Pompei. Emergono due nuove vittime dallo scavo dei Casti Amanti: due scheletri schiacciati sotto un crollo di muro. Zuchtriegel: “Non fu solo l’eruzione a causare la morte degli abitanti dell’area ma anche un terremoto concomitante”. La cronaca dell’eruzione che in due giorni distrusse la città

Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)

Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Morti schiacciati dal crollo del muro della casa, mentre al di fuori si stava scatenando l’inferno. Gli scheletri di due vittime di Pompei sono emersi dallo scavo nell’insula dei Casti Amanti. È questa l’ultima importante scoperta nell’antica città romana alle falde del Vesuvio che corregge un po’ la prospettiva sulla fine dei suoi abitanti: non fu solo l’eruzione a causare la morte di quanto vivevano nell’area, ma anche un terremoto concomitante. Gli scheletri sono stati ritrovati nel corso del cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo dell’Insula dei Casti Amanti, che sta prevedendo anche degli interventi di scavo in alcuni ambienti. Giacevano riversi su un lato, in un ambiente di servizio, al tempo in dismissione per probabili interventi di riparazioni o ristrutturazione in corso nella casa, nel quale si erano rifugiati in cerca di protezione.
“Il ritrovamento dei resti di due pompeiani avvenuto nel contesto del cantiere in opera nell’Insula dei Casti Amanti”, dichiara il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, “dimostra quanto ancora vi sia da scoprire riguardo la terribile eruzione del 79 d.C. e conferma l’opportunità di proseguire nelle attività scientifiche di indagine e di scavo. Pompei è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”. I dettagli scientifici dello scavo possono essere approfonditi attraverso gli articoli pubblicati sull’E-Journal di Pompei – scaricabile dal sito ufficiale del Parco www.pompeiisites.org – nuova piattaforma digitale rivolta alla comunità scientifica e al pubblico e finalizzata a fornire notizie e relazioni preliminari riguardanti progetti di scavo, di ricerca e di restauro nelle sedi del Parco.
“Le tecniche dello scavo moderno ci aiutano a comprendere sempre meglio l’inferno che in due giorni distrusse interamente la città di Pompei, uccidendone molti abitanti: bambini, donne e uomini. Con le analisi e le metodologie riusciamo ad avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita”, evidenzia il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel. “In una delle discussioni di cantiere, durante il recupero dei due scheletri, uno degli archeologi indicando le vittime che stavamo scavando, ha detto una frase che mi è rimasta impressa e che sintetizza forse la storia di Pompei, quando, ha dichiarato: ‘questo siamo noi’. A Pompei, infatti, l’avanzamento delle tecniche non ci fa mai dimenticare la dimensione umana della tragedia, piuttosto ce la fa vedere con più chiarezza”.

L’ambiente nell’insula dei Casti Amanti a Pompei dove sono stati scoperti due scheletri schiacciati da crollo del muro (foto parco archeologico pompei)
Subbuglio, confusione, tentativi di fuga e nel mentre terremoto, lapilli, correnti turbolente di cenere vulcanica e gas caldi. Fu l’inferno dell’eruzione del 79 d.C. Quello in cui si trovarono gli abitanti dell’antica città di Pompei, tra cui le ultime due vittime, di cui sono stati rinvenuti gli scheletri durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti. Vittime di un terremoto che ha accompagnato l’eruzione, ritrovate sotto il crollo di un muro avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli e prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche che hanno definitivamente sepolto Pompei costituiscono la testimonianza sempre più chiara che, durante l’eruzione, non furono solo i crolli associati all’accumulo dei lapilli o l’impatto delle correnti piroclastiche gli unici pericoli per la vita degli abitanti dell’antica Pompei, come gli scavi degli ultimi decenni stanno sempre più investigando. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., inizia nella mattinata di un giorno autunnale, ma solo intorno alle 13 comincia la cosiddetta fase “Pliniana” durante la quale si forma una colonna eruttiva, alte decine di chilometri, dalla quale cadono pomici. Questa fase è seguita da una serie di correnti piroclastiche che sedimentano depositi di cenere e lapilli. I fenomeni vulcanici uccisero chiunque si fosse ancora rifugiato nell’antica città di Pompei, a sud dell’odierna Napoli, togliendo la vita ad almeno il 15-20% della popolazione, secondo le stime degli archeologi. Tra le cause di morte anche il crollo degli edifici, in alcuni casi dovuto a terremoti che accompagnarono l’eruzione, si rivelò una minaccia letale.
“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. dura più di 20 ore. Ci sono più pericoli per le persone nella città. Negli ultimi due secoli e mezzo”, ricorda Zuchtriehgel, “più di 1300 vittime sono state trovate, ma solo oggi abbiamo la possibilità di indagare con una micro-stratigrafia veramente la dinamica esatta in cui è avvenuta la morte. Come in questo caso, non è l’ultima fase dell’eruzione, l’arrivo dei flussi piroclastici dunque la cenere estremamente calda, ma sono dei crolli. Vediamo qui pezzi del muro sulle vittime con diverse fratture che sono il risultato sia del peso dei lapilli sui tetti e sui solai, sia anche dei terremoti che accompagnano l’eruzione. Negli ultimi anni abbiamo visto la forza di questi eventi sismici contestuali all’eruzione del Vesuvio. Qui siamo in un isolato già scavato alcuni decenni fa che adesso è nuovamente oggetto di grandi lavori di restauro e di accessibilità, ma anche di indagini stratigrafiche nelle zone ancora non completamente scavate che abbiamo visto causare una serie di criticità per lo stato degli edifici e dei reperti. Dunque lo scavo va completato e questa è un’occasione anche importante per ricavare nuovi dati. In questo caso sull’ultima fase dell’eruzione con questo fatto del crollo di cui vediamo diverse tracce, possibilmente causato da un sisma. Però vediamo anche ovviamente un ambiente non particolarmente lussuoso, più un ambiente di lavoro con tanti oggetti – anfore, vasi da fuoco, da cucina, dove erano dei lavori in corso con la calce e anfore per l’acqua per ri-intonacare le pareti. Dunque – conclude Zuchtriegel – viviamo una città, a Pompei in generale qui in particolare, in questo momento in trasformazione, che stava cercando di riprendersi. Ma poi interviene l’eruzione e viene tutto stroncato in solo due giorni di inferno”.

Dettaglio di uno dei due scheletri ritrovati nell’insula del Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
I dati delle prime analisi antropologiche sul campo – pubblicati nell’E-journal degli scavi di Pompei – indicano che entrambi gli individui sono morti verosimilmente a causa di traumi multipli causati dal crollo di parti dell’edificio. Si trattava probabilmente di due individui di sesso maschile di almeno 55 anni. Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio di uno dei due scheletri, sono emerse tracce di materiale organico, verosimilmente un involto di stoffa. All’interno sono state trovate, oltre a cinque elementi in pasta vitrea identificabili come vaghi di collana, sei monete. Due denari in argento: un denario repubblicano, databile alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo (due sesterzi, un asse e un quadrante), erano anch’esse coniate durante il principato di Vespasiano e pertanto di recente conio.
Nella stanza in cui giacevano i corpi sono emersi anche alcuni oggetti, quali un’anfora verticale appoggiata alla parete nell’angolo vicino a uno dei corpi e una collezione di vasi, ciotole e brocche accatastata contro la parete di fondo. La cosa più impressionante è l’evidenza dei danni subiti da due pareti, probabilmente, a causa dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione. Parte della parete Sud della stanza è crollata colpendo uno degli uomini, il cui braccio alzato rimanda forse alla tragica immagine di un vano tentativo di proteggersi dalla caduta della muratura. Le condizioni della parete Ovest, invece, dimostrano la forza drammatica dei terremoti contestuali all’eruzione: l’intera sezione superiore si è staccata ed è caduta nella stanza, travolgendo e seppellendo l’altro individuo.

Alcuni oggetti ritrovati vicino ai due scheletri nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
L’ambiente adiacente ospita un bancone da cucina in muratura, temporaneamente fuori uso nel 79 d.C.: sulla sua superficie si trova infatti un mucchio di calce in polvere in attesa di essere impiegata in attività edilizie, il che suggerisce che al momento dell’eruzione si stavano effettuando delle riparazioni nelle vicinanze. Lungo la parete della cucina si trova una serie di anfore cretesi, originariamente utilizzate per il trasporto del vino. Sopra il bancone della cucina, le tracce di un santuario domestico sotto forma di un affresco che sembra raffigurare i lares della casa e un vaso di ceramica parzialmente incassato nel muro che potrebbe essere stato utilizzato come ricettacolo di offerte religiose. Accanto alla cucina, inoltre, una stanza lunga e stretta con una latrina, il cui contenuto sarebbe defluito in un canale di scolo sotto la strada.

“L’eruzione del Vesuvio” di Pierre Jacques Volaire conservato al museo e real bosco di Capodimonte (foto museo capodimonte)
Cronologia dell’eruzione. La cronologia degli eventi succedutisi a Pompei durante l’eruzione del 79 d.C. è stata ricostruita coniugando la stratigrafia dei depositi e il resoconto dell’evento fatto da Plinio il Giovane in due lettere inviate a Tacito. Precursori dell’eruzione. Fenomeni sismici precursori si verificano negli anni e nei giorni che precedono l’eruzione. In particolare, Plinio il Giovane riporta l’accadimento di terremoti per diversi giorni prima dell’inizio dell’eruzione. L’eruzione. L’eruzione può essere divisa in tre fasi principali: una fase di apertura di breve durata, una seconda fase caratterizzata dalla formazione di una alta colonna eruttiva, dalla quale cadono lapilli e una fase finale caratterizzata dal succedersi di diverse correnti piroclastiche. Queste ultime sono misture di gas e particelle solide ad alta temperatura che scorrono al suolo per effetto della gravità e sono tra i fenomeni vulcanici più distruttivi.

“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.” dipinto di Pierre-Henri de Valenciennes (1813) conservato al musée des Augustins di Tolosa
Giorno 1. Durante la mattinata del primo giorno, un’esplosione nel cratere genera una nube di cenere che si espande a est del vulcano ma non raggiunge Pompei. Questa fase rappresenta l’apertura dell’eruzione. Ore 13: una colonna eruttiva comincia ad innalzarsi sul cratere raggiungendo decine di chilometri di altezza. Questa fase dura in totale circa 18-19 ore. Le eruzioni caratterizzate da questo tipo di fenomeni sono definite “Pliniane” a seguito della perfetta descrizione della forma della colonna eruttiva fatta da Plinio il Giovane. Egli la descrive come un albero di pino il cui tronco si espande nella parte alta in più rami. Ed in effetti le colonne eruttive sono formate da un “tronco”, che si innalza verticalmente in atmosfera, la cui parte sommitale si espande lateralmente in direzione del vento. Poco dopo l’inizio di questa fase e fino alle 20:00, pomici bianche cadono a Pompei accumulandosi sui tetti delle case e nelle strade. In questa fase la colonna eruttiva raggiunge un’altezza massima di 26 km. A partire dalle 20 e fino alle prime ore del mattino del secondo giorno, a causa di una variazione della composizione chimica del magma eruttato, il colore delle pomici varia dal bianco al grigio. In questa fase la colonna eruttiva si innalza ulteriormente raggiungendo un’altezza massima di 32 km. In totale, alla fine della fase Pliniana, lo spessore del deposito di pomici è 2,8 m anche se spessori maggiori (fino a 5 m) posso verificarsi nei vicoli, a causa dello scivolamento dei lapilli lungo le tettoie spioventi, o per il drenaggio delle pomici attraverso i compluvia e successivo accumulo negli impluvia all’interno delle case. L’accumulo di lapilli provoca il seppellimento del piano terra degli edifici e il crollo dei tetti uccidendo i Pompeiani che non avevano tentato la fuga e avevano cercato riparo nelle case. Collassi parziali della colonna eruttiva generano delle correnti piroclastiche, nella notte tra il primo e il secondo giorno dell’eruzione, che però non raggiungono Pompei.

I calchi delle vittime trovate nella Casa de Bracciale d’Oro a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Giorno 2. Ore 7.30: Una prima corrente piroclastica penetra dentro Pompei sedimentando pochi centimetri di cenere immediatamente sopra le pomici grigie. Questa corrente non crea grandi danni. Tra le 7.30 e le 8 una nuova breve fase da caduta sedimenta un sottile deposito formato principalmente da frammenti di lava e pomici. Ore 8: Una seconda corrente piroclastica arriva in città. A differenza della precedente, questa corrente è estremamente energetica e violenta, interagisce con la struttura urbana, e segna la definitiva distruzione di Pompei. La parte bassa di questa corrente, ad alta concentrazione, viene incanalata e deflessa dai vicoli mentre la parte alta, più diluita e turbolenta, non risente degli ostacoli e scavalca gli edifici. La violenza dell’impatto di tale corrente piroclastica è testimoniata dagli ingenti danni che provoca. Essa è capace di abbattere pareti perpendicolari alla direzione di scorrimento, lasciando profonde e ampie brecce nei muri, talvolta danneggiando più pareti in sequenza. Questa corrente, inoltre, lascia dietro di sé una scia di morte uccidendo gli abitanti sopravvissuti alla fase di caduta dei lapilli. In alcuni casi, l’ultimo istante di vita delle vittime di questa corrente piroclastica, congelato dalla cenere, è arrivato fino a noi grazie alla tecnica dei calchi ideata da Giuseppe Fiorelli. Altre correnti piroclastiche si succedono nel corso del secondo giorno dell’eruzione. Esse contribuiscono a seppellire definitivamente una Pompei ormai già completamente distrutta.
Napoli. Nel presepe continuum al museo Archeologico nazionale tanta storia napoletana nei 160 anni dell’Unità d’Italia, e tanta archeologia dell’area vesuviana con lo scavo della domus di Agrippa Postumo a Boscotrecase

Storia napoletana e archeologia vesuviana si intrecciano intimamente nel presepe continuum 2021, dedicato ai 160 anni dell’Unità d’Italia, allestito dall’associazione Presepistica napoletana nell’atrio del museo Archeologico nazionale di Napoli. A cominciare dalla presenza della statua di Dante Alighieri rappresentata mentre viene trasportata nell’omonima piazza che la ospita dal 1862: il Sommo Poeta era stato scelto da Luigi Settembrini, all’indomani dell’Unità d’Italia, come il rappresentante più autorevole dell’identità e unità del popolo italiano. E poi c’è l’Italia Turrita e Stellata, realizzata nel 1861 da Francesco Liberti, attualmente posta nei giardini d’Italia del Palazzo Reale di Napoli.

Storia e archeologia, si è detto. Proprio le riscoperte dalla metà del Settecento di Ercolano e Pompei, la nascita dell’Accademia Ercolanese e la pubblicazione delle immagini dei ritrovamenti, contribuirono alla diffusione del Neoclassicismo, catapultando Napoli sulla ribalta della scena culturale e artistica europea. Nella scenografia del presepe al Mann è stato inserito un tempietto ionico che rimanda a quello del Belvedere nella villa Floridiana al Vomero, fatta realizzare nel 1817 da Ferdinando IV (la cui statua domina lo scalone del Mann) per la moglie Lucia Migliaccio duchessa di Floridia per opera dell’architetto Antonio Niccolini in perfetto stile Neoclassico. È in questo tempietto che è stata inserita la riproduzione in scala dell’Italia Turrita e Stellata del Liberti, con corona murata e scettro, posta su un tamburo con i simboli delle diverse province.

In basso si vede una domus in fase di scavo ispirata alla villa di Agrippa Postumo a Boscotrecase di cui sono stati riprodotte le pitture in III stile con paesaggi idillici e sacrali. Le anfore olearie, gli urcei per il garum e le anforette per la conservazione della frutta secca sono state riprodotte in scala con riferimento ai reperti originali catalogati. Nella domus di Agrippa Postumo appena riscoperta addetti agli scavi sono intenti a colare calchi di gesso sotto lo sguardo vigile di Giuseppe Fiorelli, ideatore di questa tecnica, allora sovrintendente agli scavi e primo direttore post unitario del museo Archeologico nazionale.

“La villa di Agrippa Postumo”, spiegano al Mann, “fu scoperta a Boscotrecase nel 1902 con rilevanti decorazioni parietali. Gli affreschi furono staccati tra il 1903 e il 1905, e venduti a diversi acquirenti tra i quali il Metropolitan Museum di New York e il museo Archeologico nazionale di Napoli. Nel 1906 purtroppo la villa fu nuovamente sepolta da un’eruzione del Vesuvio. Quindi quelli che oggi possiamo ammirare al Mann, nella sezione Affreschi, sono proprio quelli acquisiti nel 1905. Le pitture ornavano ambienti residenziali aperti su un loggiato affacciato sul mare, che si differenziavano per il colore di fondo e il tipo di repertorio decorativo. Alcuni dati epigrafici hanno fatto ipotizzare che la residenza fosse pervenuta in eredità ad Agrippa Postumo, nipote di Augusto, nato nel 12 a.C.

Uno dei quadri inseriti al centro delle pareti con paesaggi sacrali o scene mitologiche, conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
In questa villa – continuano gli esperti del Mann – compare la prima documentazione in area vesuviana dell’uso, introdotto a Roma nel 20 a.C., di quadri inseriti al centro delle pareti, che raffigurano paesaggi sacrali o scene mitologiche ambientati in ampie composizioni paesistiche. I quadri del cubicolo a fondo rosso, acquisiti dal museo Archeologico di Napoli, ricordano per il soggetto sacrale quelli della villa romana della Farnesina. All’ambiente con la decorazione più innovativa a fondo nero appartengono due frammenti con esili frammenti miniaturistici che caratterizzano la pittura sulla fine del I sec. a.C., ai quali si accostavano altre architetture con motivi egittizzanti, diffusi nell’ambiente di corte in quest’epoca”.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale gli studenti di Archeologia classica tornano a incontrarsi al museo e confrontarsi con i capolavori conservati, come dall’epoca di Fiorelli: al via il ciclo di seminari “Il Museo come libro da sfogliare”, nuova proposta didattica

“Seminari al Mann: la ripresa di una tradizione”: con questo intervento Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, mercoledì 24 novembre 2021, alle 9, introdurrà il ciclo di incontri “Il Museo come libro da sfogliare”, nuova proposta didattica promossa nell’ambito del corso di laurea triennale in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio culturale dell’università di Napoli “Federico II”. Gli eventi, a cura di Bianca Ferrara, sono realizzati in collaborazione con i Servizi Educativi e Ricerca del Mann. Gli appuntamenti didattici rappresentano un’occasione di confronto per allievi di tutte le accademie napoletane, dall’ateneo federiciano all’Orientale e al Suor Orsola: si ripropone, dunque, una tradizione che, dall’epoca di Fiorelli, portava gli studenti di archeologia classica ad incontrarsi al Museo per mettere alla prova, sul campo, le conoscenze acquisite dai libri.


Affresco con danzatrici conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Tanti gli argomenti che saranno affrontati durante le lezioni: Andrea Mazzucchi descriverà gli itinerari di ricerca proposti dal dipartimento di Studi umanistici nell’ambito prettamente archeologico (mercoledì 24 novembre 2021, alle 10); a seguire, Luigi Cicala approfondirà le caratteristiche della scelta del corso di laurea (alle 10.30), mentre Bianca Ferrara analizzerà alcuni capolavori tra le sculture del Mann. Appuntamento anche mercoledì 1° dicembre 2021: dalle 9 , in programma la lezione di Giovanna Greco sulla colonizzazione greca letta attraverso i reperti del Museo, il dibattito su archeologia e storia condotto da Mauro de Nardis e il focus di Marialucia Giacco sui depositi museali. Venerdì 10 dicembre 2021, sempre dalle 9, viaggio tra affreschi e mosaici del Mann, a cura di Bianca Ferrara, per poi approfondire, con Laura Forte, il lavoro di scavo nei depositi come premessa all’allestimento di mostre. In mattinata, previsto anche l’intervento di Valerio Petrarca su etnografia e archeologia.
Pompei. Trovata la “stanza degli schiavi” nella lussuosa villa suburbana di Civita Giuliana, saccheggiata dai tombaroli. L’eccezionale nuova scoperta segue quella della stalla con tre cavalli e del carro cerimoniale. L’ambiente, che ospitava una famigliola, è perfettamente conservata e permetterà di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano

Veduta zenitale della “Stanza degli schiavi” scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto m. gravili / parco archeologico pompei)
La stanza è piccola, senza affreschi alle pareti e mosaici al pavimento, ma decorosa, sufficiente a contenere due letti grani e uno più piccolo, qualche oggetto personale, qualche anfora poggiata negli angoli-ripostiglio, brocche in ceramica, il “vaso da notte”, e poi un timone di carro e una cassa con oggetti in metallo e tessuti forse finimenti di cavalli: è la stanza degli schiavi, di una famigliola chiamata a governare i cavalli, in uno straordinario stato di conservazione, l’ultima eccezionale scoperta nella grande villa suburbana di Civita Giuliana, a un tiro di schioppo da Pompei, indagata dal 2017 e dalla quale sono già emersi – nel quartiere servile – un carro cerimoniale e una stalla con i resti di 3 equini, di uno dei quali è stato possibile realizzare il calco (vedi Pompei. Eccezionale scoperta nella lussuosa villa suburbana di Civita Giuliana, saccheggiata dai tombaroli: nella stalla trovato un terzo cavallo di razza da parata con bardature militari. Osanna: “Nel 2019 fondi per esproprio terreni, completare lo scavo e aprire il sito al pubblico” | archeologiavocidalpassato). Lo scavo offre uno sguardo straordinario su una parte del mondo antico che normalmente rimane all’oscuro, dalla quale affiora uno spaccato rarissimo della realtà quotidiana degli schiavi. Grazie all’affinamento della tecnica dei calchi inventata da Giuseppe Fiorelli nell’Ottocento, sono stati portati alla luce letti e altri oggetti in materiali deperibili, che permettono di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano.


Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei, e Nunzio Fragliasso, procuratore FF di Torre Annunziata, al rinnovo del protocollo di intesa per il contrasto al saccheggio e al traffico di reperti archeologici (foto parco archeologico di pompei)
Lo scavo dell’ambiente rientra in un’attività che il parco archeologico di Pompei sta portando avanti insieme alla Procura di Torre Annunziata, guidata dal procuratore capo Nunzio Fragliasso. Risale a pochi mesi fa il rinnovo di un protocollo d’intesa tra Procura e Parco archeologico per il contrasto alle attività di scavo clandestino nel territorio pompeiano, che vede impegnati anche il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale Campania e il Nucleo investigativo Torre Annunziata dell’Arma dei Carabinieri (vedi Contrasto al saccheggio e al traffico di reperti archeologici: rinnovato per altri due anni il protocollo di intesa tra il Parco archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata | archeologiavocidalpassato).

I cunicoli dei tombaroli individuai dal laser scanner dei carabinieri (foto parco archeologico di Pompei)
Oggetto di un saccheggio sistematico per anni, dopo un’indagine della procura, la villa di Civita Giuliana è dal 2017 oggetto di scavi stratigrafici che hanno restituito una serie di nuovi dati e scoperte a cui si aggiunge ora la stanza degli schiavi. Purtroppo, anche in questo ambiente, una parte del patrimonio archeologico è andato perduto a causa dei cunicoli scavati dai tombaroli che, in tutta la villa, hanno creato un danno complessivo che è stato stimato in quasi 2 milioni di euro (vedi Scavi clandestini, saccheggio e traffico di reperti archeologici: da Pompei parte un modello pilota. Firmato un protocollo d’intesa con il Tribunale di Torre Annunziata. Il caso di Civita Giuliana | archeologiavocidalpassato).

Uno scorcio della Stanza degli Schiavi scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
“Si tratta di una finestra nella realtà precaria di persone che appaiono raramente nelle fonti storiche, scritte quasi esclusivamente da uomini appartenenti all’élite, e che per questo rischiano di rimanere invisibili nei grandi racconti storici”, dichiara il direttore generale del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. “È un caso in cui l’archeologia ci aiuta a scoprire una parte del mondo antico che conosciamo poco, ma che è estremamente importante. Quello che colpisce è l’angustia e la precarietà di cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo, anche senza la presenza di grandi ‘tesori’: il tesoro vero è l’esperienza umana, in questo caso dei più deboli della società antica, di cui questo ambiente fornisce una testimonianza unica”.

Uno scorcio della Stanza degli Schiavi scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
“Pompei è la prova che quando l’Italia crede in sé stessa e lavora come una squadra raggiunge traguardi straordinari ammirati in tutto il mondo”, interviene il ministro della Cultura, Dario Franceschini. “Questa nuova incredibile scoperta a Pompei dimostra che oggi il sito archeologico è diventato non soltanto una meta tra le più ambite al mondo, ma anche un luogo dove si fa ricerca e si sperimentano nuove tecnologie. Grazie a questo nuovo importante ritrovamento si arricchisce la conoscenza sulla vita quotidiana degli antichi pompeiani, in particolare di quella fascia della società ancora oggi poco conosciuta. Pompei è un modello di studio unico al mondo”.


Il carro da parata, un unicum in Italia, scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico di Pompei)
Il rinvenimento è avvenuto non lontano dal portico dove, nel mese di gennaio 2021, fu scoperto un carro cerimoniale che attualmente è oggetto di interventi di consolidamento e restauro (vedi Nuova eccezionale scoperta nella lussuosa villa di Civita Giuliana (Pompei): scoperto un carro da parata (pilentum) integro, con decorazioni erotiche, forse per una cerimonia nuziale. Osanna: “Un unicum in Italia. Grazie all’intesa Parco archeologico di Pompei e Procura di Torre Annunziata per contrastare le attività dei tombaroli” | archeologiavocidalpassato). A pochi passi dal luogo in cui il prezioso veicolo fu parcheggiato e non lontano dalla vicina stalla scavata nel 2018, ora emerge uno degli alloggi modesti degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano in una villa romana, inclusa la manutenzione e la preparazione del carro.

Il calco del prezioso e ben conservato timone da carro rinvenuto della Stanza degli Schiavi nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Nell’ambiente, dove sono state trovate tre brandine in legno, infatti, è stata rinvenuta una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, appoggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco.

I letti sono composti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assemblate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. La rete dei letti è formata da corde, le cui impronte sono parzialmente leggibili nella cinerite, e al di sopra delle quali furono messe coperte in tessuto, anch’esse conservate come cavità nel terreno e restituite attraverso il metodo dei calchi. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare oggetti, brocche in ceramica e il “vaso da notte.”

L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto e non presentava decorazioni parietali. Oltre a fungere da dormitorio per un gruppo di schiavi, forse una piccola famiglia come lascerebbe intuire la brandina a misura di bambino, l’ambiente serviva come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lascati appositamente liberi per tal scopo.

Il direttore generale Massimo Osanna tra i resti dei cavalli riemersi a Civita Giuliana (foto di Cesare Abbate, Ansa)
“Ancora una volta uno scavo nato dall’esigenza di tutela e salvaguardia del patrimonio archeologico, in questo caso grazie ad una proficua collaborazione con la procura di Torre Annunziata”, dichiara Massimo Osanna, direttore generale dei Musei, sotto la cui direzione al parco archeologico di Pompei sono stati avviate nel 2017 le attività di scavo a Civita Giuliana, “ci permette di aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza del mondo antico Lo studio di questo ambiente, che sarà arricchito dai risultati delle analisi in corso, ci permetterà di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita dagli schiavi a Pompei e nel mondo romano”.


I carabinieri esplorano i cunicoli clandestini nel sito archeologico di Civita Giuliana (foto parco archeologico di Pompei)
“L’ulteriore significativo ritrovamento negli scavi di Civita Giuliana”, conclude il procuratore capo, Nunzio Fragliasso, “è l’ennesima conferma della sinergia tra la direzione del parco archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e della efficacia del protocollo d’intesa stipulato tra le suddette Istituzioni che, con il prezioso apporto dell’Arma dei Carabinieri, ha portato, da un lato, alla condanna in primo grado degli autori degli scavi abusivi di Civita Giuliana e, dall’altro, al rinvenimento di beni archeologici di eccezionale rilevanza. In attuazione del suddetto protocollo continueranno le attività investigative e di ricerca sia presso gli scavi di Civita Giuliana che presso altri siti di scavi archeologici abusivi ricadenti nel territorio di Pompei”.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale si presenta il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” che restituisce la figura dello scopritore di Troia ma anche il suo profondo legame con la città partenopea e i siti vesuviani

Tutti conoscono il nome di Heinrich Schliemann, il mitico scopritore di Troia e poi di Micene, Tirinto e Orcomeno. Al pensiero di Micene i nostri ricordi vanno alla “maschera d’oro di Agamennone”, raffigurata nel libro di storia della terza elementare. Meno noto è il suo legame con Napoli, dove morì nel 1890. Di quest’ultimo aspetto, soprattutto, si parla nel libro “Heinrich Schliemann a Napoli” (Francesco D’Amato Editore) con saggi di Umberto Pappalardo, Sybille Galka, Amedeo Maiuri, Carlo Knight, Lucia Borrelli, Massimo Cultraro, e una nota di Paolo Giulierini. Il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” sarà presentato mercoledì 22 settembre 2021, alle 17, nel Giardino delle Fontane del museo Archeologico nazionale di Napoli. Interverranno Paolo Giulierini (direttore del Mann), Umberto Pappalardo (direttore del Centro Internazionale di Studi Pompeiani), Massimo Cultraro (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e Lucia Borrelli (Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell’università Federico II). Il giornalista Carlo Avvisati de “Il Mattino” modererà il dibattito. Per partecipare è obbligatoria la prenotazione inviando una mail a info@damatoeditore.it.


Heinrich Schliemann con gli scavatori riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hisarlik in Turchia
Il nome di Troia ci riporta invece al liceo, all’Iliade e alll’Odissea, alla questione omerica, dove ci si domandava: ma Omero sarà mai esistito? E come era possibile che un cantore della fine dell’VIII secolo (la scrittura fu introdotta intorno al 750 a.C.) potesse descrivere con tanti dettagli una città messa a ferro e fuoco intorno al 1250 a.C., ovvero 500 anni dopo? Tanti interrogativi Schliemann non se li pose, guidato dalla fede assoluta nella veridicità di Omero e bene armato di zappa e pala (come lui stesso scrive), scavò sulla collina di Hissarlik, in Turchia, e trovò Troia. Ma Schliemann è stato anche lo scopritore della “civiltà micenea”, restituendo all’umanità ben mille anni di storia dei quali, prima di lui, non si conoscevano – al di fuori dei racconti omerici – le testimonianze concrete.


Copertina del libro “Heinrich Schliemann a Napoli”
Questo valore di Schliemann quale “artefice” o “restitutor” della storia è ben delineato nel primo saggio di Sybille Galka, cuore e anima della Società e del Museo “Heinrich Schliemann” di Ankerhagen, che fu la città dove egli trascorse la sua prima infanzia. Seguono un saggio del celebre archeologo Amedeo Maiuri, che fu soprintendente di Pompei ed Ercolano (e non solo) e direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli e uno di Umberto Pappalardo sulla sua intensa attività di viaggiatore: infatti Schliemann fece scorrerie per il mondo immaginabili per un uomo di quell’epoca, giungendo in America (dove prese la cittadinanza), Africa, India, Cina e Giappone.


Heinrich Schliemann, morto a Napoli nel 1890
Venne anche almeno dieci volte a Napoli, non solo perché da qui prendeva la nave per raggiungere la sua casa ad Atene, ma anche perché amava questa città. Nonostante Napoli non fosse più la splendida capitale europea del secolo XVIII ma fosse divenuta nell’Ottocento socialmente molto problematica, c’erano tante cose da vedere: Pompei, Ercolano, il Museo Archeologico, il Teatro San Carlo e poi il Vesuvio, Sorrento, Capri e tanto altro ancora! Non è quindi un caso che morì proprio a Napoli, a Natale del 1890, prima di imbarcarsi per Atene… voleva ancora rivedere le nuove scoperte di Pompei e le nuove acquisizioni del museo Archeologico nazionale. In Italia aveva conosciuto dapprima a Pompei il giovane ispettore Giuseppe Fiorelli, che avrebbe poi rivisto a Napoli come direttore del Museo Nazionale e nuovamente a Roma in qualità di direttore generale delle Antichità del nuovo Regno d’Italia. Con Fiorelli ebbe dunque un lungo sodalizio, testimoniato da un frequente scambio epistolare. Carlo Knight spiega perché alcune di queste lettere, proprio alcune fra le più importanti, non ci sono pervenute. Possedute dal napoletano Domenico Bassi, che nel 1927 le pubblicò nell’ormai raro libro “Il carteggio” di Giuseppe Fiorelli. In Italia ne sono custoditi solo due esemplari, uno a Milano e uno a Venezia, qui riprodotto in appendice insieme alle trascrizioni dei diari di viaggio napoletani, i cui originali sono custoditi oggi presso l’American Academy di Atene.
Museo Archeologico nazionale di Taranto. La direttrice Eva Degl’Innocenti presenta un gruppo in terracotta con scena erotica del I sec. a.C.: “Un pezzo eccezionale per fattura, scoperto nei depositi, e restaurato. Recuperate tracce di colore. Sarà presto esposto”
“Presentiamo oggi, dopo un accurato restauro, una statuetta in terracotta di pregevole fattura. Si tratta di un rarissimo reperto che raffigura una coppia nel compimento di un atto erotico. Un manufatto probabilmente risalente al I secolo a.C. che racconta anche di una storia più recente di Taranto e di una Italia appena unificata”: così Eva Degl’Innocenti, direttrice del museo Archeologico nazionale di Taranto, ci introduce alla scoperta di un altro tesoro svelato, conservato all’interno dei deposti del Museo. Questo reperto, infatti, ritorna alla luce grazie al progetto di studio e ricerca, catalogazione, riordino e di digitalizzazione dei materiali dei depositi curato dalla direttrice. “Secondo le indicazioni documentarie, la statuetta erotica si trova nel Museo dal 10 aprile del 1884. Ritrovata nell’area di Santa Lucia, oggi in parte sede dell’Arsenale Militare, è legata alla storia della città ed in particolare alla ricostruzione topografica della Taranto ottocentesca. Nel 1882, con due atti distinti, e differente dote finanziaria, il Governo dell’epoca, infatti, promulgò contemporaneamente la legge per la costruzione a Taranto dell’Arsenale Militare e l’istituzione dell’Ufficio Scavi che secondo il volere di Giuseppe Fiorelli, al tempo direttore generale per le antichità e le belle arti, avrebbe dovuto sovraintendere alle aree di scavo che caratterizzavano la nascita del futuro insediamento industriale militare. Una città nuova che nasceva su quello che un tempo era stata la necropoli greca e romana e sull’antico porto: questo reperto è infatti un importante documento storico anche per la storia ottocentesca di Taranto, per il rinvenimento da parte di Luigi Viola e per il grande progetto urbanistico di quegli anni”, dice la direttrice Eva Degl’Innocenti. “Sono gli anni del recupero e purtroppo anche della dispersione del patrimonio archeologico della città, del mercato antiquario clandestino e illegale. Questo importante reperto verrà presto esposto e restituito alla pubblica fruizione”. Non sappiamo se fu la censura, operata a quei tempi anche sui siti archeologici di Pompei che ritraevano scene erotiche nelle antiche dimore o nei lupanari, a preservare questa statuetta dai predatori di antichità, ma il progetto avviato dalla direttrice Eva Degl’Innocenti di conservazione preventiva, studio, catalogo e digitalizzazione dei reperti dei depositi del MArTA consente anche di effettuare ricerche più puntuali sulla contestualizzazione urbanistica e storica del reperto in quell’area di grande rilievo archeologico. Il reperto, che è stato subito sottoposto ad intervento da parte del laboratorio di restauro del MArTA, è stato modellato a mano da un ignoto artista e, oltre all’ingobbio bianco, presenta delle tracce di colore sui capelli della donna, sui cuscini e nell’intelaiatura del letto che ospita la coppia di amanti. “Un reperto”, spiega Eva Degl’Innocenti, “su cui sappiamo ancora ben poco. Potrebbe trattarsi di una scena propiziatoria, ma non è esclusa la valenza funeraria, visto il luogo del ritrovamento. Potrebbe infatti essere legato ad un contesto funerario della necropoli. La statuetta erotica dei due amanti sarà presto esposta all’interno del museo Archeologico nazionale di Taranto”.
Pompei. Aperto il nuovo Antiquarium: 11 sale che raccontano la storia della città antica e introducono alla visita del sito. Ecco come si articola il percorso espositivo
Undici sale per oltre 600 metri quadri di esposizione permanente che illustra la storia di Pompei: è il nuovo Antiquarium di Pompei, inaugurato questa mattina, 25 gennaio 2021, dal direttore ad interim del parco archeologico di Pompei, Massimo Osanna, alla presenza del generale Mauro Cipolletta direttore generale del Grande Progetto Pompei, e del sindaco di Pompei Carmine Lo Sapio. Per il visitatore sarà una emozionante e coinvolgente “introduzione alla visita del sito”, come ha ricordato Osanna, “attraverso le testimonianze più rilevanti della città antica, dall’età sannitica (IV secolo a.C.) fino alla tragica eruzione del 79 d.C., con particolare evidenza all’inscindibile relazione con Roma. Oltre a celebri testimonianze dell’immenso patrimonio pompeiano, come gli affreschi della Casa del Bracciale d’oro, gli argenti di Moregine o il triclinio della Casa del Menandro, sono qui esposti anche i rinvenimenti dei più recenti scavi condotti dal Parco Archeologico: dai frammenti di stucco in I stile delle fauces della Casa di Orione al tesoro di amuleti della Casa con Giardino, agli ultimi calchi delle vittime dalla villa di Civita Giuliana”.


Massimo Osanna, direttore ad interim del parco archeologico di Pompei, alla presentazione del nuovo Antiquarium (foto parco archeologico di pompei)
Ma se oggi si plaude a questa nuova proposta culturale di Pompei (entusiasta il sindaco Lo Sapio che ha annunciato la cittadinanza onoraria a Osanna, “con la speranza che continui a stare vicino a Pompei, letteralmente rinata dal suo arrivo alla direzione del parco archeologico, nonostante i suoi nuovi prestigiosi incarichi a Roma”), la storia dell’Antiquarium registra alterne vicende. Inaugurato da Giuseppe Fiorelli nel 1873 circa e ampliato da Amedeo Maiuri a partire dal 1926, nel 1943 subì i danni del bombardamento che portò alla distruzione di una intera sala e alla perdita di diversi reperti. Seguì un nuovo allestimento nel 1948. Ma ancora nel 1980, il terremoto ne determinò nuovamente la chiusura per ben 36 anni e solo nel 2016, è stato possibile riaprirlo con ambienti dedicati ad esposizioni temporanee. “Oggi si restituisce alla pubblica fruizione uno spazio, completamente rinnovato, che rimanda a quella che fu la prima concezione museale di Amedeo Maiuri”. L’allestimento, curato da COR arquitectos & Flavia Chiavaroli, è caratterizzato da una forte luminosità e riporta all’atmosfera dell’Antiquarium pensato da Amedeo Maiuri, grazie anche al recupero spaziale delle gallerie originali, al restauro delle vetrine espositive degli anni cinquanta e ad una loro rivisitazione (vedi Pompei. Il 25 gennaio viene inaugurato il “nuovo” Antiquarium con sale dedicate all’esposizione permanente di reperti che illustrano la storia di Pompei, seguendo la concezione museale data da Amedeo Maiuri | archeologiavocidalpassato).


La copertina della guida “Pompei. Antiquarium” (Electa)
L’organizzazione è stata a cura di Electa che ha edito anche la guida “Pompei. Antiquarium” a cura di Massimo Osanna, Fabrizio Pesando e Luana Toniolo (14 euro) . L’accesso all’Antiquarium consigliato è da piazza Esedra ed è incluso nella tariffa di ingresso al sito. Dal 25 gennaio 2021 è possibile acquistare il biglietto sia on-line sul sito www.ticketone.it, unico rivenditore ufficiale autorizzato, sia presso le casse automatiche di piazza Esedra e di piazza Anfiteatro. Tariffe: Pompei e Antiquarium: intero 16 euro (+ 1.50 euro su prevendita online); ridotto: 2 euro (+ 1.50 euro su prevendita online) per giovani tra 18 e 25 anni. Gratuità e riduzioni come da normativa. E allora vediamo meglio il percorso espositivo.

Prima sezione: “Summa pompeiana”. La scoperta di Pompei nel 1748 porta a un’immagine nuova dell’Antico, che racconta gli aspetti della vita domestica e quotidiana. Goethe nel 1786, vinto dallo stupore per quella quotidianità ritrovata, esclama: “Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità. Credo sia difficile vedere qualcosa di più interessante”. Pompei offre per la prima volta la possibilità di trovarsi in una città media dell’Italia antica, all’interno di case con pareti decorate con affreschi che potevano riprodurre semplici partizioni architettoniche o raccontare dei miti e con tavoli in marmo dove il proprietario esponeva i propri oggetti più preziosi. Biografie di uomini e di oggetti di cui a volte possiamo seguire tutto il percorso di vita fino al ritratto posto sulla propria tomba. La prima sala è una sorta di presentazione, tramite pezzi iconici, dei vari momenti storici, offrendo una “summa pompeiana”, che introduce alla visita.

Seconda sezione: “Prima di Roma”. Il “Secolo Oscuro”. Durante l’età arcaica (VII-VI secolo a.C.) Pompei conobbe un grande sviluppo urbano, grazie alla forte influenza esercitata dalle città magno-greche ed etrusche presenti nell’area del golfo di Napoli. Furono pianificate grandi aree pubbliche come la piazza principale, costruiti templi (il santuario di Apollo e quello di Atena presso il Foro Triangolare), edificate abitazioni e la città venne difesa da mura di oltre 3 chilometri. Il V secolo a.C. coincide con un profondo periodo di crisi: i templi non sono più frequentati, le mura abbandonate e si registra un significativo calo demografico. È una crisi che riguarda quasi tutta l’Italia centro-meridionale, dovuta anche allo stanziamento di nuovi popoli provenienti dall’area appenninica: fra questi i Sanniti, che si stabilirono a Pompei e nella Valle del Sarno. Le tombe sannitiche del IV sec. a.C., scoperte al di sotto della necropoli romana di Porta Ercolano, con gli oggetti di corredo, in genere riferibili alla pratica del banchetto rituale, gettano luce su questa fase ancora oscura. La fase dell’alleanza con Roma Nel 308 a.C., due anni dopo aver subito la devastazione del proprio territorio ad opera dei Romani, le città della Valle del Sarno stipulano un trattato di alleanza con Roma: i fatti, narrati dallo storico romano Livio, costituiscono la prima testimonianza storica su Pompei. Il suo ingresso fra le città federate coincide con una notevole attività edilizia che si riflette nella ristrutturazione del Tempio Dorico e in una rinnovata attenzione al culto di Apollo e, soprattutto, nella costruzione di un nuovo circuito murario, edificato con il sistema ad agger utilizzato anche a Roma. Il restauro dell’antico Tempio Dorico del Foro Triangolare, in particolare, è documentato da una metopa in tufo raffigurante un episodio mitico (il supplizio di Issione o la costruzione della nave Argo) e da una serie di lastre di protezione in terracotta raffiguranti Minerva ed Ercole. A partire dai primi decenni del III secolo a.C. inizia a svilupparsi la Pompei che tutti conosciamo, con le sue strade, allora semplici battuti, i suoi edifici pubblici e le sue abitazioni.

Il “secolo d’oro” di Pompei. Il II secolo a.C. può essere definito il “secolo d’oro” della città. Seguendo le tappe della conquista romana in Oriente, gruppi di mercanti provenienti dalle città costiere della Campania raggiungono i principali porti del Mediterraneo: Delo, Rodi e Alessandria. Come le altre importanti città della Campania, anche Pompei rinnovò e moltiplicò in pochi decenni i propri monumenti. Presso il Tempio Dorico furono costruiti un teatro, alcuni templi destinati a culti stranieri fra cui quello dedicato all’egiziana Iside, una serie di edifici per la formazione fisica, culturale e militare dell’élite locale come la Palestra Sannitica e la domus publica. Poco lontano venne eretto il più antico edificio termale della città, le Terme Stabiane. Nell’area del Foro Civile fu interamente ricostruito il santuario di Apollo e intorno alla piazza, circondata da tabernae, si affacciarono nuovi monumenti, ispirati a quelli presenti a Roma: il tempio di Giove, la Basilica e, poco distante, il mercato pubblico (macellum).

Mercatores. L’attività dei mercanti pompeiani nel bacino del Mediterraneo è ben nota fin dal II secolo a.C. Iscrizioni di cittadini pompeiani sono state ritrovate sia a Delo, il più famoso porto dell’Egeo e crocevia globale di genti e di merci, sia nelle province ispaniche, dove le principali attività erano collegate allo sfruttamento minerario e al traffico degli schiavi. Una serie di oggetti esposti attesta l’arrivo di merci dall’Oriente e dall’Occidente del Mediterraneo, scambiate con rinomati prodotti locali, fra cui il vino e il garum: fra questi spiccano vasi e coppe da banchetto di produzione egea, piccoli contenitori di provenienza iberica e una quantità notevole di anfore rodie e puniche.

Privata luxuria. L’“immagine di Roma” era ben presente percorrendo le vie della città. Grandi case, talvolta perfino più lussuose di quelle presenti a Roma – dove l’angustia dei luoghi consentiva spesso solo un pericoloso sviluppo verticale – si aprivano sulle strade con alti portali. In esse si poteva ammirare la vasta solennità di atri adatti a ricevere decine di visitatori ogni giorno per la cerimonia della salutatio e la sontuosità di ariosi peristili, dove gli ospiti erano accolti in sale da banchetto che richiamavano le magnifiche architetture della Grecia ellenistica. Gli ingressi erano spesso segnalati da ricchi capitelli scolpiti di tufo, raffiguranti la trasfigurazione dei proprietari nella perfetta coppia maritale. Anche i ceti intermedi godevano di un sereno benessere: le loro case erano più piccole ma decorate con ricercatezza, e in alcune si allestirono anche dei bagni privati.

Terza sezione: “Roma vs Pompei”. Obsidio. Nel corso della dura e sanguinosa Guerra Sociale, che vide Roma opporsi agli alleati Italici (91-89 a.C.), Pompei aderì alla coalizione degli insorti e le fonti antiche testimoniano l’intervento diretto di Silla contro la città nell’89 a.C. L’archeologia ci mostra i segni di questo assedio: lungo il settore Nord-Ovest delle mura sono ancora visibili i fori lasciati dai proiettili lanciati dalle catapulte. Una preziosa serie di iscrizioni in lingua osca documenta il sistema di difesa messo in atto dai pompeiani: le milizie scelte erano disposte in difesa di singoli settori delle mura, gli ausiliari raggruppati presso le principali aree pubbliche e lungo i percorsi indicati con il nome delle antiche strade di Pompei, fra le quali si ricordano la víu sarinu (Via Salaria) e la víu mefíu (Via Mediana).

Quarta sezione: “Pompeis difficile est”. Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum. Un’espressione proverbiale attribuita a Cicerone ricordava che era più facile fare carriera a Roma che a Pompei. La creazione di una colonia di veterani dell’esercito di Silla nell’80 a.C., Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum, cambiò per sempre la vita della città. La classe dirigente sannitica fu sostituita anche brutalmente dai nuovi arrivati e Pompei assunse l’aspetto di una città romana dotandosi di edifici allora in voga, come il teatro per le rappresentazioni musicali (l’Odeion) e l’anfiteatro. Lungo le strade che uscivano dalla città furono create grandi necropoli monumentali, simili a quelle di Roma, e il suburbio venne popolato da grandi ville aristocratiche (come la Villa dei Misteri) e da una miriade di piccole fattorie, il cui aspetto ci è testimoniato da Villa Regina a Boscoreale.

Quinta sezione: “Tota Italia”. Pompei Augustea. La lealtà di Pompei al nuovo sistema di potere creato da Augusto e dai suoi successori fu celebrata da una serie di monumenti sul lato orientale del Foro, costruiti da magistrati e da potenti personaggi locali, spesso donne come nell’Edificio di Eumachia. Poco lontano dalla piazza fu ristrutturato il Macellum, luogo di riunione della potente congregazione degli Augustales e venne costruito su suolo privato il Tempio della Fortuna Augusta. Nel lato opposto della città, l’enorme Palestra Grande fu destinata alla formazione fisica e culturale della gioventù pompeiana. Lavori di ammodernamento interessarono l’antico teatro, dove l’ardita realizzazione dell’architetto M. Artorius Primus definì uno spazio al tempo stesso ludico e sacrale, nel quale la gigantesca statua di Augusto compariva al centro della scena. Lo stesso avvenne nel Tempio di Venere, ristrutturato come luogo celebrativo delle origini della gens Iulia. Nelle case e nei più sontuosi mausolei, le statue e i ritratti dell’élite locale si ispiravano alle pose e alla foggia di quelli della famiglia imperiale, a cui rendevano esplicito omaggio di lealtà.


Tesoro di amuleti del I secolo d.C. dalla Casa con Giardino (foto parco archeologico di pompei)
Sesta sezione: “Hic habitat felicitas”. Vivere nel lusso. Durante l’età giulio-claudia (27 a.C.-68 d.C.) Pompei godette di un rapporto diretto con la corte imperiale, che sotto Tiberio e Nerone soggiornò lungamente nell’area del golfo, fra Capri e Baia. Un graffito ricorda forse la residenza in città di una delle mogli di Caligola, e Svetonio narra che un figlio di Claudio vi trovò la morte durante un tragico gioco infantile. Le ville e le case in città dell’aristocrazia e dei nuovi ricchi mostrano nell’articolazione architettonica degli spazi e negli arredi in marmo, bronzo e argento un nuovo gusto, anche filellenico e antiquario, una ricercatezza e un’esibizione di lusso che attestano un benessere socio-economico. Tra tutti si ricordano gli arredi della Casa del Menandro (appartenuta a un ramo della famiglia di Poppea Sabina, moglie di Nerone) e il prezioso tesoro di argenti rinvenuto a Moregine. Tra le scoperte più recenti, gli scavi della Regio V hanno restituito reperti di grande rilievo. Nel 58 d.C. Tacito racconta una grande rissa scatenatasi nell’anfiteatro, che vide contrapposti Nucerini e Pompeiani e che alla fine lasciò sul campo decine di vittime. L’episodio causò una dura repressione da parte del Senato romano, che vietò i combattimenti gladiatori in città per quindici anni.

Settima sezione: “A fundamentis reficere”. Ma il mondo “dorato” della prima età imperiale cessa, in parte, di esistere a causa di un evento terribile, che trova eco nei rilievi della Casa di Cecilio Giocondo: il terremoto, anzi un lungo sciame sismico, più che un unico evento. Sotto il consolato di Regolo e di Virginio, Seneca ricorda che: “Pompei, frequentata città della Campania […] è sprofondata a causa di un terremoto che ha devastato tutte le regioni adiacenti e che ciò è avvenuto proprio nei giorni invernali che i nostri antenati garantivano essere al sicuro da un pericolo del genere. Questo terremoto si è verificato alle None di Febbraio, sotto il consolato di Regolo e di Virginio, ed ha devastato con gravi distruzioni la Campania, regione che non era stata mai al sicuro da queste calamità e che ne era sempre uscita indenne, anche se tante volte morta di paura […] A questi danni se ne aggiungono altri: è morto un gregge di seicento pecore, alcune statue si sono rotte, alcuni dopo questi fatti sono andati errando con la mente sconvolta e non più padroni di sé (Seneca, Questioni Naturali, 6, 1, 1-2.)”.

Structores et pictores. Per l’enorme lavoro di ricostruzione della città non potevano essere sufficienti le poche officine di muratori (structores) o di decoratori (pictores) presenti in città al momento del terremoto. Dopo lo sgombero delle macerie, dovettero intervenire decine di imprese specializzate provenienti da altre località, meno colpite o uscite indenni dal sisma. E tutte queste maestranze composte da schiavi, lavoratori salariati, architetti, muratori, pittori e mosaicisti, dovevano risiedere a lungo in città o giungere quotidianamente dai centri vicini; e tutti dovevano mangiare, dormire, riposarsi. Una città raddoppiata, per la quale bisognava costruire locande, luoghi di ristoro, alloggi, postriboli: in una parola la Pompei che oggi conosciamo percorrendo le sue principali strade.

Ottava sezione: “L’ultimo giorno”. Prima dell’eruzione, il Vesuvio appariva come una fertile montagna, le cui pendici erano occupate da ville rustiche dedite alla produzione di vino. Nella convinzione di trovarsi in un luogo protetto dagli dei, i pompeiani vivono senza immaginare di essere sull’orlo di un vulcano. Il 24 agosto o il 24 ottobre del 79 d.C., come suggeriscono recenti studi e scoperte, il Vesuvio riversa una pioggia di lapilli e frammenti litici su Pompei: l’eruzione durò fino al giorno dopo facendo crollare i tetti e mietendo le prime vittime. I pompeiani tentarono di ripararsi nelle case o sperarono nella fuga, camminando sul letto di pomici che si andava formando, alto ormai più di 2 metri. Ma alle 7.30 del giorno successivo una scarica violentissima di gas tossico e cenere ardente devastò la città: essa si infiltrò dovunque, sorprendendo chiunque cercasse di sfuggire e rendendo vana ogni difesa. Una pioggia di cenere finissima, depositata per uno spessore di circa 6 metri, aderì alle forme dei corpi e alle pieghe delle vesti e avvolse ogni cosa.
Pompei. Il 25 gennaio viene inaugurato il “nuovo” Antiquarium con sale dedicate all’esposizione permanente di reperti che illustrano la storia di Pompei, seguendo la concezione museale data da Amedeo Maiuri


Il manifesto che annuncia la mostra “Alla scoperta di Stabia” all’antiquarium di Pompei (foto Graziano Tavan)
Non ci sarà il pubblico delle grandi occasioni, ma anche in questa fase difficile di pandemia, che ha permesso la riapertura di musei e parchi archeologici ai visitatori al massimo dalla regione, quando il rischio contagio è definito moderato (fascia gialla), non ha impedito al parco archeologico di Pompei di presentare l’Antiquarium che lunedì 25 gennaio 2021 verrà inaugurato nella sua nuova veste museale. Era stato riaperto al pubblico nel 2016, dopo trentasei anni, come visitor center e spazio per mostre temporanee. Ricordiamo, ad esempio, “Alla ricerca di Stabia”, nel secondo semestre del 2018 (vedi “Alla ricerca di Stabia”: all’Antiquarium di Pompei una mostra sulla necropoli di Madonna delle Grazie e del santuario dei Privati anticipa il progetto multidisciplinare per lo studio, la riscoperta e la valorizzazione dell’antica Stabiae. Con l’antiquarium stabiano chiuso da anni, il nuovo museo di Stabia sarà nella reggia borbonica di Quisisana | archeologiavocidalpassato), che è stato il primo passo verso l’apertura del museo Archeologico di Stabiae nella Reggia Quisisana a Castellammare di Stabia, inaugurato nel settembre 2020 dal ministro Franceschini (vedi Castellammare di Stabia (Na). Il ministro Franceschini inaugura nell’ex reggia borbonica Quisisana il nuovo museo Archeologico di Stabiae “Libero D’Orsi” | archeologiavocidalpassato), e che è stato riaperto al pubblico – come Pompei Scavi – il 18 gennaio 2021.

L’Antiquarium di Pompei fu realizzato da Giuseppe Fiorelli tra il 1873 e il 1874 negli spazi sottostanti la terrazza del Tempio di Venere, con affaccio su Porta Marina. Fu sede espositiva di una selezione di reperti provenienti da Pompei ed esemplificativi della vita quotidiana dell’antica città, oltre che dei calchi delle vittime dell’eruzione. Nel 1926 venne ampliato da Amedeo Maiuri, che oltre ad aggiungere grandi mappe con gli sviluppi aggiornati degli scavi dal 1748 in poi e inserire nuovi reperti provenienti dalla Villa Pisanella di Boscoreale nonché dai più recenti scavi di via dell’Abbondanza, impostò un percorso che guidava il visitatore nella storia di Pompei dalle origini fino all’eruzione.

L’edificio fu gravemente danneggiato dalle bombe della II guerra mondiale nel settembre 1943. “Eppure Pompei ha oggi, più che mai, bisogno del suo Antiquarium”, diceva Amedeo Maiuri nel 1947. “L’estensione graduale degli scavi, la preziosità e la singolarità di alcune scoperte, il dovere, ineluttabile dovere, di difendere dagli agenti atmosferici e dalle insidie, se non dal malvolere degli uomini, tutto ciò che non si può custodire all’aperto, l’utilità infine di presentare raggruppati e classificati i materiali che non si trovano nelle case …”. E fu proprio grazie all’intervento di restauro del Maiuri, che il 13 giugno del 1948 riaprì ai visitatori in occasione della celebrazione del 2° centenario degli scavi di Pompei. Nuovamente danneggiato, stavolta dal terremoto del 1980, da allora è rimasto chiuso al pubblico fino – come si diceva – al 2016.
Nell’anno 2020, l’anno della pandemia, il parco archeologico di Pompei ha riorganizzato le sale dell’Antiquarium: l’architetto Cremascoli, fondatore nel 2001 ad Oporto (Portogallo) con Edison Okamura e Marta Rodrigues lo studio CORarquitectos, e l’architetto freelance Flavia Chiavaroli nel video del parco archeologico di Pompei ci fanno conoscere in anteprima il nuovo concept dell’allestimento delle sale dell’Antiquarium di Pompei.

E lunedì 25 gennaio 2021 ecco finalmente l’apertura al pubblico delle porte dell’Antiquarium di Pompei, con il nuovo allestimento. “È diventato uno spazio museale dedicato all’esposizione permanente di reperti che illustrano la storia di Pompei”, spiega Luana Toniolo, funzionario responsabile. “Lo spazio, completamente rinnovato, rimanda a quella che fu la concezione museale di Amedeo Maiuri e attraverso i reperti più rilevanti è ripercorsa la storia di Pompei dall’età sannitica (IV secolo a.C.) fino alla tragica eruzione del 79 d.C. Oltre a celebri testimonianze dell’immenso patrimonio pompeiano, come gli affreschi della Casa del Bracciale d’oro, gli argenti di Moregine o il triclinio della Casa del Menandro, sono qui esposti anche i rinvenimenti dei più recenti scavi condotti dal Parco Archeologico: dai frammenti di stucco in I stile delle fauces della Casa di Orione al tesoro di amuleti della Casa con Giardino, agli ultimi calchi delle vittime dalla villa di Civita Giuliana. La visita all’Antiquarium è inoltre accompagnata da due supporti digitali, un web-bot, un assistente digitale in grado di fornire informazioni di servizio semplici e chiare, e una narrazione audio che dal percorso espositivo accompagna il visitatore alla scoperta di alcuni punti di interesse del Parco Archeologico di Pompei”.
La curiosità. Nel nuovo Antiquarium sarà esposto un tronco di cipresso ritrovato intorno agli anni ’90 sulle sponde del fiume Sarno. Paola Sabbatucci, funzionaria restauratrice del parco archeologico di Pompei, ci descrive il lavoro di restauro al tronco di cipresso che “all’epoca fu conservato in deposito e che solo di recente è stato prelevato dal deposito per onorarlo di un’esposizione permanente”, spiega Sabbatucci. “Con le mie colleghe restauratrici, abbiamo provveduto alla manutenzione straordinaria del reperto che si presentava comunque in buone condizioni di conservazione avendo mantenuto nella sua storia conservativa delle condizioni stabili sia di luce che di umidità che di temperatura. Di conseguenza abbiamo provveduto innanzitutto a una pulitura approfondita del reperto, un minimo intervento consistente in incollaggi di piccole parti staccate o in procinto di staccarsi, un consolidamento superficiale, una protezione finale e soprattutto un trattamento biocida che ha permesso di proteggerlo dalle eventuali muffe, funghi o comunque attacchi biotici cui poteva essere sottoposto”.
“Pompei. La città viva”: è il primo podcast prodotto per il parco archeologico di Pompei con la collaborazione di Electa. Sei episodi da ascoltare raccontano la storia e l’evoluzione di una delle più grandi ricchezze del patrimonio italiano

“Vivere” Pompei ascoltando. Dall’8 gennaio 2021 si potrà ascoltare “Pompei. La città viva”, il primo podcast prodotto da Piano P, piattaforma italiana dei podcast giornalistici, per il Parco Archeologico di Pompei, in collaborazione con Electa, in occasione della prossima riapertura al pubblico dell’Antiquarium di Pompei. “Pompei è la città morta più viva che mai…”, “Pompei è un pilastro della nostra cultura e della nostra memoria…”, “Pompei è un mondo ed è anche il mio mondo…”, “Pompei continua a stupirci e lo farà sempre…” sono solo alcune delle dichiarazioni che si possono ascoltare nel trailer di presentazione del podcast (Trailer. Dall’8 gennaio 2021 il primo podcast su Pompei – Pompei. La città viva | Podcast on Spotify). Autori dei testi: Carlo Annese, Enrico Racca, Lucia Stipari; speaker: Matteo Alì, Arianna Granata; illustrazione della cover: Joey Guidone; musiche originali: Nicola Scardicchio, Michele Bozzi, flauto; Antonella Pecoraro, arpa; montaggio e post-produzione: Giacomo Qualcuno; Editing: Giulia Pacchiarini.

La serie prevede 6 episodi, con uscita settimanale il venerdì dall’8 gennaio 2021. Gli episodi saranno disponibili all’ascolto su Spotify, Spreaker, Apple Podcast e su tutte le principali app gratuite per l’ascolto dei Podcast. Sei episodi, condotti da Carlo Annese, nei quali ventisei tra accademici, archeologi, artisti e scrittori, insieme al direttore Massimo Osanna, raccontano la storia e l’evoluzione di una delle più grandi ricchezze del patrimonio italiano: dalla tragica eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. fece scomparire una città intera sotto una coltre di cenere e lapilli alla scoperta casuale che diede inizio agli scavi nel 1748, fino all’ultimo straordinario rilancio del Parco archeologico. Da alcuni anni, infatti, Pompei è una delle mete più richieste del turismo mondiale e non smette di rivelare sempre nuove, sorprendenti testimonianze del suo passato.

Valeria Parrella, Pappi Corsicato, Catharine Edwards, Maurizio De Giovanni, Andrea Marcolongo e molti altri contribuiscono a ricostruire la vita quotidiana, le arti e i costumi della città antica – dal cibo all’erotismo, dall’architettura delle domus ai giardini – mettendoli in relazione con i nostri tempi. Insieme a Cesare De Seta e Anna Ottani Cavina analizzano l’influenza che Pompei ha esercitato sulla cultura degli ultimi tre secoli, dal pensiero illuminista sulla catastrofe alla fascinazione dei viaggiatori romantici del Grand Tour fino ai best-seller sugli ultimi giorni prima della tragedia. E con Maria Pace Ottieri scoprono innumerevoli punti di contatto con la realtà di oggi, a cominciare dal rischio che corrono i 700mila abitanti dei sette Comuni dell’area vesuviana. “Quelle rovine ci dicono che siamo sostanzialmente gli stessi”, dice il popolare scrittore napoletano Maurizio De Giovanni. “Quella città, con i suoi mercati e le sue case, con la sua divisione tra una borghesia commerciale e i suburbi popolari, ricalca nella stessa identica maniera quella che sarebbe oggi la città, se la si fotografasse in una situazione simile. E speriamo che non avvenga mai”.

Episodio 1. Il museo vivente. La città più antica del mondo vive nel presente e parla al futuro. Il clamoroso “effetto Pompei”, che ha portato il Parco archeologico quasi a raddoppiare i visitatori nel giro di pochi anni sfiorando i 4 milioni nel 2019, è il frutto di uno dei più ambiziosi interventi mai visti in Italia. Il Grande Progetto Pompei, avviato nel 2014 dopo decenni di incuria e cattiva gestione, coincide con l’ennesima rinascita della città, un patrimonio unico al mondo che il direttore Massimo Osanna ha trasformato in un brand internazionale e in un luogo che non smette di rivelare sempre nuove, straordinarie tracce della sua storia. Intervengono: Maurizio De Giovanni, scrittore; Catharine Edwards, docente di Classici e Storia Antica al Birkbeck College di Londra; Antonia Falcone, archeoblogger; Francesco Jodice, artista visuale; Andrea Marcolongo, giornalista e scrittrice; Massimo Osanna, direttore del Parco archeologico di Pompei e direttore generale dei musei italiani; Luana Toniolo, funzionario archeologo; Andrea Viliani, responsabile del Centro di Ricerca del Castello di Rivoli.

Episodio 2. Vivere a Pompei: dall’arte allo street food. Pompei, museo a cielo aperto, è la maggiore fonte di informazioni sulla vita quotidiana degli antichi romani. E ogni nuovo ritrovamento, come in un puzzle, compone un’immagine in perenne mutamento e regala infinite sorprese. Seguendo idealmente due uomini nel loro ultimo giorno, prima dell’eruzione del Vesuvio, passeggeremo tra le strade traboccanti di vita e scopriremo la Pompei delle botteghe e la Pompei città d’arte, le taverne e le domus affrescate, simbolo di status sociale. Assaggeremo il vino che si è ripreso a produrre da alcuni anni e osserveremo gli edifici ancora intatti che all’inizio del ‘900 offrirono a Le Corbusier le basi per la sua idea di architettura. Intervengono: Giuseppe Di Napoli, docente di Disegno e Colore allo IED di Milano; Massimo Montanari, docente di Storia dell’Alimentazione all’università di Bologna; Fabrizio Pesando, docente di Archeologia e Storia dell’Arte romana all’università Orientale di Napoli; Carlo Rescigno, docente di Archeologia classica all’università della Campania “Luigi Vanvitelli”; Grete Stefani, funzionario archeologo; Marida Talamona, docente di Storia dell’Architettura contemporanea all’università Roma 3; Luana Toniolo, funzionario archeologo.

Episodio 3. Cinquantamila volte Hiroshima. Vivere sotto la minaccia della catastrofe, ieri e oggi. Senza saperlo, come accadde ai pompeiani del primo secolo dopo Cristo, oppure essendone perfettamente consapevoli, com’è oggi per i 700mila abitanti dei sette Comuni della vasta area vesuviana che vivono all’ombra del vulcano. La tragica eruzione che in meno di venti ore, il 24 ottobre dell’anno 79, proiettò in aria dieci miliardi di tonnellate di magma, vapori e gas, seppellendo la città, ha influenzato la scienza, da Plinio il Giovane alla vulcanologia moderna. E ha dato origine a una filosofia del disastro che ha avuto in Rousseau e negli Illuministi i principali interpreti. Intervengono: Francesca Bianco, direttore dell’Osservatorio vesuviano di vulcanologia di Napoli; Luigi Gallo, storico dell’arte e direttore della Galleria nazionale delle Marche di Urbino; Maria Pace Ottieri, giornalista e scrittrice; Valeria Parrella, scrittrice; Andrea Tagliapietra, docente di Storia della Filosofia all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

Episodio 4. I volti della ricerca. La storia di Pompei è anche la storia epica degli scavi, iniziati nel 1748 sotto Re Carlo di Borbone e tuttora in corso, e con la prospettiva di altri importanti ritrovamenti nei 22 ettari ancora da scoprire. Raccontiamo il romanzo della rinascita della città antica, una saga popolata da uomini e donne che, spesso con colpi di genio, hanno restituito Pompei alla vita: da Giuseppe Fiorelli, l’inventore della celebre tecnica dei calchi, a Vittorio Spinazzola, che ebbe l’intuizione del museo diffuso; da Amedeo Maiuri, il “principe degli archeologi” (come lo definì Guido Piovene), ad Annamaria Ciarallo, che ha ricostruito la flora del tempo, fino a Massimo Osanna, che ha traghettato il Parco Archeologico in una nuova dimensione. Intervengono: Andrea Marcolongo, giornalista e scrittrice; Massimo Osanna, direttore del Parco archeologico di Pompei e direttore generale dei musei italiani; Valeria Parrella, scrittrice; Grete Stefani, funzionario archeologo; Luana Toniolo, funzionario archeologo; Andrea Viliani, responsabile del Centro di Ricerca del Castello di Rivoli.

Episodio 5. La città dell’amore. Uno dei ritrovamenti più recenti è anche il più affascinante: un piccolo, splendido affresco, sulla parete di una ricca domus, che ritrae Leda sedotta da Zeus. Per poterla avvicinare, il dio ha assunto l’aspetto di un cigno e si protende verso di lei quasi a chiederle un bacio. Le immagini a tema erotico sono molto frequenti, e non solo nelle stanze da letto, confermando l’idea, maturata nei secoli, di Pompei città del piacere, dove la vanità veniva alimentata da gioielli, profumi e unguenti. Fra verità e leggenda, entriamo nei luoghi che da sempre colpiscono l’immaginario popolare e degli studiosi: il lupanare, le terme pubbliche, ma anche gli spazi privati dove si svolgeva la prostituzione. Ancora oggi la città trasuda sensualità e ci racconta un’idea di bellezza che rappresenta un punto di riferimento anche per i canoni estetici attuali. Intervengono: Ria Berg, docente di Archeologia e Studi classici all’università di Helsinki; Pappi Corsicato, regista; Catharine Edwards, docente di Classici e Storia antica al Birkbeck College di Londra; Valeria Parrella, scrittrice; Fabrizio Pesando, docente di Archeologia e Storia dell’Arte romana all’università Orientale di Napoli; Danda Santini, direttore di Amica e IoDonna.

Episodio 6. Dal Grand Tour a Lonely Planet. La scoperta di Pompei, a metà del Settecento, è una vera rivoluzione, che sposta il baricentro dell’attenzione verso Sud. L’apertura degli scavi fa cambiare le rotte del Grand Tour europeo, e a Pompei arrivano in visita intellettuali e grandi artisti: da Winckelmann a Goethe, da Mozart a Picasso, fino ai… Pink Floyd. Nel frattempo cresce anche l’attrazione per il momento più drammatico per la città antica: l’eruzione del Vesuvio. Gli ultimi giorni di Pompei diventano un best seller nella letteratura, nella lirica e nel cinema, da Edward Bulwer-Lytton a Robert Harris, da Giovanni Pacini a Sergio Leone. Pompei diventa così un generatore di storie, che i nuovi ritrovamenti continuano a rendere praticamente inesauribile. Intervengono: Maurizio De Giovanni, scrittore; Cesare De Seta, professore emerito di Storia dell’Architettura all’università Federico II di Napoli; Luigi Farrauto, autore delle guide Lonely Planet; Luigi Gallo, storico dell’arte e direttore della Galleria nazionale delle Marche di Urbino; Anna Ottani Cavina, docente di Storia dell’Arte alla Johns Hopkins University di Bologna; Paola Villani, docente di Letteratura italiana all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
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