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Accordo storico tra il museo dell’Acropoli di Atene e il museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo: il frammento del Partenone conservato in Sicilia, il “Reperto Fagan, torna in Grecia per 4 anni (per ora), in cambio di una statua della dea Atena e un’antica anfora geometrica. Un segnale concreto di amicizia. E si pensa ai marmi Elgin conservati al British museum

Il “reperto Fagan”, frammento di lastra dal fregio orientale del Partenone conservato ed esposti al museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo (foto museo salinas)

È a Palermo dal 1820: grazie a un accordo tra il museo dell’Acropoli di Atene e il museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo dopo due secoli torna ad Atene il frammento del Partenone, l’unico presente in Italia. Si tratta del cosiddetto “Reperto Fagan”, frammento in marmo pentelico che raffigura il piede o della Dea Peitho o di Artemide (Dea della Caccia) seduta in trono, una lastra appartenente al fregio orientale del Partenone. Rimarrà là per quattro anni, e in cambio dalla Grecia arrivano in Sicilia una statua della dea Atena e un’antica anfora geometrica. È un accordo culturale di straordinaria importanza internazionale quello che la Sicilia ha sottoscritto con la Grecia. Un gesto, voluto dall’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, condiviso con la ministra greca della Cultura e dello Sport, Lina Mendoni, che per la cultura ellenica ha un valore fortemente simbolico: la Sicilia, in questo modo, fa, infatti, da apripista sul tema ritorno in Grecia dei reperti dei Partenone, dando il proprio contributo determinante al dibattito in corso da tempo a livello mondiale.

Alberto Samonà, l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, accanto al “Reperto Fagan” al museo Salinas (foto museo salinas)

“Il ritorno ad Atene di questo importante reperto del Partenone”, sottolinea l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, “va nella direzione della costruzione di un’Europa della Cultura che affonda le proprie radici nella nostra storia e nella nostra identità: quell’Europa dei popoli che ci vede profondamente uniti alla Grecia, in quanto entrambi portatori di valori antichi e universali. E del resto, le molteplici e pregnanti testimonianze della cultura greca presenti in Sicilia sono la conferma di un legame antico e profondo. Grazie al governo Musumeci, la Sicilia torna al centro di una dimensione mediterranea, in cui il futuro comune passa per il dialogo e le relazioni con i Paesi che si affacciano sul Mare nostrum. L’accordo di collaborazione con il Museo dell’Acropoli di Atene ci permetterà, inoltre, di porre in essere iniziative culturali comuni di grande spessore e rilevanza internazionale che daranno la giusta visibilità alla nostra Regione”.

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L’archeologa Lina G. Mendoni, ministro della Cultura e dello Sport della Grecia

“Vorrei esprimere la mia più profonda gratitudine alla Giunta regionale Siciliana e al suo presidente Nello Musumeci, nonché all’assessore regionale ai Beni Culturali e dell’Identità della Sicilia Alberto Samonà”, sottolinea la ministra della Cultura e dello Sport della Repubblica Greca, Lina Mendoni. “La nostra collaborazione affinché il frammento del Fregio Orientale del Partenone, oggi custodito al museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo, possa essere esposto per un lungo periodo al museo dell’Acropoli insieme al proprio naturale contesto, è stata impeccabile e costruttiva. Soprattutto, desidero qui esprimere la mia gratitudine per gli instancabili e sistematici sforzi del Governo Siciliano e dell’Assessore Alberto Samonà per aver intrapreso la procedura verso l’accordo legale ai sensi del Codice dei Beni Culturali della Repubblica Italiana, affinché questo frammento possa ritornare definitivamente ad Atene. Dal novembre del 2020, quando sono iniziate le discussioni tra di noi, fino ad oggi, – prosegue la ministra Mendoni – l’assessore Samonà ha sempre dichiarato in ogni modo il suo amore per la Grecia e per la sua Cultura. Nel complesso, l’intenzione e l’aspirazione del Governo Siciliano di rimpatriare definitivamente il Fregio palermitano ad Atene, non fa altro che riconfermare e rinsaldare ancora di più i legami culturali e di fratellanza di lunga data delle due regioni, nonché il riconoscimento di fatto di una comune identità mediterranea. In questo contesto, il ministero della Cultura e dello Sport ellenico inizia con grande piacere la sua collaborazione con il museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo, non solo per l’esposizione presso di esso di importanti antichità provenienti dal museo dell’Acropoli, ma anche per azioni e iniziative generali future. Con questo gesto, il Governo della Sicilia indica la via per il definitivo ritorno delle Sculture del Partenone ad Atene, la città che le ha create”.

Il “reperto Fagan”, frammento di lastra dal fregio orientale del Partenone conservato ed esposti al museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo (foto museo salinas)

L’accordo, nato dalla proficua interlocuzione fra il Governo regionale – con l’assessore Samonà – e il Governo di Atene – con la ministra Mendoni – è stato siglato dal museo Archeologico regionale “A. Salinas” di Palermo e dal museo dell’Acropoli di Atene, ai sensi dell’articolo 67 del nostro Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che prevede il trasferimento pluriennale e lo scambio di reperti archeologici tra le due prestigiose istituzioni museali, rispettivamente dirette da Caterina Greco e da Nikolaos Stampolidis. Sottoscritto secondo la legge italiana, l’accordo prevede che per un periodo di 4 anni, rinnovabile una sola volta, il Salinas trasferisca al museo dell’Acropoli di Atene il frammento appartenente al Partenone, attualmente conservato a Palermo perché parte della collezione archeologica del console inglese Robert Fagan, acquistata dalla Regia Università di Palermo nel 1820. In cambio, da Atene arriveranno a Palermo due importantissimi reperti delle collezioni del Museo dell’Acropoli, ciascuno per un periodo di quattro anni: si tratta di un’importante statua acefala di Atena, databile alla fine del V secolo a.C., e di un’anfora geometrica della prima metà dell’VIII secolo a.C. Un’intesa che prevede anche l’organizzazione di iniziative in comune che saranno realizzate in partnership dai due musei su temi d’interesse culturale di respiro internazionale. La volontà della Sicilia, in realtà, è quella di un ritorno in Grecia a tempo indeterminato del reperto. A questo proposito, la Regione Siciliana, oltre a promuovere l’accordo culturale di valorizzazione reciproca fra le due realtà museali, ha chiesto al Ministero della Cultura della Repubblica Italiana un percorso che porti al felice esito di questa possibilità: la pratica è stata già incardinata ed è attualmente in discussione in seno al “Comitato per il recupero e la restituzione dei Beni Culturali” istituito presso il Ministero. Il ritorno ad Atene del frammento conferma quel sentimento di fratellanza culturale che lega Sicilia e Grecia, nel riconoscimento delle comuni radici mediterranee e degli antichissimi e profondi legami tra i due Paesi. L’accordo sottoscritto rappresenta, infatti, un sigillo d’eccezione per quella koinè mediterranea che, iniziata al tempo della Grecia classica con le sue colonie nell’Italia meridionale e in Sicilia,  ancora oggi connota gli intimi legami culturali tra l’Italia e la Repubblica Greca. Un accordo, che giunge al termine dell’anno in cui si è celebrato l’anniversario dell’avvio della lotta per l’indipendenza della Grecia e a poco più di tre mesi di distanza dalla Decisione del 29 settembre 2021 con cui la Commissione Intergovernativa  dell’UNESCO  per la Promozione della Restituzione dei Beni Culturali ai Paesi d’Origine (ICPRCP) ha richiamato “il Regno Unito affinché riconsideri la sua posizione e proceda in un dialogo in buona fede con la Grecia” che fin dal 1984 ha richiesto la restituzione delle sculture del Partenone, tuttora conservate presso il British Museum di Londra.

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Caterina Greco, direttrice del museo Archeologico regionale “Antonino Salinas” di Palermo

“Desidero esprimere la massima soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo che mi ero posta fin dal mio arrivo al museo Salinas, due anni fa”, interviene Caterina Greco, direttore del museo Archeologico regionale A. Salinas. “Riportare ad Atene il frammento del fregio del Partenone che solo nel 1893 Walter Amelung riconobbe come un originale attico a torto confuso tra i marmi recuperati dal Fagan durante i suoi scavi a Tindari del 1808, significa infatti non soltanto restituire alla Grecia un pezzetto della sua più illustre storia archeologica, ma anche illuminare di nuova luce la vicenda complessa e affascinante del collezionismo ottocentesco, che contraddistingue i nostri più antichi musei e di cui la testimonianza della presenza a Palermo della “lastra Fagan” rappresenta un episodio tra i più intriganti”.

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Il direttore del nuovo museo dell’Acropoli, Nikolaos Stampolidis

“L’approdo del Fregio palermitano al museo dell’Acropoli”, sottolinea il direttore del museo ateniese, Nikolaos Stampolidis, “risulta estremamente importante soprattutto per il modo in cui il Governo della Regione Siciliana, oggi guidato da Presidente Nello Musumeci, ha voluto rendere possibile il ricongiungimento del Fregio Fagan con quelli conservati al museo dell’Acropoli. Questo gesto già di per sé tanto significativo, viene ulteriormente intensificato dalla volontà da parte del Governo Regionale Siciliano, qui rappresentato dall’assessore alla Cultura ed ai Beni dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, che ha voluto, all’interno di un rapporto di fratellanza e di comuni radici culturali che uniscono la Sicilia con l’Ellade, intraprendere presso il ministero della Cultura italiano la procedura intergovernativa di sdemanializzazione del Fregio palermitano, affinché esso possa rimanere definitivamente sine die ad Atene, presso il museo dell’Acropoli suo luogo naturale. In tal modo sarà la nostra amatissima sorella Sicilia ad aprire la strada ed a indicare la via per la restituzione alla Grecia anche per gli altri Fregi partenonici custoditi oggi presso altre città europee e soprattutto a Londra ed al British Museum. Questa volontà, che rappresenta un fulgido esempio di civiltà e fratellanza per tutti i popoli, si sposa anche in un felicissimo ed emblematico connubio culturale con la decisione del 29 settembre 2021 espressa dall’Unesco nei riguardi del ritorno in Grecia delle sculture che si trovano presso il museo londinese”. 

Il “Reperto Fagan”, frammento in marmo pentelico che raffigura il piede o della Dea Peitho o di Artemide (Dea della Caccia) seduta in trono, una lastra appartenente al fregio orientale del Partenone (foto museo salinas)

La storia dell’arrivo in Italia del “reperto Fagan” e i tentativi di riconsegna alla Grecia. Il reperto archeologico, giunto all’inizio del XIX secolo nelle mani del console inglese Robert Fagan in circostanze non del tutto chiarite, alla morte di questi fu lasciato in eredità alla moglie che, successivamente, lo vendette tra il 1818 e il 1820 al Regio museo dell’università di Palermo, di cui il museo Archeologico regionale “Antonino Salinas” è l’odierno epigono. Già in passato si sono avute interlocuzioni volte al ritorno ad Atene del frammento del fregio del Partenone e in particolare tra il 2002 e il 2003, in occasione della visita di Stato in Grecia del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e in vista della realizzazione delle Olimpiadi ad Atene del 2004, fu aperto il dibattito sulla “restituzione” del manufatto. E ancora  nel 2008, in occasione dell’inaugurazione del nuovo museo dell’Acropoli di Atene, si ripresero le trattative tra il ministero ellenico della Cultura e il ministero italiano dei Beni Culturali, attraverso la mediazione dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si era detto favorevole al ritorno del frammento in Grecia; ma anche in quell’occasione si raggiunse solo il risultato di prestare il frammento del Partenone ad Atene per un anno e mezzo, dal settembre 2008 al marzo 2010. Dopo il suo ritorno in Sicilia, negli anni successivi sulla vicenda della riconsegna permanente del reperto calò un velo e non se ne parlò più, se non riservatamente fra gli addetti ai lavori. Per questa ragione, l’accordo sottoscritto tra i due musei coglie oggi un risultato di estrema rilevanza: perché dimostra concretamente la volontà della Sicilia di procedere sulla strada intrapresa, favorendo il definitivo ritorno ad Atene del frammento del fregio partenonico; e perché suggella la stretta collaborazione culturale tra due prestigiose istituzioni museali, entrambe di lunga ed antica tradizione.

Statua di Atena dal museo dell’Acropoli di Atene (foto museo acropoli)

La Statua di Atena e l’anfora che arriveranno al museo Salinas da Atene. La statua (Akr. 3027), alta cm 60 e in marmo pentelico, raffigura la dea Atena vestita con un peplo segnato da una cintura portata sulla vita. Indossa un’egida stretta disposta trasversalmente sul petto, originariamente decorata con una gòrgone al centro, andata perduta. La figura sostiene il peso del proprio corpo sulla gamba destra, mentre con il braccio sinistro si appoggia probabilmente ad una lancia; la posa flessuosa e la resa morbida e avvolgente dell’abbigliamento sono tipiche dello stile attico dell’ultimo venticinquennio del V secolo a.C., influenzato dai modelli partenonici (c.d. “Stilericco”).

 

Anfora del Geometrico medio usata come cinerario, dal museo dell’Acropoli di Atene (foto museo acropoli)

L’anfora (1961 ΝΑΚ 196), integra e di grandi dimensioni (alt. cm 41,5), è un importante esemplare della categoria della ceramica geometrica, una produzione caratteristica delle fabbriche ateniesi della prima età arcaica, che segna l’emergere di Atene fra le varie polis della Grecia. Si tratta di un’anfora utilizzata come cinerario, rinvenuta nel 1961 nella tomba 5 scoperta presso le pendici meridionali dell’acropoli, e rappresenta una vaso tipico del Geometrico Medio II, con corpo ovoide, alto collo svasato che termina con l’orlo rivolto verso l’esterno, e due piccole anse verticali  sulla spalla. La decorazione, in gran parte a vernice nera, comprende sul collo una fascia recante un meandro delineato tra strisce orizzontali, mentre sulla pancia del vaso è dipinto un grande riquadro metopale con triangoli allineati; la parte inferiore del corpo e le anse sono decorate con sottili strisce parallele. La forma e lo stile inconfondibile, tipico di questa fase della ceramica attica, ne denotano la cronologia molto antica, risalente alla prima metà dell’VIII sec. a.C. (800-760 a. C.): un periodo, cioè, in cui non era ancora iniziata la colonizzazione greca della Sicilia, da cui solo successivamente derivò l’afflusso di materiali greci nella nostra isola. L’arrivo in Sicilia di questi due significativi reperti delle collezioni del museo dell’Acropoli, segna un decisivo cambio di passo nelle relazioni culturali tra la Sicilia e la Grecia, improntato alla piena pariteticità degli scambi culturali e a un reciproco rapporto di collaborazione che prevede anche lo sviluppo di iniziative comuni quali mostre, conferenze, ricerche scientifiche. È, infatti, la prima volta che dal famoso museo ateniese giungono in Sicilia e al Salinas, per un’esposizione di lungo periodo, testimonianze originali della storia della città che ha profondamente segnato, con la sua arte, l’intera cultura occidentale.

Pompei. Si restaura la Schola Armaturarum a più di cinque anni dal crollo che costò il posto al ministro Bondi. Dalle macerie della Domus dei Gladiatori al Grande Progetto Pompei

6 novembre 2010: a Pompei è crollata la Domus dei Gladiatori, dove si allenavano gli atleti nell'antica Pompei

6 novembre 2010: a Pompei è crollata la Domus dei Gladiatori, dove si allenavano gli atleti nell’antica Pompei

Il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi a Pompei

Il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi a Pompei

La domus dei Gladiatori crollata in via dell'Abbondanza

La domus dei Gladiatori crollata in via dell’Abbondanza

“Gravissimo danno al patrimonio artistico italiano: a Pompei è crollata l’intera Domus dei Gladiatori, così chiamata perché al suo interno gli atleti si allenavano e nella quale deponevano le armi all’interno di alcuni incassi ricavati nei muri”. Iniziava così l’articolo del Corriere della Sera on line del 6 novembre 2010, annunciando il crollo della Schola Armaturarum che sarebbe costato il posto al ministro per i Beni culturali dell’epoca, Sandro Bondi (si dimise nel marzo dell’anno successivo). “Secondo quanto si apprende dalla soprintendenza – continua-, vi erano anche dipinti nella parte sottostante il perimetro della sala. L’edificio, che si apre su via dell’Abbondanza, la strada principale della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., era visitabile solamente dall’esterno ed era protetto da un alto cancello in legno. Il crollo, secondo primi accertamenti, è avvenuto intorno alle ore 6 ed è stato notato dai custodi appena arrivati al lavoro verso le ore 7.30. L’area è stata transennata e non è possibile accedere. È stato predisposto un percorso alternativo per i turisti”. E poi il primo commento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Quello che è accaduto a Pompei dobbiamo, tutti, sentirlo come una vergogna per l’Italia. E chi ha da dare delle spiegazioni non si sottragga al dovere di darle al più presto e senza ipocrisie”. La risposta del ministero fu immediata per voce di Roberto Cecchi, segretario generale del Mibac: “Questo ennesimo caso di dissesto ripropone il tema della tutela del patrimonio culturale e quindi della necessità di disporre di risorse adeguate e di provvedere a quella manutenzione ordinaria che non facciamo più da almeno mezzo secolo. La cura di un patrimonio delle dimensioni di quello di Pompei e di quello nazionale non lo si può affidare ad interventi episodici ed eclatanti. La soluzione è la cura quotidiana, come si è iniziato a fare per l’area archeologica centrale di Roma e per la stessa Pompei”. E il ministro Bondi: “Quanto è accaduto ripropone la necessità di disporre di risorse adeguate per provvedere a quella manutenzione ordinaria che è necessaria per la tutela e la conservazione dell’immenso patrimonio storico artistico di cui disponiamo. Il crollo ha interessato le murature verticali Schola Armaturarum che erano state ricostruite negli anni Cinquanta, mentre parrebbe essersi conservata la parte più bassa, la parte cioè che ospita le decorazioni affrescate, che quindi si ritiene che potrebbero essere recuperate. Allo luce dei primi accertamenti, il dissesto che ha provocato il crollo parrebbe imputabile ad uno smottamento del terrapieno che si trova a ridosso della costruzione per effetto delle abbondanti piogge di questi giorni e del restauro in cemento armato compiuto in passato”.

Quanto resta della Schola Armaturarum dopo il crollo (foto coordinamento Uil beni culturali)

Quanto resta della Schola Armaturarum dopo il crollo (foto coordinamento Uil beni culturali)

Sono passati più di cinque anni da quel tragico crollo che portò il sito di Pompei all’attenzione del mondo. E dall’antica città romana, distrutta nel 79 d.C. da un’eruzione del Vesuvio, arrivano finalmente buone notizie: avviati gli interventi di recupero della Schola Armaturarum, posta su via dell’Abbondanza, all’angolo con il vicolo di Ifigenia (Regio III, Insula 3, Civico 6). Dopo il dissequestro dell’edificio nello scorso mese di dicembre, ricorda la soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, sono iniziati i lavori di recupero di quello che un tempo fu luogo di riunione di una associazione militare. Gli interventi attuali consistono nella realizzazione di coperture a protezione delle pareti affrescate originali, ovvero di quelle porzioni di mura che già miracolosamente si salvarono al bombardamento del 1943 e a cui negli anni ’50 seguì il restauro delle parti crollate e il rimpiazzo in cemento armato del soffitto. Gli interventi di copertura sono propedeutici agli interventi di messa in sicurezza dell’edificio, in attesa di valutare la possibilità di ricostruire in futuro le parti crollate, già non più originali a seguito del bombardamento e ridar così forma e volume idealmente all’edificio. Termine dei lavori febbraio 2016. Quindi in un secondo momento si valuterà se ed eventualmente come ricostruire la “Schola”.

Il governo Berlusconi avviò un progetto straordinario di messa in sicurezza e di manutenzione degli scavi sfociato nel Grande progetto Pompei

Il governo Berlusconi avviò un progetto straordinario di messa in sicurezza e di manutenzione degli scavi sfociato nel Grande progetto Pompei

Dopo il crollo del novembre 2010, il governo Berlusconi, attraverso i ministri prima Galan, subentrato a Bondi, e poi Fitto, avviò su sollecitazione del commissario europeo Johannes Hahn un progetto straordinario di messa in sicurezza e di manutenzione degli scavi, perfezionato dal governo Monti (ministri Barce e Ornaghi). L’area venne intanto sottoposta a sequestro dalla procura di Torre Annunziata. Il Grande progetto Pompei da 105 milioni di euro fu inviato all’Ue a dicembre 2011 e approvato a febbraio 2012, i primi bandi pubblicati ad aprile. Ma per lunghi mesi la Schola è rimasta così, recintata e inaccessibile, coperta da teli bianchi a ricordare a visitatori e istituzioni che Pompei resta un luogo fragile, dove non bisogna mai smettere di vigilare e intervenire. “Il dissequestro della Schola armaturarum avvenuto nel corso dell’anno appena conclusosi (2015, ndr) e, finalmente, l’inizio dei lavori di copertura delle pareti affrescate originali, ovvero di quelle porzioni di mura che già miracolosamente si salvarono al bombardamento del 1943 cui seguì il restauro delle parti crollate e il rimpiazzo in cemento armato del soffitto”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “si colloca in un momento “storico” che non può che risultare simbolico. I lavori partiti due settimane fa sono anch’essi espressione di quella rinascita generale del sito che, finalmente, viene percepita dal pubblico e dalla stampa, ma che soprattutto coincide con attività concrete, quelle dei cantieri del Grande progetto e di interventi a lungo attesi, come questo della Schola. L’obbiettivo finale al quale stiamo lavorando è, al momento, quello di proteggere le strutture dell’edificio per poi pensare alla migliore soluzione di restauro dello stesso, che soprattutto consenta al pubblico di continuare a godere tangibilmente di un altro pezzo della storia di questa città antica”.

I teli bianchi che in questi anni hanno protetto le decorazioni della Schola Armaturarum

I teli bianchi che in questi anni hanno protetto le decorazioni della Schola Armaturarum

Sopralluogo dei restauratori sotto i teloni

Sopralluogo dei restauratori sotto i teloni

La struttura di copertura temporanea consisterà in tre ali larghe di circa tre metri, che seguono e inglobano il perimetro dell’edificio storico, con appoggi disposti all’interno dello stesso e lungo il perimetro esterno. Il perimetro della struttura sarà schermato da un sistema di teli microforati di pvc, stampati con testi e immagini sull’intervento in corso così da permettere una buona visibilità interna, una certa schermatura dall’irraggiamento solare diretto e una buona comunicazione per la fruizione e valorizzazione turistica. Previsto anche il diserbo di tutta l’area della Schola, la risagomatura del terreno dell’ambiente a nord dell’ambiente principale e la formazione di una trincea drenante retrostante alla parete ovest. Una volta montata, le murature affrescate saranno liberate dai teloni plastici che le hanno protette per questi cinque anni, e potranno entrare in campo i restauratori, per operare al coperto e senza che pioggia o sole interferiscano con le operazioni. Gli interventi in programma per un valore complessivo di circa 80mila euro sono stati coordinati dal responsabile unico del procedimento Cesira d’Innocenzo, dal direttore archeologo dei lavori Paolo Mighetto e dal direttore operativo archeologo Mario Grimaldi, dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione Mariano Nuzzo e per il rilievo laser scanner dall’architetto Raffaele Martinelli. “Abbiamo immaginato una struttura reversibile”, spiega l’architetto Paolo Mighetto, del gruppo di progettazione della segreteria tecnica della soprintendenza Pompei, “semplicemente appoggiata sul manufatto antico. Dopo il restauro conservativo delle pareti ovest, nord ed est della Schola, sulla base dei risultati scientifici che avremo acquisito si potrà procedere alla sistemazione definitiva dell’edificio”.

L’Associazione nazionale archeologi: “Il nuovo ministro Franceschini segni una svolta nella politica di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico in generale e di Pompei in particolare”

Il neo ministro per i Beni culturali Dario Franceschini giura nelle mani del presidente Napolitano

Il neo ministro per i Beni culturali Dario Franceschini giura nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Sul suo tavolo il neo ministro dei Beni culturali si troverà l’abolizione della Direzione Generale delle Antichità, ruolo e aspettative di archeologi e operatori culturali, una rete di siti, musei e parchi che pretendono attenzione, e ovviamente l’area archeologica di Pompei con la quale ogni titolare dei Beni culturali deve fare i conti. Un compito gravoso prima ancora di cominciare. Ma l’Associazione Nazionale Archeologi guarda con “fiducia” alla nomina di Dario Franceschini alla guida del ministero dei Beni Culturali e del Turismo e auspica un dicastero che sappia imprimere “una svolta decisiva alle politiche di tutela, fruizione e di valorizzazione” e che vigili su Pompei. “Ci auguriamo”, afferma Salvo Barrano, presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi e vicepresidente di Confassociazioni, “che il ministro sappia individuare da subito le priorità e le esigenze delle diverse anime che compongono l’universo della cultura italiana perché sulla sua azione di governo pesano già alcune ipoteche che esigono risposte urgenti».

Salvo Barrano, presidente dell'Ass. Naz. Archeologi

Salvo Barrano, presidente dell’Ass. Naz. Archeologi

«Non può più essere procrastinata al Senato”, entra subito nel merito, “l’approvazione all’unanimità da parte della Camera della proposta di legge (pdl 362) che riconosce il ruolo di archeologi, archivisti, bibliotecari, storici dell’arte, quale parte integrante di un sistema di tutela gravemente penalizzato negli ultimi vent’anni. Lo chiede con forza il mondo professionale le cui istanze vanno recepite e non più umiliate come è già accaduto nel Bando ‘500 giovani per la cultura. Per riformare il ministero – continua – non basta rientrare nei termini imposti dalla spending review, ma è necessaria l’apertura di un tavolo di dialogo con tutti gli operatori dei beni culturali e del turismo che possa evitare proposte sbagliate come quella di abolire la Direzione Generale alle Antichità”.

Il logo dell'Associazione Nazionale Archeologi

Il logo dell’Associazione Nazionale Archeologi

L’Italia, infatti, fa notare il presidente, “ha accumulato rispetto all’Unione Europea ritardi normativi, a cominciare dalla ratifica della Convenzione Europea per la protezione del patrimonio archeologico, firmata 22 anni fa a La Valletta, ma non ancora effettiva nel nostro Paese. Il governo Letta nel Consiglio dei Ministri del 14 febbraio ha varato un ddl per la sua immediata ratifica facciamo, quindi, appello al ministro affinché riprenda con immediatezza l’iter già avviato. Si tratta  di un passo ormai imprescindibile che darebbe nuovo vigore alle politiche di tutela e di governo del paesaggio riscattando non solo l’azione di tutela del ministero, ma il valore sociale dell’archeologia stessa e dei suoi professionisti”.

La tutela e valorizzazione di Pompei resta una priorità anche per Franceschini

La tutela e valorizzazione di Pompei resta una priorità anche per Franceschini

La nota dell’Associazione nazionale archeologi si chiude con una richiesta al ministro Franceschini: “Chiediamo di prestare la massima attenzione al Grande Progetto Pompei e di vigilare affinché i lavori proseguano secondo i programmi stabiliti considerata la necessità di spendere i fondi entro il 2015 e la grande attenzione che tutto il mondo presta a uno dei siti archeologici più visitati al mondo”.

Al Quirinale cento capolavori recuperati dai carabinieri: c’è anche il mausoleo etrusco completo dei Cacni trafugato da Perugia

Al Quirinale aperta la mostra "La memoria ritrovata. Tesori recuperati dall'Arma dei Carabinieri"

Al Quirinale aperta la mostra “La memoria ritrovata. Tesori recuperati dall’Arma”

Appuntamento al Quirinale. Fino al 16 marzo in mostra più di cento capolavori per oltre due millenni di storia d’Italia, provenienti da scavi clandestini e furti vari, e restituiti alla collettività dalle più recenti operazioni di indagine e recupero del Comando Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri. Dopo la mostra “Nostoi. Capolavori ritrovati” del 2007 che celebrava il rientro in patria di decine di opere d’arte acquisite illegalmente da quattro grandi istituzioni museali americane, dopo la presentazione nel 2013 della famosa “Tavola Doria” attribuita da molti a Leonardo da Vinci e finalmente rientrata in patria dopo un esilio di oltre settant’anni, ecco la mostra “La memoria ritrovata. Tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri” inaugurata nei giorni scorsi dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nell’ala occidentale del Palazzo, e in particolare in due sale della Galleria di Alessandro VII Chigi, tornate al loro antico splendore dopo la riscoperta delle pitture di Pietro da Cortona. Erano presenti il ministro per i Beni e le Attività culturali, Massimo Bray, il commissario straordinario della Provincia di Roma, Riccardo Carpino, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, gen. di C.A. Leonardo Gallitelli, il comandante dei carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, gen. Mariano Ignazio Mossa, il presidente dell’associazione Civita, Gianni Letta con il vice presidente, Nicola Maccanico e il segretario generale Albino Ruberti. “Una galleria”, spiega Louis Godart, consigliere per la conservazione del patrimonio artistico del Presidente della Repubblica, “che dimostra l’entusiasmo e la professionalità dei carabinieri che riescono a recuperare la nostra memoria ‘rubata’, ma anche l’estrema fragilità del nostro patrimonio, depredato nelle chiese e nel sottosuolo”. Nonostante i successi e le nuove tecnologie, aggiunge il generale Mariano Mossa del Ctp, “la rilevanza dei capolavori esposti, la storia dell’illecita sottrazione e del conseguente recupero ci permettono di comprendere come il nostro patrimonio culturale sia ancora aggredito. Il giro d’affari cui dà vita il commercio illecito di beni culturali è il quarto al mondo: viene dopo il commercio illecito di armi, di droga e di prodotti finanziari. Spesso coinvolge organizzazioni a livello internazionale. Le opere esposte rappresentano una sintesi dell’attività condotta negli ultimi anni”.

In mostra oltre cento capolavori dal VI sec. a.C. al Settecento

In mostra oltre cento capolavori dal VI sec. a.C. al Settecento

Nella Sala degli Scrigni, nella Sala di Ercole e nella Sala degli Ambasciatori si possono ammirare opere che vanno dal VI secolo a.C. al Settecento, mentre nella Sala di Augusto sono esposte una serie di urne funerarie, appartenenti alla grande famiglia etrusca dei Cacni, risalenti al III-I secolo a.C., insieme ad una parte del corredo, provenienti da uno scavo effettuato in occasione della costruzione di una moderna abitazione a Perugia. Le urne con le raffigurazioni di scene ispirate al mondo greco sono per la maggior parte dei capolavori assoluti. Le raffigurazioni del sacrificio di Ifigenia, della lotta tra Pelope ed Enomao, delle centauromachie rappresentano una delle più importanti scoperte degli ultimi trent’anni nel campo dell’etruscologia.

Louis Godart, consigliere del Presidente della Repubblica, illustra i capolavori recuperati

Louis Godart, consigliere del Presidente della Repubblica, illustra i capolavori recuperati

A illustrare la mostra interviene Louis Godart: “Opere d’arte dal valore inestimabile. Oltre al croceastile del 1442 rubato dalla chiesa di S. Ippolito a Bardonecchia e il Vaso di Andromeda recuperato nel 2010 in Svizzera da un mercante giapponese, a lasciare a bocca aperta sono soprattutto le 23 urne funerarie etrusche, appartenenti a una sola famiglia aristocratica, quella dei Cacni (con tanto di corredo dei defunti), tutte scolpite e ancora con i segni della patina d’oro o dei colori accesissimi che le ricoprivano”. L’incredibile collezione delle urne etrusche era già stata presentata al pubblico a giugno 2013, trovate in uno scavo clandestino per la costruzione di una palazzina a Perugia. Ma non si possono dimenticare iI Tesoro di Loreto, tutto in oro, coralli e ametiste che Marianna, regina di Spagna, aveva regalato al suo confessore nel 1699 e ritrovato pochi mesi fa a Campione d’Italia; la testa in marmo dell’Imperatore Tiberio del I sec. d.C., trafugata nel ‘71 ad Anacapri e recuperata a Londra nel 2011, contraffatta per essere venduta a un’asta. E poi ancora la Veduta del Pantheon di Paolo Panini, il Trittico della Vergine con bambino rubato dal museo Stubbert e la Leda e il cigno di Lelio Orsi che stava per sparire per sempre negli Stati Uniti. Sono alcuni dei tesori recuperati dai carabinieri.

Le 23 urne etrusche del mausoleo dei Cacni esposte nella sala di Augusto al Quirinale

Le 23 urne etrusche del mausoleo dei Cacni esposte nella sala di Augusto al Quirinale

Un’attenzione particolare meritano le 23 urne etrusche. Anni fa le ruspe hanno raggiunto e sventrato a Perugia un mausoleo etrusco risalente al III-I secolo a.C. che apparteneva alla grande famiglia etrusca dei Cacni. “La più importante scoperta archeologica degli ultimi 50 anni”, aveva detto il ministro Massimo Bray durante la prima presentazione al pubblico, nel giugno 2013. I bassorilievi sui sarcofaghi, che rappresentano scene ispirate al mondo greco, sono capolavori assoluti. In sintonia con il ministro anche Godart:  “È una delle scoperte più straordinarie degli ultimi 50 anni perché per la prima volta è stato recuperato un intero mausoleo. Apparteneva alla famiglia Cacni, una delle più grandi dell’aristocrazia etrusca, e le scene mitologiche scolpite, dal sacrificio di Ifigenia al mito di Enomao e Pelope, testimoniano una profonda conoscenza della cultura greca”. Il mausoleo risalente al III-I secolo a.C., spiega Mossa, era stato riportato segretamente alle luce (e poi sventrato) dalle ruspe di una palazzina in costruzione a Perugia. I carabinieri sono riusciti a recuperare le urne, di cui non si conosceva l’esistenza, da un mercante italiano che tentava di piazzarle sul mercato. Davanti a tanta bellezza, però, un grande rammarico. “Se a scavare fossero stati archeologi – sottolinea Godart – avremmo potuto scoprire tantissime informazioni. È una ferita inferta al nostro patrimonio e una piaga che colpisce tutti, non solo l’Italia”.

Un vaso antico recuperato dai carabinieri Tutela patrimonio culturale

Un vaso antico recuperato dai carabinieri Tutela patrimonio culturale e in mostra al Quirinale

“Un’opera d’arte, soprattutto un reperto archeologico – continua -, è ammirata non solo per la sua intrinseca bellezza ma anche perché è lo specchio di un’epoca e appartiene a un ambiente culturale e storico particolare. Strappare un’opera al contesto che l’ha vista nascere e nel quale è inserita vuol dire renderla pressoché muta. Per apprezzare appieno un capolavoro occorre collegarlo all’ambiente culturale e storico del momento. Lo sforzo di tutti, archeologi, ricercatori, direttori di musei, deve quindi mirare a ricostruire intorno a ogni opera d’arte il contesto nel quale è nata ed è stata in seguito depositata. Non sapremo forse mai – conclude il consigliere del Presidente della Repubblica -, quale fosse l’esatta disposizione dei sarcofagi in seno al mausoleo dei Cacni; la ruspa della ditta che ha scavato l’ipogeo ha frantumato alcune urne e le sculture che le abbellivano sono scomparse per sempre; è stata probabilmente dispersa una parte del corredo che la grande famiglia perugina aveva offerto alla memoria dei suoi più illustri rappresentanti; la rimozione delle urne da parte di mani inesperte ha irrimediabilmente compromesso analisi che avrebbero potuto fornire ulteriori informazioni sulla vita e la società di una grande metropoli etrusca dell’Italia antica”.

La mostra al Quirinale a ingresso libero chiude il 16 marzo

La mostra al Quirinale a ingresso libero chiude il 16 marzo

I visitatori possono accedere alla mostra al Quirinale, “la casa degli italiani”, con ingresso gratuito e senza bisogno di prenotazione, nei giorni feriali da martedì a sabato (10-13 e 15.30-18.30), la domenica dalle 8.30 alle 12 in concomitanza e con le disposizioni dell’apertura al pubblico delle sale di rappresentanza. La mostra rimane chiusa tutti i lunedì ed eventualmente in occasione di impegni istituzionali in programma al Quirinale di cui viene data immediata comunicazione.  “Nel primo settennato del Presidente Napolitano”, ricorda Maurizio Caprara, consigliere per la stampa e la comunicazione del Quirinale, “il Palazzo è stato  visitato da oltre un milione di cittadini, di cui 536mila venuti per ammirare le mostre”.