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Antico Egitto. Scoperta a Tebe-Luxor dalla missione spagnola che opera al recupero del tempio funerario di Thutmosi III, la tomba di un alto funzionario di corte del Terzo Periodo Intermedio con un bel cartonnage

I resti del tempio funerario di Thutmosi III a Deir el Bahari sulla riva occidentale del Nilo a Tebe-Luxor

I resti del tempio funerario di Thutmosi III a Deir el Bahari sulla riva occidentale del Nilo a Tebe-Luxor

L’Egitto non finisce mai di stupire: scoperta a Tebe-Luxor la tomba di un alto dignitario dei faraoni risalente al Terzo Periodo Intermedio. Durante la nona campagna di scavo, la missione archeologica spagnola, diretta dall’egittologa Myriam Seco Ælvarez, ha scoperto a Tebe, sulla riva ovest di Luxor in Egitto, una tomba risalente agli inizi del Terzo Periodo Intermedio, vale a dire dell’XI-X sec. a.C.. La sepoltura, alla fine di un breve pozzo, è stata ritrovata lungo la facciata esterna del muro meridionale del tempio funerario del faraone della XVIII dinastia Thutmosi III (1490/68 -1425 a.C.), a Deir el-Bahari, vicino al tempio funerario di Hatshepsut. Lo ha reso noto il ministero delle Antichità egiziano. “La tomba, molto piccola,  80 centimetri di altezza e 60 di larghezza, è in ottimo stato”, assicura Mahmoud Afifi, direttore del Dipartimento delle Antichità locale. “Al suo interno è stato trovato un sarcofago deteriorato con una mummia ben conservata di un alto funzionario di corte, Amon-Renef “Servitore della Real Casa”, avvolto in una bel cartonnage colorato”.

Il bel cartonnage dell'alto funzionario Amon-Renef scoperto lungo la facciata esterna del tempio di Thutmosi III dalla missione spagnola di Myriam Seco

Il bel cartonnage dell’alto funzionario Amon-Renef scoperto nella tomba lungo la facciata esterna del tempio di Thutmosi III dalla missione spagnola di Myriam Seco

“Abbiamo trovato la nicchia al di fuori del perimetro sud del muro del tempio”, racconta Seco che dal 2008 è co-direttore della missione che ha l’arduo compito di recuperare il tempio funerario del più grande faraone di tutti i tempi. “Il sarcofago antropomorfo è stato mangiato dalle termiti. Si sono conservati solo un poco dei piedi e del viso. Al suo interno,  però, è stato trovato un cartone molto fragile, che mantiene ancora la sua vivida decorazione: è una vera bellezza”. Il rivestimento di cartonnage è stato usato nell’Antico Egitto a partire dal Primo periodo intermedio per realizzare le maschere funerarie. È stato proprio dallo studio preliminare del cartonnage che si è potuto sapere qualcosa di più preciso sul proprietario della sepoltura. “Vi sono riportati tutti gli elementi della religione egizia. Appaiono i simboli solari, come il disco solare o il cobra; le dee protettive Iside e Nefti con le loro ali spiegate; i quattro figli di Horus incaricati di custodire le viscere del defunto; i falchi protettori sempre con le ali spiegate”. E poi ricorda l’egittologa sivigliana: “Abbiamo anche trovato associati degli oggetti ascrivibili al Terzo Periodo Intermedio. Per questo gli studi preliminari collocano la sepoltura intorno all’XI-X secolo a.C. Ma necessitano ovviamente studi più approfonditi”. Intanto sappiamo che il defunto si chiamava Amon-Renef e portava il titolo di “Servitore della Real Casa”. È stata una figura importante nella corte: si prendeva cura di tutto.

Un'archeologa durante le difficoltose operazioni di recupero del cartonnage di Amon-Renef

Un’archeologa durante le difficoltose operazioni di recupero del cartonnage di Amon-Renef

Il poco spazio disponibile nella tomba ha complicato il lavoro degli archeologi. “Immaginate le posture scomode che hanno dovuto adottare i due restauratori che hanno lavorato nella nicchia, con l’ulteriore difficoltà che si doveva muoversi, entrare e uscire senza toccare il cartonnage” riprende la direttrice Seco. “Abbiamo lavorato per una settimana per rimuovere il cartonnage intatto”. Durante il delicato processo, gli esperti hanno coperto la maschera funeraria con una garza, prima di essere recuperata e inviata al laboratorio. “Ora è fondamentale intervenire sul cartone con l’iniezione di prodotti che ne garantiscano la conservazione. Dovremo farlo prima della fine della campagna di scavo”.

Egitto-Pompei. Al museo Egizio di Torino la prima tappa del progetto con la mostra “Il Nilo a Pompei” nella nuova sala Asaad Khaled. Per la prima volta gli affreschi del tempio di Iside e della domus del Bracciale d’oro di Pompei

La mostra "Il Nilo a Pompei" nella nuova sala del museo Egizio di Torino intitolata a Khaled Asaad, l'archeologo siriano ucciso dall'Isis

La mostra “Il Nilo a Pompei” nella nuova sala del museo Egizio di Torino intitolata a Khaled Asaad, l’archeologo siriano ucciso dall’Isis

Il logo del progetto-ricerca "Egitto Pompei"

Il logo del progetto-ricerca “Egitto Pompei”

L’onda lunga del Nilo si ferma alle acque del Po, dopo aver invaso il Mediterraneo e lambito l’area vesuviana e i colli di Roma. Ecco “Il Nilo a Pompei”, la grande esposizione che si è aperta al museo Egizio di Torino, come già annunciato da archeologiavocidalpassato (https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/03/01/egitto-passione-antica-da-torino-a-pompei-a-napoli-tre-sedi-per-un-grande-progetto-espositivo-egitto-pompei-grazie-alla-collaborazione-inedita-tra-enti-diversi-legizio/), la prima di un grande progetto espositivo e di ricerca “Egitto Pompei” che nell’arco dell’anno vedrà coinvolti anche il museo Archeologico nazionale di Napoli e la soprintendenza di Pompei. Fino al 4 settembre 332 pezzi, tra pitture, vasellame e sculture, provenienti da venti musei italiani (più dalla metà da Napoli e Pompei) e stranieri, testimoniano l’influenza della cultura egizia su quella greca e romana, in un viaggio ideale dall’Egitto faraonico all’Italia romana con il Mediterraneo come sfondo. E per l’Egizio di Torino sono tante le “prime” legate a questo progetto: “Il Nilo a Pompei” è la prima mostra temporanea promossa dal nuovo corso dell’Egizio dopo la sua inaugurazione il 1° aprile del 2015; è la prima volta nel nuovo spazio riservato alle mostre temporanee al primo piano del palazzo di via dell’Accademia, sala che è stata intitolata a Khaled Asaad, l’eroico direttore del museo e del sito Unesco di Palmira, giustiziato nell’agosto 2015 dall’Isis; è la prima volta anche per opere straordinarie, esposte a Torino, come gli affreschi del tempio di Iside o della casa del Bracciale d’Oro, entrambi a Pompei.

Il manifesto della mostra "Il Nilo a Pompei" aperta fino al 4 settembre 2016 al museo Egizio di Torino

Il manifesto della mostra “Il Nilo a Pompei” aperta fino al 4 settembre 2016 al museo Egizio di Torino

La mostra vuole rispondere a due domande precise: quanto la cultura egizia ha influenzato l’Italia del periodo romano? Quali sono stati i risultati di questa contaminazione in ambito artistico e quali effetti ha avuto sulla vita quotidiana a partire dall’epoca ellenistica fino alla Roma imperiale? Per avere una risposta a questi interrogativi il visitatore è accompagnato in un viaggio che ha come sfondo il Mediterraneo e come protagonisti oggetti e immagini che dalle rive del Nilo hanno toccato nuove terre, incontrato culture diverse e sono giunti sino a noi. Partendo da Alessandria d’Egitto, passando dalla greca Delo e approdando a Pozzuoli in Campania si possono così seguire l’evoluzione di culti e motivi iconografici egizi, soffermandosi in particolare sui siti campani di Pozzuoli, Cuma e Benevento, con un approfondimento su Pompei e Ercolano.

Un affresco proveniente dalla Casa del Bracciale d'Oro di Pompei

Un affresco proveniente dalla Casa del Bracciale d’Oro di Pompei

Affresco proveniente dal tempio di Iside a Pompei

Affresco proveniente dal tempio di Iside a Pompei

I culti isiaci si sono diffusi dall'Egitto al Mediterraneo

I culti isiaci si sono diffusi dall’Egitto al Mediterraneo

Il percorso della mostra “Il Nilo a Pompei” si snoda attraverso nove sezioni partendo dalla ricezione dell’Egitto nel mondo greco (1. L’Egitto e il mondo greco: l’influenza dell’Egitto, prima nelle civiltà minoica e micenea e poi nel mondo greco, nella madrepatria e nel mondo coloniale), passando per la grecizzazione degli dei egiziani sotto i Tolomei (2. Osiride, Iside e la leggenda osiriaca: la devozione a Osiride, Iside, Horus e i loro dei ancillari nell’Egitto faraonico, prima che questi culti siano rivisitati ad Alessandria e poi a Roma), e la diffusione dei culti egizi nel Mediterraneo (3. Serapide e Iside: la rielaborazione del culto di Osiride-Api e Iside ad Alessandria è il presupposto della loro fortuna oltre i confini dell’Egitto) e in particolare in Italia (4. L’Iseo di Benevento: l’Iseo di Benevento, tempio dedicato alla dea Iside, noto per le sue decorazioni in stile faraonico). Ci si concentra sui culti egiziani nei siti vesuviani grazie a reperti di straordinaria bellezza, come gli affreschi dell’Iseo Pompeiano (5. Il culto di Iside a Pompei: il tempio di Iside a Pompei, l’unico ben conservato fuori dall’Egitto, nel quale i temi egiziani abbondano negli affreschi e negli arredi) o della Casa del Bracciale d’Oro a Pompei (6. La casa del Bracciale d’Oro: in mostra le pitture provenienti dal triclinio estivo, ambiente all’aperto destinato alla convivialità, di una casa patrizia pompeiana che godeva di una meravigliosa vista sul Golfo di Napoli). Si passa poi ad ammirare alcuni tesori da domus pompeiane (7. La casa di Octavius Quartio a Pompei: sezione dedicata alle sculture provenienti dal giardino della casa di Octavius Quartio, una delle abitazioni più grandi di Pompei) e decorazioni in abitazioni private (8. Altre case pompeiane: sezione in cui vengono esibiti due affreschi con tema nilotico, alcune statue ispirate al pantheon egizio e alla fauna della valle del Nilo, una lastra in pietra che riporta un’iscrizione geroglifica). L’allestimento si conclude con una sezione dedicata alla diffusione dei culti isiaci in Piemonte con gli splendidi bronzi del sito di Industria (9. Iside in Piemonte: il sito di Industria, importante snodo commerciale nell’Italia del Nord noto per le officine di lavorazione del bronzo). Il serrato dialogo tra le due sponde del Mediterraneo è valorizzato dalla ricostruzione in 3D delle case pompeiane del Bracciale d’Oro e di Loreio Tiburtino, decorata con statue che rimandano all’Egitto.

Statue di Sekhmet da Tebe Karnak Tempio di Amenhotep III (riempiegate nel Tempio di Mut?) Diorite, Nuovo Regno / XVIII dinastia, Amenhotep III (1388 – 1351 a.C.) Torino, Museo Egizio

Statua di Sekhmet da Tebe
Karnak Tempio di Amenhotep III conservata all’Egizio di Torino

Una grande mostra – come si diceva – in tre luoghi, Torino, Napoli e Pompei. Proprio a Pompei la seconda tappa: nella Palestra Grande, uno scenografico allestimento di Francesco Venezia riunirà dal 16 aprile sette monumentali statue con testa di leone della dea Sekhmet e la statua seduta del faraone Tutmosi III che per la prima volta escono dalle sale della collezione permanente del museo Egizio. I monoliti di granito prestati dal museo torinese marcano la centralità del culto solare: un ritorno alle origini di una secolare storia di sincretismi religiosi, in cui l’adorazione della dea Sekhmet riconduce il racconto della mostra alla fase costitutiva del cosmo e all’ordine imposto dagli dei. Il rapporto tra la divinità e il mondo, e la necessità di mantenere un equilibrio tra forze contrapposte, si manifesta attraverso una serie di rituali di cui le imponenti statue sono testimoni. Una emozionante videoinstallazione di Studio Azzurro accompagnerà l’esposizione delle opere. All’interno degli scavi verrà tracciato, inoltre, un percorso egizio a partire dal tempio di Iside, interessato da un intervento multimediale di realtà immersiva, per arrivare alle numerosissime domus che riportano motivi decorativi egittizzanti, come quella di Loreio Tiburtino.

Skyphos di ossidiana da Stabiae con scene di culto egiziano in mostra al museo Archeologico di Napoli

Skyphos di ossidiana da Stabiae con scene di culto egiziano in mostra al museo Archeologico di Napoli

Dal 28 giugno il terzo capitolo dell’esposizione al museo Archeologico nazionale di Napoli. L’inaugurazione di una nuova sezione del percorso di visita delle collezioni permanenti servirà a focalizzare l’attenzione sull’insieme di culti che, nati o arrivati dall’oriente attraverso l’Egitto, hanno trovato in Campania un terreno fertile di ricezione e diffusione nel resto d’Italia. Questo settore del museo andrà a integrare e completare la narrazione della sala in cui sono attualmente ricomposti gli arredi dell’Iseo di Pompei. Troveranno finalmente una collocazione le coppe di ossidiana da Stabia, capolavori dell’artigianato alessandrino che seppe tradurre modelli di epoca faraonica in un linguaggio apprezzatissimo e diffuso all’indomani della conquista romana dell’Egitto (31 a.C.), e i due affreschi provenienti da Ercolano con scene di cerimonie isiache, che sembrano illustrazioni del testo di Apuleio. Nell’esposizione di opere che attestano la diffusione di culti e religioni orientali (da Sabazio a Dusares a Mitra) praticate e seguite per secoli, non mancheranno i riferimenti al giudaismo, presente a Napoli, e al nascente cristianesimo. E dall’8 ottobre l’intero progetto si concluderà con la riapertura della collezione egiziana del museo di Napoli. Negli stessi spazi individuati fin dal 1864 come naturale sede delle raccolte Borgia e Picchianti, e nel totale rifacimento dell’allestimento del 1989, saranno riesposti gli oltre 1200 oggetti che fanno di quella del museo Archeologico nazionale di Napoli una delle più importanti collezioni egizie d’Italia, il cui nucleo principale si è formato prima della spedizione napoleonica. Per facilitare la lettura al pubblico il nuovo percorso è stato articolato per temi. Dopo una sala introduttiva sul formarsi della raccolta, ognuna delle cinque sale sarà dedicata a un argomento: Uomini e Faraoni, La Tomba e il Corredo Funerario, La Mummificazione, Il Mondo magico e religioso, La Scrittura, i Mestieri e l’Egitto in Campania. Un’aggiornata segnaletica, realizzata con l’università L’Orientale, completerà l’allestimento arricchito da supporti multimediali e da un percorso dedicato ai bambini.

110 anni fa l’archeologo italiano Schiaparelli scoprì la più bella tomba della Valle delle Regine, la tomba di Nefertari, la Grande Sposa di Ramses II. Una mostra al museo Egizio del Cairo ricorda 110 anni di presenza italiana in Egitto

La regina Nefertari, la Grande Sposa di Ramese II, ritratta negli affreschi della sua tomba nella Valle delle Regine

La regina Nefertari, la Grande Sposa di Ramese II, ritratta nella sua tomba nella Valle delle Regine

La pianta della tomba di Nefertari a Tebe Ovest

La pianta della tomba di Nefertari a Tebe Ovest

“È uno dei monumenti più insigni della necropoli di Tebe che se non per ampiezza, certo per l’armonia delle sue parti e la squisitezza dell’arte, gareggia pur anco colle più belle tombe della Valle dei re”, avrebbe commentato la straordinaria scoperta della tomba della regina Nefertari l’archeologo italiano Ernesto Schiaparelli, direttore del museo Egizio di Torino dal 1894 fino alla sua morte nel 1928. Era il 1904. Schiaparelli a capo di una missione archeologica italiana scoprì nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba più bella d’Egitto: la QV66, ovvero la tomba della celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramses II (1279-1212), sovrano egizio della XIX dinastia, la quale – pur non avendo regnato in modo autonomo – fu una delle regine più influenti dell’Antico Egitto, a fianco di nomi come Hatshepsut, Tyi, Nefertiti e Cleopatra VII. Ramses II la innalzò alla condizione di divinità vivente attribuendole appellativi come: “la Divina”, “la più amata”, “la Signora del fascino”, “la dolce in amore”, “Madre e Signora del dio in vita”. Non a caso il nome Nefertari letteralmente significa “la più bella”, nome inoltre quasi sempre seguito dall’attributo Mery-en mut, “amata da Mut”, la divinità tebana, sposa di Ammone. Una volta entrato, Schiaparelli si rese subito conto che l’opera dei saccheggiatori aveva lasciato ben poco del corredo originario, ma la QV66 restava ed è un gioiello per la sua struttura architettonica, paragonabile a quelle che si trovano nella Valle dei Re, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto, uno dei più completi e significativi del nuovo regno.

Il moderno ingresso alla tomba di Nefertari nella Valle delle Regine

Il moderno ingresso alla tomba di Nefertari nella Valle delle Regine

Il manifesto della mostra fotografica "Nefertari 1904 - 2014" al museo Egizio del Cairo

Il manifesto della mostra fotografica “Nefertari 1904 – 2014” al museo Egizio del Cairo

Sono passati 110 anni da quella straordinaria scoperta che parla italiano come la targa che ancora oggi campeggia sopra il cancelletto d’ingresso della tomba in fondo alla breve scala di accesso a ricordare l’opera di Ernesto Schiaparelli. E un anniversario così importante come la scoperta della tomba della regina Nefertari non poteva passare sotto silenzio. Per questo l’ambasciata d’Italia e l’Istituto di Cultura italiano al Cairo, in collaborazione con il ministero delle Antichità egiziano, hanno deciso di promuovere la mostra fotografica “Nefertari 1904 – 2014”, che celebra i 110 anni di presenza italiana in Egitto. L’inaugurazione della mostra, sponsorizzata da Alex Bank, del Gruppo Intesa SanPaolo di Torino, e da Bcube logistica di Coniolo (Al), l’8 dicembre al museo Egizio di piazza Tahrir al Cairo, alla presenza dell’ambasciatore d’Italia, Maurizio Massari, e del ministro egiziano delle Antichità, Mamdouh Eldamaty, e sarà successivamente trasferita ad Alessandria e Luxor. “È uno straordinario esempio dell’impegno e della qualità del lavoro di archeologi e restauratori italiani”, sottolinea l’ambasciatore Massari, “e soprattutto la conferma del grande valore della presenza italiana nel settore archeologico egiziano, presenza ancora oggi rilevante, con 23 missioni attualmente operative in tutto l’Egitto”.

L'interno, completamente affrescato, della tomba di Nefertari, la QV66

L’interno, completamente affrescato, della tomba di Nefertari, la QV66

Una visione assonometrica della tomba di Nefertari scavata nella roccia

Una visione assonometrica della tomba di Nefertari scavata nella roccia nella Valle delle Regine

Questa vasta tomba scoperta nel 1904 dall’egittologo Ernesto Schiaparelli, purtroppo deturpata e saccheggiata al punto da essere priva della mummia (il sarcofago in granito rosa è stato trovato aperto e spezzato), è collocata nel versante settentrionale della Valle delle Regine e presenta una pianta molto articolata. È infatti diversa rispetto alle tombe di altre regine (solitamente più semplici e dotate solo di una camera funeraria), e si ispira piuttosto alle sepolture faraoniche della vicina Valle dei Re. Sulle pareti della seconda scala discendente, la decorazione è anche a rilievo. I dipinti raggiungono apici di qualità nell’ambito dell’arte funeraria egizia soprattutto per la ricchezza di colori (verde, blu egiziano, rosso, ocra gialla, bianco e nero) e di dettagli, mentre i temi e i contenuti rispettano le indicazioni contenute nel Libro dei Morti. Le immagini descrivono il viaggio di Nefertari verso l’Aldilà, durante il quale gioca a senet (gioco da tavolo, considerato uno degli antenati del backgammon), entra nel mondo sotterraneo dove incontra molte divinità tra le quali Osiride e Iside. Al termine del ciclo pittorico, Nefertari trionfa e si tramuta in Osiride (dio dei morti), con il conseguente, auspicato raggiungimento dell’immortalità e della pace eterna. All’interno della tomba furono ritrovati resti del sarcofago in granito rosa e pochi pezzi del corredo funerario: 34 ushabti, un frammento di bracciale d’oro, amuleti, cofanetti di legno dipinti e un paio di sandali in fibra intrecciata.

La regina Nefertari al cospetto di Osiride: affresco della tomba di Nefertari

La regina Nefertari al cospetto di Osiride: affresco della tomba di Nefertari

Il nome di Nefertari, che visse più di 3500 anni fa, sin dalla scoperta della sua tomba, è stato soffuso da un alone di mistero, forse per il grande amore che le portò il suo sposo Ramses II il quale non seppe consolarsi della perdita della sua regina che morì nel 1255 a.C., sulla quarantina. Di lei venne narrata, nelle numerose iscrizioni e raffigurazioni rinvenute, la straordinaria bellezza e grazia, tanto che alcuni studiosi arrivano persino a stabilirne la parentela con un’altra famosa regina – Nefertiti – asserendo che entrambe erano figlie di Ay, il penultimo faraone della XVIII dinastia. Dal momento delle nozze, Nefertari diventò la compagna inseparabile e senza rivali del re; tutte le testimonianze dimostrano che aveva un ruolo estremamente importante nel regno per la sua intelligenza, la determinazione e la volontà che le permisero di mantenere al fianco del faraone il controllo non solo delle faccende interne, ma anche di quelle internazionali e sacre. Il comportamento di Ramses II nei confronti di Nefertari fu veramente eccezionale: egli giunse a dedicarle un tempio ad Abu Simbel, raro privilegio per una regina, e le costruì la più bella tra le tombe della Valle delle Regine sulla riva del Nilo, di fronte a Luxor, riempendola di oggetti preziosi e facendola decorare con dipinti ispirati agli “incantesimi”, o ai testi sacri del “Libro dei Morti”, per garantirle l’accesso all’eternità.

L'egittologo Ernesto Schiaparelli scoprì la tomba di Nefertari nel 1904

L’egittologo Ernesto Schiaparelli scoprì la tomba di Nefertari nel 1904

Nonostante l’impegno profuso da Ramses II per assicurare l’immortalità di Nefertari, la tomba della sposa venne – come detto – saccheggiata già nell’antichità, tanto che al momento della scoperta, non fu rinvenuta la mummia della regina e si trovarono solo pochi degli oggetti del suo corredo funerario. Non solo, ma molte delle pitture murali andarono danneggiate in seguito alla precedente profanazione; e Schiaparelli stesso constatò che il processo di deterioramento era in atto da tempi antichi, degrado che subì un’accelerazione drammatica dopo l’apertura della tomba da parte dell’archeologo italiano.

Il ritratto di Nefertari prima e dopo i restauri curati da un'equipe di esperti italiani diretta da Laura e Paolo Mora

Il ritratto di Nefertari prima e dopo i restauri curati da un’equipe di esperti italiani diretta da Laura e Paolo Mora per conto del Getty Conservation Institute

Un momento dei delicati restauri del ciclo di affreschi della tomba di Nefertari durati per cinque anni

Un momento dei delicati restauri del ciclo di affreschi della tomba di Nefertari durati per cinque anni

Se italiana fu la sua scoperta, italiano è stato anche il salvataggio della preziosa tomba. Schiaparelli intervenne con un ottimo restauro sui dipinti delle pareti, ma nei decenni successivi l’impiego di cemento per nuovi restauri provocò seri danni. Data questa situazione la tomba non venne aperta al pubblico e solo nel 1987 le autorità egiziane decisero di affidarne il restauro al Getty Conservation Institute che chiamò a operare un gruppetto di restauratori italiani guidato da Laura e Paolo Mora (allora direttore dell’Istituto italiano del restauro) e formato da Franco Adamo, Giorgio Capriotti, Lorenza D’ Alessandro, Adriano Luzzi, Giuseppe Giordano e Paolo Pastorello. Un’ équipe di super specialisti tra i migliori del mondo che hanno lavorato cinque anni per stabilizzare lo strato pittorico sull’intonaco e quest’ultimo sulla roccia calcarea delle pareti. Un delicato intervento fatto con bisturi, pennellini e siringhe con cui iniettare consolidanti sotto lo strato pittorico; nessuna integrazione dei dipinti. Durante il restauro sono emersi particolari che hanno fatto “vedere” gli antichi Egizi al lavoro. Sulle pareti sono state infatti trovate annotazioni degli operai che eseguirono lo scavo della roccia (“scavare fin qui!”) e anche le tracce lasciate dalle cordicelle intrise di colore con le quali i pittori “tirarono le righe” per organizzare gli spazi da dipingere. Inoltre, sui dipinti delle pareti sono stati osservati alcuni schizzi di colore blu (il colore del soffitto) e ciò dimostra che il soffitto venne dipinto dopo che erano state eseguite le pitture delle pareti. Un sistema di procedere, questo, che potrebbe sembrare sbagliato ma che trova invece una spiegazione quando si pensa che gli antichi pittori operavano alla luce delle lampade a olio e quindi con poca luce. Per questo preferirono lasciare il soffitto bianco fino alla fine dei lavori in modo che il suo chiarore integrasse la fioca luce delle lampade. Per realizzare la tomba gli antichi egizi estrassero tonnellate di roccia scendendo fino a una profondità di 812 metri e affrescarono una superficie di circa 520 metri quadrati. Uno sforzo immane per creare un luogo degno della regina e che, nella sua stessa disposizione delle camere e nei soggetti dei dipinti, rappresenta l’itinerario rituale che la defunta percorse per unirsi con le forze cosmiche e raggiungere le Stelle Perenni.

Egitto. Doppia scoperta degli americani ad Abido: tomba reale di Sobekhotep (XIII din.) e sepoltura di Senekbay, faraone sconosciuto della dimenticata dinastia di Abido

Nuove eccezionali scoperte ad Abido in Egitto: in primo piano il sarcofago di Sobekhotep

Nuove eccezionali scoperte ad Abido in Egitto: in primo piano il sarcofago di Sobekhotep

Doppia eccezionale scoperta ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto dedicata a Osiride il dio dell’Oltretomba, a 150 chilometri da Luxor ai margini del deserto occidentale: prima è stata scoperta una tomba reale della XIII dinastia (1781 – 650 a.C.), fatto già di per sé straordinario visto che di questa dinastia ne sono state scoperte solo dieci e tutte a Dahshur, a sud del Cairo: la tomba reale scoperta ad Abido appartiene al faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore della XIII dinastia, che ha regnato solo per pochi anni, in un momento in cui l’Egitto stava entrando in un periodo di declino. Non a caso i dati cronologici per questo periodo sono così complessi che gli studiosi stanno ancora discutendo sull’ordine dei re della XIII dinastia. Ma collegata e conseguente a questa scoperta ne è risultata un’altra che – forse – è ancora più importante: è stata rinvenuta la sepoltura di un faraone, Senebkay, fino ad oggi poco conosciuto per non dire sconosciuto. Il ritrovamento di Senebkay a sua volta conferma l’esistenza della mitica dinastia di Abido (1650-1600 anni a.C.), finora poco più che un’ipotesi, una dinastia presto dimenticata, parallela a quelle ufficiali, e pertanto priva di numerazione.

La tomba reale del faraone Sobekhotep (XIII dinastia) scoperta dagli archeologi americani

La tomba reale del faraone Sobekhotep (XIII dinastia) scoperta dagli archeologi americani

Tutto è iniziato l’estate del 2013 durante la missione archeologica ad Abido dell’università americana della Pennsylvania diretta da Josef Wegner, curatore della sezione egizia del Penn Museum. Gli archeologi scoprono una grande tomba reale attribuita alla XIII dinastia e, poco distante, un massiccio sarcofago di 60 tonnellate di cui si ignorava l’appartenenza. Ma la posizione e la “location” all’interno di una camera sepolcrale convincono gli archeologi americani ad approfondire le ricerche. E poche settimane fa l’annuncio trionfale da parte del ministro delle Antichità, Mohamed Ibrahim: “Un gruppo di archeologi dell’Università della Pennsylvania ha scoperto ad Abido, nel governatorato di Sohag, la tomba del faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore – 3800 anni fa – della XIII dinastia, e lì vicino, più modesta e di epoca posteriore, quella di un faraone dimenticato, Senebkay”, ha spiegato. “Il team dell’Università della Pennsylvania è riuscito a identificare chi fosse sepolto nel sarcofago in quarzite rossa, del peso di circa 60 tonnellate, ritrovato l’anno scorso”.

I frammenti trovati nella tomba reale con il nome del faraone Sokekhotep (XIII din.)

I frammenti trovati nella tomba reale con il nome del faraone Sokekhotep (XIII din.)

Il riconoscimento è stato possibile grazie al ritrovamento nella tomba di frammenti di piatti su cui era inciso il nome del faraone, e di un fregio in cui Sobekhotep I siede sul trono. Oltre al sarcofago in quarzite gli archeologi hanno trovato i frammenti di vasi canopi che contenevano gli organi interni del faraone e gli oggetti d’oro che gli appartenevano. La tomba di Sobekhotep è stata costruita in calcare portato dalle cave di Tura vicino alla moderna città del Cairo, mentre la camera sepolcrale è stata realizzata in quarzite rossa, trasportata ad Abido da Gebel Ahmar, sempre vicino al Cairo. La sepoltura originariamente era sormontata da una piramide simile a quella di Ameny Qemau, faraone appartenente alla stessa dinastia.

La tomba del faraone Senekbay della Dinastia di Abido trovata accanto a quella di Sobekhotep

La tomba del faraone Senekbay della Dinastia di Abido trovata accanto a quella di Sobekhotep

E veniamo alla seconda scoperta. “La tomba di Senebkay”, hanno spiegato alla presentazione al Cairo, “è situata vicino alla tomba reale più grande, attribuita al re Sobekhotep I (1780 a.C.), della XIII dinastia. La camera del sarcofago, in quarzite rossa, era stata assegnata al tardo Medio Regno, ma il defunto era sconosciuto. Il riutilizzo del sarcofago in un’altra tomba è rimasto un mistero per tutta l’estate”. Ora, gli archeologi sanno che il colossale sarcofago proviene dalla tomba costruita per il faraone della XIII dinastia. “Elementi della tomba di Sobekhopet I sono stati riutilizzati dalla particolare dinastia di Abido, durante il Secondo Periodo Intermedio, per costruire e ornare le proprie tombe. La tomba scoperta l’anno scorso, risalente al 1650 a.C., è di uno di questi re, finora sconosciuto, identificato come Woseribre Senebkay, della Dinastia di Abido” spiegano Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone. La tomba si compone di quattro camere, una delle quali decorata con immagini delle dee Nut, Nefti, Selket e Iside sul canopo del re e dediche che recitano “al re dell’Alto e Basso Egitto, Wosebire, figlio di re, Senebkay”.

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

La tomba, saccheggiata in antico da tombaroli che spogliarono la mummia del suo oro, appare modesta. La cassa, in legno di cedro, porta ancora, ricoperto da dorature, il nome del re Sobekhotep, cioè del primo proprietario del sarcofago. “Il riutilizzo di questi oggetti e della camera del sarcofago sono la prova di risorse limitate nella situazione economica del Regno di Abydos nella parte meridionale del Medio Egitto, in confronto ai regni più grandi di Tebe (dinastie XVI-XVII) e Hyksos (dinastia XV), a nord”. La tomba, si è detto, fu saccheggiata già in epoca antica: tuttavia, tra i detriti del sarcofago ligneo frantumato, sono stati recuperati i resti della mummia, la maschera funeraria in cartonnage (probabilmente in origine dorata) e il canopo. “Grazie agli esami preliminari sulla base delle ossa”, spiegano i due professori, “si può stabilire che Senebkay era un uomo di altezza media (circa un metro e settanta), che morì prima dei cinquant’anni d’età”.

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

La scoperta fornisce nuove prove sulla storia politica e sociale del Secondo Periodo Intermedio d’Egitto (1781 a.C. – 1549 a.C.). L’esistenza di una “Dinastia Abydos” indipendente, “contemporanea della XV (Hyksos) e XVI (Tebana), ipotizzata dall’egittologo K.Ryholt nel 1997 – spiegano gli archeologi -, viene ora dimostrata da questa scoperta, che ne individua la necropoli a sud di Abydos, in una zona anticamente chiamata Montagna di Anubis”. Il nome di Senebkay compare in un frammento della famosa “Lista dei Re di Torino”, un papiro risalente al regno di Ramses II (1200 a.C.), in cui due nomi “Woser…re” sono iscritti tra una dozzina di re, la maggior parte dei cui nomi è andata perduta. A differenza delle dinastie “numerate”, i faraoni della dinastia Abydos rimasero dimenticati dalla storia e la loro necropoli sconosciuta fino alla scoperta della tomba di Senebkay che avrebbe governato come un re regionale a Abydos durante il Secondo Periodo Intermedio dell’Egitto, un momento in cui il potere del governo centrale era rotto e l’unità del regno si era frammentato.