Ultime ricerche a Fimon, la pittura romana, la Padova di Tito Livio, le tombe di via Tiepolo, il collezionismo archeologico: cinque incontri promossi dalla soprintendenza nella propria sede di Padova e nell’area archeologica di Montegrotto aperte eccezionalmente al pubblico

La locandina dell’incontro con Elodia Bianchin Citton a Palazzo Folco di Padova sulle nuove ricerche nelle valli di Fimon
Cinque occasioni per parlare di archeologia in due luoghi speciali: a Padova, Palazzo Folco, in via Aquileia 7, sede della soprintendenza; e a Montegrotto, l’area archeologica di via Neroniana. Il ciclo di conferenze, presentazioni di libri e aperture straordinarie tra settembre e ottobre promosso dalla soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso rientra nel piano di valorizzazione del ministero dei Beni e attività culturali e del Turismo per l’ano 2017. Il primo appuntamento è in programma venerdì 29 settembre 2017 alle 16.30 a Palazzo Folco, che per l’occasione sarà aperto al pubblico con ingresso gratuito dalle 16 alle 20, con possibilità di visite guidate. Il soprintendente Andrea Alberti introdurrà la presentazione del volume “Nuove ricerche nelle Valli di Fimon. L’insediamento del tardo Neolitico de Le Fratte di Arcugnano”, a cura di Elodia Bianchin Citton, già della soprintendenza, che descrive la densa attività di ricerca, condotta tra il 2008 e il 2011, nell’importante sito del Neolitico, cui sono seguite analisi sui materiali rinvenuti e approfondite ricerche col coinvolgimento degli specialisti della soprintendenza e professionisti esterni. All’incontro interverranno Simonetta Bonomi e Vincenzo Tiné, già soprintendenti Archeologia del Veneto. Le Fratte di Arcugnano è un insediamento perilacustre del Tardo Neolitico – Età del Rame che presenta una successione sedimentaria, con stratigrafia pollinica e macroresti vegetali. “I dati archeobotanici ricavati da focolari e depositi naturali dell’area di Fratte di Fimon”, scrive Elodia Bianchin Citton, “ci permettono di ricostruire l’ambiente e le attività umane durante la prima metà del IV millennio a.C.”. A un ambiente più antico, intorno al VI-V millennio, dominato dalle foreste latifoglie decidue, è seguito un impaludamento dovuto a una fase di ridotto livello lacustre e di espansione delle aree umide paludose vicine al bacino con presenza di ontani e salici. Sopra questa fase, inizia la frequentazione antropica con ritrovamento di focolari: siamo nella prima metà del IV millennio. “In accordo con i dati di scavo”, conclude l’archeologa, “le informazioni archeobotaniche supportano l’ipotesi di un utilizzo domestico dei focolari. I focolari venivano approntati mescolando dapprima sterco, strame e materiali esterni al bacino (come, ad esempio, terre rosse reperibili sui versanti dei Colli Berici) e poi alimentati in prevalenza con legna (combustibile primario). È possibile che lo sterco venisse usato anche come combustibile secondario. La presenza di cariossidi (come sono ad esempio le graminacee, ndr) carbonizzate nei livelli dei focolari 1 e 5 suggerisce l’accidentale combustione di cereali durante le fasi di preparazione del cibo”.
Il secondo appuntamento, “Se son rose, fioriranno 2.0. La parola all’esperta”, a cura della soprintendenza ABAP per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, in collaborazione con l’associazione Lapis, domenica 1° ottobre 2017 a Montegrotto Terme nell’area archeologica di via Neroniana, con apertura al pubblico dell’area archeologica dalle 16 alle 20, con possibilità di visite accompagnate. Alle 17, intervista alla prof.ssa Monica Salvadori dell’università di Padova, autrice del volume “Horti picti. Forme e significato del giardino dipinto nella pittura romana“. Iniziativa collegata con “La Fiera delle Parole”.
Venerdì 6 ottobre 2017, si torna a Palazzo Folco, a Padova, che sarà aperto al pubblico con ingresso gratuito dalle 16 alle 20, con possibilità di visite guidate, e utilizzo dei visori per la realtà aumentata. Alle 16.30, conferenza dal titolo “Nel bimillenario di Tito Livio” con Elena Pettenò (soprintendenza), Jacopo Bonetto, Caterina Previato, Arturo Zara (università di Padova). In occasione delle celebrazioni culturali organizzate per il bimillenario della morte di Tito Livio, lo storico nato e morto a Padova, sono stati organizzati una serie di eventi e attività mirati alla valorizzazione del patrimonio culturale della città e rivolti soprattutto ai cittadini (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/06/26/tito-livio-superstar-padova-celebra-il-bimillenario-della-morte-del-grande-storico-latino-col-progetto-livius-noster-convegni-incontri-spettacoli-musica-proiezioni-visite-guidate-reading-e-mol/). Si è anche realizzato il volume “Padova. La città di Tito Livio” (a cura di J. Bonetto, E. Pettenò, F. Veronese), una guida archeologica a carattere divulgativo. L’evento prevede la presentazione, in forma di “passeggiata archeologica” illustrata da immagini e relativa spiegazione, dei contenuti del testo, ovvero l’aspetto e le caratteristiche della Patavium di età romana quotidianamente vissuta, osservata e abitata da Tito Livio.
Venerdì 13 ottobre 2017, ancora a Palazzo Folco di Padova, che sarà aperto al pubblico gratuitamente dalle 16 alle 20, con possibilità di visite guidate. Alle 16.30, Giovanna Gambacurta (università Ca’ Foscari, Venezia) e Mariangela Ruta (già soprintendenza Archeologia del Veneto) presentano il libro “Ritorno alle tombe di via Tiepolo”. Tra il 1990 e il 1991 sono venuti alla luce, a Padova in via Tiepolo, numerosi contesti funerari dallo scavo di una necropoli preromana e romana. Parte di queste tombe sono state scavate, restaurate e studiate; parte sono conservate entro cassoni che devono ancora essere scavati. Quest’anno ha preso avvio una limitata campagna di scavo, mirata a rivalutare lo stato complessivo di conservazione dei materiali conservati nei cassoni, con lo scopo di elaborare un nuovo progetto per approfondire la conoscenza della Padova antica. L’evento prevede la comunicazione dei nuovi dati di scavo, delle tecniche adottate e delle prospettive di studio e valorizzazione di questo importante contesto archeologico.
Ultimo incontro venerdì 20 ottobre 2017, sempre a Palazzo Folco di Padova, aperto al pubblico dalle 16 alle 20, con possibilità di visite guidate. Alle 16.30, Roberto Tasinato e Elena Pettenò (soprintendenza) e Monica Salvadori (università di Padova) intervengono su “Elogio di una amabile follia. Collezionismo e collezionisti del XX secolo”. Il collezionismo di oggetti antichi è un fenomeno che attraversa il periodo che va dall’Umanesimo all’Ottocento, con forme diverse e perseguito da soggetti diversi (artisti, re, “cultori delle patrie memorie”, canonici, avvocati, medici, ovvero borghesi, ricchi, che arricchiscono le loro dimore con manufatti acquistati o sul mercato antiquario o da privati). Meno nota è la sua evoluzione nella seconda metà del 1900, nell’immediato dopo guerra. L’attività di tutela svolta dalla Soprintendenza, in relazione a raccolte o collezioni in possesso di soggetti privati, ha evidenziato una serie di questioni che hanno portato a specifici approfondimenti per comprendere l’attuale approccio all’antico. L’evento intende illustrare una preliminare riflessione circa questo fenomeno, mai approfondito prima d’ora. Per comprenderne il significato esso va contestualizzato nel contemporaneo alla luce dell’evoluzione della legislazione in materia e va considerato da un punto di vista archeologico, storico artistico e demoetnoantropologico.
Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto: 56 film da una ventina di Paesi e sei conversazioni con protagonisti della ricerca archeologica. Ecco i titoli da non perdere

Il manifesto della 28.ma rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto dal 3 all’8 ottobre 2017
Il conto alla rovescia è iniziato per la più attesa kermesse sulla filmografia documentaristica della ricerca del mondo antico. Tra una settimana all’auditorium Melotti di Rovereto si aprirà ufficialmente la 28ma rassegna internazionale del Cinema archeologico, promossa dalla fondazione Museo Civico di Rovereto e diretta per l’ultima volta da Dario Di Blasi. Dal 3 all’8 ottobre 2017 saranno presentati 56 film da una ventina di Paesi, e si terranno 6 conversazioni con i protagonisti dell’archeologia: un’immersione totale nel lontano passato grazie alla sensibilità di alcuni dei migliori registi mondiali nel campo della divulgazione archeologica attraverso il cinema (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/08/20/rassegna-internazionale-del-cinema-archeologico-di-rovereto-prende-forma-il-programma-della-28-ma-edizione-dal-3-all8-ottobre-2017-sara-lultima-curata-da-dario-di-blasi-56-film-d/). “La manifestazione”, scrive nella presentazione della brochure della rassegna Giovanni Laezza, presidente della Fondazione, “che da ben ventotto anni viene proposta dalla nostra istituzione ha molti meriti, primo fra tutti quello di ricordare la figura del roveretano Paolo Orsi, archeologo stimato, che con la sua opera scientifica ha portato alto il nome del Museo e della sua città natale, a livello nazionale e internazionale. Anche quest’anno ne celebriamo la memoria attraverso un premio a suo nome, il tredicesimo Premio Paolo Orsi consegnato al documentario giudicato da una giuria di esperti il più interessante tra le più recenti proposte cinematografiche a carattere archeologico, ritenendo che il cinema sia un mezzo suggestivo e straordinario per “raccontare” al grande pubblico il patrimonio culturale, sul quale accenderemo i riflettori alla presenza di ospiti illustri, scienziati, registi, ma anche importanti rappresentanti istituzionali”. Per tutto lo staff del museo, sottolinea il vice-direttore Alessio Bertolli, “la rassegna comporta una gran mole di lavoro: oltre alla selezione dei filmati più interessanti e accurati operata dai curatori, un anno intero di lavoro di un gruppo competente e appassionato è necessario per intrattenere rapporti con le produzioni internazionali e con gli illustri ospiti, per tradurre e rivedere i testi dei film stranieri, per curarne il doppiaggio e l’edizione italiana, per organizzare la logistica e l’intrattenimento e regalare alla città una settimana dove l’archeologia si sposta dalle sale istituzionali per avvicinarsi al grande pubblico attraverso il linguaggio diretto delle immagini. Una manifestazione unica, punto di riferimento per le molte altre che sono nate sulla sua scia, e che è per noi e per la città un motivo di grande orgoglio”.
E allora vediamo cosa offre il ricco programma della rassegna del cinema archeologico di Rovereto. La kermesse apre martedì 3 ottobre 2017, che approfondisce temi di preistoria. Al mattino, dai misteri dell’isola di Pasqua (Enquêtes Archéologiques – Île de Pâques: Le grand Tabou / Inchieste archeologiche – Isola di Pasqua: il grande tabù. Regia: Agnès Molia e Thibaud Marchand, Francia 2016) alla scoperta di un sito preistorico nell’est Europa (Doba bronzová. Objavenie pravekého sídliska / Età del Bronzo. Scoperta dell’insediamento preistorico. Regia: Stanislav Manca, Slovacchia 2016. Al pomeriggio, si va dal grande sito dell’età del Bronzo in Gran Bretagna (La Pompei britannique de l’âge du Bronze. Regia: Sarah Jobling, Francia 2016) alla cultura di Hallstatt (El Reino de la Sal. 7000 Años de Hallstatt / Il regno del sale. 7000 anni di Hallstatt. Regia: Domingo Rodes, Spagna 2013). La sera, da non perdere “Great Human Odyssey / La grande odissea umana”, regia: Niobe Thompson, Usa 2016.

Frammento di un bassorilievo assiro con il ritratto di re Sargon II dal palazzo di Sargon a Khorsabad in Iraq (museo delle Antichità di Torino)
Mercoledì 4 ottobre 2017 offre un programma particolarmente vario: dalla preistoria all’Antico Egitto, dalle popolazioni italiche preromane ai dinosauri. E c’è la prima conversazione: alle 17.45, Frederick Mario Fales, docente di Storia del Vicino Oriente antico e di Filologia Semitica dell’università di Udine, parla de “Gli Antichi Assiri nell’odierno Kurdistan: Monumenti e iscrizioni da scoprire”. Tra i film, al mattino, “Handpas. Hands from the past / Handpas. Mani dal passato. Regia: José Camello, Spagna 2016; “Eravamo gente felice – Enotri”. Regia: Flaviano Pizzardi, Italia 2015; “La science se frotte aux momies dorme / La scienza si cimenta con le mummie dorate”. Regia: Nicola Baker, Francia 2016; “The Moving Statues of Alexandria / Le statue mobili di Alessandria”, Regia: Raymond Collet, Egitto 2016. Al pomeriggio, “Eis Pegas – Alle Sorgenti”. Regia: Andrea Giannone, Italia 2016; “A Gigantic Jigsaw Puzzle: The Epicurean Inscription of Diogenes of Oinoanda / Un gigantesco puzzle: l’iscrizione epicurea di Diogene di Enoanda”. Regia: Nazım Güvelŏlu, Turchia 2012. La sera, “Mémoires de Pierre: De l’art au Temps des Dinosaures? / Memorie di Pietra: L’arte al Tempo dei Dinosauri?”. Regia: Jean-Luc Bouvret e Benoît Laborde, Francia 2016.
Terza giornata, giovedì 5 ottobre 2017, dedicata al mondo romano e all’Egitto dei Tolomei, ma anche all’antica Persia e al generale cartaginese Annibale. E proprio alle “Battaglie annibaliche attraverso le evidenze archeologiche, toponomastiche, letterarie: il Trasimeno e altri episodi”, parlerà Giovanni Brizzi, docente di Storia Romana all’università di Bologna, nella conversazione delle 17.45. Al mattino da non perdere “Tecnologia mineira romana – o ouro de Tresminas / (The roman mining technology – the gold of Tresminas / Tecnologia mineraria – l’oro di Tresminas”. Regia: Rui Pedro Lamy, Portogallo 2015; “Limes”. Regia: Elli Kriesch, Germania 2016; “Did the ptolemies have a steam – powered force – pumpe? / I Tolomei avevano una pompa premente alimentata a vapore?”. Regia: Theodosis Tasios, Grecia 2014. Al pomeriggio, “Annibale al Trasimeno”. Regia: Luca Palma, Italia 2009. La sera, “Persepolis, le paradis perse. Enquêtes archéologique / Persepoli, il paradiso persiano. Indagini archeologiche”. Regia: Agnès Molia e Raphaël Licandro, Francia 2016; “Sensationsfund in Brasilien. Die ersten Amerikaner / Sensazionale scoperta in Brasile. I primi americani”. Regia: Peter Prestel e Saskia Weisheit, Germania 2016.
Particolarmente ricco il programma del quarto giorno, venerdì 6 ottobre 2017, dall’imperatore Traiano a Gengis Khan, dalle misteriose linee di Nazca al popolo dei Mochicas, con un omaggio ai fratelli Castiglioni sull’Egitto all’anteprima di Alberto Castellani che introduce la conversazione alle 17.45 con Ken Dark, archeologo in Galilea, docente all’università di Reading, su “Gesù aveva una casa a Nazaret?”. Il mattino seguire i film “Traianus”. Regia: Livio Zerbini e Giovanni Ganino, Italia 2017; “Les secrets des lignes de Nazca / I segreti delle linee di Nazca”. Regia: Agnès Molia e Jacques Plaisant, Francia 2016; “Secret of Sakdrisi / Il segreto di Sakdrisi”. Regia: Toma Chagelishvili, Georgia 2016; “Dall’Egitto faraonico all’Africa di oggi”. Regia: Alfredo e Angelo Castiglioni, Italia 2016. Il pomeriggio, “Enquêtes archéologiques – Le crépuscule des Mochicas / Inchieste archeologiche – Il crepuscolo dei Mochicas”. Regia: Agnès Molia. Francia, 2015; “Rivisitare Nazareth. Archeologia e tradizione nel villaggio abitato da Gesù”. Regia: Alberto Castellani. Italia, 2017. La sera, “Facce di Etrusco”. Regia: Alessandro Barelli, Italia 2017; “La tombe de Gengis Khan, le secret dévoilé / La tomba di Gengis Khan, il segreto rivelato”. Regia: Cédric Robion. Francia, 2016.
E siamo arrivati alla giornata conclusiva, sabato 7 ottobre 2017, con la serata dedicata alle premiazioni. Con i film si viaggia lontano, dall’Australia (“Twelve canoes / Dodici canoe”. Regia: Molly Reynolds, Australia 2009) alla Namibia (“Namib. Der Ort an dem nichts ist / Namibia. Il luogo dove regna il nulla”. Regia: Rüdiger Lorenz e Faranak Djalali, Namibia 2016). Ma sono gli approfondimenti quelli che caratterizzano la giornata. Alle 11.15, tavola rotonda su “Il Mondo Antico tra di noi? Realtà tridimensionale, immersiva, aumentata, social e archeologia ai confini della realtà”, moderata da Antonia Falcone, archeologa, blogger e digital strategist, con Jacopo Bonetto (Progetto Nora – Università degli Studi di Padova), Davide Borra (NoReal), Alessandro Furlan (Altair4), Daniele Bursich (Gruppo Facebook “Archeologia, Beni Culturali e Nuove tecnologie”), Graziano Tavan (giornalista, archeologiavocidalpassato.wordpress.com): vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/09/18/nora-tra-archeologia-e-cinema-scavi-e-ricerche-multidisciplinari-delluniversita-di-padova-con-luso-delle-piu-innovative-tecnologie-per-studiare-valorizzare-e-comunicare-al-grande-p/. Alle 16.45, conversazione con Corinna Rossi, architetto ed egittologa, su “Raccontare il passato: l’archeologia tra fonti e interpretazioni personali”; e alle 17.30, Giulio Paolucci, direttore del museo civico Archeologico delle Acque di Chianciano, futuro direttore del museo Etrusco di Milano, e Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, converseranno su “Nuovi Musei e diffusione del Sapere”. La sera, alle 21, ma stavolta bisogna spostarsi al teatro Zandonai di Rovereto, cerimonia di premiazione con il saluto dell’ambasciatrice di Palestina, S.E. Mai Alkaila. Consegna del Premio “Paolo Orsi” e in chiusura, proiezione film più gradito al pubblico vincitore del premio “Città di Rovereto”.
Non solo film. Nell’ambito della rassegna sono previsti due eventi collaterali. Venerdì 6 Ottobre 2017, dalle 14.30 alle 17.30, a palazzo Alberti Poja, “Raccontare il patrimonio culturale. Dalla carta stampata ai social network”, corso di formazione per giornalisti a cura di Claudia Beretta, evento formativo accreditato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Relatori: Il giornalista Graziano Tavan su “Ricerca e divulgazione: l’archeologia sui giornali tra Tutankhamon e Indiana Jones” e l’archeologa e blogger Antonia Falcone su “Social Network per la comunicazione culturale. Strategie, tool, monitoraggio dei risultati e casi studio”. Mercoledì 4 Ottobre 2017, alle 18.30, a palazzo Alberti Poja, per “Incontro con… l’artista” incontro con Maria Stoffella Fendros, artista roveretana protagonista della mostra temporanea ospitata a palazzo Alberti Poja. Introduce Micaela Vettori, curatrice della mostra “Il coraggio del colore. Maria Stoffella Fendros – Rovereto, Venezia, Firenze, Atene”, a palazzo Alberti Poja dal 28 settembre al 19 novembre 2017.
Nora tra archeologia e cinema: scavi e ricerche multidisciplinari dell’università di Padova con l’uso delle più innovative tecnologie per studiare, valorizzare e comunicare al grande pubblico il sito. Il prof. Jacopo Bonetto parlerà dell’esperienza di Nora alla rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto
Immaginate di avere a disposizione di una stand-cam e di poter tornare indietro nel tempo di oltre due millenni: è quello che hanno fatto nel sito romano-punico di Nora, nel sud della Sardegna, gli esperti dell’università di Padova, coordinati dal prof. Jacopo Bonetto, direttore del dipartimento Beni culturali. In un minuto e mezzo il video con ricostruzioni 3D condensa anni di studi e comparazioni, permettendo al grande pubblico di fare una passeggiata tra le case di Nora, come avrebbe fatto un antico romano, inerpicandosi fino al foro monumentale e al tempio. Gli scavi archeologici di Nora sono diventati così un esempio di studio, conoscenza e valorizzazione attraverso l’utilizzo di tutte le nuove tecnologie e i più vari canali di comunicazione. E proprio di Nora e delle nuove tecnologie applicate all’archeologia parlerà il prof. Jacopo Bonetto nella conversazione “Il Mondo Antico tra di noi? Realtà tridimensionale, immersiva, aumentata, social e archeologia ai confini della realtà”, in programma la mattina di sabato 7 ottobre 2017 a Rovereto, giornata conclusiva della 28.ma rassegna internazionale del cinema archeologico diretta da Dario Di Blasi e promossa dalla Fondazione museo civico di Rovereto. Questo nuovo approccio allo scavo archeologico è stato possibile grazie al progetto MACH (Multidisciplinary methodological Approaches to the knowledge, conservation and valorization of Cultural Heritage: application to archeological sites), finanziato nell’ambito dei Progetti Strategici di Ateneo, a cui hanno preso parte studiosi afferenti a tre dipartimenti dell’università di Padova (Ingegneria, Beni culturali, Geoscienze). “Il progetto”, spiega il prof. Claudio Modena, responsabile di Mach, “ha inteso valorizzare le importanti competenze presenti in Ateneo nell’area di ricerca sui beni culturali, consentendo di sviluppare una metodologia integrata di studio dei beni architettonici e archeologici, che possa essere implementata in modo versatile e generale ai fini di ampliare le conoscenze del bene investigato, oltre che definire strategie conservative e di valorizzazione”.
“La città antica di Nora è posta sul limite sud-occidentale del golfo di Cagliari”, ricorda Bonetto, “e occupa un promontorio proteso sul mare ben visibile lungo le rotte di navigazione che solcavano il Mediterraneo dall’età del Bronzo in poi. Per questo fu interessata dal IX secolo a.C. dalle navigazioni dei Fenici, di cui divenne santuario, emporio e centro di smistamento dei prodotti dell’isola in relazione alle popolazioni nuragiche dell’entroterra. Divenuta colonia cartaginese nel corso del VI secolo a.C., entrò a far parte del dominio romano dal 227 a.C. e costituì un importante riferimento mercantile nelle rotte che univano l’Italia, l’Africa e la Spagna fino a età altomedievale, quando fu abbandonata”. Da sempre nota – continua Bonetto -, la città fu progressivamente riscoperta dalla fine del XIX secolo in poi e divenne la prima grande area archeologica dell’isola dagli anni Cinquanta del secolo scorso grazie agli scavi di Gennaro Pesce che riportarono alla luce oltre 3 ettari di rovine e un quadro monumentale di grande impatto. Attualmente risulta visibile la maggior parte della città venuta a formarsi nel corso dell’età romana e dotata di tutti i grandi complessi architettonici tipici dei centri dell’impero (Foro, Teatro, Templi, cinque Terme, acquedotto, Macellum, Basilica cristiana, domus).
Le prime ricerche, ancora a livello pionieristico, risalgono alla fine dell’Ottocento (1889-1902) a cura di Filippo Vivanet e Giovanni Patroni, che portarono alla luce le necropoli della città. Negli anni Cinquanta, abbiamo visto, ci fu il grande lavoro di sterro di Pesce, mentre le ricerche sistematiche a Nora sono riprese dal 1990 con rinnovato impegno da parte di un gruppo inter-universitario (Padova, Milano, Genova, Viterbo, Cagliari) e dalla soprintendenza di Cagliari. Da allora gli scavi sono stati condotti ininterrottamente per 25 anni e si svolgono con cadenza annuale nei mesi di settembre e ottobre. Le indagini, svolte nelle forme di cantiere-scuola con la partecipazione annua di circa 45 studenti e il coinvolgimento delle scuole e della popolazione locale, riguardano diverse zone della città, del suburbio e del territorio e hanno permesso di giungere a una conoscenza della città che non ha confronti nel panorama delle ricerche archeologiche in Sardegna. Le conoscenze acquisite sono inoltre state utilizzate per avviare piani di restauro dei complessi indagati e di valorizzazione materiale e virtuale dei percorsi turistici che permettono alla città di essere oggi visitata da 70mila visitatori.
“Negli ultimi anni un impegno particolare dell’università di Padova”, sottolinea Bonetto, “è stato rivolto agli studi di carattere interdisciplinare dedicati particolarmente all’analisi dei caratteri strutturali dei monumenti (assetto statico e leganti), allo studio dei materiali da costruzione (identificazione e provenienza), all’identificazione delle tecnologie di produzione delle ceramiche (analisi delle argille e loro provenienza), alla valutazione delle variazioni del livello del mare. Negli oltre 300 articoli editi in diverse sedi editoriali, nelle 6 monografie della collana Scavi di Nora e nei diversi fascicoli della rivista Studi Norensi (http://quaderninorensi.padovauniversitypress.it) sono condensati i risultati delle ricerche che hanno permesso di riscrivere la storia della città e della sua cultura materiale dall’età nuragica fino al periodo tardo-antico”.
Si intitola “Nora. Il racconto dell’archeologo” il documentario di 27 minuti realizzato nel 2016 e diretto da Anna Ferrarese studentessa laureanda del corso di laurea magistrale in Scienze Archeologiche, relatore prof. Jacopo Bonetto. La voce narrante, di Antonio Andreetta, accompagna il racconto che si snoda attraverso immagini di repertorio girate in Sardegna, a Nora, sostenute scientificamente da esperti archeologi che approfondiscono alcuni aspetti interessanti del loro lavoro. Il soggetto è di Jacopo Bonetto, la sceneggiatura di Mirco Melanco, Anna Ferrrarese; riprese e montaggio di Alberto Fanin, Anna Ferrarese, Antonio Zanonato. Supervisione di Antonio Zanonato. Produzione di Mirco Melanco. Consulenza: Francesca Pazzaglia. Interventi: Simone Berto, Jacopo Bonetto, Filippo Carraro, Rita Deiana, Andrea Raffaele Ghiotto, Valentina Mantovani, Arturo Zara. Comparse: Alessandro Mazzariol, Federica Stella Mosimann, Maria Chiara Metelli, Federica Patuzzi. Questo video unisce archeologia e cinema, due anime componenti il Dipartimento dei Beni Culturali dell’università di Padova, sicuramente la più antica e la più, storicamente parlando, recente: in definitiva si tratta di una video-relazione piacevole nel suo narrare e particolarmente interessante dal punto di vista scientifico e culturale.
Pompei è la nuova sfida dell’università di Padova: studiare, scavare e valorizzare le Terme del Sarno grazie a una stretta collaborazione con la soprintendenza speciale. Obiettivo: aprire al pubblico entro il 2020 il grande complesso con oltre 100 ambienti disposti su sei livelli

L’impressionante complesso delle Terme del Sarno a Pompei oggetto dell’accordo di collaborazione tra l’università di Padova e la soprintendenza speciale
L’impressionante complesso architettonico sul fronte meridionale di Pompei accompagna lo sguardo delle migliaia di visitatori che ogni giorno varcano l’ingresso degli scavi della città romana sepolta nel 79 d.C. dall’eruzione del Vesuvio. Sono le terme del Sarno, frutto dell’accorpamento, trasformazione e sviluppo di due abitazioni affacciate con terrazze verso il mare, terme che, nella fase finale, contavano oltre 100 ambienti, 60 metri di fronte, 28 di altezza, articolato su 3000 metri quadrati coperti e 700 di scoperto, sei terrazzamenti. Ma il pubblico, per poter visitare le terme del Sarno, dovrà aspettare fino al 2020. È l’impegno preso dall’università di Padova e la soprintendenza speciale di Pompei alla presentazione del bilancio dei risultati dei primi due anni di collaborazione nell’ambito del progetto Mach, uno dei Progetti strategici di Ateneo con il quale l’università di Padova concentra significative risorse per consentire di sviluppare la ricerca e sperimentare nuovi approcci metodologici. In particolare il progetto Mach (Multidisciplinary methodological Approaches to the knowledge, conservation and valorization of Cultural Heritage) mette in campo approcci metodologici multidisciplinari alla conoscenza, conservazione e valorizzazione dei beni culturali già applicati nei siti archeologici di Nora in Sardegna, Gortina a Creta, Aquileia nell’Alto Adriatico, e che ora vengono attuati a Pompei. Si tratta infatti di un contributo scientifico di fortissimo impatto che ha visto, da luglio 2015 a giugno 2017, cinquanta ricercatori di tre dipartimenti (Ingegneria, responsabile Claudio Modena; Beni Culturali, responsabile Francesca Ghedini; Geoscienze, responsabile Gilberto Artioli) lavorare insieme, contaminando le loro conoscenze, per arrivare ad elaborare nuovi metodi condivisi e raggiungere risultati innovativi. “Nel progetto inter-area (Umanistiche e Scienze dure)”, ricorda il direttore del dipartimento Beni culturali, Jacopo Bonetto, “le aree d’intervento prescelte sono contesti di altissimo valore, sia sul piano archeologico che paesaggistico, del Mediterraneo: Gortina, a Creta, è stata una delle maggiori metropoli del Mediterraneo di età greca e romana; Nora, in Sardegna, è protesa sul limite sud-occidentale del golfo di Cagliari, lungo le rotte di navigazione che solcavano il Mediterraneo sin dall’età del Bronzo; Pompei rappresenta un sito paradigmatico per la sua unicità storico-archeologica e il suo significato strategico in termini di conservazione e fruizione. A Gortina le indagini si sono concentrate sul Santuario di Apollo e il teatro ed abbracciano un arco temporale dal VI secolo a.C. al IV sec. d.C., a Nora si sono sondati diversi contesti appartenenti al VIII sec. a.C. e al III sec. d.C., mentre Pompei, dal 1997 sito Patrimonio dell’Umanità, ha avuto come focus scientifico il complesso multifunzionale noto come Terme del Sarno che data dal II sec. a.C. al 79 d.C.”. Con Mach, Pompei, il più grande e significativo sito archeologico del mondo, entra a far parte dei progetti scientifici dell’università di Padova grazie ad una convenzione tra i tre dipartimenti patavini e la soprintendenza: “Una scelta strategica di grandissima importanza”, sottolinea Francesca Ghedini, “perché permette la collaborazione di enti diversi che condividono obiettivi fondamentali di ricerca, conservazione e valorizzazione. Per l’Università di Padova MACH diventa una sintesi perfetta di tutte e tre le missioni di un Ateneo: Ricerca, Formazione e Terza missione”.
Il progetto Mach. “Tra il 2015 e il 2017 l’università di Padova ha condotto a Pompei, uno dei più importanti siti archeologici al mondo, una ricerca connotata da un approccio fortemente interdisciplinare, idoneo a rinnovare le metodologie di studio e le conoscenze sull’intera città”, spiega Claudio Modena, responsabile del progetto Mach e dell’Unità di Ricerca sullo studio statico e strutturale. “Il progetto ha inteso valorizzare le importanti competenze presenti in ateneo nell’area di ricerca sui beni culturali, consentendo di sviluppare una metodologia integrata di studio dei beni architettonici e archeologici, che possa essere implementata in modo versatile e generale ai fini di ampliare le conoscenze del bene investigato, oltre che definire strategie conservative e di valorizzazione. L’intervento specifico del gruppo di lavoro di Ingegneria è stato rivolto alla conoscenza e valutazione dello “stato di salute” del complesso e alla realizzazione di un rilievo accurato”.
L’università di Padova a Pompei: il caso-studio delle Terme del Sarno. “L’università di Padova è entrata in questa grande sfida lanciata dall’Unione Europea e dal ministero dei Beni culturali per la sicurezza e la valorizzazione di Pompei, mettendo a disposizione i suoi ricercatori e le sue risorse nell’ambito di una formale convenzione”, afferma Maria Stella Busana, coordinatrice del progetto Mach. “In accordo con il prof. Massimo Osanna, direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, è stato scelto come caso di studio il complesso delle Terme del Sarno (Regione VIII, Insula 2), in un settore di Pompei poco indagato e mai aperto al pubblico. Il complesso si articolava su sei piani, accogliendo molteplici funzioni (residenziali, ricreative, di servizio, forse anche pubbliche). Un convegno e la successiva pubblicazione faranno conoscere i risultati delle ricerche finora condotte, dalla rivisitazione degli studi passati e degli archivi storici alle indagini più analitiche, frutto dell’approccio interdisciplinare che caratterizza il progetto Mach. I risultati delle indagini forniranno il supporto scientifico per la valorizzazione di un complesso straordinario, di fatto ancora sconosciuto”.
“Pompei, entrata esattamente vent’anni fa nel Patrimonio dell’Umanità (1997), rappresenta la città più nota tra i siti archeologici e un laboratorio di ricerca essenziale per la comprensione della civiltà antica, in particolare romana”, ricorda Bonetto. “La lunga storia di scavi (in realtà, quasi sempre sterri), avviati nel 1748, ha oggi restituito circa 2/3 della superficie urbana originaria, estesa su 63 ettari, e un elevato numero di complessi edilizi, molti dei quali oggi visitabili. Di contro alla straordinarietà del sito, la conoscenza di questa realtà immensa e la sua conservazione sono state perseguite in forma molto discontinua nel tempo e nelle diverse aree della città, mettendo a serio rischio i suoi resti. Da alcuni anni, grazie a un significativo finanziamento europeo, Pompei è oggetto di un grande piano di documentazione e restauro al fine di garantire la salvaguardia dei resti e potenziarne la fruibilità (Grande Progetto Pompei). In questo quadro sono stati avviati anche importanti ricerche scientifiche, prevalentemente rivolte allo studio dei caratteri architettonici, decorativi e funzionali di singoli edifici, soprattutto abitazioni private (domus)”. Anche l’Università di Padova ha deciso di mettere a disposizione di questo straordinario sito archeologico le proprie competenze, avviando nel 2015, nell’ambito dei Progetti Strategici di Ateneo, un progetto di ricerca organico sul complesso eccezionale noto come Terme del Sarno (Regio VIII, Insula 2, Civici 17-23): una scelta decisa insieme alla soprintendenza speciale di Pompei, con la quale è stato siglato un accordo di collaborazione. “L’incontro con la prof. Francesca Ghedini”, sottolinea Massimo Osanna, soprintendente di Pompei, “mi ha particolarmente sorpreso: non è venuta a chiedere concessioni ma a offrire le risorse professionali dell’ateneo patavino da mettere a disposizione di Pompei e del Grande Progetto Pompei. Si è deciso di concentrare gli sforzi nel complesso delle Terme del Sarno, che era rimasta fuori dal Grande Progetto Pompei, perché richiede un grande impegno per la conoscenza, l’analisi e la diagnostica. Senza dimenticare che studiare quest’area, sul fronte meridionale della città romana, darà indicazioni importanti per capire finalmente dove era il porto”.
“Le Terme del Sarno sono un complesso polifunzionale”, spiega Maria Stella Busana, “originariamente articolato su sei piani, posto ai limiti meridionali della città, al margine del pianoro vulcanico su cui Pompei venne costruita. Gli scavi eseguiti tra il 1888 e il 1890 avevano portato alla luce quasi un centinaio di stanze e un intero livello utilizzato come terme. Benché sottoposto subito a restauro, il complesso non venne mai aperto al pubblico, anche per problemi di natura statica dell’intero fronte meridionale del pianoro, e dopo i bombardamenti della seconda Guerra Mondiale divenne un deposito di materiali archeologici. Le caratteristiche strutturali, la funzione, la cronologia, il contesto ambientale in cui era inserito, la natura (pubblica o privata) dei proprietari e dei fruitori dell’edificio sono stati discussi da molti studiosi dal momento della sua scoperta fino agli anni ’90 del secolo scorso, senza raggiungere mai a risultati definitivi”.
“Le indagini dell’università di Padova – continua Busana – hanno deciso di affrontare lo studio del complesso attraverso un innovativo approccio multidisciplinare con l’intento di ricostruire: il contesto ambientale attraverso scavi archeologici e analisi geologiche e palinologiche; l’evoluzione architettonica dell’edificio, tramite analisi strutturale, statica e dei materiali in un’ottica diacronica, dalla costruzione alla destrutturazione, fino alla riscoperta e ai restauri di fine Ottocento; i sistemi decorativi e la cultura artistica dell’epoca, tramite analisi stilistiche e strumentali dei pigmenti; la cronologia assoluta delle fasi costruttive, tramite datazioni al radiocarbonio, epigrafiche e stratigrafiche; le funzioni e i fruitori degli spazi tramite lettura architettonica, analisi epigrafiche, studio della decorazione. Fondamentale per tutta la ricerca si è rivelata la raccolta sistematica e l’analisi critica dei dati editi a partire da fine ‘800 e della documentazione d’archivio (giornali di scavo, inventari dei materiali, foto, disegni)”. La prima fase della ricerca, condotta nell’ambito del Progetto Strategico, interviene Bonetto, “ha rivelato le grandi potenzialità dell’approccio multidisciplinare e archeometrico. I risultati, dal valore soprattutto metodologico, costituiscono un’esperienza di grandissimo valore per le future indagini sull’intero complesso del Sarno, estendibili ad altre aree limitrofe, e forniscono il supporto scientifico per la futura valorizzazione e apertura al pubblico dell’area”
Il rilievo 3D. “Il contributo del Laboratorio di Rilevamento e Geomatica del Dicea è consistito nella progettazione, acquisizione dati, elaborazione e rappresentazione di un modello tridimensionale dell’intero complesso delle Terme del Sarno, tramite l’integrazione di metodologie avanzate di rilevamento”, sottolinea Vladimiro Achilli, responsabile del rilievo 3D. “Le metodologie impiegate (laser scanning, satellitari GNSS, fotogrammetria e livellazione geometrica di alta precisione) hanno consentito, dai modelli 3D ottenuti e dai dati forniti dalla Soprintendenza, di definire piante, sezioni, ortofoto ad alta risoluzione, di misurare gli spessori delle volte e di contribuire all’attività di monitoraggio della struttura. Il rilievo così definito, coordinato con i risultati ottenuti dagli altri gruppi di ricerca, ha costituito la base necessaria per la progettazione ed esecuzione degli interventi effettuati e fornisce i presupposti per la programmazione di eventuali interventi futuri”.
Le indagini archeometriche. “L’unità di ricerca ha investigato i materiali delle Terme del Sarno a diverse scale spaziali e con tecniche di avanguardia”, sostiene Gilberto Artioli, responsabile dell’Unità di Ricerca sullo studio archeometrico dei materiali e sulle indagini geofisiche. “Tutti i materiali presenti nell’edificio, usati sia nelle fasi costruttive che nelle fasi di restauro (unità murarie – mattoni, litica; leganti – malte, intonaci; pigmenti) sono stati identificati e caratterizzati a livello microscopico e sub-microscopico per individuarne la natura, l’origine, la distribuzione e la loro funzione architettonica, strutturale o decorativa. Discussi in modo coordinato con i risultati ottenuti dagli altri gruppi di ricerca, i dati fino ad ora misurati sui materiali forniscono una solida base per la comprensione e l’interpretazione strutturale dell’edificio, la ricostruzione della storia architettonica e conservativa, e un punto di partenza per la proposta di conservazione futura”.
Le indagini archeologiche e geoarcheologiche. “Grandi novità hanno portato anche i primi saggi di scavo e la campagna di carotaggi condotti fuori della città in corrispondenza del complesso delle Terme di Sarno”, conclude Jacopo Bonetto, responsabile dell’Unità di Ricerca sullo studio storico e archeologico. “Queste hanno riguardato in particolare la ricostruzione della morfologia dell’area, che presentava un ripido declivio, le caratteristiche ambientali (un ambiente palustre) e l’uso degli spazi (discariche), delineando un quadro del tutto inaspettato dell’immediata periferia di Pompei”.
Tito Livio superstar. Padova celebra il bimillenario della morte del grande storico latino col progetto Livius noster: convegni, incontri, spettacoli, musica, proiezioni, visite guidate, reading e molto altro ancora, dalla guida archeologica di Padova romana ai visori in realtà aumentata per il Patavium virtual tour. E in Prato della Valle si scava il teatro romano
Sono passati duemila anni dalla morte di Tito Livio, il grande storico latino vissuto tutta la vita nella romana Patavium, eppure a Padova è come se fosse ancora presente e i suoi concittadini lo vedessero passeggiare tra il foro e il teatro, o parlare della sua grande opera letteraria, Ab urbe condita libri, in 142 volumi, che narra in forma annalistica gli eventi dalla fondazione della Capitale (754-753 a.C.) alla morte di Druso (9 a.C.). “Lo stretto legame di Tito Livio con la terra d’origine”, spiegano i promotori di università e soprintendenza, “è un aspetto notevole della sua vita e della sua opera. Egli scelse infatti di aprire il proprio monumento storiografico nel nome della città natale, evocandone l’eroe fondatore Antenore, elevato al rango del mitico Enea. L’opera di Livio stabilisce così un rapporto complesso e duraturo tra Roma e Patavium, che si rivela vitale non solo per approfondire la visione storica dell’autore, ma anche per comprendere un’intera epoca, segnata da straordinari mutamenti politici, sociali, culturali”. Per il bimillenario della morte dello storico, Padova celebra Tito Livio con convegni, incontri, spettacoli, musica, proiezioni, visite guidate, reading e molto altro ancora: è il progetto Livius noster, un “progetto di lettura diffusa” lungo un anno che fa rivivere i fatti e la storia dell’antichità attraverso le forme più diverse del sapere, risultato di un complesso lavoro di sinergia tra università di Padova, Comune, soprintendenza Archeologica del Veneto, Regione, fondazioni, associazioni. Un video ben riassume questo notevole impegno di ricerca e divulgazione. Guarda il video di 7GoldTelePadova:
Ora le celebrazioni liviane entrano nel vivo: tra giugno e luglio 2017, con il prosciugamento temporaneo della canaletta dell’isola Memmia in Prato della Valle, sarà possibile ammirare i resti archeologici dell’antico teatro romano di epoca augustea. Si terranno invece tra settembre e ottobre, attività di geocaching a cui potranno prendere parte gli studenti delle scuole superiori e i cittadini mentre si svolgerà a novembre un convegno di studi liviani dedicato a scienziati ed esperti. E poi lezioni e ascolto di brani d’opera legati al mondo romano e alle storie narrate da Tito Livio, produzioni cinematografiche e letture teatrali che culmineranno con lo spettacolo “Gli Orazi e i Curiazi” di Bertold Brecht interpretato da Marco Paolini per la regia di Gabriele Vacis il primo ottobre al Palazzo della Ragione. Ecco l’intenso programma. ONE BOOK ONE CITY: fino a ottobre 2017, letture nelle scuole primarie del libro “Tito Livio. Storie di ieri e di oggi”. LECTURAE LIVI: Mercoledì 4 ottobre 2017, ore 15, sala delle Edicole, Arco Vallaresso, Alexandra Grigorieva (University of Helsinki) in “La cultura culinaria al tempo di Tito Livio”. Giovedì 26 ottobre 2017, ore 15, aula Diano, Palazzo Liviano, Francesca Cenerini (Università di Bologna) in “Assenza e presenza delle donne in Tito Livio”. INCONTRI LIVIANI AI MUSEI CIVICI, ciclo “Perìpatos – La Padova di Tito Livio”: giovedì 14 settembre 2017, ore 17.30, “Padova tra due fuochi: l’aggressione di Cleonimo”; giovedì 21 settembre, 17.30, “Livio e i segni fondanti della città”; giovedì 19 ottobre, convegno “Livio, Padova e l’universo veneto”. READING: venerdì 22 settembre 2017, ore 18, sala della Carità, via S. Francesco 61; venerdì 13 ottobre, 18, fondazione Antonveneta, Palazzo Montivecchi, via Verdi 15. RICERCHE ARCHEOLOGICHE AL TEATRO ROMANO: fino al 14 luglio 2017 visite al cantiere dal lunedì al venerdì, il mattino e il pomeriggio. Sabato mattina visita generale alle 10 e alle 11 (ritrovo davanti al civico 51, Prato della Valle). CINEMA: TITO LIVIO TRA HOLLYWOOD E CINECITTÀ: mercoledì 27 settembre 2017, ore 21, cinema MPX, via Bonporti 22, “Romani a banchetto”. GEOCACHING: sabato 30 settembre 2017 (evento per le scuole superiori), sabato 7 ottobre (evento per le scuole superiori), sabato 14 ottobre (evento per le scuole superiori), sabato 21 ottobre (evento per le scuole superiori), domenica 29 ottobre (evento aperto alla cittadinanza). TEATRO: domenica 1° ottobre 2017, ore 21, Palazzo della Ragione: Marco Paolini in “Gli Orazi e i Curiazi” di Bertolt Brecht, regia di Gabriele Vacis. CUCINA: A TAVOLA CON GLI ANTICHI: giovedì 5 ottobre 2017, ore 20, Bistrot Antenore, via S. Francesco 28. CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI LIVIANI: 6-10 novembre 2017: aula Magna di Palazzo Bo, via VIII febbraio 2 e Orto botanico, via Orto botanico 15. INIZIATIVE DELLE ASSOCIAZIONI CULTURALI: in occasione del bimillenario liviano le associazioni culturali di Padova propongono un’ampia rassegna di attività destinate ad adulti e bambini.
GUIDA ARCHEOLOGICA E VISORI Sono passati più di 2mila anni da quando Tito Livio percorreva le strade di Patavium. Com’era Padova all’epoca di Tito Livio? “A questa domanda”, spiega Jacopo Bonetto, direttore del dipartimento Beni culturali dell’università di Padova, “daranno risposta due nuovi strumenti, guida archeologica e visori. La guida archeologica su “Padova, la città di Tito Livio” (cura di Jacopo Bonetto, Elena Pettenò, Francesca Veronese, Cleup edizioni, Padova 2017) a carattere divulgativo, ma aggiornata nei contenuti, ha visto coinvolti studiosi appartenenti alle istituzioni culturali della città – università, soprintendenza, musei civici – e professionisti che da anni svolgono la loro attività indagando il sottosuolo urbano. Nella guida, la città antica è presentata attraverso una breve serie di saggi, a cui seguono schede descrittive di luoghi e monumenti, in alcuni casi visitabili. La guida, con saggi e schede sui luoghi e i monumenti di epoca romana, dalla tomba di Antenore alle aree archeologiche di Montegrotto Terme, passando per l’arena, il porto fluviale, l’acquedotto, il recinto funerario di Palazzo Maldura e le strade rinvenute nel sottosuolo della città, si configura quindi come un valido strumento per cittadini, turisti, insegnanti, giovani che intendano scoprire o riscoprire la storia antica di Padova”.
La guida, che sulla copertina riporta uno scavo in piazza Cavour, è articolata in due parti: la prima contiene i piccoli saggi, mentre la seconda le schede dedicate ai siti e ai monumenti degli anni di Tito Livio, luoghi che Elena Pettenò della soprintendenza articola in base alle loro caratteristiche: essi possono essere luoghi simbolo (ad es. la tomba di Antenore che è posteriore ma importante perché Antenore viene ricordato dallo storico come fondatore di Patavium), luoghi visibili (ad es. l’arena romana, il tratto di strada romana che si vede presso la sede della banca Antonveneta), e luoghi invisibili, conosciuti grazie agli scritti di chi ci ha preceduto (es. foro romano in piazzetta Pedrocchi), ovviamente distinti sulla cartina. “Si tratta di una guida per un pubblico non specializzato ma appassionato che vogliamo coinvolgere sempre di più nella conoscenza della Padova antica, la cosiddetta Patavium”, interviene Francesca Veronese dei musei civici – museo Archeologico del Comune di Padova, “che viene raccontata attraverso una serie di piccoli saggi non troppo tecnici che descrivono la città ai tempi di Tito Livio nelle sue varie articolazioni come la struttura urbana, il suo rapporto con il territorio circostante, i suoi assetti societari, economici, artigianali e culturali, con approfondimenti su come si viveva e su come si moriva, con un affondo nel mondo dei defunti (quello che raccontano le necropoli, che permettono di ricostruire la “vita”)”.
“Se la guida si pone come valido strumento di conoscenza”, riprende Bonetto, “un nuovo strumento permetterà di vedere Patavium come mai prima d’ora è stato possibile vederla. Grazie a un accurato lavoro di ricostruzione condotto dal dipartimento dei Beni culturali e ad appositi visori per la realtà aumentata, sarà possibile effettuare un salto nel tempo e ritrovarsi nella città di Tito Livio con un’esperienza fortemente immersiva e del tutto nuova. Un’esperienza dirompente, che si fonda su accurati studi scientifici e sull’elaborazione dei dati derivati dalla ricerca archeologica condotta a Padova dall’Ottocento a oggi”. Punti privilegiati del Patavium virtual tour, a cura di Jacopo Bonetto, Arturo Zara, Alberto Vigoni; dipartimento dei Beni culturali, musei civici, soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio di Padova, e Ikon srl di Staranzano (Go), saranno il teatro che si trova in corrispondenza di Prato della Valle, l’anfiteatro o anche il porto fluviale sul Meduacus. I visori saranno a disposizione nel cantiere archeologico attivo dal 3 luglio al 5 agosto in Prato della Valle (stanno effettuando le operazione di riemersione del teatro romano), poi saranno disponibili nella sede della soprintendenza (via Aquileia 7 Padova) in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio il 23 e 24 settembre, per poi trovarsi da ottobre ai musei civici agli Eremitani per il pubblico interessato a una visita museale completa ed entusiasmante.
RICERCHE ARCHEOLOGICHE: IL TEATRO ROMANO Il teatro della romana Patavium era ancora visibile nel XII secolo, per poi essere progressivamente demolito – sorte successa a gran parte dei monumenti romani nel Medioevo – per fornire pietre da costruzione a Padova e Venezia. Nel Settecento furono viste le sue tracce durante la sistemazione di Prato della Valle e sepolto tra l’isola Memmia, la canaletta che la circonda e le aree circostanti. “Di esso possediamo qualche rilievo e ricostruzioni di fantasia”, spiega Francesca Veronese, “per cui riuscire a riportare alla luce una parte del monumento assume in valore di conoscenza e di suggestione del tutto speciale per immaginare e ricostruire quello che fu uno dei luoghi che certamente videro Tito Livio in persona assistere agli spettacoli e, forse, alle letture delle sue Storie”. Il progetto prevede il prosciugamento di parte del canale che circonda l’isola Memmia così da poter studiare i resti dell’edificio teatrale visto l’ultima volta oltre trent’anni fa. A rilievi con stazioni laser scanner e con riprese fotografiche a tecnologia SFM (structure for motion), seguirà l’attenta analisi dei resti monumentali con prelievi per l’esame petrografico: sarà così possibile risalire alle cave dei colli Euganei e dei colli Berici da cui venne prelevato il materiale lapideo impiegato. “Saranno eseguiti saggi di scavo mirati e analisi dei sedimenti e delle malte con il metodo del radiocarbonio”, continua Veronese, “per definire la datazione dell’edificio. Il trasferimento dei rilievi su software CAD 2D e 3D porterà a ricostruzioni planimetriche e altimetriche dell’edificio e alla conoscenza dell’architettura del monumento che doveva accogliere la popolazione di una delle più importanti città dell’impero. Questo permetterà la ricostruzione effettiva delle dimensioni dell’edificio, dei posti a sedere e della capacità che poteva garantire: dati importanti da cui sarà possibile proporre proiezioni sull’effettiva popolazione della città antica. Tenendo della planimetria e delle caratteristiche strutturali del teatro, nonché dei materiali edilizi in esso impiegati, sarà inoltre possibile realizzare una ricostruzione virtuale dell’edificio, che sarà inserito nel contesto del suburbio meridionale della città antica”. Sarà possibile partecipare a visite guidate allo scavo dall’8 luglio 2017, ogni sabato, alle 10 e alle 11, con ritrovo in Prato della Valle davanti al civico 51. Invece dal 10 luglio al 4 agosto 2017 sarà possibile visitare il cantiere, dal lunedì al venerdì, ore 9-12 e 15-17.30.
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