Roma. Tra il parco archeologico del Colosseo e il Meis di Ferrara protocollo d’intesa per la storia dell’ebraismo dalla distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C. In occasione della firma lectio di Zevi sugli ebrei nell’antica Roma

I simboli sacri degli ebrei portati nel trionfo di Tito (rilievo dell’omonimo arco sul Palatino a Roma)
Tra gli obiettivi comuni ci sarà lo studio dell’Arco di Tito, il Templum Pacis e l’Anfiteatro Flavio, monumenti realizzati, secondo il racconto delle fonti, con il bottino ricavato dalla distruzione di Gerusalemme. È quanto contenuto nel protocollo di intesa tra il museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara e il parco archeologico del Colosseo la cui firma è in programma lunedì 28 ottobre 2019, alle 17, nella monumentale Curia Iulia al Foro Romano alla presenza del ministro per i Beni e le attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini. Interverranno il presidente della Fondazione, Dario Disegni, il direttore del Meis, Simonetta Della Seta, e l’architetto progettista dell’allestimento, Giovanni Tortelli. Concluderà l’importante incontro una lectio dedicata agli Ebrei nell’antica Roma del prof. Fausto Zevi. La sottoscrizione avvia una collaborazione tra le due istituzioni culturali per realizzare progetti di ricerca e di valorizzazione condivisi, scambio di professionalità, strategie di comunicazione digitali integrate finalizzate alla conoscenza della storia dell’ebraismo a partire dalla distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C.
Museo Archeologico nazionale di Napoli, dopo sei anni, riaperta con nuovo allestimento la sezione Epigrafica, una delle più prestigiose collezioni al mondo: 300 iscrizioni (greche, latine, italiche) tra cui – vera novità – le scritte dipinte o graffite sui muri di Pompei
Si potranno finalmente ammirare le cosiddette Tavole di Eraclea, le Laminette orfiche di Thurii e la Meridiana delle Terme Stabiane di Pompei in lingua osca: vere icone mondiali nell’ambito dell’epigrafia. E poi le iscrizioni dipinte o graffite sui muri di Pompei: manifesti elettorali, annunci di giochi, declamazioni poetiche, sconci disegni, tra le novità del percorso della sezione Epigrafica riaperta il 30 maggio 2017, dopo sei anni, al museo Archeologico nazionale di Napoli: esposte oltre 300 opere di una delle più prestigiose collezioni al mondo d’iscrizioni greche, latine e italiche, documenti eccezionali per la storia della scrittura e della storia del passato, con particolare riferimento alla Campania all’Italia centro-meridionale, con un allestimento completamente rivisto, corredato da nuovi apparati didattici cartacei e multimediali, e accompagnato da una specifica guida edita da Electa. Il lavoro è stato condotto con la curatela scientifica di Carmela Capaldi, dell’università Federico II di Napoli, e di Fausto Zevi, emerito dell’università La Sapienza di Roma e accademico dei Lincei, e il coordinamento di Valeria Sampaolo, capo conservatore delle collezioni del Mann. Dopo la sezione Egiziana (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/10/02/i-faraoni-tornano-a-napoli-dopo-sei-anni-di-chiusura-riapre-la-sezione-egiziana-del-museo-archeologico-di-napoli-1200-reperti-la-piu-antica-collezione-egizia-deuropa-nata-nel-1821-come-rea/) e in attesa di poter ammirare nel 2018 i capolavori della Magna Grecia, ecco, dunque, un ulteriore importante momento di crescita del Museo napoletano sotto la guida di Paolo Giulierini già direttore del Mann dalla fine del 2015 .
Le iscrizioni, spiegano gli archeologi, sono alla base della ricostruzione delle vicende storiche: “spaccati luminosi di vita quotidiana, di pratiche religiose, cardini della giurisprudenza antica alla base del nostro sistema legislativo”. La riaperta sezione, come si diceva, ospita oltre trecento epigrafi, alcune particolarmente rare, altre quasi dimenticate se non addirittura date per scomparse, che spaziano dal VI sec. a.C. al IV sec. d.C. nelle diverse lingue, greco, latino, osco, umbro, nord-sabellico, che riguardano un ampio contesto meridionale, visto il ruolo centrale del Real Museo Borbonico. Testimonianze scritte su materiali lapidei o su metalli, alle quali si aggiungono – novità assoluta di questo allestimento – le iscrizioni dipinte o graffite sui muri di Pompei, testimonianza particolarmente toccante della vita pubblica e privata dei romani, di norma difficilmente documentabili in centri diversi da quelli vesuviani: i manifesti elettorali, gli annunci di giochi di gladiatori, declamazioni poetiche cui spesso si sovrappongono disegni rozzi o sconci.
Testimonianze in varie lingue antiche. Dalla documentazione in lingua greca con testi provenienti dalle colonie dell’Italia meridionale (le prime attestazioni di scrittura greca in Occidente, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., sono state scoperte a Pithecusa (Ischia) si passa alle iscrizioni provenienti proprio da Neapolis, dove il greco rimane lingua ufficiale fino alla caduta dell’Impero romano. Eccezionale è poi la raccolta di iscrizioni in lingue pre-romane dell’Italia centro-meridionale (in osco, vestino, volsco, sabellico) come l’iscrizione in lingua volsca da Velletri del IV secolo a.C, documento tra i più antichi della lingua umbra, o quella nord-sabellica da Bellante della metà del VI secolo a.C. Mentre della lingua osca, formatasi probabilmente in Campania tra il V e il IV secolo a. C. per abbracciare i popoli di ceppo sannitico (base etrusca e numerose influenze dal greco e dal latino) il Mann conserva i testi più lunghi e complessi tra quelli finora rinvenuti, come la Tabula Osca Bantina e il Cippo Abellano.
E veniamo alle top star. Le Tavole di Eraclea (I sec. a.C.), qui esposto un calco moderno della parte latina nella sala dedicata alla romanizzazione (gli originali saranno nella sezione della Magna Grecia), sono lastre bronzee incise su entrambe le facce, con testi in greco e latino di età differenti, che furono rinvenute nel 1732 in Basilicata, nel luogo di probabile riunione dell’assemblea federale della Lega italiota. “Il loro ritrovamento”, ricordano i curatori, “fu un vero evento e il fatto che i reali Borbonici, in fuga a Palermo nel 1798, abbiano voluto nel 1806 portare in Sicilia, insieme a sculture, dipinti e gioielli, anche queste pesanti lastre dimostra quanta importanza “politica” fosse loro attribuita, quali strumenti di legittimazione della nuova casa regnante (i Borbone erano saliti al trono del regno autonomo delle Due Sicilie nel 1734), degna erede dei territori che avevano costituito la Magna Grecia – il cui appellativo di origine pitagorica andava inteso come “doctrinarum magnitudine” – grande per qualità intellettuali e non per estensione geografica”.
Le laminette di Thurii, in lingua greca, sono invece sottili sfoglie d’oro provenienti da due sepolture del IV secolo a. C. appartenenti a una setta misterica di carattere popolare, non ignara dell’ortodossia orfico-pitagorica. Ma vanno anche ricordati i frammenti (8 dei 12 rinvenuti sono infatti conservati al Mann) della cosiddetta Tavola Bembina – scoperta tra Quattro e Cinquecento e appartenuta prima ai duchi d’Urbino, poi all’umanista Pietro Bembo e quindi ai Farnese – con i testi della lex de repetundis e di una lex agraria relativa ad aree demaniali; oppure il Menologium rusticum Colotianum (I sec d. C.) uno dei due soli esempi di calendari agricoli romani che ci sono pervenuti, documento eccezionale per la rarità e lo stato di conservazione che ci fornisce preziose indicazioni sulla scansione delle attività stagionali e dei riti connessi. Riti, costumi, trasformazioni urbane, leggi e commerci, divinità e uomini, siano essi personaggi pubblici, commercianti, notabili o atleti, mogli, sacerdotesse o prostitute: le testimonianze epigrafiche ci narrano e ci fanno scoprire i molteplici aspetti e protagonisti del mondo antico, basti pensare agli archivi di tavolette cerate rinvenute a Pompei nel 1875 e a Ercolano negli anni trenta del Novecento e a come essi restituiscono uno spaccato unico della vita sociale ed economica della prima età imperiale (tra il 40 e il 79 d.C.) ma anche anticipino abitudini molto attuali.
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