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Bologna. Dal 2 febbraio riaperti i musei civici con nuovi orari diversificati, tra lunedì e venerdì. Illustrata l’attività in lockdown: ricerca, manutenzione, restauri, riallestimenti. Ecco le novità all’Archeologico e ai musei di Arte antica. Non si fermano le iniziative on line. La polemica: “Assurdo chiudere nei week end quando possono accedere solo i residenti”

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Roberto Grandi, presidente di Istituzione Bologna Musei

Il contatto con il pubblico a casa non verrà meno, l’esperienza di questo mesi ha confermato quanto sia stato apprezzato. Ma finalmente si apre! Con la riclassificazione della Regione Emilia-Romagna in fascia gialla a partire dal 1° febbraio 2021, l’Istituzione Bologna Musei ha ripristinare il servizio di apertura al pubblico nel rispetto delle misure di sicurezza vigenti a partire da martedì 2 febbraio 2021. In ottemperanza al Decreto del Presidente dei Ministri 14 gennaio 2021, l’apertura è assicurata dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni di sabato, domenica e festivi. E oggi, 2 febbraio, nel giorno della riapertura, è stato fatto il punto a più voci, dal presidente Roberto Grandi ai responsabili d’area, su quanto fatto nelle settimane di chiusura al pubblico e delle novità che si possono scoprire alla riapertura. “Perché la chiusura al pubblico non ha mai voluto dire stop alle attività”, ha sottolineato Grandi cui hanno fatto eco tutti i colleghi. “Ricerca, manutenzione, restauri, riallestimenti o progettazioni, non si sono mai fermate, come le attività on line, non per sostituire il museo ma per tenere un contatto con il pubblico, un dialogo aperto in attesa di rivederci tra le sale del museo preferito”. Ma con una critica diretta all’ultimo Dpcm. “Che senso ha far riaprire i musei da lunedì a venerdì e tenerli chiusi nel week end quando sappiamo che in fascia gialla si può contare solo sui residenti, e non sui turisti? Chiedere a chi vive in città di venire al museo nei feriali quando normalmente si lavora, è chiedere un sacrificio in più”. Per assicurare una maggiore fruibilità di mostre temporanee e collezioni nei giorni feriali, il consiglio di amministrazione dell’Istituzione Bologna Musei ha perciò approvato un nuovo piano orario di apertura per un totale complessivo di 208 ore alla settimana. Per favorire l’accesso diverse sedi come MAMbo – museo d’Arte Moderna di Bologna, museo Morandi, Casa Morandi, museo per la Memoria di Ustica, museo civico Archeologico, museo civico Medievale, Collezioni comunali d’Arte, museo civico d’Arte Industriale e galleria Davia Bargellini hanno infatti previsto una o più giornate di apertura pomeridiana prolungata fino alle 19, in modo da poter accogliere i visitatori al termine della giornata lavorativa. Rimangono confermate tutte le misure di sicurezza già adottate dall’Istituzione tra maggio e ottobre 2020: acquisto on line dei biglietti, ingresso per slot numerici in base alla capienza degli spazi, misurazione della temperatura con termo-scanner, distanziamento interpersonale, obbligo di mascherina, disponibilità di gel igienizzanti.

bologna_musei-civici-logoNuovi orari di apertura in vigore dal 2 febbraio 2021. Ecco il dettaglio degli orari di apertura nei musei aperti da martedì 2 febbraio 2021: MAMbo – museo d’Arte Moderna di Bologna e museo Morandi, via Don Minzoni 14 aperto: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; Casa Morandi, via Fondazza 36 aperto: giovedì e venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e festivi; museo per la Memoria di Ustica, via di Saliceto 3/22 aperto: giovedì e venerdì, h 14-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e festivi; museo civico Archeologico, via dell’Archiginnasio aperto: lunedì e mercoledì h 10-14, giovedì h 14-19, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, martedì e festivi; museo civico Medievale, via Manzoni 4 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 10-18.30, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; Collezioni comunali d’Arte – Palazzo d’Accursio, piazza Maggiore 6 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 10-18.30, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo civico d’Arte Industriale e Galleria “Davia Bargellini”, strada Maggiore 44 aperto: martedì, mercoledì, giovedì h 9-14, venerdì h 10-19, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo internazionale e biblioteca della Musica, strada Maggiore 34 aperto: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 11-13.30 / 14.30-18.30, chiuso: sabato, domenica, lunedì e festivi; museo del Patrimonio Industriale, via della Beverara 123 aperto: lunedì, venerdì, h 10-18, chiuso: sabato, domenica, martedì, mercoledì, giovedì e festivi; museo civico del Risorgimento, piazza Carducci 5 aperto: martedì, giovedì h 14-18, venerdì h 10-14, chiuso: sabato, domenica, lunedì, mercoledì e festivi.

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Attività di ricerca e studio dei materiali della sezione egizia del museo civico Archeologico di Bologna (foto Bologna Musei)

Le attività svolte a porte chiuse e le novità a disposizione del pubblico. Nel servizio di apertura al pubblico si esplica una delle condizioni fondamentali e intrinseche al concetto stesso di museo, come riconosciuto nella definizione approvata da ICOM – International Council of Museums. Tuttavia l’inedita esperienza di chiusura, cui i musei sono stati costretti a più riprese nel corso dell’ultimo anno a causa della pandemia, non li ha resi luoghi fermi e inerti. Oltre a mantenere attivo il dialogo con il pubblico attraverso le numerose attività proposte nella sfera digitale, le istituzioni museali sono rimaste sempre attive e dinamiche, ripartendo innanzitutto da quella che è loro principale vocazione: prendersi cura delle collezioni. Ecco le principali attività che le sei aree disciplinari dell’Istituzione Bologna Musei hanno portato avanti durante gli ultimi due mesi in vari ambiti: conservazione del patrimonio, riallestimenti delle collezioni, interventi di riqualificazione degli spazi espositivi, ricerca, pubblicazioni di studio, iniziative didattico-educative, con importanti novità che, in alcuni casi, i visitatori potranno trovare già dalla riapertura di martedì 2 febbraio 2021.

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Copertina del catalogo Electa della mostra “Etruschi. Viaggio nella terra dei Rasna”

Museo civico Archeologico. I visitatori non troveranno una nuova mostra, ma l’eco della grande mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” è ancora forte. “Abbiamo cercato di prorogarla”, ha ricordato Paola Giovetti, responsabile Area Archeologia, “ma non si poteva andare oltre il 30 novembre, perché i grandi musei prestatori non concedono un reperto oltre un anno. E così, a malincuore, abbiamo dovuto arrenderci a chiudere il 5 novembre 2020. Nelle settimane di chiusura, poi, abbiamo dovuto gestire – spesso da remoto – la restituzione in sicurezza dei 1500 reperti esposti, che oggi sono tutti tornati a casa”. Ma della mostra rimangono gli esiti scientifici nel bookshop arricchito e rinnovato. “Accanto ai consueti materiali didattici, alle pubblicazioni scientifiche sulle collezioni del museo e agli amatissimi gadget a tema archeo-storico”, ha continuato Giovetti, “i visitatori troveranno due novità. Il merchandising e il catalogo (Electa) della mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna resteranno disponibili in via permanente mentre nuovi prodotti ispirati alla collezione egizia saranno proposti grazie alla collaborazione con il Banco Artigiano delle Arti e Mestieri, nato dalla cooperativa sociale Arti e 5 Mestieri che si occupa di riabilitazione e inserimento lavorativo di persone affette da disturbi mentali. La cooperativa produce e commercializza oggetti regalo fatti interamente a mano, originali e personalizzati, realizzati da persone svantaggiate”.

La sala del ripostiglio di San Francesco nel suo allestimento originario ottocentesco al museo civico Archeologico di Bologna (foto Bologna Musei)
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Paola Giovetti, responsabile del museo civico Archeologico di Bologna (foto Bologna Musei)

Ma i visitatori dell’Archeologico troveranno anche una bella novità. La sala del ripostiglio di San Francesco, una delle sale della collezione etrusca più amate dal pubblico e di grande importanza scientifica, avrà presto un nuovo aspetto grazie a una revisione dell’impianto illuminotecnico ed espositivo. “L’intervento di riqualificazione, finanziato dall’ex Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna”, ha sottolineato Giovetti, “prevede il recupero delle vetrine ottocentesche, in linea con la tradizione museografica del museo, rese più funzionali secondo gli attuali standard espositivi seppure intatte nel loro fascino originario. L’illuminazione interna, ora assente, consentirà una migliore fruizione delle migliaia di oggetti che compongono questo eccezionale complesso archeologico datato all’età del ferro (fine VIII – inizi VII sec. a.C.)”. Rinvenuto da Antonio Zannoni nel gennaio 1877 presso l’omonima basilica, il ripostiglio è composto da circa 15mila oggetti di bronzo deposti all’interno di un grande vaso di terracotta, per un peso complessivo di oltre 14 quintali. Si tratta di oggetti rotti destinati alla rifusione, non finiti, scarti di lavorazione, pani di metallo, che hanno portato a interpretare questo ritrovamento come il deposito di un fonditore. “I materiali offrono una preziosa documentazione della vita quotidiana di Bologna etrusca. L’allestimento, pur mantenendo l’originario criterio tipologico, sarà arricchito da nuovi apparati espositivi e multimediali”.

“Vi aspettiamo a casa vostra”, iniziativa on line del museo civico Archeologico di Bologna (foto Bologna Musei)

“Riapriamo, ma non interrompiamo gli appuntamenti digitali: #Archeopillole #aportechiuse e Vi aspettiamo a casa vostra sui canali social del museo”, ha assicurato Giovetti, “con #Archeopillole #aportechiuse, le pillole cariche di informazioni curiose per vivere l’archeologia come un racconto e non come mere informazioni tecniche. Oltre a far rivivere sotto una luce brillante ed insolita gli antichi reperti, questi appuntamenti danno conto anche delle attività scientifiche condotte dal museo, come nel caso del Digital Greek and Latin Epigraphy Workshop organizzato tra il 26 e il 29 gennaio 2021 dal dipartimento di Storia Culture e Civiltà dell’università di Bologna, che ha utilizzato le pietre del Lapidario del museo per permettere agli studenti stranieri di cimentarsi con l’epigrafia antica. L’offerta digitale rivolta ad adulti e ragazzi continua inoltre con la serie Vi aspettiamo a casa vostra a cura di Aster e delle archeologhe del museo. Una possibilità di conoscere storie anche a distanza e di cimentarsi in attività laboratoriali”.

La mostra “Le Plaisir du Vivre” al museo civico “Davia Bargellini” di Bologna (foto Roberto Serra / Iguana)

Di Arte antica, che comprende il museo civico Medievale, le collezioni comunale d’Arte di Palazzo d’Accursio e il museo Davia Bargellini, ha parlato il responsabile Massimo Medica. A cominciare dalla mostra “Le plaisir de vivre. Arte e Moda del Settecento veneziano”, inaugurata proprio oggi, 2 febbraio 2021, al museo Davia Bargellini per celebrarne il centenario fino al 12 settembre 2021, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia. “Grazie alla serie di 14 video-clip realizzati da 8cento Media”, ha spiegato Medica, “si prolunga online con una serie di 14 video-clip sulla pagina Facebook dei musei civici d’Arte Antica, in cui rievocatori e figuranti in costume danno vita a una suggestiva rievocazione del Settecento attraverso momenti di racconto, danza e lettura. Nelle sale del museo si animano così brevi scene di vita quotidiana con accessori d’epoca, come dei quadri del Longhi, accompagnate da spiegazioni di dipinti e curiosità sui numerosi passatempi settecenteschi. Ogni video è incentrato su un aspetto specifico: il gioco, la vestizione, il trucco, il ventaglio e il suo linguaggio, la musica e i momenti della giornata, oltre a note introduttive sulle ragioni della mostra e le particolarità del museo”.

Laboratori on line per bambini e famiglie: l mondo di Harry Potter ai musei civici d’Arte Antica (foto Bologna Musei)

Laboratori online per bambini e famiglie ispirati al mondo di Harry Potter. “Sarà un sabato pomeriggio nel mondo di Harry Potter”. Ai bambini da 6 a 11 anni e alle loro famiglie si rivolge il ciclo di 7 incontri online in corso fino ad aprile, dedicati ai 7 libri della scrittrice J. K. Rowling con protagonista il maghetto più famoso del mondo. A partire da alcuni brani tratti dalla celebre saga si esplorano le opere più belle e significative dei musei civici d’Arte Antica, come per esempio il Ritratto di Gonfaloniere di Artemisia Gentileschi e le storie mitologiche illustrate da Donato Creti alle Collezioni comunali d’Arte, il calice Barovier e la lastra di Filippo dei Desideri al museo civico Medievale e, ancora, i simboli, gli animali fantastici e mitologici che ricorrono negli stemmi delle antiche casate bolognesi al museo “Davia Bargellini”. I laboratori sono progettati in modo da consentire un facile reperimento dei materiali necessari per realizzare, sotto la guida degli operatori educativi, un semplice oggetto dopo avere osservato le opere e ascoltato la lettura dei brani.

Collezione di vetri Cappagli-Serretti del museo “Davia Bargellini” di Bologna (foto Roberto Serra / Iguana)

Donazioni, schedature, campagne fotografiche, revisione impianti di illuminazione. In seguito alla recente donazione all’Istituzione Bologna Musei della preziosa collezione Cappagli-Serretti di 117 vetri risalenti dal XVI al XX secolo, nell’autunno 2021 verrà presentata al pubblico la raccolta dei beni acquisiti in una mostra temporanea allestita presso il museo civico Medievale. Al termine dell’esposizione, le sedi individuate per garantirne la fruizione pubblica sono il museo civico Medievale e il museo “Davia Bargellini”. In vista della futura esposizione al pubblico tutti i pezzi sono stati di recente fotografati e catalogati. Contemporaneamente anche altri significativi nuclei collezionistici sono stati oggetto di una nuova campagna fotografica finalizzata all’aggiornamento della schedatura delle opere, come nel caso del museo del Tessuto e della Tappezzeria “Vittorio Zironi” di Villa Spada, grazie al contributo dell’ex Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna. Sul piano delle condizioni di accoglienza, è stato inoltre operato un sensibile intervento migliorativo grazie a un intervento di revisione dell’impianto di illuminazione, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, che ha interessato gli spazi espositivi al piano terra del museo civico Medievale e in alcune vetrine del museo “Davia Bargellini”.

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Copertina del libro “Di non vulgare artifizio” (BUP – Bononia University Press)

“Di non vulgare artifizio. Il collezionismo storico della ceramica a Bologna e le raccolte dei musei civici d’Arte Antica”, a cura di Silvia Battistini, Sandra Costa, Mark Gregory D’Apuzzo, Irene Di Pietro, Massimo Medica e Michela Tessari e recentemente dato alle stampe da Bononia University Press (BUP), è frutto del progetto di collaborazione attivato nel corso dell’anno accademico 2019-2020 con la Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici dell’università di Bologna (corso di Museologia e collezionismo). “L’esperienza ha voluto elaborare un programma didattico di valorizzazione del patrimonio museale civico in cui dare spazio alla ricerca di giovani studiosi. Il volume, incentrato sulle collezioni ceramiche di museo civico Medievale, collezioni comunali d’Arte e museo “Davia Bargellini” riporta infatti i risultati di una ricerca compiuta da vari specializzandi, affiancati dai conservatori dei rispettivi musei. La pubblicazione è introdotta da uno dei massimi esperti in materia, Françoise Barbe (Conservateur en chef al Département des Objets d’Art del Musée du Louvre)”.

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Il piviale di papa Benedetto XI, manifattura inglese, del primo quarto del sec. XIV (foto Bologna Musei)

La pubblicazione di studio sul piviale di papa Benedetto XI al museo civico Medievale. Per il 2021 è prevista la pubblicazione di un altro progetto editoriale di respiro internazionale: il primo volume monografico dedicato al piviale conservato nelle collezioni del museo civico Medievale, considerato uno dei capolavori assoluti dell’opus anglicanum, particolare tecnica del ricamo inglese che ebbe grande fortuna in tutta Europa a partire dal Medioevo. “Questo sontuoso paramento – ha ricordato Medica – fu probabilmente donato dal re di Inghilterra Edoardo I al pontefice Benedetto XI (1303-1304) che lo lasciò in seguito alla chiesa bolognese di San Domenico, da dove proviene. Il volume, curato da Michael Michael, docente all’università di Glasgow, si avvale della collaborazione diretta dei musei civici d’Arte Antica e vede coinvolti Massimo Medica, Giancarlo Benevolo e Silvia Battistini come autori di alcuni dei saggi, volti ad approfondire gli aspetti storici e artistici del prezioso manufatto, oggetto nel 2016 di un restauro realizzato in collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra”.

“Italy to the Hermitage”: l’Italia ricambia a San Pietroburgo e alla Russia la solidarietà dimostrata nel lockdown, con tre speciali visite on line in russo, realizzate da Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Nazionale dell’Umbria, e MANN di Napoli, e postate sui siti dei tre musei e rilanciate in Russia dall’Istituto Italiano di Cultura a San Pietroburgo

L’imponenza del Palazzo d’Inverno del museo Ermitage di San Pietroburgo (foto Graziano Tavan)

Venezia per il Nord, Perugia per il Centro, Napoli per il Sud, ricambiano a San Pietroburgo e alla Russia la solidarietà dimostrata all’Italia durante l’emergenza coronavirus. Così dopo “L’Ermitage all’Italia” arriva “Italy to the Hermitage”. Un simbolico ponte culturale tra l’Italia e la Russia: alle suggestive visite web promosse dal ciclo “L’Ermitage all’Italia”, con cui il prestigioso istituto russo ha omaggiato la nostra nazione durante il periodo di lockdown, da mercoledì 3 giugno 2020 (alle 17.30, ora italiana) saranno in rete, su Youtube e Facebook, i cortometraggi intitolati “L’Italia all’Ermitage”. Il progetto, che nel titolo richiama quello scelto dall’Istituzione russa per l’omaggio all’Italia (“L’Ermitage all’Italia”), è promosso da Ermitage Italia, è stato realizzato in collaborazione con Villaggio Globale International, e ha coinvolto tre istituzioni fortemente rappresentativi del Nord, del Centro e del Sud Italia: la Fondazione Muve-Musei Civici di Venezia diretta da Gabriella Belli, città dalle fortissime relazioni storiche con San Pietroburgo e sede di Ermitage Italia, “filiale” italiana dell’Ermitage; la Galleria nazionale dell’Umbria diretta da Marco Pierini, in collaborazione con la Fondazione CariPerugia Arte, e il MANN-museo Archeologico nazionale di Napoli diretto da Paolo Giulierini, che ha stretto da alcuni anni un importante rapporto di collaborazione con il museo di San Pietroburgo e che ha coinvolto per questa iniziativa anche l’università L’Orientale di Napoli.

Ciascuno dei musei della rete ha predisposto un tour virtuale in russo (postati rispettivamente il 3, l’8 e il 15 giugno 2020 sui canali YouTube di ciascun museo), alla scoperta della bellezza del proprio patrimonio culturale: filo conduttore di tutti i video, non soltanto l’omaggio alla Russia e all’Ermitage di San Pietroburgo, ma anche l’idea che la cultura unisce, al di là delle distanze fisiche e dei confini geografici. E se la solidarietà, a causa dell’emergenza coronavirus, corre sul web, saranno i direttori dei tre musei, Paolo Giulierini (Mann), Gabriella Belli (musei civici di Venezia) e Marco Pierini (Galleria nazionale dell’Umbria), ad inaugurare il video del proprio museo con un messaggio di speranza: l’Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo e l’Ermitage “riposteranno” i corti sui propri canali Youtube in Russia. L’iniziativa “Italy to the Hermitage” vede, infatti, la collaborazione dell’Istituto Italiano di Cultura a San Pietroburgo e ha l’appoggio dell’Ambasciata italiana in Russia e del Mibact.

Il museo Archeologico nazionale di Napoli è ospitato in un palazzo borbonico che è stato sede dell’Università fino al 1777 e dal 1816 sede del Real Museo Borbonico

Si parte mercoledì 3 giugno 2020 (alle 17.30 ora italiana) con il Mann di Napoli che condurrà tra le sale del museo alla scoperta delle sue prestigiose collezioni – dalle sezioni Egizia e della Magna Grecia di recente riapertura, alla famosissima Collezione Farnese, fino ai reperti delle città vesuviane di Pompei ed Ercolano – soffermandosi su tanti pezzi iconici di questo “tempio” dell’arte antica, come il famoso Vaso blu, il Mosaico di Alessandro Magno, la Tazza Farnese, i Corridori o i reperti del Gabinetto Segreto. Voci narranti saranno alcuni studenti dell’università L’Orientale di Napoli (Corso di Laurea in Lingue e Culture comparate), che hanno curato per l’occasione non solo la traduzione e la lettura dei testi in russo ma anche un particolare lessico archeologico italo-russo da sviluppare in futuro.

Il team del corso di laurea in Lingue e culture comparate dell’università degli Studi di Napoli “L’Orientale” che ha curato le traduzioni in russo (mosaico Mann)

I direttori Paolo Giulierini (Mann) e Michail Piotrovsky (Ermitage) a San Petroburgo

I direttori Paolo Giulierini (Mann) e Michail Piotrovsky (Ermitage) a Napoli

“I legami che intrecciano la storia di San Pietroburgo e Napoli sono almeno pari a quelli che uniscono l’Ermitage e il museo Archeologico nazionale”, commenta il direttore Paolo Giulierini: “Oggi omaggiamo l’istituto di San Pietroburgo e ringraziamo per i tanti momenti di bellezza, che l’Ermitage ha regalato al popolo italiano con splendidi filmati andati in rete nell’ultimo mese. E, con questo nostro cortometraggio, cementiamo il ricordo delle esposizioni realizzate in collaborazione con San Pietroburgo: penso alla meravigliosa mostra su Canova qui a Napoli ed al percorso -Pompei, Dei, eroi, uomini- in Russia”. Peculiarità del filmato dedicato al Mann e realizzato da ArsInvicta, non sarà soltanto la possibilità di percorrere, grazie alle immagini, le sale dell’Archeologico, spaziando dalla Collezione Farnese ai Mosaici, dal Tempio di Iside alla Villa dei Papiri, dalla Collezione Magna Grecia alla sezione Preistoria e Protostoria, per citare soltanto alcune delle tappe dell’itinerario video. Significativo, infatti, che il filmato del Mann nasca anche da un importante rete territoriale e intergenerazionale: le traduzioni, il doppiaggio del messaggio del direttore e le traduzioni dei testi sono a cura della prof. Michela Venditti e di quattro allievi del corso di laurea in Lingue e culture comparate dell’università di Napoli “L’Orientale”. Un segnale di cooperazione che, come sottolinea ancora Paolo Giulierini, “conferma il necessario apporto delle Accademie alla vita dei Musei, donando rigore scientifico e giovani energie a progetti di rilievo internazionale”. Appassionato ed attento il lavoro di Francesca Alifuoco, Esmira Asadova, Tommaso Di Maria ed Anna Kondrya che, insieme alla coordinatrice del corso, hanno dato voce, letteralmente, al racconto del Mann; l’entusiasmo e lo spirito di squadra non si fermano qui e guardano al futuro: “con questa esperienza, il nostro gruppo si è talmente coeso che abbiamo deciso di lavorare ancora insieme per creare un glossario inedito russo-italiano di termini archeologici. E, per questo, il dialogo con il Mann continuerà”, commenta la prof. Venditti.

La Sala Maggiore di Palazzo dei Priori, sede della Galleria nazionale dell’Umbria a Perugia

L’8 giugno 2020, sempre alle 17.30 ora italiana, l’omaggio arriva da Perugia dallo storico Palazzo dei Priori, dove è ospitata la Galleria nazionale dell’Umbria, la quale dedica all’Ermitage e alla Russia una visita esclusiva agli highlights della raccolta, con alcuni dei massimi artisti dell’Italia centrale tra il XIV e il XVII secolo: da Arnolfo di Cambio a Gentile da Fabriano, da Duccio di Buoninsegna a Beato Angelico e Piero della Francesca, fino ai capolavori del Perugino con la celeberrima Adorazione dei Magi (1475 circa), a Pinturicchio e al barocco romano di Pietro da Cortona. Nell’occasione anche la Fondazione CariPerugia Arte aprirà le porte di Palazzo Baldeschi al Corso consentendo di scoprire il magnifico edificio e parte delle prestigiose raccolte.

Palazzo Ducale a Venezia, parte dei musei civici

Tocca infine alla Serenissima, con la Fondazione Musei Civici di Venezia (15 giugno 2020) concludere l’iniziativa e omaggiare in particolare San Pietroburgo e il suo Museo, ricordando la vicinanza della città lagunare alla storia e alla cultura russe. Il legame, in questo caso, sarà nel nome di un grandissimo esponente dell’arte universale e del Rinascimento veneziano, Tiziano, che muore in laguna nel 1576 per un’altra pandemia di quel tempo: la peste. A Palazzo Ducale grazie al comodato pluriennale di un importante collezionista belga, sarà possibile ammirare anche il Doppio Ritratto di Tiziano: un’opera piana di fascino legata anche alla Russia, raffigurante forse l’amante e la figlia del pittore riemerse, solo in epoca moderna, sotto l’effige di un più consono “Tobiolo e l’Angelo”. Un dipinto che il grande Maestro conservò presso la sua abitazione fino alla morte ma che a metà del XIX secolo – ormai camuffato da opera sacra – giunse, attraverso la Collezione Barbarigo, a San Pietroburgo, per alcuni anni nelle straordinarie raccolte dello zar Nicola I.

Venezia intitola il museo di Storia Naturale a Giancarlo Ligabue, l’imprenditore-paleontologo che proprio a quel museo ha dato, in dono o in deposito permanente, oltre duemila reperti frutto delle sue spedizioni scientifiche in tutto il mondo, tra cui gli scheletri di un dinosauro e di un coccodrillo gigante

La locandina per l’intitolazione del museo di Storia Naturale di Venezia a Giancarlo Ligabue

Foto di gruppo per l’intitolazione del museo di Storia Naturale di Venezia a Giancarlo Ligabue

In cuor suo l’aveva sempre considerato il “suo” museo, perché era il museo della sua città, Venezia, che le aveva dato i natali e che non ha mai lasciato. Non è un caso che al ritorno dalle sue spedizioni scientifiche paleontologiche e archeo-antropologiche in tutto il mondo Giancarlo Ligabue al museo di Storia Naturale di Venezia avesse dato, tra donazioni e deposito permanente, oltre duemila reperti, alcuni eccezionali come gli scheletri di “ouranosaurus nigeriensis” e del coccodrillo “sarcosuchus imperator”, con una sola richiesta: che questo tesoro venisse “degnamente esposto”. Si può immaginare perciò prima la sua intima sofferenza a vedere il “suo” museo chiuso per anni per lavori di riallestimento, poi la gioia alla riapertura nel 2010, quando il paleontologo era già malato, di vedere il “suo” dinosauro nel nuovo percorso e di potersi intrattenere per un’ultima volta, come amava fare lui, con i giovani visitatori, raccontando loro aneddoti e avventure. A quasi cinque anni dalla morte, avvenuta nel gennaio 2015, del grande imprenditore-paleontologo, Venezia ha deciso di intitolare a Giancarlo Ligabue il museo naturalistico della città, tra i più visitati della Fondazione Musei Civici di Venezia, ospitato nel bellissimo edificio del XIII secolo che fu il Fontego dei Turchi, affacciato sul Canal Grande: dal 30 ottobre 2019 il nome ufficiale è museo di Storia Naturale di Venezia “Giancarlo Ligabue”. Una decisione presa nei mesi scorsi dalla giunta comunale di Venezia su richiesta del sindaco Luigi Brugnaro e appoggiata dalla presidenza e dalla direzione della Fondazione Musei Civici di Venezia e il 30 ottobre 2019 ufficialmente sancita, a ricordare la passione per la ricerca, ma soprattutto l’impegno profuso nei confronti di questo museo e della città, da parte dell’imprenditore – paleontologo Giancarlo Ligabue.

Giancarlo Ligabue, imprenditore e paleontologo, nella sua casa-museo sul Canal Grande a Venezia

Veneziano, alla guida di un’azienda di catering e approvvigionamenti navali ereditata dal padre e da lui resa internazionale, che festeggia quest’anno il primo secolo di attività, Giancarlo Ligabue (1931 -2015) era anche un appassionato studioso, ricercatore ed esploratore. Una personalità eclettica della cultura, un moderno avventuriero assetato di sapere e di conoscenza del passato come del presente, desideroso di capire i mondi e le culture diverse; un collezionista instancabile, sostenitore di giovani ricercatori e di grandi imprese scientifiche. Un uomo che ha saputo alternare la sua vita di imprenditore con quella di studioso – un dottorato in paleontologia alla Sorbona e cinque lauree honoris causa – attingendo al suo dna di esploratore per l’una e per l’altra attività.

Il logo del Centro studi e ricerche Ligabue

Con il Centro Studi e Ricerche Ligabue da lui istituito, forte di un comitato scientifico internazionale, Giancarlo ha promosso o sostenuto in 40 anni – spesso guidandole direttamente – oltre 130 spedizioni nei diversi continenti a fianco delle principali istituzioni scientifiche internazionali, scoprendo sei giacimenti di dinosauri, cinque di ominidi fossili, diverse etnie in via di estinzione o sconosciute al mondo occidentale, e ancora città sepolte, necropoli, insediamenti, centri megalitici, pitture e graffiti rupestri, nuove specie di animali e impronte fossili. Diversi gli ambiti di interesse – paleontologia, etnografia, archeologia, scienze naturali -, tantissime le pubblicazioni scientifiche, le testimonianze e i materiali documentari che oggi vengono valorizzati dalla Fondazione che porta il suo nome, voluta e presieduta dal figlio Inti Ligabue: un’istituzione che prosegue l’impegno del Centro Studi scegliendo la via della ricerca e della divulgazione, con l’intento di “conoscere e far conoscere” e con tante iniziative culturali offerte alla città.

Giancarlo Ligabue nel deserto del Tenerè nel sito di Gadoufaoua (Niger)

Il rapporto tra Giancarlo Ligabue e il museo di Storia Naturale di Venezia inizia nella metà degli anni Settanta del Novecento in seguito a una missione di scavo organizzata dal paleontologo-imprenditore veneziano nel deserto del Ténéré, nel Niger orientale, in collaborazione con Philippe Taquet del museo nazionale di Storia Naturale di Parigi. Le operazioni di scavo iniziarono il 17 novembre del 1973 nel sito di Gadoufaoua (Niger) – che significa “dove fuggono i cammelli” – e si protrassero per circa un mese. La vastità e la ricchezza del giacimento permisero di raccogliere un’enorme quantità di fossili che, consolidati dai tecnici della spedizione, vennero trasportati in Europa per essere restaurati e studiati al museo parigino. Si tratta di fossili di organismi vissuti nel Cretaceo inferiore, circa 110 milioni di anni fa, che testimoniano un clima caldo umido con un paleoambiente caratterizzato da una foresta tropicale con alberi alti fino a trenta metri e grandi zone paludose in cui vivevano pesci e molluschi.

Giancarlo Ligabue al museo di Storia Naturale di Venezia davanti al dinosauro scoperto in Niger e donato alla sua città

Tra i fossili più importanti c’era lo scheletro quasi completo di un Ouranosaurus nigeriensis, lungo oltre sette metri. Giancarlo Ligabue decise di donare alla città di Venezia lo scheletro del dinosauro – l’unico pressoché completo in un museo italiano – assieme ad altri fossili dello stesso giacimento e ad un impressionante scheletro di coccodrillo Sarcosuchus imperator, la specie di coccodrillo più grande mai esistita. Gli straordinari reperti vennero trasportati a Venezia ed esposti al pubblico nel 1975. Ligabue voleva che il materiale donato venisse “degnamente esposto”: volle essere coinvolto nella sistemazione dei reperti paleontologici all’interno del museo e partecipò alle spese di trasporto e allestimento. Per Giancarlo il museo divenne l’altra grande passione della vita. Vedere i bambini ammirati davanti al “suo” dinosauro lo emozionava. Prima quasi dimenticato, il museo veneziano ricevette da questo straordinario evento un nuovo slancio. Nel 1978 il sindaco di Venezia Mario Rigo nominò Ligabue presidente del museo, una carica onorifica ma che investì Giancarlo di nuovo entusiasmo. Fu anche presidente del comitato scientifico internazionale che egli stesso aiutò a comporre insieme all’allora direttore.

Inti Ligabue alla cerimonia di intitolazione del museo di Venezia al padre Giancarlo

Al museo, frutto di campagne di scavo e spedizioni scientifiche in tutto il mondo, Giancarlo Ligabue donò e diede in deposito permanente, a partire dagli anni Settanta e poi per la riapertura delle sale espositive tra il 2010 e il 2011, oltre 2000 reperti. Negli anni Ottanta e Novanta furono sviluppati anche singoli progetti di allestimento con materiali della sua collezione: una saletta di museologia scientifica al piano terra; la sala di icnologia, originalissima, che conteneva una straordinaria raccolta di impronte e tracce fossili. La grande mostra “I Dinosauri del Deserto del Gobi” del 1992, ispirata dalle spedizioni in Mongolia finanziate dal Centro Studi e Ricerche, grazie all’intermediazione di Giancarlo presentò per la prima volta in Occidente molti scheletri completi di dinosauro, facendo registrare oltre 120mila visitatori. Un numero sorprendente se si pensa che nel decennio precedente la media era attestata attorno ai 20mila visitatori l’anno.

L’esploratore Giovanni Miani

Oggi la prima sala del museo di Storia Naturale di Venezia divenuto, con i suoi 80mila visitatori annui, uno dei più visitati in laguna – una sala di grande effetto scenico, portale d’accesso alla sezione paleontologica – è dedicata proprio alla spedizione che Giancarlo Ligabue organizzò nel deserto del Ténéré e ai due giganteschi, straordinari reperti che hanno resa famosa quell’avventura, celebrata dalla stampa internazionale e di tutto il mondo. Quindi, nella sezione del museo dedicata agli “esploratori veneziani, racconti di viaggi, ricerche e spedizioni”, la figure di Giancarlo è ricordata in un’apposita sala, accanto a grandi protagonisti delle ricerche di fine Ottocento-inizi Novecento, come Giovanni Miani e Giuseppe de Reali. L’intitolazione ora del ma Giancarlo Ligabue segna la definitiva consacrazione di un legame di affetto e il riconoscimento di una generosità e di un impegno fondamentali, mai sopiti.

Il Fontego dei Tedeschi, sede del museo di Storia Naturale di Venezia, con la piroga proveniente dalla Nuova Guinea conservata nell’affaccio del palazzo

Un uovo di dinosauro della Collezione Ligabue

La collezione Giancarlo Ligabue, conservata al museo di Storia Naturale di Venezia, conta oltre 2000 reperti di paleontologia, etnografia, archeologia, scienze naturali, frutto di campagne di scavo e spedizioni scientifiche in tutto il mondo. La maggior parte dei reperti si può ammirare lungo il percorso espositivo, in particolare nella sezione paleontologica “sulle tracce della vita” e nella sala dedicata al Centro Studi e Ricerche Ligabue della sezione “Raccogliere per stupire, raccogliere per studiare”. Tra i reperti più significativi – come si diceva – lo scheletro di Ouranosaurus nigeriensis con i reperti provenienti dalla spedizione nel deserto del Ténéré; un ricca collezione di uova dinosauro e icnofossili, la piroga proveniente dalla Nuova Guinea che caratterizza l’affaccio sul Canal Grande del museo; gli affascinanti crani degli antenati Asmàt; una raccolta di divinità antropomorfe; una serie di asce e strumenti delle diverse età dei metalli; uccelli, insetti e molluschi esotici.

L’esemplare di Ouranosaurus nigeriensis scoperto da Giancarlo Ligabue e simbolo del museo di Venezia

Ouranosaurus nigeriensis Gli ouranosauri, particolari iguanodonti ritrovati solamente a Gadoufaoua nel deserto del Ténéré, raggiungevano una lunghezza di sette metri, un’altezza di tre metri e un peso di forse due tonnellate. Il loro scheletro è massiccio, con zampe adatte a un’andatura fondamentalmente quadrupede, ma con la possibilità di utilizzare la postura eretta per raggiungere le parti più alte della vegetazione o per porsi in posizione di difesa. Le zampe posteriori sono fornite di tre dita con unghie a forma di zoccolo mentre quelle anteriori, a cinque elementi, presentano sia un “mignolo” estremamente flessibile e funzionale forse per la raccolta del cibo sia un “pollice” modificato in una struttura prominente appuntita, usata forse come arma o come strumento di richiamo sessuale. La bocca è caratterizzata dalla presenza di una sorta di becco privo di denti, utilizzato per afferrare e strappare vegetali; posteriormente si trovano due file di denti adatti a triturare il cibo. Caratteristica della specie è la presenza di lunghe spine neurali sulle vertebre dorsali e su parte di quelle caudali, probabilmente ricoperte dalla pelle in modo continuo a formare una lunga cresta rigida, una specie di “vela” le cui funzioni sono solamente ipotizzabili. È possibile che fosse usata come regolatore termico, per assorbire o rilasciare il calore a seconda delle necessità. Altre possibili funzioni potrebbero essere legate alla riproduzione (richiamo sessuale) o alla difesa (per sembrare più grande ai predatori).

Il fossile di Sarcosuchus imperator scoperto da Giancarlo Ligabue e conservato al museo di Venezia (foto da http://www.boneclones.com)

Sarcosuchus imperator Il sarcosuco è considerato la specie di coccodrillo più grande mai esistita: poteva raggiungere una lunghezza di 12 metri e pesare 8 tonnellate. Possedeva un centinaio di denti lunghi fino a 10 centimetri, robusti, lisci e arrotondati, adatti ad afferrare grosse prede e a frantumarne le ossa. I suoi denti superiori e inferiori, a differenza di quelli dei coccodrilli piscivori, non venivano a trovarsi intervallati a fauci serrate, poiché probabilmente non si nutriva solo di pesci di grossa taglia ma anche di animali terrestri come piccoli dinosauri. Come in tutti i coccodrilli, gli occhi e le narici situati sulla sommità del cranio gli permettevano di nuotare quasi completamente nascosto sotto il pelo dell’acqua, tendendo imboscate alle prede sulle rive dei fiumi per poi trascinarle in acqua e ucciderle. Il corpo era ricoperto dorsalmente da file di piastre ossee sovrapposte a formare una sorta di armatura, estesa dal collo a circa metà lunghezza della coda che, assieme alla forma delle vertebre, limitava la flessibilità del corpo e la velocità dei movimenti. All’estremità del muso è presente una grossa protuberanza ossea arrotondata, simile a quella degli attuali gaviali indiani in cui, probabilmente, alloggiava un’ampia cavità nasale sferica denominata “bulla”. Gli studiosi ritengono che potesse migliorare l’olfatto e forse consentirgli di emettere richiami impressionanti analogamente a quanto fanno gli attuali gaviali in particolare durante gli accoppiamenti.

Icnofossili: tracce fossili lasciate dal passaggio di animali

Gli icnofossili Sono chiamati icnofossili le tracce fossili lasciate da antichi organismi nel loro ambiente come orme del passaggio di un animale, escrementi, resti di una tana o di un nido e molte altre tracce conservate nella roccia. Gli icnofossili sono di grande importanza per gli studi etologici sugli organismi estinti; grazie a essi si possono infatti ricostruire il loro comportamento, l’ambiente in cui essi si muovevano, il modo in cui si nutrivano, cacciavano, o più semplicemente si spostavano. I numerosi icnofossili esposti nel Museo, appartenenti alla collezione Ligabue, costituiscono una raccolta unica in Italia. Tra i reperti esposti in apposite teche trasparenti nel pavimento delle sale si possono notare le orme lasciate dai trilobiti nei loro spostamenti su un fondale marino del primo Paleozoico, le impronte dei primi vertebrati come quelle dell’Eryops, un grande anfibio che visse circa 300 milioni di anni fa, e quelle lasciate da un pelicosauro, un rettile sinapside del Permiano caratterizzato da una grande vela dorsale. Particolarmente interessanti sono l’ultimo percorso di un limulo sui sedimenti di una laguna del Giurassico e l’orma di un celurosauro, dinosauro carnivoro che visse in Istria nel Mesozoico, e la pista lasciata da un uccello nel fango eocenico della Provenza.

Inti Ligabue e Philippe Taquet del museo nazionale di Storia Naturale di Parigi che promosse la spedizione scientifica nel deserto del Tenerè con Giancarlo Ligabue

Il ritrovamento dell’Ouranosaurus nigeriensis nel deserto del Teneré dalal spedizione di Giancarlo Ligabue

La prima impresa scientifica giacimento di Gadoufaoua – deserto di Ténéré. Nel febbraio del 1973 fu organizzata da Philippe Taquet del museo nazionale di Storia Naturale di Parigi e da Giancarlo Ligabue una spedizione nel deserto del Ténéré (Niger orientale) alla ricerca dei dinosauri. Il giacimento individuato si estendeva su una superficie di circa 175 chilometri per 2 di larghezza con una potenza (spessore) calcolata in 60 metri, le qui rocce erano prevalentemente formate dal grés. Il periodo geologico, a cui il giacimento appartiene, è riferibile all’Aptiano-Albiano (circa 100 milioni di anni fa). È considerato uno dei giacimenti di dinosauri più vasti al mondo ed è costituito dall’antico letto di un grande fiume che nasceva dalle alte montagne allora esistenti nella vicina Nigeria. Nella parte a monte, le acque scendevano in modo impetuoso per poi calmarsi; a valle scorrevano tranquille in una vasta pianura formando ampie paludi, meandri, laghi, dove le continue alluvioni depositavano sabbie e finissimi sedimenti argillosi, creando così le condizioni ideali per la presenza di una folta e varia vegetazione, costituita prevalentemente da foreste di Araucaria e di felci. Il clima presente allora era di tipo caldo temperato. In questo ambiente si sono rinvenute, allo stato fossile, alcune presenze vegetali di Crittogame come le Felci e le prime Fanerogame con fiore (piante caratterizzate dal fiore e dal seme). Nella parte a valle del fiume, vivevano i Lepidotes, di grandi pesci che superano il metro di lunghezza. Si sono rinvenute diverse grosse conchiglie Unio, Lamellibranchi caratteristici delle acque dolci a lento scorrimento, alimento ricercato dei pesci presenti allora nel fiume. La spedizione ha rinvenuto carapaci di tartaruga e altri resti di piccoli rettili, nonché la mandibola di un gigantesco coccodrillo Sarcosuchus imperator, rassomigliante al Gaviale del Gange, lungo oltre 12 metri, esposto al museo naturale di Venezia, che è considerato uno dei più grandi coccodrilli mai esistiti. Il solo cranio misura un metro 60 di lunghezza circa. Per la sua vastità il giacimento fossilifero di Gadoufaoua, prima impresa scientifica del Centro studi Ligabue, potrebbe riservare nuove straordinarie scoperte.

“I Musei e questo futuro. Tempi di cambiamento”: convegno internazionale a Venezia con i direttori di grandi musei del mondo sui nuovi scenari europei

La locandina del convegno a Venezia sul futuro dei musei

In che modo si modificheranno i saperi, le conoscenze e dunque i luoghi tradizionalmente depositari della storia e della cultura, come i Musei? In che modo i Musei internazionali devono affrontare e stanno affrontando il tema del cambiamento della società e le nuove dinamiche che interessano lo scenario europeo? La risposta o le risposte tenterà di darle un importante convegno internazionale “I Musei e questo futuro. Tempi di cambiamento” dedicato alla sfide che i grandi musei sono chiamati ad affrontare di fronte ai cambiamenti che stanno interessando la società e l’Europa, sfide in un futuro che è già alle porte. Il convegno, sabato 12 ottobre 2019, dalle 11 alle 16, nel Salone dello Scrutino di Palazzo Ducale a Venezia, è promosso dal Comune di Venezia, la Fondazione Musei Civici di Venezia, il Museo Statale Ermitage ed Ermitage Italia in collaborazione con Villaggio Globale International.

I direttori Paolo Giulierini (Mann) e Michail Piotrovsky (Ermitage)

Il tema del convegno organizzato nell’occasione è di stringente attualità. Le cronache quotidiane, le innovazioni tecnologiche e le tendenze dei costumi, le stesse scelte della politica internazionale sottendono infatti problematiche di enorme rilevanza e mostrano i segni contraddittori del domani e del futuro. Che è già presente. Tutto ciò rende importante la riflessione sulle conseguenze dei cambiamenti in atto. Alla riflessione prenderanno parte – dopo i saluti di Mariacristina Gribaudi presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia e l’intervento introduttivo del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro – il direttore generale del museo statale Ermitage di San Pietroburgo Mikhail Piotrovsky, Gabriella Belli direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia, Paolo Giulierini direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Fatma Nait-Yghil direttrice del museo Bardo di Tunisi, Simone Verde direttore del complesso monumentale della Pilotta di Parma ed Hermann Parzinger presidente della Fondazione del Patrimonio Culturale Prussiano di Berlino.

Visitatori in coda attendono di entrare al museo Archeologico nazionale di Napoli

Testimoni del passato e del presente e nel contempo protagonisti di una relazione forte con la gente, lente privilegiata per interpretare il mondo di oggi e di domani, i grandi Musei sono chiamati ad affrontare le crisi, le trasformazioni culturali, i nuovi linguaggi, i mutamenti di valori; devono confrontarsi con le aperture di frontiere o, viceversa, con l’innalzamento di nuovi muri e nuove emarginazioni; con dialoghi o con cesure internazionali. Proprio per questo i Musei oggi, pur preservando le loro missioni primarie di conservazione, tutela e valorizzazione, hanno trasformato le loro pratiche e le loro proposte culturali per essere più vicini alle comunità di riferimento, e domani? Gli interventi dei relatori aiuteranno a comprendere il nuovo ruolo al quale si preparano le istituzioni culturali europee.

Il convegno internazionale vede affiancati ancora una volta la città di Venezia e il prestigioso museo di San Pietroburgo che, sempre il 12 ottobre, prima del convegno, rinnoveranno ufficialmente il Protocollo d’Intesa che ha sancito la presenza nella città lagunare di “Ermitage Italia”. La filiale italiana del museo russo, con sede alle Procuratie Vecchie in piazza San Marco, è nata sotto l’egida dei rispettivi governi nell’ambito degli accordi bilaterali tra Italia e Russia ed destinata allo studio e alla ricerca sui rapporti artistici, storici e culturali tra i due Paesi.

Venezia. A Palazzo Grimani la mostra “Domus Grimani 1594 – 2019” che celebra, dopo oltre quattro secoli, il ritorno a Palazzo Grimani della collezione di statue classiche (sculture, marmi, vasi, bronzi e gemme) appartenuta al patriarca di Aquileia, Giovanni Grimani

La locandina della mostra “Domus Grimani 1494 -2019” fino al 31 maggio 2021

Sculture, marmi, vasi, bronzi e gemme: costituivano la collezione di antichità di Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia, erede col fratello Vettore, procuratore di San Marco, del doge Antonio Grimani, il primo proprietario del palazzo veneziano in Santa Maria Formosa. È proprio in Palazzo Grimani che Giovanni collocò la sua collezione, con le sculture più importanti esposte nel cosiddetto “Camerino delle Antichità”. Nel 1587 il patriarca decise di donare la collezione di sculture provenienti dalla sua wunderkammer alla Repubblica di Venezia. Dopo la sua morte, le sculture, che oggi fanno parte della collezione del museo Archeologico di Venezia, furono collocate nell’antisala della Biblioteca Marciana progettata da Vincenzo Scamozzi, conosciuta come lo Statuario della Repubblica di Venezia. E poiché il famoso soffitto dello Statuario da febbraio 2019 è sottoposto a un importante intervento di restauro, che durerà almeno due anni, tutte le sculture che decorano le pareti della sala sono state rimosse, offrendo un’occasione unica per riportare temporaneamente, dopo più di 400 anni, la Collezione Grimani nella sua collocazione originale. È nata così l’eccezionale mostra “DOMUS GRIMANI 1594 – 2019” (fino al 30 maggio 2021), curata da Daniele Ferrara, direttore del Polo museale del Veneto, e Toto Bergamo Rossi, direttore di Venetian Heritage. Prodotta da Civita Tre Venezie, l’operazione – che gode del patrocinio della Regione del Veneto ed è realizzata in collaborazione con UNESCO – è resa possibile grazie al sostegno di Venetian Heritage, di un donatore anonimo, della Helen Frankenthaler Foundation di New York e Gagosian. Inoltre, con il sostegno della Michelangelo Foundation e di Lady Monika del Campo Bacardi. Il catalogo edito da Marsilio, oltre ad approfondire la storia della collezione Grimani, ne rivela la sua straordinaria bellezza, grazie a una importante campagna fotografica realizzata per l’occasione.

La Tribuna di Palazzo Grimani come l’ha pensata Giovanni Grimani con le statue antiche (foto Venetian Heritage)

Un disegno dello Zanetti del 1736 “fotografa” la Tribuna Grimani prima del suo smantellamento (foto Venetian Heritage)

Il fulcro di “DOMUS GRIMANI 1594 – 2019” è la ricostruzione di uno dei più significativi episodi della museologia europea – la Tribuna del patriarca Giovanni, ancora integra nella sua struttura architettonica – accompagnata dall’esposizione di arredi e opere nelle sale antecedenti, con l’intento di ricreare la decorazione di una dimora aristocratica del XVI e di restituire così ai visitatori l’atmosfera di un luogo che, grazie a questo progetto, torna protagonista dell’offerta culturale veneziana attraverso un allestimento ispirato all’estetica della “casa-museo”. Il percorso espositivo si sviluppa nell’infilata di sale che conducono al Camerino delle Antichità, accessibile solo attraverso il suo unico ingresso originale dal quale il patriarca Giovanni soleva accogliere gli ospiti più illustri. La Tribuna, infatti, subì nei secoli alcune trasformazioni, come l’apertura di una grande finestra e della seconda porta che immette nella così detta sala Neoclassica, adibita a camera da letto durante la seconda metà del Settecento. Attraverso l’istallazione delle due nicchie architettoniche temporanee, ricostruite per l’occasione a imitazione di quelle già esistenti, è stato ricreato l’aspetto originale dello spazio.

Il Ratto di Ganimede sospeso al centro della Tribuna chiusa da vele a cassettoni che ricordano il Pantheon (foto Polo museale Veneto)

Il patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, ritratto attribuito a Domenico Tintoretto

Giovanni Grimani fu raffinato collezionista, influenzato dal grande interesse che la sua famiglia nutriva da sempre per l’arte e il bello. Lo stesso Palazzo Grimani è una preziosa rarità per via della sua conformazione architettonica che richiama la domus romana e i modelli rinascimentali della città papale. Mèta culturale frequentata da eruditi, letterati, artisti, sovrani e personaggi di rilievo in visita a Venezia, deve il suo aspetto agli interventi realizzati da Vittore Grimani e suo fratello Giovanni durante il XVI secolo e può vantare decorazioni di impronta manierista tosco-romana, con affreschi e stucchi di Francesco Salviati, Federico Zuccari e Giovanni da Udine, allievo di Raffaello. Figlio minore di Girolamo Grimani, a sua volta figlio del doge Antonio, Giovanni fu creato Patriarca di Aquileia nel 1545 e in quegli anni decise di ampliare il palazzo e realizzare la Tribuna, che insieme alle stanze che la precedono e altri ambienti della dimora, raccoglieva la sua preziosa collezione di antichità. Per questo, oltre alla ricostituzione della Tribuna, l’allestimento coinvolge anche le stanze immediatamente antecedenti in cui ammirare arredi d’epoca, arazzi, quadri e oggetti evocativi di un’epoca e di uno stile di vita unici nel loro genere.

La particolare manifattura fiorentina del Tavolo Grimani, oggi parte di una collezione privata di Zurigo

Palazzo Grimani: il particolare soffitto della Sala dei Fogliami (foto Palazzo Grimani)

Nella Sala dei Fogliami, così denominata per l’affresco a soffitto che ritrae una selva lussureggiante, viene eccezionalmente esposto uno dei due preziosissimi tavoli tardo rinascimentali marmorei – con piano in marmi antichi e lapislazzuli, di manifattura romana della fine del XVI secolo – che fino al 1829 si trovavano a palazzo. Nel 1829 il tavolo fu venduto da Michele Grimani, ultimo erede del ramo di Santa Maria Formosa, a Henry Greville, III Conte di Warwick, per il castello di Warwick in Inghilterra. Nel 2015 il tavolo fu messo all’incanto dalla casa d’aste Sotheby’s e attualmente è di proprietà di un collezionista privato. Grazie a una fruttuosa collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, poi, sono esposti alcuni arredi cinquecenteschi conservati nei depositi del Museo Correr restaurati per l’occasione. Primo fra tutti l’arazzo cinquecentesco di manifattura medicea, eseguito su cartone del Salviati e molto probabilmente commissionato dai Grimani, esposto per la prima volta dopo un accurato intervento di restauro conservativo. Tra le altre importanti opere che arricchiscono il percorso espositivo un dipinto di Pomponio Amalteo raffigurante Sansone, il dipinto su tavola con una copia di Leda e il Cigno da Michelangelo, nonché un frammento di paliotto d’altare eseguito dall’arazziere Johan Rost, raffigurante il doge Antonio Grimani, realizzato nel 1554 per la Basilica di San Marco. Altre importanti opere provengono dalla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia, come gli alari in bronzo da camino di Girolamo Campagna e il grande tavolo ligneo cinquecentesco, su cui sono esposti alcuni bronzetti di Jacopo Sansovino e Tiziano Aspetti, scultore-restauratore di Giovanni Grimani, che aveva il suo atelier proprio a palazzo.

“DOMUS GRIMANI 1594 – 2019” per far rivivere un momento della storia di Venezia nel XVI secolo si affida anche alle tecnologie più all’avanguardia in modo da rendere vivo e vitale un passato che può ancora stupire e affascinare. Per questo motivo sono state previste delle audioguide che accompagneranno i visitatori all’interno delle sale. E per sottolineare l’eccezionalità della mostra, sono state scelte due voci particolarmente speciali: la versione in italiano sarà infatti recitata da Isabella Rossellini, mentre quella in inglese da Jude Law, membro onorario di Venetian Heritage. Palazzo Grimani rivive anche attraverso un progetto ad hoc ideato in collaborazione con ETT, azienda leader nel settore dello sviluppo di soluzioni tecnologiche per l’arte e la cultura. Grazie a visori VR da indossare durante la visita, le stanze riveleranno dettagli nascosti: sarà possibile, infatti, ammirare altre statue all’interno delle Tribuna – tra cui i Galati che il Patriarca Giovanni aveva sistemato a pavimento – oppure le statue che fino al XIX secolo adornavano il cortile. Importante anche il lavoro di Factum Arte, tra i più importanti creatori di contenuti multimediali per l’arte a livello internazionale. Grazie al loro intervento è stata ricreata la tela che adornava il soffitto dell’anti Tribuna raffigurante Disputa tra Minerva e Nettuno di Giuseppe Porta, detto Salviati. Infine, la Tribuna Grimani si dota di un nuovo progetto illuminotecnico a cura di iGuzzini: lavori permanenti che permetteranno anche in futuro di apprezzare lo spazio in tutta la sua spettacolarità attraverso scelte curatoriali e ingegneristiche all’avanguardia sia dal punto di vista della fruizione che da quello del risparmio energetico.