Bologna. Al museo civico Archeologico il ritorno delle due mummie dalla mostra di Bolzano è occasione per un approfondimento del progetto “Mummies. Il passato svelato” con tre incontri sul loro studio diagnostico e sul loro restauro conservativo

La mummia di donna col sudario dipinto al rientro al museo civico Archeologico di Bologna: da destra a sinistra, Paola Giovetti, direttrice del museo Archeologico; Eva Degl’Innocenti, direttrice del Settore Musei Civici Bologna; Daniela Picchi, responsabile della Collezione egiziana del museo e Elena Cané, restauratrice del museo (foto bologna musei)
Le mummie sono tornate a casa. E il museo civico Archeologico di Bologna apre un nuovo capitolo per la valorizzazione di una parte importante della propria collezione egizia. La due mummie – la mummia di donna con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche – sono state esposte nella mostra “Mummies. Il passato svelato”, organizzata al NOI Teck Park di Bolzano dal 2 settembre al 20 ottobre 2022, nell’ambito del 10th World Congress on Mummy Studies (WMC 2022). Ora, in occasione del loro ritorno a Bologna, il museo civico Archeologico promuove un ciclo di conferenze per condividere con un pubblico più ampio di quello specialistico i risultati dell’importante lavoro interdisciplinare condotto con numerose e prestigiose collaborazioni, in cui sarà possibile ripercorrere la storia di due antichi egiziani e il loro viaggio per giungere fino a oggi. Seguendo il filo di trama e ordito saranno svelate anche altre storie di restauri e tessuti antichi. Tre gli incontri previsti, a ingresso gratuito, nella Sala Risorgimento del museo. Si inizia sabato 18 marzo 2023, alle 17, Irene Tomedi (Accademia Tessile Europea di Bolzano) su “Conservare tessuti antichi: dalla Sacra Sindone alle tuniche egiziane”; seguono sabato 25 marzo 2023, alle 17, Daniela Picchi (museo civico Archeologico di Bologna), Alice Paladin e Marco Samadelli (Eurac Research) su “Storia di una ‘bella’ egiziana da Tebe Ovest”; chiudono sabato 1° aprile 2023, alle 17, Paola Buscaglia e Roberta Genta (Centro di Restauro e Conservazione “La Venaria Reale”) su “Implicazioni etiche e metodologiche nel restauro di una mummia con sudario dipinto”.

Bologna, museo civico Archeologico: tomografia assiale computerizzata della mummia con il sudario dipinto (foto Paolo Bondielli e Marcello Garbagnati MediterraneoAntico)
Grazie a una proficua collaborazione scientifica avviata nel 2019 con l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano, è stato possibile realizzare l’articolato progetto “Mummies. Il passato svelato” finalizzato alle indagini diagnostiche e al trattamento conservativo di due rare mummie umane custodite nei magazzini del museo dalla fine degli anni Settanta: la mummia con il sudario dipinto e la mummia di fanciullo con tre tuniche, appartenenti rispettivamente alle collezioni formate dall’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) e da Federico Amici (1828-1907), che ricoprì importanti incarichi in Egitto per conto del Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Lo studio antropologico e paleopatologico delle due mummie è stato condotto dall’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, presso il quale è stato eseguito l’esame tomografico computerizzato utile per ricostruire il profilo biologico dei due individui. Dopo essere stata affidata alle cure del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, la mummia con il sudario riccamente dipinto, appartenuta a una donna vissuta in epoca romana (I-II sec. d.C.), torna ora ad essere esposta in via permanente nella Sezione Egizia del museo. La sua restituzione alla comunità scientifica e alla fruizione pubblica riveste un carattere di eccezionale interesse storico: sono solo due al mondo i resti umani mummificati ancora avvolti in sudari integri di questo tipo e di questa epoca. L’intervento conservativo che ha interessato la seconda, non meno rara, mummia di un fanciullo accuratamente avvolto in tre tuniche, databile all’Egitto Medievale (XIII sec. d.C.), è stato invece svolto dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi dell’Accademia Tessile Europea di Bolzano, già nota per il restauro della Sacra Sindone. In entrambi i casi, gli interventi conservativi sono stati eseguiti in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa.
Il tema complesso dell’esposizione delle mummie, e delle relative implicazioni in ambito etico, museologico e giuridico, è oggetto di un irrisolto dibattito. All’esigenza di una cura ed esposizione doverosamente rispettosa dei resti umani, prevista anche dal codice etico dei musei (ICOM), si contrappongono spesso la sovraesposizione mediatica o l’abbandono nei magazzini per difficoltà emotive d’interazione o per un rifiuto ideologico. Il progetto “Mummies. Il passato svelato” supera tali contraddizioni mettendo al centro la dignità dell’individuo e quindi dell’esposizione dei resti umani, che è possibile solo in particolari condizioni. Lo studio antropologico e paleopatologico, l’analisi e il trattamento conservativo dei tessuti hanno permesso di far luce sulla vita di due antichi Egiziani, restituendo loro l’identità perduta e rendendoli testimoni di una storia millenaria che merita di essere conosciuta.

Bologna, museo civico Archeologico: mummia con il sudario dipinto, lato fronte dopo il restauro conservativo (foto CCR Venaria)
La mummia con il sudario dipinto. La maggior parte delle mummie egizie conservate nel museo civico Archeologico di Bologna apparteneva alla collezione dell’artista bolognese Pelagio Palagi (1775-1860). Tra il 1825 e il 1845 Palagi acquistò oltre tremila antichità egizie che poi offrì a un prezzo agevolato alla sua città natale tramite lascito testamentario. Palagi acquistò la mummia con il sudario dipinto assieme a un migliaio di altri oggetti nel 1831 da Giuseppe Nizzoli, già cancelliere del consolato austriaco in Egitto. Nel Catalogo Dettagliato della Raccolta di Antichità Egizie riunite da Giuseppe Nizzoli, pubblicato ad Alessandria d’Egitto nel 1827, si trova una descrizione utile a comprendere il contesto archeologico di provenienza di questa mummia: “Una mummia di stile greco (senza cassa, perché così ritrovata nelle tombe, con altre in fila) tutta piena di bende con pitture curiosissime, e di un genere tutto differente”. Dopo la morte di Palagi, la mummia e le altre antichità egizie furono trasferite dalla sua casa-museo di Milano a Bologna, dove furono poi esposte a Palazzo Galvani, attuale sede del museo civico Archeologico.

Bologna, museo civico Archeologico: una fase della spettrofotometria XRF della mummia con il sudario dipinto (foto CCR Venaria)
La mummia femminile con il sudario dipinto è di tipologia rarissima, in quanto ancora ricoperta da un raffinato sudario dipinto che riproduce idealmente i tratti della defunta. Il volto è incorniciato da una lunga chioma nera che termina in folti riccioli ed è trattenuta da una fascia bianca con decorazioni geometriche sulla fronte. Le orecchie, il collo, le braccia e le mani sono impreziosite da gioielli. Ai lati del corpo sono dipinti, dall’alto in basso, due lamentatrici funebri, due urei, gli amuleti djed e tit, due grandi mazzi di fiori di loto. La parte posteriore del sudario non è perfettamente visibile perché coperta dalla resina che lo fissa al corpo. Le indagini diagnostiche, svolte in collaborazione con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola, sembrano confermare la provenienza della mummia da una necropoli tebana – il fango trovato sul dorso della mummia ha caratteristiche attribuibili a quell’area – e datano tutti i tessuti – sudario e bende interne – al I-II secolo d.C. Inoltre, la caratterizzazione dei materiali utilizzati per decorare il sudario ha confermato la presenza di sostanze documentate in epoca romana. Anche lo stile pittorico del sudario può essere ricondotto allo stesso periodo storico (I-II secolo d.C.), come dimostra la sua somiglianza con le mummie e i sarcofaghi appartenenti ai membri della famiglia Soter (53-117 d.C.). Il sudario di Bologna non appartiene necessariamente allo stesso contesto archeologico, ma è tipologia paragonabile a quelli del gruppo Soter (53-117 d.C.), la cui tomba è presumibilmente da identificarsi con la TT32 nella necropoli tebana di El-Khokha. A questo gruppo appartiene la mummia di Cleopatra II, figlia di Soter, ora conservata al British Museum, che è l’unica altra mummia dell’epoca con sudario ancora avvolto attorno al corpo.

Bologna. museo civico Archeologico: fasi del restauro conservativo della mummia col sudario dipinto (foto CCR venaria)
La mummia di Bologna appartiene a una donna, alta circa 153 centimetri, che al momento della morte poteva avere 35-45 anni. L’analisi non ha evidenziato un’unica causa di morte. La donna era affetta da ascessi che comportarono la perdita di alcuni denti in vita. Soffriva di malattie degenerative, come l’artrosi alla spina dorsale e alle articolazioni delle ginocchia. Le abbondanti pieghe della pelle e i residui di tessuto adiposo su fianchi, glutei e cosce suggeriscono una rotondità delle sue forme. Grazie allo sbendaggio virtuale della mummia tramite TAC, è stato osservato che il corpo è in posizione supina, con le braccia stese lungo i fianchi e le gambe dritte. Durante il processo di imbalsamazione, il cervello è stato quasi completamente rimosso attraverso la narice sinistra. Gli organi interni sono stati estratti attraverso un’incisione verticale sull’addome, imbottito poi solo parzialmente con bende imbevute di resina. Il corpo è stato infine ricoperto con un’abbondante colata di resina e rivestito con un bendaggio in tessuti di lino. Le tecniche di imbalsamazione e il raffinato sudario confermano lo stato sociale elevato della defunta. La datazione al radiocarbonio ha attribuito il sudario all’epoca romana (I-II sec. d.C.). L’intervento conservativo, eseguito dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” – in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa e con ISPC CNR Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (nell’ambito del progetto PAMUS – E-RIHS) – è stato complesso: le diverse tipologie di degrado rendevano poco comprensibili le caratteristiche della policromia del sudario, così come la stratigrafia dei materiali tessili sottostanti. Superfici ancora integre convivevano con ampie lacune e lacerazioni, creando una superficie discontinua e compromessa. L’intervento, dalla pulitura al consolidamento, si è fondato sulla sinergia tra metodi diversi, puntando sia al recupero delle superfici policrome, sia alla conservazione dei tessuti archeologici, nel rispetto etico dei resti umani. Per scegliere in modo consapevole i materiali di intervento è stata condotta un’accurata campagna diagnostica e un’attività sperimentale preliminare al loro utilizzo.

Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, dettaglio della parte anteriore della prima tunica dopo il consolidamento (foto Irene Tomedi)
La mummia di fanciullo con tre tuniche. La mummia di fanciullo con tre tuniche può considerarsi una rara testimonianza del rituale funerario dell’Egitto medievale. Diversamente dalle mummie del periodo faraonico, le più frequenti nelle collezioni museali, il corpo del fanciullo non è stato sottoposto a tecniche di imbalsamazione ma è stato preparato alla sepoltura con una ricca vestizione. La mummia sarà conservata con cura dal museo di Bologna ma non sarà esposta al pubblico, nel necessario rispetto della dignità umana. La mummia proviene dalla collezione di Federico Amici (1828-1907), nato a Roma da una nobile famiglia bolognese, che soggiornò in Egitto dal 1875 al 1890 ricoprendo importanti incarichi per il Khédive Muhammad Tewfik Pasha (1852-1892). Tra questi, il più prestigioso fu l’organizzazione del servizio statistico nazionale dell’Egitto. Amici donò al museo civico di Bologna varie antichità e tra queste la mummia di fanciullo con tre tuniche. Furono presumibilmente i tessuti ad attirare la sua attenzione, perché il corpo del fanciullo era già allora in precario stato conservativo. Nel catalogo della collezione egizia di Bologna, pubblicato nel 1895 da Giovanni Kminek-Szedlo, la mummia è descritta come: “un fanciullo dell’epoca posteriore al retto imbalsamento degli Egiziani, lunga 0,63; è in istato molto trascurato e mancante di testa, e di braccia. I piedi sono scoperti, il resto del corpo è avvolto in un corsetto ed in una specie di gonnella di stoffe diverse”. Il “corsetto”, sovrapposto alle tre tuniche, doveva nascondere alla vista le braccia, che la mummia conserva ancora, a differenza di testa e piedi. Anche del “corsetto” non esiste più traccia.

Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, dettaglio di un ricamo (foto Paolo Bondielli e Marcello Garbagnati MediterraneoAntico)
La mummia, priva di testa e piedi, appartiene a un bambino di 2-3 anni, alto circa 84 cm. Non è stato possibile risalire alla causa di morte, ma dall’analisi paleopatologica è emerso uno stato di stress, in particolare negli arti inferiori, dovuto forse a un’alimentazione inadeguata o a un’infiammazione. La TAC ha evidenziato che il corpo non è stato eviscerato degli organi interni. Il cuore, la trachea, i bronchi e il diaframma si sono mummificati naturalmente. L’esame della pelle, dalla colorazione bruno-rossastra, suggerisce che il corpo sia stato trattato con qualche sostanza per prepararlo alla sepoltura. L’analisi al radiocarbonio, eseguita su un campione di osso e di tunica, ha permesso di datare la mummia al XIII secolo d.C. (Medioevo). L’intervento conservativo, eseguito dalla restauratrice di tessuti antichi Irene Tomedi in collaborazione l’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research e il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’università di Pisa, è stato effettuato trattando le sole vesti di lino che ricoprono il corpo: due tuniche a filo grosso, una tinta in indaco e l’altra ricamata a filo nero sulle maniche, e una sovra-tunica quadrettata e bicolore a filo sottile.

Bologna, museo civico Archeologico: mummia di fanciullo con tre tuniche, intervento di restauro conservativo (foto Irene Tomedi)
Il precario stato dei resti umani ha reso difficile il trattamento dei tessuti, molto degradati, lacerati e lacunosi. Dopo l’analisi tipologica dello sporco (sabbia, sali, liquidi corporei) depositato sulle fibre, è stata effettuata una prima pulitura con un micro-aspiratore dall’ugello ad ago. Lo sporco penetrato in profondità tra le fibre è stato rimosso tramite tamponamenti con spugnette imbevute in acqua demineralizzata, proteggendo adeguatamente il corpo. Questo trattamento ha permesso di eliminare le pieghe nel tessuto e di comprendere le caratteristiche formali delle tuniche. Il tutto è stato eseguito mettendo in sicurezza le parti fragili con spilli entomologici. Le tuniche di lino a filo grosso sono state poi integrate e consolidate con un tessuto di lino, mentre la sovra-tunica con il velo di Lyone in seta, entrambi adeguatamente tinti e fissati con filo organzino di seta. L’intervento ha restituito alle tuniche solidità e aspetto omogeneo.
Nell’ambito del programma “Restituzioni. Tesori d’arte restaurati” Intesa Sanpaolo restaura uno splendido rilievo templare con immagine del dio Heh conservato nel museo civico Archeologico di Bologna: cantiere aperto al pubblico nei giorni 8, 15 e 22 settembre 2021

Intesa Sanpaolo restaura uno splendido rilievo templare con immagine del dio Heh nell’ambito del programma “Restituzioni. Tesori d’arte restaurati”. La tecnologia diagnostica e il restauro incontrano l’antico Egitto al museo civico Archeologico di Bologna. Nell’ambito della XIX edizione di “Restituzioni. Tesori d’arte restaurati”, il programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio nazionale curato e promosso da Intesa Sanpaolo, da mercoledì 8 settembre 2021 prende avvio il restauro di uno splendido rilievo templare con immagine del dio Heh, che data molto probabilmente al regno del sovrano Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.). Il restauro sarà eseguito da Cristina del Gallo, restauratrice esperta in materiali lapidei. Per presentare e condividere con il pubblico questa importante operazione sono previsti tre giorni di restauro ‘aperto’ all’interno della sezione Egizia – 8, 15 e 22 settembre 2021 (dalle 15 alle 19) -, durante i quali si potranno osservare da vicino il rilievo e i trattamenti conservativi. È possibile accedere con il biglietto del museo nei normali orari di apertura e nel rispetto delle misure di sicurezza finalizzate al contenimento del rischio di contagio da Covid-19.


“Restaurare l’antico”, progetto del museo civico Archeologico di Bologna (foto istituzione bologna musei)
Coordinato sotto il profilo scientifico dalla funzionaria egittologa Daniela Picchi, il progetto consente al museo civico Archeologico di proseguire e aggiornare le attività di ricerca, studio e valorizzazione sulle proprie collezioni storiche. Il restauro è stato preceduto da una campagna diagnostica di imaging, a cura di DI.AR. Diagnostica per immagini per i Beni Culturali, e di indagini micro-invasive, a cura degli esperti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, con il quale il museo vanta una collaborazione pluriennale. I risultati di tali indagini hanno permesso di verificare l’eventuale sopravvivenza di colori, sicuramente presenti in origine, e le caratteristiche della patina che oscura parzialmente il calcare. Il rilievo fu esposto al pubblico per la prima volta al museo civico Archeologico di Bologna nel 1961, in occasione della mostra temporanea “L’Egitto antico nelle collezioni minori dell’Italia settentrionale” curata da Silvio Curto, allora direttore del museo Egizio di Torino. A distanza di mezzo secolo, nel 2013, la famiglia Puppi, che lo possedeva, lo ha generosamente ceduto al museo, perpetuando una tradizione cittadina di donazioni che ha reso ricca e prestigiosa la collezione egiziana di Bologna.

Il rilievo con immagine del dio Heh. Questo frammento lapideo (MCABo EG 3711: 25 x 73 cm) proviene dalla parete di un tempio egiziano non ancora identificato e mostra solo parte di una scena più grande scolpita ad incavo. Vi sopravvive la parte superiore della figura di Heh, una divinità nota sin dall’Antico Regno, che rappresenta il concetto di moltitudine e di infinito. Il dio indossa un ampio pettorale, una barba ricurva e una parrucca dalle fitte ciocche, sormontata da ciò che rimane di un disco solare. È rivolto a sinistra e solleva le braccia all’altezza delle spalle, tenendo in ogni mano un ramo di palma renepet (‘tempo’). Un segno ankh (‘vita’), inclinato verso la testa del dio, è posto nella giunzione tra il ramo di palma e il pugno del dio per sostenere un cartiglio, di cui sopravvive solo la parte inferiore. Il cartiglio a sinistra, sebbene molto danneggiato, permette di identificare gli ultimi due geroglifici del nome di intronizzazione di Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.), secondo sovrano della dinastia di origine macedone che assunse il potere in Egitto dopo Alessandro Magno. Tutti gli elementi che definiscono l’iconografia del dio, a partire dalla sua stessa figura che ha il valore semantico di ‘milione’, rimandano ai concetti di tempo e di moltitudine, di vita, di dominio e di durata. L’associazione ai cartigli di Tolomeo II sembra tradire l’aspirazione del sovrano a un perpetuo rinnovamento del potere, della legittimità, della forza e della vita, più che il concetto di infinito o infinità di tempo e spazio, che comunque connotano il dio.
Restituzioni. Tesori d’Arte restaurati è il programma biennale di Intesa Sanpaolo che punta alla salvaguardia del patrimonio storico-artistico del Paese attraverso la restituzione alla collettività di opere d’arte fragili. La conoscenza del territorio dove viviamo passa attraverso la comprensione delle opere d’arte che vi sono state prodotte o che vi sono conservate; ognuna di esse racchiude in sé un brano della nostra storia, di un passato in cui troviamo le ragioni del presente e le radici del nostro futuro. Si tratta di segni dell’uomo, di espressioni della sua più alta dimensione immateriale che prendono forma nella materia. Per questo intrinsecamente fragili. Con questa consapevolezza, dal 1989, attraverso Restituzioni, Intesa Sanpaolo investe risorse, competenze ed energie per la difesa dei beni artistici e per la salvaguardia delle identità territoriali che danno forma alla nostra penisola. Ogni due anni la Banca, in collaborazione con Soprintendenze, Poli museali e Musei autonomi, seleziona un numero consistente di opere bisognose di intervento, ne sostiene il restauro e organizza le mostre temporanee che permettono al pubblico di conoscerne i risultati. A oggi sono oltre un migliaio le opere d’arte restaurate e restituite alla collettività: con testimonianze che spaziano dall’archeologia fino alle soglie dell’età contemporanea, dalla pittura, alla scultura, all’oreficeria, alle manifatture tessili. Il programma si impegna inoltre nel restauro di opere monumentali come gli affreschi giotteschi dell’Abbazia di Chiaravalle e la grande tela di Paolo Veronese Cena di San Gregorio Magno, nella Basilica di Monte Berico a Vicenza, in occasione dei 30 anni di Restituzioni.
Fino al 3 settembre al museo civico Archeologico di Bologna cantiere di restauro della mummia dal sudario rosso aperto al pubblico. La mummia restaurata andrà a Mantova secondo l’accordo “OLTRE LE BENDE: storia di un antico egiziano”, progetto per la collezione Egiziana di Giuseppe Acerbi (museo della Città di Mantova)

Fino al 3 settembre 2021, nella Sezione Egiziana del museo civico Archeologico di Bologna sarà visibile al pubblico il restauro di una mummia umana di adulto (nota come mummia umana dal sudario rosso) conservata nei depositi del museo dal lontano 1994. La mummia appartiene alla straordinaria collezione di antichità egizie, greche, etrusche e romane che Pelagio Palagi (Bologna, 1775 – Torino, 1860), poliedrica figura di architetto, pittore, scultore, ornatista e collezionista, destinò per lascito testamentario al Comune di Bologna. L’intervento conservativo – affidato a Cinzia Oliva, fra i massimi esperti nel restauro dei tessuti antichi e consulente di importanti istituzioni museali – è previsto in tre tranches: 16-18 giugno, 12-16 luglio, 30 agosto-3 settembre 2021. Durante gli orari di apertura del museo e nel rispetto delle misure di sicurezza finalizzate al contenimento del rischio di contagio da Covid-19, i visitatori possono osservare dal vivo quali siano le operazioni necessarie al complesso restauro tessile di una mummia egiziana dalla storia millenaria, in parte ancora inedita.

Il restauro rientra nell’importante iniziativa congiunta di recupero, valorizzazione e divulgazione del patrimonio culturale attraverso il progetto “OLTRE LE BENDE: storia di un antico egiziano” annunciato qualche settimana fa dal museo civico Archeologico | Istituzione Bologna Musei e i Musei Civici di Mantova. Progetto per la Collezione egiziana di Giuseppe Acerbi, Museo della Città di Mantova, realizzato in collaborazione e grazie al finanziamento del Comune di Mantova con il contributo di Fondazione Banca Agricola Mantovana e Regione Lombardia. Il progetto vede inoltre le preziose collaborazioni istituzionali con il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, l’Eurac Research – Istituto per lo studio delle mummie di Bolzano e la rivista MediterraneoAntico.

Il trattamento conservativo rappresenta la premessa necessaria al trasferimento in sicurezza della mummia, che il museo civico di Bologna ha concesso in prestito ai musei civici di Mantova per una durata di 5 anni, unitamente a un prezioso gruppo di 11 bronzetti di divinità egiziane. A distanza di 27 anni, la mummia tornerà quindi visibile al pubblico nella sede di Palazzo San Sebastiano a Mantova per arricchire e integrare la Collezione Egiziana di Giuseppe Acerbi, costituita dai reperti archeologici raccolti dall’erudito e scienziato naturalista di Castelgoffredo (1773–1846), durante il suo soggiorno in Egitto dal 1826 al 1834 quale Console Generale d’Austria. La restituzione alla visione pubblica della mummia appartenente alla raccolta Palagi nell’ambito della collezione Acerbi metterà a confronto due tra i più importanti collezionisti di antichità egiziane della prima metà dell’Ottocento, senza per questo esaurire il proficuo rapporto di collaborazione con finalità culturali instauratosi tra Bologna e Mantova. L’iniziativa costituisce infatti solo uno dei tasselli di un accordo pluriennale di più ampio respiro, siglato nel 2017 nel quadro del piano di riordino complessivo delle collezioni civiche della città lombarda con l’obiettivo primario di studiare, valorizzare e migliorare la fruizione pubblica di un importante patrimonio archeologico, etnografico e storico-artistico.

Il piano strategico del Comune di Mantova prevede un complesso programma di riordino delle Collezioni civiche e consiste in un nuovo percorso espositivo per il museo di Palazzo San Sebastiano, in cui verranno trasferiti i due importanti nuclei di reperti di Giuseppe Acerbi e di Ugo Sissa. Il rinnovato percorso del museo della Città in Palazzo San Sebastiano intende fornire nuove chiavi di lettura legate prevalentemente agli illustri mantovani che dedicarono parte della loro esistenza a creare un patrimonio artistico personale che ora rappresenta un eterogeneo patrimonio civico. I nuovi allestimenti saranno un’opportunità per meglio comprendere i trascorsi collezionistici di questi reperti che come i tasselli di un mosaico raccontano la storia della città di Mantova oltre che le origini della cultura occidentale. Nel ridefinire la nuova narrazione espositiva, il museo civico Archeologico di Bologna ha svolto un ruolo di attiva partecipazione mettendo a disposizione la propria esperienza e le competenze altamente qualificate di Paola Giovetti (direttrice del museo) e di Daniela Picchi (responsabile della sezione Egiziana) rispettivamente per la curatela scientifica del riallestimento della Collezione Mesopotamica di Ugo Sissa e della Collezione Egiziana di Giuseppe Acerbi.

La mummia egizia del museo civico Archeologico di Bologna (Inv. MCABo EG 1976): storia collezionistica, ricerche diagnostiche e progetto di restauro conservativo. Pelagio Palagi acquistò questa mummia, il cui contesto archeologico di provenienza rimane tuttora sconosciuto, nel 1833 assieme a due sarcofagi a cassa e a un’altra mummia. Il mercato antiquario offriva allora molte opportunità di acquisto, sia per l’arrivo di consistenti nuclei di oggetti direttamente dall’Egitto sia per lo smembramento di importanti collezioni costituite nel XVIII secolo e Palagi attinse certamente a entrambi i canali per i suoi acquisti. L’artista all’epoca si era già trasferito da Milano a Torino al servizio di Carlo Alberto di Savoia come “pittore preposto alla decorazione dei Reali Palazzi”, ma queste antichità egiziane, così come varie altre, continuarono ad arricchirne la casa museo milanese, da dove furono trasferite a Bologna dopo la sua morte. Nel passaggio da Milano a Bologna si perse contezza di questa e di altre mummie perché nascoste all’interno di sarcofagi, non sempre di pertinenza. Il primo a registrare a Bologna l’esistenza della mummia fu Giovanni Kminek-Szedlo, primo curatore della Collezione Egiziana del Museo Civico inaugurato nel 1881 in Palazzo Galvani. La mummia restò ininterrottamente esposta al primo piano del museo sino al 1994, anno in cui fu trasferita nei depositi in concomitanza al trasferimento della Collezione Egiziana in nuovi spazi museali al piano interrato di Palazzo Galvani. La sinergia progettuale instauratasi tra i musei civici di Mantova e il museo civico Archeologico di Bologna ha fornito l’occasione opportuna per restituire alla fruizione pubblica questa mummia, stimolando nuovi studi collezionistici e avviando la pianificazione di un accurato intervento di studio e restauro conservativo necessario alle esigenze scientifiche ed espositive.

Sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, è stato definito un articolato programma di indagini diagnostiche per studiare i resti umani, le tecniche di imbalsamazione e i tessuti utilizzati per il bendaggio della mummia. Questo ha comportato il coinvolgimento interdisciplinare di prestigiosi istituti di ricerca e di esperti professionisti di settore che hanno proficuamente messo a confronto le proprie specifiche competenze. Nell’ambito delle indagini di imaging, un particolare rilievo ha avuto la tomografia assiale computerizzata (TAC), effettuata nel gennaio 2020 presso il Dipartimento di Radiologia dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna sotto la direzione della Prof.ssa Rita Golfieri e del suo staff. L’indagine ad altissima definizione, finalizzata alla diagnostica delle caratteristiche anatomiche, delle eventuali evidenze paleopatologiche, così come dello stato conservativo del corpo e delle tecniche di imbalsamazione, è stata eseguita in orario di chiusura del reparto, dove la mummia è stata trasportata all’interno di un apposito contenitore sigillato, in modo da non contaminare gli ambienti ospedalieri e non creare oneri aggiuntivi a carico della struttura sanitaria.

Un’altra struttura di eccellenza, l’Istituto per lo studio delle mummie afferente all’Eurac Research di Bolzano diretto da Albert Zink, dapprima ha esaminato sotto la supervisione di Marco Samadelli, responsabile del laboratorio di Conservazione, lo stato di conservazione della mummia riportandola ad un adeguato stato di mantenimento, mentre Alice Paladin, responsabile del laboratorio di Antropologia, ha condotto lo studio antropologico, paleopatologico e delle tecniche di imbalsamazione sul corpo mummificato. A seguito di queste indagini è stato possibile determinare il sesso maschile dell’individuo, l’altezza di circa 160-163 cm, l’età biologica alla morte, sopraggiunta in età matura, tra i 50-55 anni, oltre a stabilire una discreta conservazione dei suoi tessuti e delle sue strutture anatomiche. L’analisi paleopatologica non ha permesso di determinare la causa di morte. Utilizzando il metodo del radiocarbonio (C14) si è inoltre scoperto che i tessuti utilizzati per avvolgere il corpo, prelevati dal sudario e dagli strati inferiori del bendaggio della mummia, risalgono all’VIII-VI sec. a.C. Questo dato esclude che la mummia sia appartenuta originariamente ai sarcofagi acquistati da Palagi nel 1833, perché più antichi di molti secoli (Medio Regno, 2046-1794 a.C.). Il fatto non sorprende perché era abitudine diffusa nell’Ottocento quella di assemblare materiali di provenienza e datazione anche diverse per aumentare il prezzo di vendita sul mercato antiquario.

L’intervento di restauro conservativo è stato affidato alla restauratrice di tessuti antichi Cinzia Oliva. L’esame preliminare al restauro ha consentito di stabilire che il corpo è stato bendato utilizzando un ricco apparato tessile, caratterizzato da due sudari sovrapposti, presumibilmente tinti di rosso (il colorante compare solo in alcune parti, più protette dalla luce), e da bende ricavate da teli di grandi dimensioni. I guasti maggiori rilevati sono da attribuirsi alle precedenti traversie collezionistiche e alle condizioni di esposizione: l’azione combinata della luce e degli agenti inquinanti ha accelerato il degrado chimico-fisico del materiale cellulosico, indebolendone la tenuta meccanica generale. La prolungata azione della luce combinata alla scarsa tenuta delle tinture riscontrate sui tessuti faraonici (è ragionevole pensare che tingessero senza l’ausilio di mordenzature adeguate e questo produceva tinture più deboli e maggiormente foto-sensibili) ha alterato in modo significativo le tinture originali del tessuto, indebolendone al contempo la struttura meccanica. Il restauro si propone di stabilizzare lo stato di conservazione, arrestando il degrado del materiale mediante la rimozione delle cause principali (polvere, agenti inquinanti, stress meccanico, deformazioni), di recuperare l’integrità del bendaggio, sia dal punto di vista meccanico che estetico e di studiare l’apparato tessile.

Il progetto di riordino dei musei civici di Mantova. Il progetto del nuovo museo della Città di Palazzo San Sebastiano costituisce il cuore del piano di riordino complessivo delle collezioni di proprietà civica che il Comune di Mantova sta sviluppando in accordo con le altre istituzioni museali cittadine. Esso consiste nella realizzazione di un nuovo ordinamento museale incentrato sulle personalità che costituirono i nuclei delle collezioni conservate presso i musei. Sarà dedicata una sezione a Francesco II Gonzaga, il committente di Palazzo San Sebastiano che ospita il museo e una sezione alla statuaria greco-romana e al recupero dell’antico di Vespasiano Gonzaga. La Sala dei Trionfi di Palazzo San Sebastiano ospiterà le nuove sezioni Egiziana, Araba e Mesopotamica, con approfondimenti dedicati ai relativi collezionisti. Le opere di decorazione architettonica quattrocentesca di ambito fancelliano saranno allestire nel Tempio di San Sebastiano creando una sezione dedicata ai temi dell’architettura all’interno dello spazio albertiano.

La collezione Egiziana “Giuseppe Acerbi”. La collezione Acerbi è frutto della passione collezionistica dello studioso, diplomatico e viaggiatore mantovano Giuseppe Acerbi (1773-1846), che soggiornò in Egitto dal 1826 al 1834, ricoprendo l’incarico diplomatico di Console Generale d’Austria. La collezione Egiziana si compone di 414 oggetti, che datano dalla fine dell’Antico Regno (2707-2170 a.C.), al quale appartiene uno splendido e raro acquamanile in bronzo con il relativo vaso versatoio, sino all’Epoca Greco-Romana (332 a.C.-395 d.C.), documentata dalla testa bronzea in puro stile ellenistico che ritrae la regina tolemaica Arsinoe III. Come in tutte le collezioni di formazione antica e/o ottocentesca, le fasi storiche più attestate della civiltà egiziana sono il Nuovo Regno (1539-1070 a.C.) e l’Epoca Tarda (664-332 a.C.). Sono in particolare alcune sculture in pietra raffiguranti o riconducibili a sovrani di varie epoche ad avvalorare e rendere degna di attenzione la raccolta, tra le quali tre teste di sovrano, una con corona kheperesh o casco da guerra risalente al Nuovo Regno e due con copricapo nemes databili alla XXVI dinastia (664-525 a.C.). La collezione mantovana è inoltre caratterizzata da alcuni nuclei numericamente significativi, che ne determinano la ricchezza e varietà tipologica. Una categoria di materiali molto rappresentata è quella delle statuette funerarie che conta 127 ushabti, 4 statuette di falco-akhem, 3 statuette di Ptah-Sokar-Osiri, 2 statuette di Anubi e 2 di Ba. Altrettanto numerosi sono gli amuleti, 128 esemplari di varia tipologia, epoca e materiale. Ragguardevole è poi anche il nucleo dei bronzetti votivi, raffiguranti varie divinità del pantheon egiziano. Il bronzetto di maggiore notorietà e pregio è rappresentato da uno splendido sarcofago in bronzo a forma di gatto, in origine collocato in un’area templare dedicata alla dea Bastet. I materiali della collezione Egiziana saranno integrati ed arricchiti dalla cosiddetta collezione Araba di Acerbi costituita da reperti etnografici e naturalistici selezionati dal Console durante il soggiorno egiziano. Fra questi oggetti spiccano una magnifica sella ottomana-mamelucca, una ciotola a vernice nera con iscrizioni in arabo, strumenti musicali, armi, oltre ad animali imbalsamati, conchiglie e fossili.

La sezione di Palazzo San Sebastiano a Mantova dedicata alla collezione Acerbi sarà suddivisa in quattro aree tematiche. La prima introdurrà la figura di Giuseppe Acerbi, console d’Austria in Egitto, nonché viaggiatore esperto, studioso multidisciplinare e collezionista. La seconda esporrà il nucleo più prestigioso delle antichità egiziane, ovvero le teste reali, che documentano l’interesse di Acerbi per Dinastie e sovrani a partire dalla decifrazione dei loro nomi. La terza sezione sarà dedicata a Il corredo funerario, che avrà nella mummia di Bologna il proprio fulcro espositivo e tematico, quale necessaria integrazione alle antichità Acerbi per introdurre i visitatori alla conoscenza del rituale funerario egiziano. La quarta area tematica si concentrerà su Dei e templi ai quali il diplomatico mantovano ha dedicato molte pagine delle sue note di viaggio e disegni. Questa sezione sarà arricchita dagli undici bronzetti di divinità del museo di Bologna così da rappresentare le principali divinità del pantheon egiziano.

La collezione Mesopotamica “Ugo Sissa”. La Collezione Mesopotamica è stata raccolta dall’illustre architetto, pittore, fotografo e saggista mantovano Ugo Sissa (1913-1980), mentre ricopriva a Bagdad l’incarico di capo architetto (1953-1980). Si tratta di una collezione di proprietà privata, depositata dal 1994 presso il Museo Civico di Palazzo Te. Essa si compone di 279 reperti mesopotamici, diversi per provenienza, epoca e tipologia, tutti esposti nel percorso di visita del museo. Questo piccolo nucleo risulta di particolare interesse anche perché le collezioni museali di reperti del Vicino oriente antico sono piuttosto rare nei musei italiani, tra cui Bologna: diventa questo un ulteriore punto di contatto sulla storia del collezionismo e sulla civiltà mesopotamica tra le due città.
Egitto, splendore millenario: a Bologna capolavori dal museo di Leiden. Cinquecento reperti che dialogano con i tesori del museo di Bologna. Per la prima volta ricongiunti i rilievi della tomba di Horemheb a 200 anni dalla sua scoperta a Saqqara

Al museo Archeologico di Bologna la mostra “Egitto. Splendore millenario” con i capolavori del museo di Leiden
Sotto le due torri di Bologna rivive lo splendore di una civiltà millenaria e unica che da sempre affascina tutto il mondo: l’Egitto delle Piramidi, dei Faraoni, degli dei potenti e multiformi, ma anche l’Egitto delle scoperte sensazionali, dell’archeologia avvincente, del collezionismo più appassionato, dello studio più rigoroso. Per la prima volta sono esposti l’uno accanto all’altro i capolavori delle collezioni del museo di Leiden e del museo archeologico di Bologna, nella mostra “Egitto. Splendore millenario. Capolavori da Leiden a Bologna” aperta al museo archeologico felsineo fino al 17 luglio 2016, curata da Paola Giovetti, responsabile del museo e Daniela Picchi, curatore della sezione egiziana del museo. Non solo un’esposizione di fortissimo impatto visivo e scientifico, ma anche un’operazione che non ha precedenti nel panorama internazionale. La collezione di antichità egiziane del museo nazionale di Antichità di Leiden in Olanda – una delle prime dieci al mondo – e quella di Bologna – tra le prime in Italia per numero, qualità e stato conservativo – si integrano in un percorso espositivo di circa 1700 metri quadrati di arte e storia. Sono 500 i reperti, dal periodo Predinastico all’epoca romana, giunti dall’Olanda al museo bolognese: opere quali la Stele di Aku (XII-XIII Dinastia, 1976-1648 a.C.), il “maggiordomo della divina offerta” la cui preghiera racconta l’esistenza ultraterrena del defunto in un mondo tripartito tra cielo, terra e oltretomba; gli ori attribuiti al generale Djehuty, che condusse vittoriose le truppe egiziane nel Vicino Oriente per il faraone Thutmose III (1479-1425 a.C.), il grande conquistatore; le statue di Maya, Sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon, e Meryt, cantrice di Amon, (XVIII dinastia, regni di Tutankhamon-Horemheb, 1333-1292 a.C.), massimi capolavori del museo nazionale di Antichità di Leiden, che hanno lasciato per la prima volta l’Olanda; e, tra i numerosi oggetti che testimoniano il raffinatissimo stile di vita degli egiziani più facoltosi, un Manico di specchio (1292 a.C.) dalle sembianze di una eternamente giovane fanciulla che tiene un uccellino in mano. E per la prima volta dopo 200 anni dalla riscoperta a Saqqara della sua tomba, la mostra offre l’occasione unica e irripetibile di vedere ricongiunti i più importanti rilievi di Horemheb, comandante in capo dell’esercito egiziano al tempo di Tutankhamon e poi ultimo sovrano della XVIII dinastia, dal 1319 al 1292 a.C., che Leiden, Bologna e Firenze posseggono. Ma non è tutto: assieme ai capolavori di Leiden e Bologna, la mostra ospita importanti prestiti del museo Egizio di Torino e del museo Archeologico nazionale di Firenze, all’insegna di un network che vede coinvolte le principali realtà museali italiane.
La mostra si articola in sette sezioni e sette temi principali. Tra tutte, il ruolo centrale spetta a quella dedicata alla tomba di Horemheb, generale dell’esercito egiziano, comandante militare al tempo di Tutankhamon e infine faraone che regnò sull’Egitto dal 1319 al 1292 a.C. Ogni tappa fondamentale della carriera di questo grande stratega si lega a una città diversa nella quale egli ogni volta fece costruire la propria sepoltura. La tomba – i cui resti sono confluiti nella collezione di Bologna – è quella della necropoli di Saqqara, nei pressi di Menfi, all’epoca capitale amministrativa del Paese e sede del comando dell’esercito e dell’arsenale militare. La storia della scoperta della tomba è affascinante, quanto le decorazioni parietali che la rendono un monumento eccezionale del Nuovo Regno (che comprende la XVIII, XIX e XX Dinastia e va dal 1552 fino al 1069 a.C.): individuata a Saqqara nell’Ottocento, fu spogliata di numerosi frammenti parietali, ora esposti nei musei di tutto il mondo, incluse Bologna e Leiden che conservano i nuclei più rilevanti sia per quantità, sia per qualità. Quando oramai si erano perse le tracce della sua esistenza, complice la sabbia del deserto che la aveva nuovamente nascosta, la tomba fu riscoperta nel 1975 da una missione archeologica anglo-olandese: fu così che i rilievi, asportati nell’Ottocento e non sempre attribuiti a Horemheb, poterono essere virtualmente ricollocati al loro posto, evidenziando la ricchezza, originalità e raffinatezza artistiche di questa sepoltura. E allora con gli egittologi di Bologna e Leiden iniziamo una “visita guidata” per conoscere più da vicino i tesori esposti in mostra.
Il predinastico e l’Età arcaica – alle origini della storia Il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta, dalla preistoria alla storia, rappresenta il momento fondante della civiltà egiziana. La collezione di Leiden è ricchissima di materiali che documentano il ruolo centrale della natura in questa lunga evoluzione culturale e artistica. Molti di questi oggetti, di assoluta modernità stilistica, aprono l’itinerario espositivo, tra cui un vaso decorato con struzzi, colline e acque. La scena raffigurata su questo vaso del Periodo Naqada (dal nome di un sito dell’Alto Egitto e che raggruppa la produzione artistica tra il 3900 e il 3060 a.C.) ci riporta a un Egitto caratterizzato da un paesaggio rigoglioso che i cambiamenti climatici hanno poi trasformato nel tempo. Struzzi, come quelli dipinti in rosso sul contenitore, assieme a elefanti, coccodrilli, rinoceronti e altri animali selvatici erano allora una presenza abituale del territorio nilotico.
L’Antico regno – un modello politico-religioso destinato al successo e le sue fragilità Il periodo storico dell’Antico Regno (dalla III alla VI Dinastia, 2700-2192 a.C.) è noto per le piramidi e per il nascere di una burocrazia che ha al suo vertice un sovrano assoluto, considerato un dio in terra e padrone di tutto l’Egitto. Questo senso dello Stato e le sue regole terrene e ultraterrene, molto elitarie, sono ben documentati negli oggetti provenienti da contesto funerario di cui la collezione olandese è particolarmente ricca, tra cui una tavola per offerte in alabastro. L’offerta al defunto era parte fondamentale del rituale funerario per assicurare una vita oltre la morte. La particolarità di questa tavola appartenuta a un alto funzionario di stato è data dalla forma circolare, insolita, e dal ripetersi del concetto di offerta come indicato dal testo scritto, dal vasellame scolpito in visione zenitale e, soprattutto, dalla raffigurazione centrale che corrisponde al geroglifico hotep (offerta), ovvero una tavola su cui poggia un pane.
Il Medio Regno – il dio Osiride e una nuova prospettiva di vita ultraterrena La fine dell’Antico Regno e il periodo di disgregazione politica che ne segue determinano grandi cambiamenti nella società egiziana, che riconosce al singolo individuo una maggiore responsabilità del proprio destino, anche ultraterreno. Ogni egiziano, in grado di farsi costruire una tomba con adeguato corredo funerario, può ora aspirare a una vita eterna. Il dio Osiride, signore dell’oltretomba, diviene la divinità più popolare del Paese. Dal suo tempio ad Abido, uno dei più importanti luoghi di culto dell’Egitto, provengono molte stele ora a Leiden e a Bologna. Tra cui quella di Aku, il maggiordomo della divina offerta, che la dedica a Min-Hor-Nekhbet, la forma del dio itifallico Min adorata nella città di Abido. La preghiera che Aku rivolge al dio racconta di un’esistenza ultraterrena in un mondo concepito come tripartito: in cielo dove il defunto si trasfigura in stella, in terra dove la sepoltura è luogo fondamentale del passaggio dalla vita alla morte e in oltretomba dove Osiride concede al defunto la vita eterna.
Dal Medio al Nuovo Regno – il controllo del territorio in patria e all’estero La sconfitta degli Hyksos, “i principi dei paesi stranieri” che invadono e governano l’Egitto settentrionale per alcune generazioni, dà origine al Nuovo Regno. Una politica estera molto aggressiva arricchisce il Paese che vive uno dei periodi di maggiore splendore. La classe sociale dei professionisti della guerra si afferma sino al punto da raggiungere il vertice dello stato e dare origine ad alcune dinastie regnanti. La ricchezza e il prestigio di questi militari si concretizzano anche nella produzione di oggetti raffinati, quali gli ori appartenuti a Djehuty, generale del faraone Tuthmosi III. L’arte orafa egiziana ci ha lasciato in eredità gioielli di grande pregio artistico e valore economico, come un elemento di pettorale (o cintura) presente in mostra. Questo monile, attribuito alla tomba del generale Djehuty, l’uomo al quale il sovrano Thutmosi III affidò il controllo delle terre straniere, ne rappresenta un raffinato esempio. Figurato a fiore di loto blu, simbolo di rinascita e rigenerazione, doveva fungere da elemento centrale di un elaborato pettorale o di una cintura cerimoniale a numerosi fili. Il cartiglio inciso sul lato posteriore suggerisce che il gioiello sia stato donato da Thutmosi III in persona.
La necropoli di Saqqara nel Nuovo Regno I musei di Leiden e di Bologna possono essere considerati “gemelli” perché conservano due nuclei importanti di antichità provenienti da Saqqara, una delle necropoli della città di Menfi. Durante il Nuovo Regno questa antica capitale dell’Egitto tornò a essere un centro strategico per la politica espansionistica dei sovrani di XVIII Dinastia. Lo dimostrano le monumentali sepolture degli alti funzionari di stato che vi ricoprirono incarichi amministrativi, religiosi e militari, tra le quali le tombe del Sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon Maya e di sua moglie Meryt, cantrice di Amon, e di Horemheb, comandante in capo dell’esercito e principe ereditario di Tutankhamon. Le statue di Maya e di sua moglie Meryt arrivarono in Olanda nel 1828 con la collezione D’Anastasi. Solo molti anni dopo, nel 1986, una missione archeologica anglo-olandese individuò la tomba di provenienza a sud-est della piramide di Djoser a Saqqara. Queste statue, che rappresentano i massimi capolavori egiziani del museo nazionale di Antichità di Leiden, hanno lasciato per la prima volta il museo olandese per essere esposte in mostra. Quando Egypt Exploration Society di Londra e il museo nazionale di Antichità di Leiden intrapresero gli scavi a sud-est della piramide a gradoni di Djoser nel 1975, l’obiettivo era quello di individuare la tomba di Maya e di Meryt. Grande fu la sorpresa nello scoprire, invece, la sepoltura del generale Horemheb che concluse una strepitosa carriera politica divenendo ultimo sovrano di XVIII Dinastia. La sua tomba, che ha una struttura a tempio, è caratterizzata da un ingresso a pilone, tre grandi corti e tre cappelle di culto che affacciano sulla corte a peristilio più interna. Da quest’ultima proviene gran parte dei rilievi conservati a Leiden e a Bologna, che raccontano le più importanti imprese militari di Horemheb condotte contro Siriani, Libici e Nubiani, le popolazioni confinanti con l’Egitto.
Il Nuovo Regno – il benessere dopo la conquista Arredi raffinati, strumenti musicali, giochi da tavolo, gioielli: sono solo alcuni dei beni di lusso che testimoniano il benessere diffusosi in Egitto a seguito della politica espansionistica dei sovrani del Nuovo Regno. Grazie ai raffinati oggetti è possibile rivivere momenti di vita quotidiana, immaginando di essere all’interno di un palazzo regale o nella dimora di qualche alto funzionario. Come per il manico di specchio in mostra costituito dal corpo aggraziato e sensuale di una fanciulla, che tiene in mano un piccolo uccellino.
L’Egitto del primo millennio L’Egitto del primo millennio a.C. è caratterizzato da una sempre più evidente debolezza del potere centrale a favore dei governatori locali che si attribuiscono il ruolo di dinasti regnanti. La perdita di unità politica e territoriale indebolisce la capacità di difesa dei confini del Paese, che è conquistato a più riprese da Nubiani, Assiri e Persiani. Centri forti di potere rimangono i templi, che gestiscono una parte importante dell’economia e la trasmissione del sapere, svolgendo un ruolo d’intermediazione politica tra potere regnante e popolazione devota. Molti dei capolavori in mostra appartengono a corredi funerari di sacerdoti e provengono da importanti aree templari, tra cui il sarcofago di Peftjauneith che, nell’insieme di cassa e coperchio, riproduce le sembianze del dio Osiride, avvolto in un sudario di lino e con il volto verde che evoca il concetto di rinascita. La raffinata decorazione di questo sarcofago conferma l’alto rango in ambito templare del suo proprietario, sovrintendente ai possedimenti di un tempio del Basso Egitto. La scena interna alla cassa mostra la dea del cielo Nut inghiottire ogni sera (a Occidente) il disco del sole per poi partorirlo ogni mattina (a Oriente). La conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C. chiude la fase “faraonica” della storia egiziana. Con i suoi successori, i Tolemei, ha inizio la dominazione greca del Paese che avrà come ultima sovrana la famosa Cleopatra VII. Il dorato declino del Paese continuerà per molti altri secoli, oltre la conquista romana del 31 a.C. sino alla dominazione araba nel VI secolo dopo l’era volgare. Il dialogo tra antico e nuovo, locale e straniero, che contraddistingue l’epoca greca-romana, permette ancora il raggiungimento di elevati livelli artistici, come testimoniano i celebri ritratti del Fayum, di cui il museo di Leiden conserva pregevoli esemplari presenti in mostra.
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