al-Sisi rende omaggio alle mummie reali all’arrivo al Nmec di Fustat (foto ministry of Tourism and Antiquities)
A Tahrir inizia la sfilata alla Parata d’Oro dei Faraoni (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Le mummie reali lasciano il museo Egizio (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Le mummie reali passano da piazza Tahrir (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Il corteo delle mummie reali arriva al museo nazionale della Civiltà egizia a Fustat (foto ministri of Tourism and Antiquities)
Le parole (finalmente) sono finite. Comincia la festa di musica e luci. Le mummie su carri speciali, che vogliono ricordare le barche solari (impiegate per il trasporto del catafalco contenente la mummia del defunto sino alla necropoli), si muovono dal museo Egizio di piazza Tahrir verso il Nmec. Sulla “prua” si legge il nome del re o della regina che trasporta. E mentre il corteo reale continua il suo percorso lungo le vie del Cairo, sulla musica in sala scorrono le coreografie dal Grande museo Egizio al Tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, dalla piana delle Piramidi di Giza al complesso della piramide di Djoser a Saqqara. Il corteo reale si avvicina alla meta. All’ingresso del museo nazionale della Civiltà egizia in onore dei re e delle regine dell’Antico Egitto viene sparata una salva di cannone. Il presidente al-Sisi si alza, lascia l’auditorium, ripercorre a ritroso il dedalo di corridoi del Nmec e raggiunge l’ingresso. Spetta a lui accogliere e rendere omaggio all’arrivo delle 22 mummie reali nella loro nuova dimora. Tra un paio di settimane, ultimate le operazioni di controllo e sicurezza del loro stato di conservazione, le mummie saranno esposte nella Sala delle Mummie reali aperta al pubblico. Intanto, chi lo desidera, può rivedere le oltre due ore dell’evento trasmesso in streaming.
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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