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Roma. Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini, ospita per la prima volta una mostra: “Cartier e il Mito ai Musei Capitolini”, alcune delle creazioni più prestigiose della Maison Cartier in un dialogo evocativo con le sculture antiche della collezione del card. Albani

Dal 14 novembre 2025 al 15 marzo 2026, il Palazzo Nuovo dei musei Capitolini a Roma ospiterà la mostra “Cartier e il Mito ai Musei Capitolini”. Questa è la prima volta che il Palazzo Nuovo ospita una mostra temporanea. Le creazioni della Maison Cartier, per lo più provenienti dall’heritage Cartier Collection, saranno in dialogo con le sculture in marmo della collezione del cardinale Alessandro Albani – nucleo originario della collezione museale di Palazzo Nuovo – e con una selezione di preziosi reperti antichi provenienti dalla sovrintendenza Capitolina, da prestigiose istituzioni italiane e internazionali e da collezioni private. La mostra, curata dalla storica del gioiello Bianca Cappello, dall’archeologo Stéphane Verger, dal sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce e promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, in collaborazione con la Maison Cartier e con il supporto di Zètema Progetto Cultura. Il progetto di allestimento è a cura di Sylvain Roca, con uno straordinario contributo creativo del Maestro Dante Ferretti.

Diadema, Cartier Paris, in platino, diamanti, perle naturali, eseguito su ordinazione (1907) per il matrimonio di Marie Bonaparte con il Principe Giorgio di Grecia e Danimarca (foto Nils Herrmann, Collection Cartier / Cartier)

Dalla metà del XIX secolo ad oggi, Cartier ha studiato, tratto ispirazione e reinterpretato il repertorio estetico e simbolico dell’antica Grecia e di Roma, trasformando motivi millenari in gioielli dal carattere unico e moderno. “Cartier e il mito ai Musei Capitolini” è un viaggio affascinante alla scoperta dell’universo estetico e formale della Maison Cartier, in continuo dialogo con l’eccezionale collezione di sculture antiche dei Musei Capitolini. La mostra esplora il modo in cui l’antichità classica ha mutevolmente ispirato le sue creazioni più iconiche ricostruendo atmosfere intellettuali e culturali, ed evocando l’evoluzione dell’immaginario legato alla Grecia e a Roma nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Particolare attenzione è posta sul profondo legame tra Cartier e l’Italia, specialmente Roma.

Statua seduta di Elena della collezione del card. Alessandro Albani conservata a Palazzo Nuovo dei musei Capitolini (foto sovrintendenza capitolina)

Le collezioni permanenti del Palazzo Nuovo in Campidoglio – l’originario Museo Capitolino istituito nel dicembre del 1733 da Clemente XII Corsini – si compongono in modo quasi esclusivo di sculture in marmo, in gran parte acquisite dalla collezione del cardinale Alessandro Albani. Molte di queste sculture antiche hanno costituito modelli imprescindibili per la formazione del linguaggio artistico europeo. La mostra offre una prospettiva originale su un aspetto particolare e importante di questo tema: dell’uso del repertorio antico in gioielleria, dai “pastiches” dei grandi collezionisti e orafi del XIX secolo, come i Castellani a Roma, stile Neoclassico Garland, fino alle opere successive ispirate a Jean Cocteau nel secondo dopoguerra, arrivando infine alle creazioni odierne e a un nuovo approccio all’Antichità.

Statua di Afrodite, Venere Capitolina, della collezione del card. Alessandro Albani conservata a Palazzo Nuovo dei musei Capitolini (foto sovrintendenza capitolina)

L’esposizione mette in luce l’uso del repertorio classico greco-romano nelle creazioni Cartier e le trasformazioni della prima metà del Novecento, quando maturò una nuova concezione dell’antichità classica. Una sezione è dedicata alle tecniche e ai processi di lavorazione dei gioielli, con riferimenti all’età romana. La mostra esplora inoltre le ispirazioni mitologiche che hanno nutrito l’immaginario Cartier dall’inizio del XX secolo, confrontando le creazioni della Maison con le antiche divinità di Palazzo Nuovo – Afrodite e Dioniso, Apollo ed Eracle, Zeus e Demetra – e invitando i visitatori a riscoprire all’interno della collezione permanente i modelli antichi che le hanno ispirate.

Pendente, Cartier Londra, 1920, in platino, diamanti, zaffiri, cristallo di rocca, pietra di luna, onice (foto Vincent Wulveryck, Collection Cartier / Cartier)

Cartier ha tratto ispirazione dall’Arte Classica in vari modi, sia in modo diretto che attraverso il filtro di periodi storici evocativi profondamente influenzati dall’antichità, come il Rinascimento, la corte di Versailles e il Neoclassicismo.  La storia di Cartier si sviluppa attraverso epoche in cui l’estetica classica funge da grammatica stilistica: dai revival storicisti della metà del XIX secolo allo stile a ghirlanda svolazzante della Belle Époque; dalla reinterpretazione delle forme antiche nello stile moderno dei primi del XX secolo, al ritorno dell’oro giallo negli anni Quaranta insieme alla libertà d’espressione femminile; dalla giocosa rivisitazione dei miti negli anni Settanta fino a un approccio contemporaneo all’antichità. I canoni classici rimangono una pietra angolare dell’eccellenza estetica grazie al loro vocabolario formale universalmente riconosciuto.

Mosaico delle Colombe che si abbeverano a un vaso (fine I sec. a.C.) da villa Adriana a Tivoli, consevato a Palazzo Nuovo dei musei Capitolini (foto sovrintendenza capitolina)

Ad introdurre la mostra “Cartier e il Mito ai Musei Capitolini”, una spettacolare scalinata cinematografica opera del Maestro Dante Ferretti, scenografo premio Oscar. Dal labirinto verticale de Il nome della Rosa (1986) alle rovine nostalgiche del Grand Tour nella scenografia di Cenerentola (2015), il suo lavoro ci eleva verso un mondo di Antichi, eroi e dei, che permea il nostro modo di vedere e di vivere l’universo. Riferimenti malinconici all’antichità classica costellano l’atmosfera onirica e burlesca di Le avventure del barone di Munchausen di Terry Gilliam (1988). Con Pasolini, Ferretti fa rivivere la maga Medea sotto le sembianze di Maria Callas (1968), una delle donne più moderne della mitologia antica, che ci appare con un’imponente parure d’oro e ambra, degna della sua discendenza dal Sole. Una mitologia costantemente rivisitata, gioiosa e piena di sorprese, che parla al mondo di oggi: questo è ciò che Dante Ferretti riesce a creare nelle sue opere. È anche ciò che la Maison Cartier è riuscita a fare fin dalle sue origini attraverso il mito, reinterpretando costantemente un’antichità classica vivente, sempre rinnovata e pronta a fondersi con la modernità.

Spilla Stomacher, Cartier Parigi, in platino, diamanti, zaffiri, , eseguita su ordinazione, 1907 (foto Vincent Wulveryck, Collection Cartier / Cartier)

La mostra, concepita come un’esperienza immersiva arricchita da elementi audiovisivi, si caratterizza per le installazioni olfattive create dalla profumiera della Maison Cartier, Mathilde Laurent, e per l’esposizione di pietre dure provenienti dall’atelier di glittica di Cartier che incarnano le divinità e i miti esposti. Fin dall’inizio del XX secolo, i disegnatori di Cartier si sono progressivamente allontanati dai riferimenti diretti all’antichità classica, che seguivano i fondamenti della geometria e della matematica dei filosofi greci, basandosi sul principio della sezione aurea. I miti greci compaiono in modo più indiretto e, al tempo stesso, più fedele allo spirito dell’ornamento antico, così come presentato dagli studiosi della religione greca. I gioielli fanno parte di ciò che i Greci chiamano kosmos, una parola che indica sia la disposizione corretta degli abiti e dei gioielli, sia l’ordine imperscrutabile dell’universo. Nelle creazioni di Cartier, come nei miti antichi, i gioielli si presentano come riproduzioni in miniatura dell’universo e delle sue forze primordiali: la terra e i suoi minerali, l’oceano e le sue creature marine, il cielo stellato e il fuoco del sole. Efesto, il dio artigiano, riunisce questi elementi attraverso l’arte, proprio come fanno gli artigiani della Maison Cartier nei loro atelier, ispirati dal potere evocativo delle gemme. Il gioiello diventa così un discorso metafisico, oltre che un ornamento di prestigio.

Torino. Il direttore del museo Egizio Christian Greco ci introduce alla nuova Galleria dei Re: ecco l’allestimento “dall’oscurità alla luce”

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Il nuovo allestimento della Galleria dei Re nel museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)

È stato uno dei momenti più attesi, il 20 novembre 2024, delle celebrazioni del bicentenario del museo Egizio di Torino, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la riapertura, dopo il restauro e il riallestimento, della Galleria dei Re: “From darkness to light” non è solo il titolo del progetto, ma è l’effetto – stupefacente – che fa sul visitatore, e che sta facendo alle centinaia di migliaia di persone che dalla sera del 20 novembre 2024 accedono – magari un po’ prevenuti – alla Galleria dei Re, curata da Johannes Auenmüller, Paolo Del Vesco, Alessandro Girardi, Cédric Gobeil, Federico Poole e Martina Terzoli.  sapendo che non avrebbero più trovato l’allestimento “hollywoodiano” di Dante Ferretti (del quale un po’ tutti ci eravamo innamorati) (vedi Torino. Al museo Egizio il presidente Mattarella col ministro Giuli apre i festeggiamenti per il bicentenario: consegnato alla città e all’Italia il tempio di Ellesiya e riaperta la Galleria dei Re che stupisce e convince anche i più prevenuti | archeologiavocidalpassato). Intesa Sanpaolo è main partner del riallestimento della Galleria dei Re, con il contributo di Alpitour World

A introdurre gli appassionati alla visita della “nuova” Galleria dei Re è il direttore del museo Egizio, Christian Greco. “La nuova Galleria dei Re”, spiega il direttore Christian Greco ad archeologiavocidalpassato.com, “è dall’oscurità alla luce: nel luogo in cui siamo che le finestre ci permettono di sbirciare all’interno, di sera si potrà passeggiare fuori e vedere dentro e – l’ho documentato – si vede il nostro Seti II, si vede Ptah, si vede Ramses II. E poi queste pareti in metallo che sono pareti di un materiale diverso che non vanno in contraddizione, in competizione con l’elemento materico della pietra, diafane, che permettono di specchiare ma non proprio. Ci fanno intravedere come fossero un eidolon (immagine) platonico una forma che noi cerchiamo di afferrare. Ci ricordano che noi il passato lo conosciamo per sineddoche, in modo granulare, e quello che è oltre le pareti è tutto ciò che noi abbiano perso, e con la ricerca dobbiano cercare di ricostruire. torino_egizio_nuova-galleria-dei-re_thutmosi-III_ramses-II_foto-graziano-tavan

Nuova Galleria dei Re al museo Egizio di Torino: per la prima volta le statue di Thitmosi III e Ramses II al centro (foto graziano tavan)

“E poi è la prima volta in 200 anni – continua Greco – che Thutmosi III e Ramses II sono posti al centro; che possiamo girare attorno a queste statue monumentali, che possiamo guardare il nostro Horemheb e Amon in tutto il loro splendore. C’è un elemento che ci fa capire perché andava cambiato: prima del riallestimento il colore del nostro Horemheb era questo (tassello grigio scuro, ndr), era praticamente nero, ma non lo si vedeva nell’oscurità. Adesso nella luce, l’abbiamo pulito, l’abbiano restaurato, è ritornato a risplendere e lo possiamo guardare negli occhi, e quasi ci sentiamo parte di questo mondo divino che si è abbassato e noi tra i grandi Re dell’antico Egitto finalmente possiamo camminare”.

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Galleria dei Re al museo Egizio di Torino: la statua di Ramses II e le grandi finestre riaperte (foto graziano tavan)

L’architettura originale dello statuario monumentale risalente al XVII secolo è stata completamente riportata a vista dallo Studio OMA – Office for Metropolitan Architecture, un ritorno alle origini che valorizza le volte e le alte finestre che caratterizzano lo spazio e che fa tornare visibili due importanti iscrizioni che celebrano i natali del Museo, entrambe fatte apporre nella seconda metà dell’Ottocento dall’allora ministro Luigi Cibrario, una in memoria di Bernardino Drovetti, il console francese che ha venduto a Carlo Felice di Savoia il primo nucleo di reperti del Museo, e l’altra in onore di Jean-François Champollion, colui che decifrò i geroglifici, diventando il padre dell’Egittologia, tra i primi a giungere a Torino per studiare la collezione Drovetti.

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Dettaglio della statua di Ramses II nella Galleria dei Re al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)

Sotto il profilo egittologico, visitare la Galleria dei Re è quasi un viaggio ideale all’interno di un antico tempio egizio. La posizione delle statue, non più su piedistalli, ma ribassate sul pavimento, richiama quella originale, che si nota nei cortili dei grandi templi dell’antico Egitto, dove le divinità e i faraoni, pur manifestando la propria ieraticità e autorevolezza, mantenevano uno stretto legame con i fedeli, un contatto vis-à-vis, come quello che avrà il pubblico del Museo con le statue della Galleria. La maggiore vicinanza dei visitatori alle statue permette loro di cogliere nuovi dettagli dei reperti, che prima non erano fruibili, come le iscrizioni geroglifiche sulla parte alta del trono della statua di Thutmosi I o come la parte posteriore del copricapo del sovrano Horemheb. Al centro della prima sala campeggia la statua di Ramesse II, attorno al quale ruotano tutte le altre dei faraoni, esposte per la prima volta in ordine cronologico. Jean-François Champollion, il padre dell’egittologia quando vide per la prima volta la statua a Torino ne rimase colpito e la definì l’Apollo del Belvedere egizio. In una lettera del 1824, Champollion scrive a proposito del Ramesse II, esposto a Torino: “ne sono innamorato e arriverò a Parigi con una buona copia in gesso dell’intero busto di questa statua. Vedrete allora se la mia passione non è legittima. La testa è divina, i piedi e le mani sono ammirevoli, il corpo è morbido; lo chiamo l’Apollo del Belvedere egizio”.

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Le statue delle dee Sekhmet e, in fondo, la statua colossale di Seti II nella Galleria dei Re al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)

Non sono solo i faraoni ad essere protagonisti della Galleria dei Re, ma anche le dee Sekhmet. Anche per le 21 statue delle Sekhmet si è puntato ad una ricontestualizzazione archeologica, ispirata al tempio funerario di Amenhotep III a Tebe, l’odierna Luxor, loro sito di provenienza. La serie di statue mette in evidenza la ritmicità seriale e al contempo, osservandole da vicino e immerse nella luce naturale, saltano all’occhio i dettagli che differenziano ogni statua. Nel nuovo riallestimento costituiscono davvero “Una litania monumentale di granito”, come recita il titolo di una delle più celebri pubblicazioni dedicate alle Sekhmet dell’egittologo francese Jean Yoyotte.

Torino. Il presidente Mattarella presenzierà alle celebrazioni del bicentenario del museo Egizio. Il direttore Greco annuncia interventi ed eventi: dalla sala Nefertari (9 agosto) alla Galleria “Materia. Forma del Tempo”, dalla consegna all’Italia del Tempio di Ellesiya (20 novembre) alla nuova Galleria dei Re, dalla piazza Egizia all’Egitto immersivo (2025)

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Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta gli interventi per il bicentenario (foto museo egizio)

Sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 20 novembre 2024 ad aprire ufficialmente la tre giorni di celebrazioni del bicentenario del museo Egizio di Torino (1824-2024). In realtà l’anno del bicentenario è già iniziato nell’ultimo scorcio del 2023 e continuerà per quasi tutto il 2025. A ripercorrere quanto già fatto e ad annunciare il grosso degli eventi che ci aspettano nei prossimi mesi è stato il direttore del museo Egizio Christian Greco.

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Galleria della Scrittura al museo Egizio di Torino: l’ingresso (foto graziano tavan)

Galleria della Scrittura. “Il bicentenario è già iniziato”, esordisce Greco, “e noi l’abbiamo iniziato il 19 dicembre 2023 aprendo la prima sala che è la Galleria della Scrittura: con la scrittura declinata in tutte le sue valenze” (vedi Torino. Al museo Egizio da oggi apre la Galleria della Scrittura, percorso permanente di mille metri quadrati che ospitano 248 reperti, un viaggio in 10 sezioni all’origine delle scritture dell’antico Egitto, a ritroso nel tempo di 4000 anni. L’intervento del direttore Greco per “archeologiavocidalpassato” | archeologiavocidalpassato). Il progetto espositivo della Galleria della Scrittura è stato firmato da tre curatori del Museo: Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Toepfer, quest’ultima responsabile della Papiroteca del Museo, che ospita una delle più significative collezioni di papiri al mondo.

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L’allestimento temporaneo “Verso la nuova Galleria dei Re” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

Verso la nuova Galleria dei Re. Per consentire il riallestimento della Galleria dei Re, le statue della Galleria dei Re sono protagoniste dal 23 aprile 2024 di un nuovo allestimento temporaneo nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze, dal titolo “Verso la nuova Galleria dei Re” (vedi Torino. Al museo Egizio, nell’anno del bicentenario, avviato il riallestimento della Galleria dei Re: fino a ottobre le statue di dei e faraoni sono spostate nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze. L’esposizione “Verso la nuova Galleria dei Re” ricorda il loro arrivo, 200 anni fa, con la collezione Drovetti | archeologiavocidalpassato). L’esposizione, frutto della collaborazione tra le due istituzioni, offrirà fino a ottobre 2024 ai visitatori una suggestione dell’origine del museo, 200 anni fa, quando arrivarono a Torino le grandi sculture di faraoni e divinità. Nel 1823 queste, infatti, assieme a migliaia di reperti della collezione Drovetti, varcarono la soglia del palazzo barocco che oggi ospita il museo Egizio e l’Accademia delle Scienze e furono sistemate al piano terreno e nella corte. Un anno dopo nacque a Torino il primo museo Egizio al mondo.

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Una delle sale dello statuario con l’allestimento di Dante Ferretti, per le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 (foto museo egizio)

“Il primo ripensamento – spiega Greco – è stato innanzitutto il basamento, perché forse tutti noi siamo sempre stati colpiti da quell’immagine che ci ha regalato Dante Ferretti, che venne in aiuto del museo nell’anno delle Olimpiadi (2006), arrivavano le delegazioni straniere, non c’erano soldi per rifare il museo, e quindi bisognava regalare un sogno. E questo sogno ce l’ha regalato, che era l’Egitto di Hollywood che rimarrà nella memoria di tutti, ed è documentato sul nostro sito. Però forse – continua – ci siamo dimenticati a essere una relazione intima con le statue a vederle. Oggi le vediamo tutte ribassate, e riusciamo finalmente a vederne i volti”. “Quando ho deciso al progetto della nuova Galleria dei Re– confessa Greco – ho pensato che questo sarà il mio licenziamento! Perché tutti adoravano la Galleria dei Re e in genere un direttore deve venire incontro a quello che vuole il visitatore e invece noi l’abbiamo cambiata”. Il progetto si chiama “Dall’oscurità alla luce”: “Queto è il concetto fondamentale: l’Egitto che torna con la sua luce. Già oggi al tramonto le Sekhmet acquistano una luce particolare che sembra davvero di rivederle nelle loro corti in Egitto”.

torino_egizio_giardini-egizi-l-orto-e-il-giardino-funerario_locandinaGiardino funerario e orto. “Il 1° maggio 2024 abbiamo aperto un piccolo giardino funerario” (vedi Torino. Al museo Egizio apre al pubblico un nuovo allestimento permanente “Giardini egizi: l’orto e il giardino funerario” | archeologiavocidalpassato). “Quello del museo Egizio – spiega Greco – riproduce il giardino funerario proposto nel Djehuty Project dal professor José Manuel Galán, ritrovato difronte a due tombe del Medio Regno (1991-1965 a.C.): una specie di griglia fatta in argilla rialzata con piante messe a dimora dentro questi cubi di terra e utilizzate nei rituali funerari. È l’ultimo omaggio a quelle persone che sotto quella sala riposano perché le mummie sono persone che riposano e mai avrebbero immaginato di essere oggi a Torino e che in quel giardino ritrovano uno degli elementi del paesaggio che hanno perso”. Dall’altra parte c’è un tipico orto così come viene rappresentato in una tomba di Beni Hasan, anch’esso realizzato con una specie di griglia dove si portava l’acqua a mano perché le piante sui diversi terrazzamenti potessero essere annaffiate.

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La sala immersiva delle Gallerie d’Italia di Torino con la video-installazione “Paesaggi/Landscapes” (foto graziano tavan)

Paesaggi / Landscapes. “Paesaggi/Landscapes” è l’installazione immersiva, che dal 13 giugno al 12 settembre 2024 si può vedere gratuitamente, al mattino, alle Gallerie d’Italia di Torino, parte del progetto culturale ideato dal museo Egizio in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto. A corollario della video-installazione, e in concomitanza della chiusura del museo Egizio (17 giugno – 12 luglio 2024) per i lavori di copertura del cortile barocco, c’è stato un ciclo di dialoghi a ingresso libero che metterà a confronto fotografi, artisti ed egittologi saranno i protagonisti di “Paesaggi/Landscapes” (vedi Torino. Alle Gallerie d’Italia la video-installazione immersiva “Paesaggi/Landscapes”, progetto culturale ideato dal museo Egizio – in partnership con Intesa Sanpaolo – in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto: anticipazione di ciò che i visitatori del museo Egizio potranno sperimentare con “Egitto immersivo” nel 2025 | archeologiavocidalpassato). “È un primo assaggio di quello che vogliamo sia l’Egitto immersivo che vedremo nel 2025”, sottolinea Greco, “ovvero 200 anni dopo la nascita del museo Egizio ci siamo interrogati e ci siamo chiesti: cosa manca al museo Egizio? L’Egitto. E l’ambiente un po’ lo ricreiamo con il giardino e un po’ con un Egitto immersivo, ovvero cercando di far capire come il paesaggio sia un palinsesto in cui l’elemento antropico ha operato cercando di ricostruire il paesaggio”.

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Il direttore Greco presenta il manifesto che annuncia l’apertura della sala Nefertari al museo Egizio (foto museo egizio)

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La locandina della mostra “Queen Nefertari: eternal Egypt” al Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City

Nefertari. Il primo appuntamento del bicentenario è il 9 agosto 2024. Innanzitutto alla sera il museo Egizio avrà l’onore di ospitare il prof. Tarek Tawfik, presidente dell’associazione internazionale degli Egittologi, che parlerà su “La tomba di Nefertari. Incontro con la regina”, In occasione dell’inaugurazione della nuova sala del museo Egizio per il corredo della tomba della regina Nefertari, scoperta 120 anni fa da Ernesto Schiaparelli durante gli scavi della Missione Archeologica Italiana, tra 1903 e 1905. Nefertari, la sposa di Ramses II non si vede al museo Egizio da 8 anni. Ha fatto parte di una mostra itinerante che ha toccato prima l’Ermitage di San Pietroburgo, facendo 2 milioni e mezzo di visitatori (vedi “Nefertari e la Valle delle Regine. Dal museo Egizio di Torino”: all’Ermitage in mostra i capolavori conservati nella città sabauda parte delle ricche collezioni Drovetti e Schiaparelli | archeologiavocidalpassato), poi è andata a Leiden (vedi Il corredo della tomba di Nefertari del museo Egizio di Torino star della mostra “Le Regine del Nilo” a Leiden, in Olanda, prima esposizione temporanea all’estero del direttore Greco | archeologiavocidalpassato), quindi è approdata negli Stati Uniti (vedi Usa. Nonostante il contesto internazionale condizionato dalla pandemia, terza tappa nordamericana della mostra “Le Regine del Nilo” con 250 reperti del museo Egizio di Torino. Al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) proposto un nuovo allestimento dal titolo “Queen Nefertari’s Egypt”. Il direttore Greco: “Seguite tutte le operazioni di allestimento da remoto” | archeologiavocidalpassato) e in Canada (vedi Apre al Canadian Museum of History di Gatineau (Ottawa, Québec) la mostra “Queens of Egypt”, con 250 reperti del museo Egizio di Torino: dopo Kansas City e Fort Worth in Texas, i reperti delle collezioni torinesi proseguono il viaggio in Nord America e arrivano in Canada | archeologiavocidalpassato) per 5 anni. Dal 1° agosto 2024 la città di Torino è tappezzata col manifesto che riproduce uno degli oggetti più belli della Tomba di Nefertari, il Pilastro Djed-Zed. Sono state recuperate le vetrine volute da Schiaparelli arricchite da foto che ci riportano alla Valle delle Regine di inizio Novecento.

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Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta la nuova galleria “Materia. Forma del Tempo” (foto museo egizio)

Galleria “Materia. Forma del Tempo”. “Un museo deve mettere al centro la materia: ecco quindi una serie di nuove biblioteche che verranno aperte in questa sala – anticipa Greco -. “La biblioteca dei legni: quali legni erano conosciuti nell’Antico Egitto? Quali pigmenti erano conosciuti? Perché i legni sono fondamentali e ci permettono all’interno dell’archeologia di datare, e quindi impareremo a cosa serve la Dendrocronologia. E poi la biblioteca della ceramica per rendere visibile quello che è l’elemento portante in archeologia: senza la ceramica noi non possiamo datare i vari strati. Sono 5600 vasi del museo Egizio che non sono mai stati esposti nella loro totalità, verranno presentati in un vetrinone che come una libreria. Ci sarà una scala che porta al secondo piano per poter vedere tutti i vasi in sequenza, ordinati per topografia – quindi nei luoghi in cui sono stati trovati – e poi in ordine cronologico. E in questo siamo precursori a livello internazionale”.

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Il tempio di Ellesiya ricostruito nelle sale del museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)

Tempio di Ellesiya. Il 20 novembre 2024 arriverà al museo Egizio il presidente Mattarella. “Per noi è molto importante che venga il presidente – sottolinea Greco – perché il presidente rappresenta tutti, rappresenta l’unità del nostro Paese. E noi restituiremo al presidente per restituirlo all’Italia il Tempio di Ellesiya, donato dal presidente Nasser all’Italia. Però c’era una cosa che doveva essere portata a termine del progetto iniziato da Silvio Curto: restituire questo tempio alla nazione. Il tempio non è del museo Egizio, il tempio è stato donato all’Italia. Ci sono stati altri tre Paesi che hanno ricevuto un tempio: gli Stati Uniti, i Paesi Bassi e la Spagna. La Spagna ha optato per l’esposizione in un parco, il Metropolitan ce l’ha all’interno del Met ma c’è un cubo di vetro che permette a chi è a Central Park di vedere all’interno, a Leiden si decise di coprire una piazza per rendere questo tempio fruibile. Noi stiamo per avviare i lavori per aprire una porta su via Duse e il tempio sarà fruibile gratuitamente per tutti. Lo consegneremo al Presidente della Repubblica, e dopo, nel pomeriggio del 20 novembre, apriremo il museo fino alle 21 per la comunità scientifica nazionale e internazionale. E poi fino alle 2 di notte avremo una prima notte bianca gratuita. La gratuità e la restituzione a Torino del museo Egizio continueranno poi il 21 e il 22 novembre in un festival di tre giorni che sarà per restituire a tutti il museo che è di tutti. E voglio che sia una festa che coinvolgerà tutti, voglio coinvolgere l’università, il Politecnico, voglio che vengano i giovani e che capiscano che questo museo in primis è loro”.

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Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta gli allestimenti multimediali al Tempio di Ellesiya (foto museo egizio)

Il tempio di Ellesiya sarà raccontato. “Ci saranno due modalità in cui il tempio verrà raccontato”, spiega Greco. “Ci sarà un video-mapping sulle superfici del tempio che ci racconterà le varie parti del tempio e poi ci sarà una proiezione che darà una spiegazione invece sulla storia del museo.  Una storia – continua Greco – che ci permette di nuovo di raccontare, di declinare una memoria sotto una valenza diversa, perché non esiste una memoria unica. In archeologia si deve dimenticare la parola identità. Non esistono identità, esistono caratteristiche diverse, esistono ibridazioni, e non si può pensare che ci sia un qualcosa di unico, un bianco e un nero, ma ci sono diverse gradazioni”.

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Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta il nuovo allestimento della Galleria dei Re (foto museo egizio)

Galleria dei Re. “Innanzitutto recuperiamo l’ingresso monumentale Museum – spiega Greco – con una porta in legno bellissima arricchita di elementi esoterici che ci testimonia anche il sentire di Torino di fine ‘800. Si rivede la volta, si rivedono le due lapidi, una che ci ricorda di Drovetti e l’altra in lettere d’oro che ci ricorda della visita di Jean-Françoise Champollion, e che finalmente saranno esposte. Cambia la concezione: finestre aperte sulla corte interna, finestre aperte su piazza Carignano e luce. Le statue sono tutte abbassate e saranno in un contatto molto più intimo. Da metà piazza Carignano guardando verso il museo, con le luci accese, di sera si riuscirà a vedere le statue all’interno. La statua di Seti II sarà nella luce, con una parete dietro graficata che ci farà vedere da dove lui arriva perché lo sforzo di contestualizzazione lo faremo anche qui. La statua di Seti II è stata trovata difronte alla cappella di Seti II nel gran cortile del Tempio di Karnak. appena si entra dalla porta monumentale di Nectanebo I immediatamente a Nord c’è il suo fratello gemello che si trova al Louvre – il nostro però è più bello – e quindi finalmente ci sarà questo tentativo di contestualizzazione. Lo stesso avverrà con le Sfingi, esposte in una maniera diversa. Non più che guardano il pubblico ma che si guardano loro e che dovranno in prospettiva anche ricordare quel dromos che collegava il tempio di Karnak e il tempio di Luxor”.

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Bicentenario museo Egizio: rendering della piazza Egizia, veduta zenitale (foto OMA Rotterdam)

Piazza Egizia. Per consentire tutti i singoli interventi è stato necessario coprire la corte, attraverso un bando internazionale cui hanno partecipato 38 progetti da 34 Paesi. È stato scelto un progetto olandese (vedi Torino. Per le celebrazioni del bicentenario il museo Egizio cambia volto e si apre alla città: il cortile diventa la Piazza Egizia, urbana e coperta con accesso libero al tempio di Ellesija. Ecco i dettagli del progetto dello studio OMA di Rotterdam vincitore del concorso internazionale indetto dalla Compagnia di San Paolo | archeologiavocidalpassato). È una copertura leggera e completamente reversibile, perché non entra nelle pareti e quindi si potrà togliere in qualsiasi momento. È in vetro e acciaio che nell’ottica degli architetti ricorda quella che doveva essere la griglia di scavo. “Questo ci permetterà di avere una piazza”, spiega Greco, “dove avverranno una serie di cose. Ma la piazza con tutti i servizi annessi non sarà pronta per novembre, quando verrà il Presidente della Repubblica, ma sarà completata tra giugno e settembre 2025”. InfoPoint. Nel 2025 ci sarà un infopoint condiviso che sarà museo Egizio e Accademia delle Scienze, “perché il valore è che questo museo continua a essere all’interno di questo palazzo dove l’Accademia delle Scienze ha avuto il primo curatorio dove l’Accademia delle Scienze ancora c’è e dove insieme accoglieremo il pubblico per dire qui c’è un luogo congiunto e ci sono delle cose che si possono fare. Il mio sogno è di poter unire un giorno il patrimonio tangibile e intangibile, Accademia delle Scienze e museo Egizio per tentare assieme di valorizzare questo, quindi non solo le collezioni ma anche il palazzo in cui sono i saperi che si sono accumulati per cercare di far partecipare il museo Egizio a una candidatura Unesco.

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Progetto OMA per il museo Egizio di Torino: rendering del bookshop accessibile dalla piazza Egizia (foto OMA Rotterdam)

La copertura della piazza ci ha permesso finalmente di stamponare le arcate del portico che è il portico di un palazzo barocco, così da poter percepire questa idea di interno ed esterno. Ci sarà la libreria, ricordando un po’ i portici di carta di Torino, prima di entrare nella Galleria dei Re. Questa piazza diventerà un luogo in cui chi entra, un po’ in piccolo date le nostre dimensioni, possa decidere dove andare. Si può andare al Tempio di Ellesiya, che è gratuito; si può andare sotto, nell’Egitto immersivo, che è gratuito; si può andare alla Galleria dei Re, o alla Galleria Materia Forma del Tempo; oppure prendere la scala mobile, raggiungere il secondo piano e cominciare il percorso cronologico. Quindi un museo che diventa molto più permeabili”. Continua Greco: “Toglieremo finalmente la scala mobile che porta adesso nell’ipogeo, perché oggi questa scala mobile oscura completamente il muro romano. La nuova scala, molto più leggera, utilizzabile anche per piccole conferenze, permetterà di far vedere tutto il muro romano su cui è costruito tutto l’edificio”.

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Progetto OMA: rendering del giardino Egizio al livello -1 della piazza Egizia del museo Egizio di Torino (foto OMA Rotterdam)

Giardino egizio ed Egitto immersivo. Sarà pronto nel 2025. “In molte tombe tebane del Nuovo Regno – riprende Greco – il giardino viene rappresentato come un luogo in cui soggiornare. Così noi ricreeremo un giardino antico egizio e questo giardino è una parte della ricostruzione del paesaggio, perché dal giardino si entrerà in quello che è l’Egitto immersivo. Qui non saranno solo immagini, ma ci saranno anche reperti esposti vicino al loro paesaggio. E lì accanto c’è la sezione della Storia del Museo, anche questa gratuita. È il passato e il futuro del museo in dialogo tra loro”.

Torino. Al museo Egizio, nell’anno del bicentenario, avviato il riallestimento della Galleria dei Re: fino a ottobre le statue di dei e faraoni sono spostate nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze. L’esposizione “Verso la nuova Galleria dei Re” ricorda il loro arrivo, 200 anni fa, con la collezione Drovetti

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Lo spostamento delle statue degli dei e dei faraoni dalla Galleria dei re nell’atrio e sotto le arcate del museo (foto museo egizio)

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Una delle sale dello statuario con l’allestimento di Dante Ferretti, per le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 (foto museo egizio)

torino_egizio_verso-la-nuova-galleria-dei-re_locandinaLe statue di dei e faraoni della Galleria dei Re del museo Egizio di Torino in questi giorni hanno lasciato la loro sede, un po’ la loro casa, quella dove il pubblico ha imparato a riconoscerli e ad “amarli” soprattutto in quello che doveva essere un allestimento temporaneo realizzato dal premio oscar Dante Ferretti in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Temporaneo, si diceva. Quasi vent’anni dopo, proprio nell’anno del Bicentenario del museo Egizio, è arrivato il momento di affrontare il nuovo allestimento. Così, per consentire i lavori, le statue della Galleria dei Re sono protagoniste dal 23 aprile 2024 di un nuovo allestimento temporaneo nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze, dal titolo “Verso la nuova Galleria dei Re”. L’esposizione, frutto della collaborazione tra le due istituzioni, offrirà fino a ottobre 2024 ai visitatori una suggestione dell’origine del museo, 200 anni fa, quando arrivarono a Torino le grandi sculture di faraoni e divinità. Nel 1823 queste, infatti, assieme a migliaia di reperti della collezione Drovetti, varcarono la soglia del palazzo barocco che oggi ospita il museo Egizio e l’Accademia delle Scienze e furono sistemate al piano terreno e nella corte. Un anno dopo nacque a Torino il primo museo Egizio al mondo.

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Quadro di Marco Nicolosino rappresentante lo statuario intorno al 1830 nella sala a sinistra del cortile, prima del suo trasferimento nelle attuali sale. museo Egizio (foto museo egizio)

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L’allestimento temporaneo “Verso la nuova Galleria dei Re” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

L’allestimento richiama la posizione originale delle statue nei cortili dei grandi templi dell’antico Egitto, dove le divinità e i faraoni, pur manifestando la propria ieraticità e autorevolezza, mantenevano uno stretto legame con i fedeli. In questo nuovo allestimento il visitatore potrà cogliere dettagli dei reperti, che prima non erano fruibili, come le iscrizioni geroglifiche sulla parte alta del trono della statua di Tutmosi I o come la parte posteriore del copricapo del sovrano Horemheb o il suo naso, che da lontano dà la falsa impressione di essere all’insù a causa di un restauro ottocentesco. La maggiore vicinanza alle statue permette al visitatore di fruirle meglio, senza nulla togliere alla loro imponenza. Da 200 anni museo Egizio e Accademia delle Scienze condividono il palazzo barocco già Collegio dei Nobili, intrecciano attività, iniziative, studi e ricerche; condividono uomini e studiosi, da Bernardino Drovetti a Jean François Champollion e persino alcuni direttori dell’Egizio: da Ernesto Schiaparelli a Silvio Curto, ma soprattutto sono chiamati insieme a mantenere e valorizzare un patrimonio di collezioni e di storia.

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Una delle sale dello statuario all’epoca della direzione di Ernesto Schiaparelli, a inizio ‘900 (foto museo egizio)

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Una delle sale dello statuario all’epoca della direzione di Anna Maria Donadoni-Roveri, anni ‘90 – inizio Duemila (foto museo egizio)

La mostra è l’occasione per fare il punto sull’evoluzione degli allestimenti delle statue al Museo in due secoli di storia e per riportare l’attenzione sui documenti ottocenteschi originali, di una delle collezioni egittologiche più importanti al mondo, custoditi e visibili al Museo e all’Accademia delle Scienze. Raffigurazioni, pitture e foto storiche, lungo il percorso espositivo, richiamano i momenti salienti della collezione di reperti monumentali. All’Accademia sono invece conservate alcune lettere del padre dell’egittologia Jean François Champollion, i carnet di viaggio di Carlo Vidua e altri documenti, che ci hanno permesso di ricostruire l’intreccio di vicende e personaggi storici e accademici che contribuirono a dare i natali al museo Egizio. Un primo catalogo manoscritto che riporta l’inventario della collezione venduta dal console generale di Francia Bernardino Drovetti (1776-1852), socio dell’Accademia delle Scienze, a Carlo Felice di Savoia, per la cifra da capogiro per l’epoca di 400mila lire è conservato in duplice copia al museo Egizio e all’Accademia delle Scienze e riporta suddivisi per materiale più di 8300 reperti, di cui 3007 tra medaglie e monete.

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L’allestimento temporaneo “Verso la nuova Galleria dei Re” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

“Questo allestimento permette finalmente di guardare in viso le statue”, dichiarano la presidente del museo Egizio, Evelina Christillin e il direttore, Christian Greco. “Si coglie il loro valore storico artistico, si notano dettagli fino ad oggi preclusi alla vista a causa del posizionamento su alti piedistalli. Al pomeriggio quando il sole lambisce le Sekhmet penetrando tra le arcate del portico del museo Egizio, esse sembrano tornare alla loro collocazione originaria nel tempio funerario di Amenhotep III a Tebe, l’odierna Luxor. Si nota la ritmicità seriale e al contempo, osservandole da vicino e immerse nella luce naturale, si possono scrutare i dettagli e la resa dissimile di ciascuna. Costituiscono davvero, come afferma il professor Jean Yoyotte, una splendida litania di pietra”.

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Incisione di Giuseppe Chiappori di una delle sale dello statuario nel 1851, all’epoca della direzione di Francesco Barucchi (da Stefani e Mondo, Torino e Suoi Dintorni, 1852) (foto museo egizio)

“In occasione dell’allestimento temporaneo della Galleria dei Re”, sottolinea Massimo Mori, presidente dell’Accademia delle Scienze, “abbiamo pensato di condividere i documenti originali che hanno dato vita al Museo come valore aggiunto per meglio comprendere il clima di grande fermento che in quegli anni caratterizzava la vita culturale e intellettuale di Torino: in particolare, l’intervento degli Accademici, mossi da interesse di studio scientifico, è stato fondamentale nel determinare l’arrivo dell’Egitto a Torino. Infatti, all’Accademia non soltanto è custodito il Catalogue originale, ossia l’inventario del fondo Drovetti, ma è conservato tutto il fondo archivistico di Bernardino Drovetti. Si possono inoltre consultare le lettere della corrispondenza di Drovetti, Champollion, Vidua e di altri grandi studiosi dell’egittologia. Si può osservare la copia della monumentale opera Description de l’Égypte raccolta di tavole disegnate tra il 1809 e il 1829 con le indicazioni di tutte le aree di scavo e con la riproduzione a colori dei geroglifici su cui Champollion si formò prima di recarsi in Egitto per la prima volta”.

torino_accademia-delle-scienze_video-il-grande-viaggio_collezione-drovetti_presentazione_locandina“L’Accademia delle Scienze sempre più, nel futuro, si vede come un luogo aperto al confronto sui temi scientifici e umanistici di attualità che attraversano la società contemporanea”, dichiara il direttore Chiara Mancinelli, “e siamo consapevoli che per diffondere e condividere i nostri contenuti culturali sia necessario un cambio di linguaggio, di comunicazione e di interazione con il pubblico senza snaturare la vocazione di studio dell’Accademia. Proprio per questo motivo abbiamo prodotto e dedicato a Bernardino Drovetti il primo di una serie di documentari dedicati alle storie che l’Accademia può raccontare (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2023/12/13/torino-allaccademia-delle-scienze-presentazione-del-documentario-il-grande-viaggio-di-giulio-cavallini-sulla-collezione-drovetti-acquistata-dai-savoia-che-avrebbe-creato-il-museo-egiz/). Il grande viaggio è disponibile sul nostro canale YouTube, che conta oggi più di 12.000 iscritti e 1 milione e mezzo di visualizzazioni, affinché l’accessibilità alla conoscenza sia garantita a un vasto pubblico. L’Accademia ha anche lanciato due serie podcast dal titolo La scienza, che storia! che hanno riscontrato grande consenso anche tra i più giovani. Si organizzano poi annualmente molti appuntamenti di divulgazione scientifica gratuiti aperti al pubblico su temi di attualità, approfonditi da studiosi, ricercatori e accademici”.

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Il diplomatico Bernardino Drovetti da Barbania (To) (foto museo Egizio)

Originario di Barbania, nel Canavese, Bernardino Drovetti (1776-1852) intraprende la carriera politica e diplomatica dapprima a Torino durante gli anni della Rivoluzione francese, poi, dal 1803 in Egitto, dove opera per il corpo diplomatico francese. Viene nominato Console di Francia nel 1811. In questi anni comincia ad avvicinarsi alle antichità egizie. Grazie anche ai permessi concessi da Mohamed Ali, viceré d’Egitto, avvia una serie di scavi lungo il Nilo al fine di riunire una propria collezione. Questo periodo, denominato “l’età d’oro dei consoli”, vede diversi diplomatici europei competere per acquisire il maggior numero di antichità, da vendere poi ai grandi musei d’Europa. Negli anni della sua permanenza in Egitto, Drovetti riunisce una prima importante collezione di antichità che vende poi nel 1824 ai Savoia. Nell’area del grande tempio di Amon a Karnak (Luxor) dove, a partire dal 1811, Drovetti e i suoi collaboratori riunirono statue di divinità e sovrani, risalenti principalmente al Nuovo Regno (1539-1076 a.C.).

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Bernardino Drovetti, al centro, tra le rovine di Tebe nel 1818 (foto museo egizio)

All’inizio del 1820 Bernardino Drovetti incontra al Cairo un viaggiatore e collezionista piemontese, il conte Carlo Vidua (1785-1830). Questo incontro favorisce la riuscita dell’affaire Drovetti, l’arrivo a Torino di una collezione egizia che avrebbe segnato la nascita del museo Egizio. Senza la lungimiranza e la tenacia del giovane conte di Conzano, le antichità di Drovetti sarebbero finite probabilmente in un’altra e più importante capitale europea. “Desidero, che i forestieri non possano più dire: Turin est une ville fort jolie, fort régulière, mais il n’y a presque rien à voir (Torino è una città molto carina, molto regolare, ma non c’è quasi nulla da vedere)”, scriveva Vidua all’epoca.

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Giulio Cordero di San Quintino da Mondovì (Cuneo) (foto museo egizio)

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La statua monumentale di Seti II al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

Vittorio Emanuele I di Savoia, spinto da diversi esponenti dell’élite culturale sabauda, anche rappresentata dai Soci dell’Accademia delle Scienze, mostra un interesse già nel 1820, anno in cui è datata la decisione sovrana di acquisto della collezione in favore dell’università di Torino. I moti del 1821, il cambio del re e dei ministri e la distanza geografica con l’Egitto rallentano l’intera procedura di acquisto e soltanto alla fine del 1823 i primi carri colmi di antichità arrivano a Torino. Dopo aver eseguito il primo riscontro inventariale della collezione a Livorno, Giulio Cordero di San Quintino si occupa del trasporto delle antichità a Torino. I reperti, dopo essere stati imbarcati da Livorno a Genova, vengono trasportati a Torino su carri d’artiglieria, in parte forniti dall’Arsenale Militare, trainati da buoi e cavalli da tiro. San Quintino affronta non poche difficoltà a causa dello stato delle strade in terra battuta e del peso delle antichità: il gigantesco colosso di Seti II viene issato su un carro costruito appositamente e trainato da 16 cavalli da tiro.

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Appunti autografi di Jean-François Champollion conservati al museo Egizio di Torino ed esposti nella mostra “Champollion e Torino” (foto museo egizio)

Non possediamo la data ufficiale dell’apertura del museo Egizio, sappiamo però che nei primi allestimenti le statue sono sistemate in una grande sala al piano terreno, in cortile e in una manica dell’arcata del palazzo. E sappiamo che nel 1824 per ammirare la collezione Drovetti giunse a Torino Jean-François Champollion, il padre dell’egittologia, colui che decifrò i geroglifici. “Questa è cosa stupenda!” esclama entrando per la prima al Collegio dei Nobili. Invitato a Torino dall’Accademia delle Scienze, Champollion per quasi nove mesi studia senza tregua tantissimi reperti e papiri del museo Egizio, che costituiscono per lui la prima vera possibilità di entrare in contatto diretto con i geroglifici. Torino ormai si avvia a diventare una delle capitali mondiali dell’egittologia, come certifica la frase di Champollion: “La strada per Menfi e Tebe, passa da Torino”.