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Verona. In soprintendenza la giornata di studi “La Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella: una ricerca interdisciplinare” promossa dall’università di Verona sui risultati preliminari degli scavi archeologici diretti da Gianni De Zuccato che per “archeologiavocidalpassato.com” presenta e anticipa i temi del convegno, descrivendo anche la villa dallo scavo alla musealizzazione

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Veduta generale dell’area archeologica della Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella (foto graziano tavan)

negrar_villa-dei-mosaici_nuovo-logo“La Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella: una ricerca interdisciplinare”: è il titolo della giornata di studi promossi dall’università di Verona che si tiene lunedì 16 dicembre 2024, in sala Gazzola nella sede della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza, in piazza San Fermo 3° a Verona, dedicata ai risultati preliminari degli scavi archeologici della Villa dei mosaici di Negrar di Valpolicella (Vr). La partecipazione è aperta a tutti gli interessati A seguire un brindisi con vino della Valpolicella, offerto dalle aziende agricole Benedetti “La Villa” e Franchini di Negrar. È Gianni De Zuccato, direttore dello scavo archeologico, come funzionario archeologo della Sabap di Verona, a presentare e anticipare ai lettori di archeologiavocidalpassato.com i temi del convegno. E con l’occasione ne approfitta per ripercorrere lo sviluppo della ricerca archeologica, dallo scavo alla presentazione dei risultati alla comunità, non solo scientifica, e per descrivere la villa come risulta dagli scavi nella sua articolazione tra la zona residenziale e l’area produttiva, nell’arco della “vita” della struttura tardo-antica.

“Il 16 dicembre 2024 – esordisce De Zuccato – ci sarà questa giornata di studio ospitata dalla soprintendenza di Verona, in piazza San Fermo, e organizzata dall’università di Verona – dipartimento Culture e Civiltà, per un aggiornamento delle ricerche sulla villa romana tardo-antica di Negrar di Valpolicella. L’idea di fare una giornata è nata perché abbiamo sentito l’esigenza di informare la popolazione in generale, ma anche tutti coloro che avevano seguito le varie vicende, lo scavo, o avevano fatto una visita a Negrar, e comunque gli studiosi interessati per informarli sullo stato di avanzamento delle ricerche. Non è una giornata conclusiva delle ricerche, delle indagini sulla villa di Negrar, perché i lavori – soprattutto la parte dello studio – è tuttora in corso. Abbiamo però sentito il bisogno di mettere al corrente di quello che stiamo facendo. Ci sono parecchi gruppi di lavoro che fanno capo a specialisti delle diverse materie, e abbiamo sentito l’esigenza di informare le persone. Perché è facile pensare, per chi non è addetto ai lavori, che concluso lo scavo tutto sia finito, e l’unica cosa che rimane da fare sia quella di creare un’area archeologica. Non è così. Per far parlare i resti che sono stati trovati è importante lo studio, l’analisi di quello che si è rinvenuto. E al di là degli studi ormai classici che riguardano gli scavi archeologici – quindi lo studio dei materiali nelle varie classi di ceramica, metalli, pietra, ecc. -, al giorno d’oggi si fanno ormai di routine delle indagini che fino a pochi anni fa non erano possibili per i costi e che adesso per fortuna sono stati molto ridotti: mi riferisco non solo alla datazione attraverso il Radio Carbonio 14, ma anche ad altri tipi di analisi, come gli isotopi, che permettono di determinare o almeno di chiarire altri aspetti come la paleo-dieta (in riferimento alle sepolture a inumazione) ma anche la provenienza degli individui che sono stati sepolti nell’area. E poi tutto quello che riguarda la paleobotanica, con l’individuazione di quelli che gli archeologi chiamano i macro resti, cioè semi, resti vegetali in generale: quindi determinazione di questi, ma anche oltre. Ad esempio l’università di Verona, con la professoressa Diana Bellin, sta conducendo delle indagini per tentare di ricomporre il DNA dei vinaccioli rinvenuti in uno degli scarichi della villa per vedere se quei vinaccioli siano riconducibili a vigneti, a tipi di vigne dell’epoca ma che siano le progenitrici anche delle vigne oggi presenti in Valpolicella. Rimane poi sullo sfondo, ma è naturalmente molto importante, la ricerca sulla presenza della lavorazione delle uve e quindi la produzione del vino perché naturalmente siamo in Valpolicella, e quindi la ricerca è stata anche indirizzata in questo senso e ha avuto dei buoni risultati, che non anticipo”.

“Le ricerche a Negrar – ricorda De Zuccato – sono ricominciate intorno al 2016 con ricognizioni sul campo, ma le prime trincee esplorative sono state fatte nel 2019, e lo scavo stratigrafico è cominciato nel 2020 dopo che avevamo individuato con le trincee sia i resti scavati nel 1922 da Tina Campanile ma anche dei resti nuovi che nessuno aveva mai trovato (vedi Negrar di Valpolicella (Verona). A meno di un anno dalla ri-scoperta della Villa dei Mosaici, una villa rustica a carattere residenziale e produttivo di media età imperiale (III sec. d.C.), Comune Soprintendenza e Aziende vitivinicole siglano un patto per lo scavo, la musealizzazione e la valorizzazione del sito immerso tra i vigneti: archeologia e vino, due eccellenze in sinergia. Il ministro Franceschini: “Modello di rapporto pubblico-privato da esportare” | archeologiavocidalpassato).

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Archeologi e operatori riportano alla luce di mosaici pavimentali della villa rustica romana di Negrar di Valpolicella, poi chiamata Villa dei Mosaici (foto comune di negrar)

Purtroppo c’è stato il Covid, che ci ha ostacolato gli scavi – come ha ostacolato un po’ tutto – per cui abbiamo dovuto sospendere per un po’ di tempo. Era tutto molto difficile. Però in un paio di anni siamo riusciti a portare quasi a termine questa impresa, cioè lo scavo diciamo di tutta l’area. In realtà che non sia tutta l’area qualche dubbio ce l’abbiamo. Ma comunque è quasi tutta l’area della villa. A differenza di altre ville tardo-antiche famose, senza andare lontanissimo penso a Desenzano però si potrebbe arrivare anche a Piazza Armerina alla Villa del Casale, che sono organizzate più a padiglioni, la villa di Negrar si presenta come un corpo unico, una specie di monoblocco con qualche estensione, tipo l’area delle terme.

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I resti della fontana al centro del cortile-giardino della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

È tutto un blocco che ruota attorno al peristilio, cioè a un cortile-giardino centrale circondato da un colonnato che aveva una fontana al centro. Sicuramente era molto bello, avrà avuto piante e fiori. Questa parte l’abbiano scavata quasi tutta. Abbiamo individuato dei resti che vanno oltre i limiti dello scavo attuale sia a Nord sotto la strada asfaltata, sia a Est verso la valle dove abbiamo individuato i limiti di un muro che forse circondava un’area aperta o semiaperta che però non abbiamo potuto scavare perché è fuori dalla proprietà disponibile per gli scavi. E anche verso Sud ci sono dei muri che proseguono sotto al vigneto. Insomma, non posso dire che l’abbiano scavata tutta!

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Dettaglio del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar con i mosaici policromi e una base di colonna del porticato (foto graziano tavan)

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Pianta schematica della Villa dei Mosaici di Negrar a cura della Sabap di Verona, con evidenziate le aree mosaicate (residenziali) e quelle lastricate (produttive) (foto graziano tavan)

“Comunque – continua De Zuccato – quello che oggi si può vedere se uno va a visitare il sito, anche in condizioni ancora di cantiere, perché i resti sono stati coperti e protetti con delle coperture che mi auguro siano provvisorie benché siano state efficaci in questi anni in cui i resti sono stati portati alla luce, sono dei ruderi, certamente. La prima cosa che secondo me balza agli occhi è la quantità di resti di mosaici presenti e che ci hanno fatto dare alla villa il nome di villa dei mosaici, perché è un po’ ciò che la caratterizza. Intorno al cortile-giardino c’è un corridoio, un po’ l’antenato del chiostro delle chiede medievali, e su questo chiostro si affacciavano vari ambienti. La villa è suddivisa tra una parte residenziale verso Est, e una parte produttiva verso Ovest, separate da un muro. Probabilmente erano collegate anche tra di loro però sono anche nettamente separate.

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Villa dei Mosaici di Negrar: l’ambiente absidato dei cosiddetti “appartamenti” (foto comune di negrar)

“La parte che era stata scoperta 100 anni fa e che abbiamo riportato alla luce – sottolinea De Zuccato – è la parte di rappresentanza, la parte bella, quella dove il padrone della villa, il dominus, riceveva i suoi amici, e probabilmente li riceveva anche organizzando pranzi o cene. C’era una grande sala, la sala dei ricevimenti e dei banchetti. Ai due lati, due coppie di stanze, che noi identifichiamo come appartamenti, che probabilmente ospitavano anche la camera da letto dei padroni, dei proprietari. Una situazione analoga a questa doveva esistere anche sul lato settentrionale che purtroppo è stato pesantemente danneggiato nel 1974 dallo scavo per la costruzione di una casa. È stata purtroppo distrutta l’aula principale, l’aula absidata. Queste aule, infatti, avevano la caratteristica nell’età tardo-antica, cioè IV-V secolo, di avere un muro tondeggiante come appunto l’abside delle chiese soprattutto medievali. Quest’aula è stata distrutta completamente. Sono rimasti degli ambienti, che anche qui chiamiamo appartamenti, ai lati di quest’aula. Uno conserva quasi integro un mosaico. Un altro è un ambiente molto particolare. Non sappiamo esattamente cosa fosse, ma la particolarità di questo ambiente è che al centro ha una piccola vasca a sette lati, ettagonale. E dall’altro ci sono i resti di una delle due stanze, pavimentata a mosaico anche questa, mentre un’altra era già stata danneggiata in antico. Sulla sala con vasca ettagonale stiamo ancora approfondendo le indagini perché la presenza di questa strana forma del catino della vasca ci indurrebbe a pensare a un possibile battistero. Però il discorso è ancora in sospeso.

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Il quartiere termale della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Poi c’è il settore termale lì vicino, a Nord-Est – descrive De Zuccato -. Un settore ampio, articolato. C’è lo spogliatoio, un grande frigidarium; il calidarium; il tepidarium. C’è una piccola saletta, forse un laconicum una sudatio. C’è il prefurnio. C’è la vasca per i bagni in acqua fredda. Insomma è un settore molto affascinante. Sul lato Est ci sono delle altre stanze, mentre non ci sono stanze sul lato Ovest che confina col settore produttivo.

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La foto originale del 1922 rappresentante il mosaico della Sala A della villa romana di Negrar (foto archivio sabap-vr)

“Due parole sui mosaici che si possono vedere. A parte quelli che erano conosciuti attraverso le foto in bianco e nero della Campanile e attraverso i frammenti che erano stati strappati ancora nell’800 e portati al museo Archeologico al Teatro Romano, abbiamo trovato un altro pavimento a mosaico sul lato Est, un mosaico abbastanza semplice però ugualmente interessante. Il lato Est conserva anche una scalinata in pietra, perché la villa era disposta su terrazze per seguire un po’ il declivio naturale della collina.

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Veduta d’insieme dei mosaici policromi del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Il mosaico più bello – spiega De Zuccato – è sicuramente quello che è conservato sul lato Ovest del peristilio e che presenta una serie di tondi che racchiudono delle figure, anche di persone: una figura femminile, un volto femminile, un volto maschile, un busto maschile; degli oggetti, vasi. Un canestro di frutta; degli animali, uccelli. Anche il telaio del disegno di questi tondi figurati è interessantissimo perché ha delle soluzioni che suggeriscono una profondità spaziale, una profondità di volume al mosaico. È una cosa particolarissima. Gli specialisti dicono che al momento è un unicum”.

“Per quello che riguarda invece la parte produttiva – continua De Zuccato -, l’altra caratteristica che ne fa anche qui un unicum, è la presenza di una grande struttura articolata in tre ambienti: al centro un ambiente scoperto e ai lati due ambienti coperti. Ma la caratteristica che ne fa appunto una cosa unica è la pavimentazione in lastre di pietra: dovrebbe trattarsi di un grandissimo magazzino, lungo una trentina di metri. Ci siamo chiesti che cosa potesse contenere questo magazzino, a cosa potesse servire, oltre alla raccolta delle normali produzioni, normali derrate, che venivano dalla proprietà, da quel fundus, dai terreni che stavano attorno alla villa. Abbiamo fatto anche qui una serie di analisi che hanno evidenziato quasi ovunque il contatto con mosto e con vino. A fianco di quest’area c’è una grande piattaforma che ospitava uno spazio con una vasca per la produzione del mosto calcatorium, insomma il mosto che veniva prodotto schiacciando l’uva coi piedi. Però abbiamo trovato anche due grossi contrappesi per il torchio meccanico, perciò anche questi dovevano essere presenti in sede. Poi abbiamo trovato un po’ dappertutto i resti di lastre che servivano a sorreggere le lastre laterali. Un po’ come le fontane che sono tuttora presenti in Valpolicella. Solo che in questo caso dovevano contenere mosto e vino. Quello che non abbiamo trovato, e che inizialmente credevamo di trovare, erano questi grandi contenitori per il mosto e per il vino che vediamo seminterrati nelle ville del Centro-Sud d’Italia, i cosiddetti dolia de fossa. Qui invece non ci sono. Ma non ci sono perché qui a Negrar, come in altre situazioni nel Nord Italia e anche nel resto dell’Europa, il mosto e il vino venivano già allora raccolti in botti di legno che si prestavano meglio anche per il trasporto, con i carri via strada, o con il trasporto fluviale. Un po’ come le botti che sono raffigurate sulla famosa stele di Tenazio Essimno, trovata qualche anno fa a Passau (antica Batavium, ndr) in Baviera (e oggi conservata all’Oberhaus Museum di Passau, ndr), che ricorda appunto questo personaggio nativo di Trento, il cui nome però lo dichiara originario della Valpolicella, un commerciante di vini. E lui nel suo monumento funerario si è fatto raffigurare appunto al fianco di una catasta di piccole botti, delle botticelle, con cui sicuramente trasportava il vino.

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Veduta d’insieme dell’area produttiva della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Altre situazioni particolari di quest’area produttiva, di cui si parlerà estesamente nella giornata del 16 dicembre, sono una serie di ambienti che forse facevano parte di una prima sistemazione della villa. Ci stiamo chiedendo se questa grande struttura, questo grande magazzino in lastre non sia stato realizzato quando una parte della villa viveva già. E quindi la suggestione è che questo magazzino potesse servire per la produzione certamente del vino ma magari anche per l’appassimento delle uve secondo la tradizione che è riconducibile a Cassiodoro e che potrebbe farne uno dei luoghi di produzione di quell’acinaticium (acinatico) nella sua lettera al re Teodorico. Ci stiamo lavorando – conclude De Zuccato – soprattutto per quello che riguarda la datazione, perché vorrebbe dire che questa produzione vitivinicola è durata parecchio nella villa, forse anche oltre il limite della vita della villa stessa come tale”.

“La vita della villa con i resti così come li vediamo oggi – spiega De Zuccato – forse termina poco dopo la fine dell’Impero romano. Pensiamo che la villa sia vissuta per tutto il V secolo, anche se non è proprio semplice stabilire dei confini cronologici tra un’epoca e l’altra. Però abbiamo trovato tracce notevoli di quella che noi abbiamo chiamato, in una delle sessioni del convegno, Dopo la villa, perché c’è una frequentazione chiara, diffusa anche dell’area della villa e di quelle che probabilmente erano le strutture sicuramente in parte ancora in piedi, ancora in discreto stato, e in parte forse integrate da strutture nuove fatte con materiali di demolizione, di recupero dei muri della villa. E poi andando avanti nel tempo, con il proseguire della decadenza di queste strutture e delle demolizioni, si arriva anche al VII, l’VIII secolo, forse anche al IX secolo. Quindi siamo in età contemporanea alla presenza di Teodorico, dei Goti, e poi dei Longobardi. Questo è sicuro per il fatto che sono presenti alcune sepolture fatte all’interno delle strutture della villa. Sepolture povere, soprattutto di bambini, che sono state datate tra il VII e l’VIII secolo. Ma la cosa interessante è che sul limite delle strutture della villa abbiamo trovato anche due tombe di età longobarda. Una di queste due tombe è riferibile a una principessa (?), una nobildonna sicuramente perché aveva tre bracciali, due dei quali molto belli, bracciali tipicamente longobardi a tamponi, e uno in ferro. Nell’altra tomba invece c’erano vari inumati. È stata una tomba utilizzata più volte, una tomba multipla, e anche qui con i segni della cultura longobarda, i caratteristici pettini in osso, delle perle in pasta vitrea. Ciò vuol dire che la villa ha continuato a vivere per un bel po’ di tempo. Tutto questo è oggetto di studio. Anche le tracce delle abitazioni realizzate tra i resti della villa sono interessanti: in parte sono state realizzate con materiali di spoglio, ma in parte sono state realizzate con strutture di legno, perché ci sono i buchi nei pavimenti che testimoniano questi impianti. Di questa fase abbiamo trovato una grande abbondanza di materiali ceramici, come stoviglie da cucina, materiali insomma di uso comune, cosa che invece abbiamo trovato in maniera scarsissima per quello che riguarda la villa in età romana. Lì c’è una povertà assoluta forse proprio perché la villa è stata spogliata intenzionalmente prima di essere abbandonata”.

verona_sabap_convegno-villa-di-mosaici-di-negrar_presentazione_locandinaIL PROGRAMMA DELLA GIORNATA DI STUDIO LUNEDÌ 16 DICEMBRE 2024. Alle 9.30 Saluti istituzionali: Andrea Rosignoli (soprintendente ABAP per le province di Verona Rovigo, Vicenza), Paolo De Paolis (direttore dipartimento di Culture e Civiltà – università di Verona); Fausto Rossignoli (sindaco di Negrar di Valpolicella). INTRODUZIONE Alle 10, Vincenzo Tinè (soprintendente ABAP VE-Met), “Il progetto di studio e la valorizzazione”. SESSIONE 1: LA VILLA Presiede Francesca Ghedini (università di Padova) Alle 10.15, Patrizia Basso, Nicola Delbarba (università di Verona), Gianni de Zuccato (già soprintendenza ABAP Verona Rovigo, Vicenza), “La villa: considerazioni planimetriche e funzionali”; 10.45, Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), “I rivestimenti pavimentali: decorazione, funzione e cronologia”; 11, pausa caffè; 11.15, Monica Salvadori (università di Padova), Katia Boldo, Simone Dilaria, Anna Favero, Federica Stella Mosimann, Clelia Sbrolli, “Approcci multidisciplinari per la conoscenza della pittura parietale in contesto: il caso della villa di Negrar”; 11.30, Diana Dobreva, Anna Nicolussi (università di Verona), “Note preliminari sulla ceramica tardoantica della villa: osservazioni cronologiche, tipologiche e archeometriche”; 11.45, Dario Calomino (università di Verona), “Il quadro dei ritrovamenti monetali”. SESSIONE 2: DOPO LA VILLA Presiede Andrea Augenti (università di Bologna) Alle 12, Fabio Saggioro, Nicola Mancassola (università di Verona), Alberto Manicardi (SAP), “Le fasi di frequentazione altomedievale”; 12.30, Nicola Mancassola (università di Verona), “Le ceramiche da cucina altomedievali”; 12.45, pausa pranzo; 14.15, Laura Bonfanti, Irene Dori (università di Firenze), Alessandra Varalli (Aix-Marseille Université, CNRS, Ministère de la Culture, LAMPEA), “Gli inumati altomedievali: i risultati delle analisi bioarchaeologiche e isotopiche”; 14.30, Elisa Possenti (università di Trento), Lisa Martinelli (università di Udine), “I reperti metallici e in osso lavorato di età medievale”. SESSIONE 3 APPROCCI ANALITICI Presiede Jacopo Bonetto (università di Padova) Alle 14.45 Gianfranco Valle (geoarcheologo professionista), “Studio geomorfologico e ricostruzione ambientale”; 15, Valeria Luciani, Elena Marrocchino, Michele Zuccotto (università di Ferrara), “Caratterizzazione in sezione sottile di materiali lapidei”; 15.15, pausa caffè; 15.30, Elena Marrocchino, Michele Sempreboni (università di Ferrara), “Prime analisi sui leganti”; 15.45, Silvia Bandera (università di Verona), “Analisi dei resti faunistici”; 16, Marco Marchesini, Madalina Daniela Ghereg, Silvia Marvelli, Anna Chiara Muscogiuri, Elisabetta Rizzoli (Laboratorio di Palinologia e Archeobotanica C.A.A. Nicoli), “Vegetazione, viticoltura e alimentazione attraverso le analisi archeobotaniche”; 16.30, dibattito.

 

 

Università di Verona. “Gli imperatori romani visti dalle città delle province / The Roman Emperor Seen from the Provinces (RESP)” è il progetto quinquennale (2021-2026) ideato e guidato dall’archeologo-numismatico Dario Calomino, finanziato dall’Ue con quasi 2 milioni di euro

Il progetto “Gli imperatori romani visti dalle città delle province / The Roman Emperor Seen from the Provinces (RESP)” è ideato e guidato da Dario Calomino

Facevano tutti parte dell’impero romano, non c’è dubbio. Ma a centinaia se non migliaia di chilometri da Roma come vivevano – per esempio – i britanni o i galati, gli iberi o i daci, i libici o i siro-palestinesi, i bitini o gli egizi? E soprattutto come “vedevano” in queste terre lontane dall’Urbe i loro imperatori? Anche perché gli scultori “ufficiali” non tutti o non sempre se li potevano permettere. La risposta la darà lo studio “Gli imperatori romani visti dalle città delle province / The Roman Emperor Seen from the Provinces (RESP)”, un progetto ideato e guidato da Dario Calomino finanziato dallo European Research Council all’interno del programma dell’Unione europea Horizon 2020, che ha l’obiettivo di studiare in che modo gli imperatori romani, da Augusto a Diocleziano (31 a.C.-297 d.C.), venivano rappresentati in ritratto e a figura intera nelle città delle province romane. Il progetto durerà 5 anni – indicativamente dal 2021 al 2026 –  e sarà ospitato al dipartimento di Culture e Civiltà dell’università di Verona con un contributo da parte dell’Unione europea di quasi 2 milioni di euro. Un risultato prestigioso per l’ateneo scaligero visto che il lavoro è tra i pochi selezionati nell’ultimo bando Consolidator Grant 2020 che ha finanziato 327 progetti tra gli oltre 2500 presentati, di cui solo 17 italiani ospitati da atenei e centri di ricerca italiani. L’ERC Consolidator Grant è uno dei finanziamenti più prestigiosi dell’Unione Europea all’interno del programma Horizon 2020. La missione dello European Research Council è incoraggiare la ricerca della massima qualità in Europa attraverso finanziamenti competitivi e sostenere la ricerca di frontiera promossa dai ricercatori in tutti i campi della ricerca, sulla base dell’eccellenza scientifica. In particolare, il Consolidator Grant è riservato a ricercatori e ricercatrici a metà della loro carriera, tra i 7 e 12 anni dal dottorato di ricerca.

Il manifesto della mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome” allestita al British Museum di Londra (2016-2017)

Dario Calomino è un archeologo classico specializzato in numismatica greca e romana, che attualmente lavora come Research Fellow al dipartimento di Lettere classiche e Storia antica dell’università di Warwick, nel Regno Unito. Si è formato all’università di Padova, dove ha conseguito una laurea quadriennale in Lettere classiche e un diploma di specializzazione in Archeologia classica, prima di completare un dottorato in Scienze storiche e antropologiche a Verona nel 2009. Dal 2012 al 2017 ha lavorato come ricercatore a Londra, nel dipartimento di Monete e Medaglie del British Museum: qui è entrato a far parte del progetto internazionale “Roman Provincial Coinage”, che coinvolge alcune delle maggiori istituzioni museali europee ed extraeuropee (Parigi, Berlino, Vienna, Monaco, New York), oltre alle università di Oxford e Cambridge, finalizzato allo studio sistematico ed esaustivo delle monetazioni delle città romane provinciali (https://rpc.ashmus.ox.ac.uk/onlineproject/). In Italia ha collaborato a lungo sia con le università di Padova e Verona, sia con diversi musei civici e statali (Verona, Rovereto, Brescia e Venezia), e collabora tuttora col Medagliere del museo nazionale Romano. È autore di numerose pubblicazioni, tra monografie e saggi di carattere scientifico, tra cui il volume “Defacing the Past. Damnation and Desecration in Imperial Rome”, ispirato all’omonima mostra da lui curata al British Museum nel 2016  (vedi “Defacing the Past”: una mostra al British Museum di Londra illustra la particolare applicazione della “damnatio memoriae” sulle monete imperiali romane confrontate con esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia. Ne parla l’archeologo numismatico Dario Calomino | archeologiavocidalpassato).

the_University_of_Warwick_logoking's-college-london_logoLa ricerca si concentrerà sullo studio comparato di monete e sculture prodotte nelle province imperiali, dalla Spagna alla Grecia fino all’Asia Minore e al Vicino Oriente.  “Finora lo studio dei rapporti tra Roma e provincia è stato fatto privilegiando il punto di vista della capitale”, spiega Calomino. “Per la prima volta questa ricerca sarà incentrata sulle fonti di rappresentazione imperiale di matrice locale, che testimoniano come le immagini del potere di Roma venissero recepite e reinterpretate al di fuori della penisola italica, mettendo in luce le scelte politico-ideologiche e le tradizioni culturali delle élite provinciali anziché quelle del governo centrale”. Oltre alla creazione di un gruppo di giovani ricercatori e ricercatrici che si occuperanno di diverse aree di competenza, il progetto prevede anche la partecipazione di studiosi del King’s College di Londra e del Manufacturing Centre dell’università di Warwick (UK). Di questo secondo gruppo di collaboratori farà parte un team di ingegneri esperti nell’utilizzo di tecnologie digitali in 3D, che verranno sfruttate per potenziare lo studio e la ricostruzione dei ritratti romani provinciali combinando elementi presi dalle monete con quelli scultorei.

“Defacing the Past”: una mostra al British Museum di Londra illustra la particolare applicazione della “damnatio memoriae” sulle monete imperiali romane confrontate con esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia. Ne parla l’archeologo numismatico Dario Calomino

Il cosiddetto “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo con il ritratto del figlio Geta cancellato

Ritratti scalpellati e violentati, statue distrutte, monumenti danneggiati: quando si voleva cancellare il ricordo di un personaggio pubblico non si rispettava niente e nessuno. In ogni epoca, in ogni luogo. È la cosiddetta Damnatio memoriae, termine non presente nel diritto latino, ma che nel diritto latino si concretizzava nella pena della cancellazione della memoria di una persona e la distruzione di qualsiasi traccia che potesse tramandarla ai posteri, come se quella persona non fosse mai esistita. In Egitto, ad esempio, il tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, a Tebe, sulla sponda ovest del Nilo, è forse uno dei casi più famosi: statue rimosse, frantumate o sfigurate. Alla morte della regina-faraone infatti Thutmosi III prima e il figlio Amenofi II poi procedettero alla sistematica cancellazione di Hatshepsut dai monumenti, eliminando la sua figura e i suoi cartigli. E nel mondo romano sono stati molti gli imperatori colpiti dalla damnatio memoriae. Ricordiamo, tra gli altri, Caligola, Nerone, Domiziano, Commodo, Eliogabalo, Massenzio, Treboniano Gallo, Didio Giuliano. Ma la stessa condanna non risparmiò neppure uomini e donne di spicco, come Seiano, il braccio destro dell’imperatore Tiberio, oppure la madre di Nerone, Agrippina, o ancora Geta, fratello di Caracalla che non esitò a farlo assassinare e a far sì che se ne perdesse ogni traccia. Emblematico proprio il caso di Geta: sul famoso “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo il volto di Geta appare cancellato. Il nome di Geta, invece, è stato fatto “sparire” sempre da Caracalla dall’arco del padre Settimio Severo nel foro a Roma, sostituito dalle parole optimis fortissimisque principibus, mentre la sua figura è stata abrasa dall’arco severiano di Leptis Magna, il Libia.

Il manifesto della mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome” allestita al British Museum di Londra

Dario Calomino, archeologo numismatico

Ma la damnatio memoriae non interessò solo i monumenti: l’immagine del personaggio caduto in disgrazia fu cancellato qualche volta anche dal dritto delle monete circolanti. Lo spiega bene la mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome”, allestita nella sala 69 del British Museum di Londra fino al 7 maggio 2017, che affronta la storia romana da una prospettiva diversa, quella delle monete con immagini abrase per condannare la memoria di imperatori romani deceduti o per minare il potere di quelli ancora viventi. La mostra presenta una selezione di monete, iscrizioni, sculture e papiri che mostrano immagini e simboli di potere cancellati nell’antichità. Ci sono esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia, a dimostrazione che i romani continuarono una consuetudine molto antica. “L’abitudine di cancellare dalle iscrizioni i nomi dei governanti e leader politici caduti in disgrazia”, spiega Dario Calomino, archeologo numismatico al British Museum, “così come di deturpare o distruggere le loro immagini, esisteva in Egitto e nel Vicino Oriente, come nel mondo greco. Nell’antica Roma si consolidò tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C. Le monete però sono state abrase solo raramente. Ciò dipende dal fatto che, poiché le monete continuavano a circolare anche dopo la damnatio memoriae, la gente temeva che un’alterazione del conio potesse minarne la sua validità. Per questo le monete sono state cancellate solo in circostanze eccezionali”.

L’eccezionale Cameo Blacas con l’effige del divo Augusto conservato al British Museum di Londra

Uno dei pezzi più pregiati in mostra è il famoso Cameo Blacas, al British Museum dal 1867, quando fu acquisita la famosa collezione di antichità che Luigi, duca di Blacas, aveva ereditato dal padre, tra cui il Tesoro dell’Esquilino. Il cameo romano antico, in sardonica con quattro strati alternati di bianco e marrone, insolitamente grande (quasi 13 centimetri), mostra la testa di profilo del divo Augusto, realizzato probabilmente dopo la sua morte avvenuta nel 14 d.C. “La damnatio memoriae scattava più frequentemente quando gli imperatori avevano fretta di essere divinizzati prima della morte”, spiega Calomino. “Molti gli imperatori divinizzati dopo la loro morte, ma questo non era sufficiente per alcuni che, come Caligola, voleva essere venerato come un dio in vita. Altri imperatori erano considerati non meno pericolosi perché volevano cambiare la religione della tradizione romana. Come è il caso di Elagabalo. Una delle sue monete è in mostra: non è stata abrasa, ma presenta l’imperatore come sommo sacerdote del dio siriano Sole-Elagabal, che voleva porre al di sopra di Giove”. Da questo momento il potere imperiale è diventato sempre più transitorio e, nella prima metà del III sec. d.C. assistiamo a una sequenza di generali che vengono acclamati e deposti a tempo di record dalle diverse legioni dell’impero. “Ci sono due esempi interessanti di monete coniate da Massimino il Trace, imperatore per un brevissimo periodo dal 235 al 238, deturpate in modo diverso: una mostra il volto graffiato dell’imperatore, mentre l’altra ha un lato interamente abraso, su cui è stata stampata una H (maiuscola della eta, lettera dell’alfabeto greco), che in greco indicava il numero 8, per registrare il valore della moneta. Ma è stato lasciato leggibile il nome e il simbolo della città di emissione”.

Tra Londra (British Museum) e Parigi (Biblioteca nazionale di Francia) sta prendendo forma il progetto “Roman Provincial Coinage”, primo catalogo sistematico in dieci volumi delle monete imperiali coniate dalle zecche provinciali. Al lavoro un team internazionale tra cui un italiano, Dario Calomino, cui è stato affidato la realizzazione del volume 6, che copre il periodo di tre imperatori: Elogabalo, Alessandro Severo e Massimino il Trace

I due tomi che compongono il primo volume del progetto “Roman Provincial Coinage” curato da British Museum e Bibliothèque Nationale de France

Il progetto è di quelli che fanno tremare i polsi: catalogare tutte le monete romane giunte fino a noi del periodo imperiale, coniate dalle zecche provinciali.  Il progetto Roman Provincial Coinage, che sarà composto in tutto da dieci volumi a coprire il periodo imperiale dal 44 a.C. al 296-7 d.C. (il primo volume, che copre l’età giulio-claudia, 44 a.C.-69 d.C., è stato pubblicato nel 1992), è pubblicato dalla British Museum Press e dalla Bibliothèque Nationale de France, sotto la direzione generale di Andrew Burnett (British Museum), Michel Amandry (Bibliothèque nationale de France) e Chris Howgego (Ashmolean Museum).  Il progetto, che punta a produrre una tipologia standard della monetazione provinciale dell’impero romano, coinvolge una trentina di esperti da tutto il mondo chiamati a studiare le dieci più importanti collezioni numismatiche accessibili del mondo (Berlino, Staatliche Museen; Cambridge, Fitzwilliam Museum; Copenaghen, Nationalmuseet; Glasgow, Museo Hunterian; London, British Museum; Monaco di Baviera, Staatliche Münzsammlung; New York, American Numismatic Society; Oxford, Ashmolean Museum; Parigi, Bibliothèque Nationale de France; Vienna, Kunsthistorisches Museum) e tutto il materiale pubblicato. Tradotto in numeri si parla di più di 100mila monete solo per i conii schedati in neppure quattro dei dieci volumi previsti, e cioè il 3, il 4, parte del 7 e il 9. Quindi alla fine saranno centinaia di migliaia le monete catalogate. Se pensiamo che il manuale più famoso sulla monetazione romana (che comunque non prende in esame la monetazione provinciale) è quello del numismatico francese Henry Cohen (Description des Monnaies frappées sous l’Empire Romain) che risale all’ultimo quarto dell’Ottocento, e in epoca più recente, realizzato tra il 1923 e il 1994, è il Roman imperial Coinage (Ric), si può capire l’importanza e la valenza del progetto Roman Provincial Coinage, prima trattazione sistematica sulla monetazione civile al culmine dell’impero romano, che sarà uno strumento insostituibile per lo studio della storia sotto il profilo culturale, religioso, politico, economico e amministrativo a livello locale e per tutto l’impero.

L’archeologo numismatico Dario Calomino in uno dei corsi tenuti al British Museum

In questo team internazionale di archeologi numismatici c’è anche un italiano, il veronese Dario Calomino, laurea in Archeologia romana (2002) e un MA in Numismatica classica (2005) all’università di Padova; e un dottorato di ricerca in Scienze Storiche e Antropologiche (2009) all’università di Verona sulla monetazione provinciale romana di Nicopoli di Epiro. “La mia esperienza di insegnamento”, ricorda, “è iniziata nel 2004, quando ho avviato la collaborazione l’università di Verona come cultore della materia, la Numismatica, e come membro del Comitato scientifico della Missione archeologica nel Foro romano di Grumentum (Basilicata). Nel 2010-2011 – continua – ho lavorato come assistente in Numismatica classica all’università di Padova, Dipartimento di Archeologia. Nel Regno Unito ho collaborato con il King’s College di Londra e ho insegnato per un anno allo University College di Londra”.  La svolta nel 2012 con l’assegnazione di una borsa Newton di ricerca internazionale da parte della British Academy di Londra per lavorare sul sesto volume del Roman Provincial Coinage al Dipartimento di monete e medaglie del British Museum.

Dario Calomino allo studio di una moneta imperiale romana

Sul suo profilo Dario Calomino si mostra curvo su una moneta, intento a studiarla. È lui stesso che spiega il suo ruolo nel progetto internazionale: “Mi è stato assegnato di curare la catalogazione delle monete romane coniate dalle zecche provinciali nel III sec. d.C., uno dei più turbolenti e, se vogliamo, più oscuri dell’impero. In particolare mi devo interessare della produzione monetale tra il 218 e il 238 d.C., cioè il periodo immediatamente successivo a Settimio Severo, fondatore della dinastia dei Severi, cui è riservato il volume 5. Nei vent’anni che devo studiare si sono succeduti tre imperatori, Elagabalo (218-222 d.C.), Alessandro Severo (222-235 d.C.) e Massimino il Trace (235-238 d.C.). Il primo, morto assassinato dalle guardie pretoriane, era siriano di origine, per diritto ereditario, alto sacerdote del dio Sole (El-Gabal) di Emesa, sua città di origine. Il secondo, cugino di Elagabalo, nativo di Arca Caesarea, oggi nel nord del Libano, ultimo imperatore dei Severi, finì anche lui assassinato dai soldati durante una campagna contro le tribù germaniche perché stava trattando un accordo col nemico. Dopo di lui salì al trono un generale di origine barbarica e di grandi capacità militari, Massimino il Trace, il primo a non vedere mai Roma, il primo imperatore-soldato. Anche lui finì tragicamente, assassinato dai suoi soldati durante l’assedio di Aquileia”.