Pùmpaiia: l’olio di Pompei è il primo IGP Campania. Nell’Orto dei Fuggiaschi a Pompei frangitura delle olive delle aree verdi dell’azienda agricola Pompei e degustazione dell’extravergine con i visitatori del Parco. Recuperata una tradizione millenaria, con i metodi e le tecniche illustrate da Columella e Plinio il Vecchio

Olivi nell’Orto dei Fuggiaschi a Pompei (foto parco archeologico pompei)

Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei, con “I ragazzi di Plinio” e la coop sociale Il Tulipano che hanno curato le degustazioni con l’olio Pùmpaiia (foto parco archeologico pompei)
Pùmpaiia, l’olio di Pompei prodotto con le olive delle aree verdi del Parco archeologico, è già un’eccellenza. Ad un anno dalla prima produzione, Pùmpaiia ha ricevuto il riconoscimento di certificazione IGP CAMPANIA. E lunedì 30 ottobre 2023 all’Orto dei Fuggiaschi (Regio I, insula 21, civico 6) i visitatori degli Scavi di Pompei hanno potuto assistere alla frangitura (estrazione con frantoio) delle olive appena raccolte e degustare l’olio IGP di Pompei. All’evento sono intervenuti il direttore del parco Gabriel Zuchtriegel, il direttore di Unaprol Nicola Di Noia, il presidente Aprol Francesco Acampora, e il presidente Coldiretti Campania Ettore Bellelli. La raccolta e frangitura delle olive è stata effettuata utilizzando un piccolo molitore, e a seguire “I Ragazzi di Plinio”, giovani del territorio con autismo e/o disabilità cognitiva impegnati in attività agricoltura sociale nei siti del Parco a cura del Cooperativa sociale IL TULIPANO Onlus, con il supporto dei neuropscichiatri infantili dell’ università Federico II di Napoli ed i terapisti centro medico riabilitativo di Pompei, hanno provveduto a organizzare gli assaggi dell’olio IGP di Pompei.

Una bottiglia di Pùmpaiia, l’olio extravergine d’oliva del parco archeologico di Pompei (foto parco archeologico pompei)

Raccolta delle olive nel parco archeologico di Pompei (foto parco archeologico pompei)

Degustazioni con Pùmpaiia, l’olio extravergine di olive di Pompei (foto parco archeologico pompei)
“L’olio di Pompei”, interviene Gabriel Zuchtriegel, “ora è IGP, indicazione geografica protetta, un risultato importante perché il museo del XXI secolo non potrà più essere semplicemente limitato alle attività tradizionali che rimangono ovviamente fondamentali, la conservazione, la ricerca, la gestione, la comunicazione, ma dobbiamo ampliare lo sguardo verso il territorio, verso lo sviluppo di questo territorio, verso le tradizioni, patrimonio immateriale. E questa iniziativa si inserisce nell’ambito dell’azienda agricola Pompei. Dunque riqualificare le aree verdi, abbattere i costi per la manutenzione, creando nuove opportunità di sviluppo, anche economico. Ma anche di insegnamento culturale, perché Pompei nell’antichità era questo. Era una città con il suo territorio. Questo era importante per dare corpo a una visione più ampia del parco e del museo, dei beni culturali in generale”. E Nicola Di Noia: “Grazie alla collaborazione tra Unaprol, Coldiretti e parco archeologico di Pompei oggi stiamo raccogliendo le olive, le stiamo trasformando in olio extravergine di oliva in diretta qui al parco. Per noi è un’operazione non tanto economica ma soprattutto culturale perché ribadiamo al mondo intero l’incredibile tradizione olivicola millenaria del nostro Paese in luoghi come questo di Pompei, ma soprattutto rilanciamo l’importanza del legame tra il patrimonio storico archeologico paesaggistico nazionale e questa preziosa produzione che è l’olio extravergine di oliva e le olive in generale”. Francesco Acampora ribadisce: “Per noi è un onore essere qui questa mattina al parco archeologico di Pompei ed è anche una grande gioia perché possiamo dimostrare quelle che sono le origini dell’olivicoltura campana. Origini antichissime che caratterizzano il nostro territorio, il nostro paesaggio. Oggi produciamo il primo olio campano IGP e lo facciamo in un luogo che è famoso in tutto il mondo e ci auguriamo che anche il nostro olio acquisterà nel tempo la stessa fama dei luoghi che ci stanno accogliendo questa mattina”. Conclude Ettore Bellelli: “Oggi siamo qui a Pompei per questa manifestazione legata alla molitura delle olive da cui poi si ricava questo olio. È un momento importante. È il primo olio IGP della Regione Campania. Quindi ci faceva molto piacere che questo “battesimo” avvenisse in un luogo così importante dal punto di vista storico che ci racconta anche la storicità di un prodotto dell’eccellenza dell’agricoltura italiana e campana in questo momento. Noi come Coldiretti Campania tramite l’Unaprol diamo assistenza e formazione, quindi collaboriamo con il parco archeologico di Pompei appunto per la realizzazione di questo prestigioso progetto”.

Olivi nel parco di Villa Arianna a Castellammare di Stabia (foto parco archeologico pompei)
I siti archeologici vesuviani sono custodi di un patrimonio naturale e paesaggistico eccezionale, che si aggiunge all’unicità di quello archeologico. L’olivo, pianta millenaria del paesaggio agricolo del Mediterraneo, è una delle specie più caratteristiche nelle aree verdi del Parco. Utilizzare i metodi e le tecniche della raccolta delle olive utilizzati nel mondo romano, illustrati anche da autori come Columella e Plinio il Vecchio, significa garantire il pieno rispetto delle piante, salvaguardare la biodiversità e garantire la piena sostenibilità ambientale. È quanto sta realizzando il Parco archeologico di Pompei con il vasto patrimonio di ulivi presenti nei siti di propria competenza, grazie alla collaborazione con UNAPROL e APROL Campania. L’attività si inserisce nel più ampio progetto di Azienda agricola Pompei, un progetto teso alla riqualificazione e valorizzazione del patrimonio naturale del Parco. La raccolta delle olive viene effettuata in tutti i siti del Parco e, in particolare, a Stabia e a Civita Giuliana dove sono presenti, in continuità con il mondo arcaico, le cultivar Minucciola, Ogliarola, Olivella, Pisciottana, Ravece, Rotondello, oltre la Nostrale oggi a rischio di estinzione.
Roma. Passeggiata tra gli ulivi del parco archeologico del Colosseo alla scoperta della storia dell’olio nell’antica Roma, e lezione sull’EVO con degustazioni: iniziativa aperta solo ai possessori della Membership Card

Vuoi scoprire la storia dell’olio nell’antica Roma immergendosi tra gli ulivi del parco archeologico del Colosseo? Giovedì 23 settembre 2021, alle 17, lo staff invita a partecipare alla passeggiata tra i 189 ulivi del PArCo raccontando la storia dell’olio nell’antica Roma nel percorso organizzato insieme a Coldiretti Lazio, Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano e EVOO School Italia. Ma non tutti lo potranno fare: l’iniziativa è aperta solo ai possessori della Membership Card. Al termine, una esclusiva lezione tenuta dai docenti di Unaprol – Evoo School introdurrà alla conoscenza dell’Olio Extra Vergine di Oliva e si concluderà con una seduta di assaggio guidata di 3 olii EVO. Per i primi 15 member che prenoteranno l’esperienza è prevista una sorpresa! Per iscriversi, inviare un’email a pa-colosseo.membership@beniculturali.it. Chi non ha la ancora la Membership Card, è sempre in tempo per richiederla: Membership – Parco archeologico del Colosseo (parcocolosseo.it).
Roma. Il parco archeologico del Colosseo sigla un accordo di collaborazione con Coldiretti e Unaprol per la manutenzione degli olivi del parco e la produzione di olio extravergine. Presentate le prime bottiglie di evo Palatinum

Negli ultimi mesi lo staff del parco archeologico del Colosseo ha lavorato a moltissimi progetti per essere davvero pronto a ripartire quando le condizioni lo avrebbero permesso. Quanto era stato sperato finalmente si è concretizzato e proprio da fine maggio prende il via la collaborazione formativa e educativa del PArCo con Coldiretti e Unaprol-Consorzio olivicolo italiano. L’accordo è presentato in un video, girato tra la fine del 2020 e questi ultimi giorni, che racconta bene le attività portate avanti finora, strettamente connesse al percorso dedicato agli alberi di olivo presenti nel PArCo. Una su tutte, quella dedicata a studenti e studentesse che, accompagnati da guide archeologiche del PArCo, potranno visitare le principali aree in cui sono presenti gli olivi e seguire anche una speciale lezione tutta dedicata all’olio, a cura della Fondazione Evoo School.
“Abbiamo sottoscritto questo protocollo che punta alla manutenzione, all’assistenza, delle circa 200 piante dentro il parco archeologico del Colosseo”, spiega David Granieri, presidente Coldiretti Lazio, “convinti che in questo contesto si possa costruire una coscienza del consumatore dove in un ambiente così speciale e così unico può anche imparare parte della cultura agroalimentare italiana”. Il PArCo – ricorda il direttore Alfonsina Russo, “porta avanti nel suo programma strategico, oltre alla cura del patrimonio monumentale, la cura del verde, del paesaggio che costituisce il contesto nel quale i monumenti sono inseriti. Questo binomio tra verde-paesaggio e cultura-monumenti archeologici si coniuga in quest’azione che il parco archeologico ha messo in atto con Coldiretti ed è importante per noi perché l’ulivo rappresenta una pianta sacra legata anche al mito. È una pianta sacra alla dea Minerva. E in questo modo raccontiamo anche quello che la pianta rappresenta per quest’area archeologica. Credo che questa sia un’attività sperimentale che possa fungere da modello per altre aree archeologiche italiane”. Nicola Di Noia, direttore generale Unaprol: “Stiamo dando nuova vita a questi alberi facendo in modo di raccogliere le olive e ottenerne un olio di assoluta qualità e unicità perché questo è un luogo unico dove i turisti potranno non solo ammirare queste opere straordinarie millenarie, ma potranno in qualche modo avvicinarsi anche alla cultura di questo prodotto che è l’olio extravergine di oliva e delle olive da tavola che in Italia da più di duemila anni si produce, che anche i romani producevano anticamente”. E Sara Paraluppi, direttore Coldiretti Lazio: “Questa è una bellissima giornata di sole in cui nel cuore di Roma, nel parco archeologico del Colosseo, abbiamo iniziato la raccolta delle olive. È un momento importante perché è un’occasione per un percorso di collaborazione stretta con l’arte di una città storica per eccellenza in tutto il mondo in cui oltre alla visita ai monumenti possiamo pensare di poter far gustare quelle che sono le eccellenze di un territorio in cui l’olio sicuramente la fa da padrona”. L’annata 2020 è confezionata in splendide bottiglie, con un’etichetta molto elegante che riproduce, come disegni e come colori, una pittura parietale di una delle domus che sono presenti sul Palatino, la cosiddetta Casa dei Grifi. “Ci auguriamo – conclude Alfonsina Russo – si possano realizzare all’interno del parco archeologico del Colosseo con Coldiretti dei laboratori aperti alle famiglie ai giovani ai bambini. Credo che sia molto importante anche l’educazione, la trasmissione di quella che è la filiera di produzione dell’olio. Quindi dalla pianta all’olio stesso”.
A Pompei a tavola con gli antichi romani. Coldiretti, dall’esperienza di Eatstory, propone alcune antiche ricette pompeiane abbastanza facili. Provate a realizzarle

A Pompei con “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” si possono rivivere atmosfere e sensazioni gastronomiche del passato
Lo street food? Non è una caratteristica solo dei nostri giorni. Basta andare agli scavi di Pompei per ricredersi. L’antica città romana era piena di botteghe dove si serviva e si poteva consumare il “cibo da strada”, che era molto diffuso. Il cibo cucinato aveva aromi tramandati fino a oggi. Sulle tavole dei pompeiani non mancavano frutta, dolci e vino. Ma ai pompeiani piaceva molto mescolare il dolce e il salato. Anche oggi possiamo gustare quei sapori. Proprio in queste settimane, come già detto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/07/a-pompei-con-eatstory-larcheologia-sposa-lenogastronomia-i-turisti-negli-spazi-coldiretti-possono-rivivere-atmosfere-e-sensazioni-del-passato-obiettivo-superare/) i visitatori di Pompei hanno un motivo in più per lasciarsi coinvolgere emotivamente dagli scavi romani: per tutto dicembre, almeno, c’è “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” iniziativa promossa da Coldiretti e soprintendenza speciale di Pompei che per la prima volta ha portato all’interno dell’area archeologica di Pompei la possibilità di degustare il cibo degli antichi romani. Proprio da questa esperienza gli esperti di Coldiretti hanno rielaborato alcune antiche ricette pompeiane che ora propongono per i nuovi percorsi legati al progetto Eatstory. Ecco come realizzarle.
GLOBI (dolce) – Ingredienti: usare come formaggio la ricotta (preferibile) altrimenti il “primo sale” o un caprino; farina di farro; miele; semi di papavero; olio o sugna per la frittura. Preparazione: mescolare in parti uguali il formaggio e la farina di farro. Con questo impasto preparare tante polpettine. Versare dello strutto in una padella calda in cui friggere i “globi” da rigirare con due palette per favorire la cottura. Sollevare dalla padella e spalmare di miele, poi cospargere di semi di papavero. Servire così.
CASSATA DI OPLONTIS – In un affresco di un triclinio della Villa di Oplontis (Torre Annunziata) è raffigurato un dolce dalla incredibile somiglianza con una moderna cassata, il tradizionale dolce siciliano a base di ricotta e zucchero. Ecco una ricetta basata su ingredienti dell’epoca. Ingredienti: frutta secca tagliata a dadini, albicocche (150 gr), prugne (150 gr), uva sultanina (100 gr), datteri (a piacere). A parte tenere alcuni frutti interi per la decorazione; 600 grammi di miele; 100 grammi di noci spellate; 20 grammi di pinoli; 1,5 kg di ricotta di mucca; 150 grammi di farina di mandorle; colore rosso per alimenti; carta forno. Preparazione: passare in poco miele 100 gr di noci spellate e i pinoli fino ad ottenere una miscela caramellata consistente. Lasciar raffreddare e poi sminuzzare. Passare 1 kg e mezzo di ricotta vaccina al setaccio lasciandone 100 gr per la decorazione superiore. Mescolare il resto aggiungendo gradatamente 500 gr di miele fino ad ottenere una crema di dolcezza pari a quella della normale cassata. Continuare a mescolare fin quando la crema non diventa morbida e leggera. Aggiungere la frutta a dadini ed il caramello sminuzzato. A parte, impastare 150 gr di farina di mandorle con un po’ di miele e un po’ di colore rosso da pasticceria in polvere così da ottenere una sorta di marzapane rosso. Foderare una teglia dal diametro di 30 cm con carta unta con olio dalla parte interna. Stendere il marzapane rosso con un mattarello per ottenere una striscia con cui foderare i fianchi della teglia. Riempire il vuoto della teglia con la crema di ricotta ed infilare il tutto nel frigorifero. Lasciare riposare un giorno, poi sformare la cassata su di un vassoio staccando la carta delicatamente. Coprire la parte superiore con un velo di ricotta passata al setaccio e decorare con la frutta messa da parte.
LIBUM (PIZZA AL FORMAGGIO) – Ingredienti: 6 etti di formaggio; 3 etti di farina di grano tenero; 150 g di semola. Preparazione: il “libum” si prepara tritando bene nel mortaio 6 etti di formaggio; aggiungere 3 etti di farina di grano tenero o, se si vuole più morbido, appena 1 etto e mezzo di semola, e mescolare bene il tutto. Con questo impasto si fa una pagnotta, la si appoggia su foglie di lauro e si cuoce col coppo lentamente, in forno caldo.
OLIVE NERE IN AGRODOLCE – Preparazione: si prepara una marinata composta da 3 parti di miele ed una di aceto, nonché un pizzico di semi di finocchiella, il tutto sufficiente a coprire interamente le olive. Nel caso non si avesse tanto tempo e si volesse gustare subito le olive, utilizzare una pirofila dove versare le olive. Preparare la marinata con 3 parti di miele ed una di aceto nonché con un pò di semi di finocchiella e versarla sulle olive, ma senza coprirle interamente.
SALA CATTABIA (BRUSCHETTA POMPEIANA) – Ingredienti: pane casereccio (tipo integrale) in fette; acqua; aceto; 50 grammi di parmigiano grattugiato; 3-4 foglie di coriandolo verde o prezzemolo; 3-4 foglie di menta; pepe in polvere; 2 spicchi di aglio; 3 cucchiai di miele millefiori; 3 cucchiai di olio Evo. Preparazione: immergere le fette di pane in una bagna composta da due parti d’acqua e una parte di aceto, facendo colare il liquido eventualmente in eccesso. Preparare in un frullatore una salsa con il parmigiano grattugiato, le foglie di coriandolo verde o prezzemolo, di menta, un pizzico di pepe, 2 spicchi di aglio (se piacciono), il miele e l’olio. Avrete realizzato una pasta (nel caso aggiungere un altro pò di olio o pochissima acqua) con cui spalmare le fette di pane.
A Pompei con “Eatstory” l’archeologia sposa l’enogastronomia: i turisti negli spazi Coldiretti possono rivivere atmosfere e sensazioni del passato. Obiettivo: superare i tre milioni di visitatori entro fine anno. Ogni martedì degustazioni di un tipico menù pompeiano. Se va bene, l’iniziativa sarà proposta negli altri siti vesuviani
Tre mesi per testare il gradimento del pubblico sull’abbinamento archeologia-enogastronomia negli Scavi di Pompei. Poi si vedrà. Con l’obiettivo, intanto, neppure tanto nascosto, di superare entro la fine dell’anno i tre milioni di visitatori dell’area archeologica più famosa d’Italia grazie appunto a “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia”, presentato il 5 novembre scorso dal soprintendente Massimo Osanna, il direttore generale del Grande Progetto Pompei Luigi Curatoli, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, alla presenza del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/04/pompei-a-pranzo-negli-scavi-archeologici-con-un-antico-menu-pompeiano-promosso-da-coldiretti-eatstory-da-noi-il-cibo-ha-una-storia/). Fino a dicembre, ogni martedì e sabato, alla Casina dell’Aquila, per la prima volta all’interno dell’area archeologica di Pompei si può degustare il cibo degli antichi romani. Con “Eatstory” infatti i visitatori potranno rivivere atmosfere e sensazioni del passato, apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di questo percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione. Ed è proprio la degustazione di un tipico menu pompeiano, preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale, la rivoluzionaria iniziativa della Coldiretti resa possibile grazie al protocollo con la soprintendenza per i Beni archeologici di Pompei e alla collaborazione con il Grande progetto Pompei.
“Pompei è città unica perché custode della memoria del nostro passato in tutti i suoi aspetti”, interviene il soprintendente Osanna. “Le numerose testimonianze della vita quotidiana del mondo romano è quanto di più vivo e forte ci è stato restituito. Sono numerosissime, a Pompei, le tracce tangibili dei gusti e delle tradizioni gastronomiche risalenti a 2000 anni fa. Dalle migliaia di graffiti ritrovati sui muri antichi, ai tanti oggetti di uso domestico rinvenuti nelle case, fino ai più fragili e impressionanti reperti organici carbonizzati, di legni, fibre ma soprattutto di cibi, da quelli preparati come le pagnotte di pane, ai prodotti della terra (cereali, fichi, melagrane, olive, lenticchie, ceci e tanto altro)”. Secondo Osanna, Eatstory “è l’occasione per mettere in evidenza l’origine dei nostri prodotti e dunque lo stretto legame tra mondo antico a moderno e la collaborazione con Coldiretti ci consente, attraverso la degustazioni di quegli stessi prodotti all’interno dell’area archeologica, di vivere un’esperienza unica”.
E a scorrere il menù non c’è dubbio che per i visitatori sarà proprio un’esperienza unica. Come antipasto (gustum) saranno serviti scriblita (focaccia con spezie), caseus (ricotta), caseus caprinus (formaggio di capra), brassica pompeiana (cavolo pompeiano in salsa di garum) e cucurbitas frictas (zucca fritta). La portata principale (mensae primae) a base di porcellum assus (maialino arrostito), esicia omentata (polpette avvolte nell’omento, ovvero la rete di maiale) e patina de apua fricta (torta di acciughe fritte) mentre come dolce e frutta (mensae secondae) sono stati serviti mala (mele annurche), mala granata (melograni), pira (pere), uvae (uva), caricae (fichi secchi) del Cilento e basynias (struffoli) come dolce, ma anche noci, nocciole e mandorle campane. Il tutto innaffiato da vino (vinum) falernum rubrum (falerno del massico rosso) e vinum passim (vino passito) e panis Pompeii. “Si tratta di specialità che”, sottolinea la Coldiretti, “sono state trasmesse praticamente inalterate nel corso dei secoli grazie all’impegno di generazioni di agricoltori che ne hanno custodito gelosamente tecniche e segreti. La mela annurca, a esempio, è senza dubbio il frutto maggiormente caratterizzante la Campania Felix, come dimostrano i dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano (in particolare nella Casa dei Cervi), città romana sommersa insieme a Pompei dalla distruttiva eruzione del Vesuvio del 79 d.C.”.
“Il turista”, spiega Curatoli di Grande Progetto Pompei, “attraverso le brochure approntate da Coldiretti, scoprirà come 2000 anni fa si mangiasse in modo assai simile ad oggi, seppure i prodotti subissero una lavorazione evidentemente meno progredita. Proprio per incrementare l’offerta turistica, la manifestazione che nasce a Pompei, qualora incontrasse il favore dei visitatori, proseguirà, durante il prossimo anno, negli altri siti archeologici dell’area appena menzionata, anche per favorire lo sviluppo socio-economico della zona attraverso il rilancio delle imprenditorialità anche agricole”. “Un’opportunità unica per l’Italia”, interviene Moncalvo di Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica, strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel Mezzogiorno e in tutta Italia. Con questa iniziativa, si uniscono due eccellenze del Made in Italy che può contare sul primato mondiale nell’enogastronomia e sul maggior numero di siti inclusi nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (51 siti), davanti alla Cina (50) e alla Spagna (48), su un totale di 1.052 siti (814 culturali, 203 naturali e 35 misti) presenti in 165 Paesi del mondo”.
Pompei. A pranzo negli Scavi archeologici con un antico menù pompeiano promosso da Coldiretti: “Eatstory, da noi il cibo ha una storia”
A pranzo negli Scavi di Pompei con un antico menù pompeiano. L’inaugurazione di “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è fissata per sabato 5 novembre 2016, dalle 9.30 al Quadriportico Teatro di Pompei alla presenza di Luigi Curatoli, direttore generale grande progetto Pompei; di Massimo Osanna, soprintendente speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia; di Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali e Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti. Il progetto “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è infatti realizzato dalla Coldiretti nell’area archeologica di Pompei e punta a fare rivivere ai visitatori degli scavi atmosfere e sensazioni del passato, “ma anche l’opportunità di apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di tale percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione”. Per la prima volta dunque nell’area archeologica di Pompei arriva il cibo degli antichi romani per far conoscere ai visitatori da tutto il mondo il legame che unisce la storia dell’Italia al proprio patrimonio enogastronomico. È prevista la degustazione del menu Pompeiano (gustum, primae mensae e secundae mensae) preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale. Una opportunità unica al mondo per l’Italia, sottolinea Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel mezzogiorno ed in tutta Italia, come dimostra il dossier Coldiretti presentato nell’occasione”.
Dalla manna al grano dei faraoni, dal vino cotto degli antichi romani al grano monococco della mummia del Similaun: Coldiretti porta a Expo la mostra “No farmers No Party” con i prodotti antenati del “made in Italy” salvati dagli agricoltori italiani

Il grano monococco, la manna e l’idromele: tre prodotti dell’antichità che Coldiretti presenta a Expo Milano nella mostra “No farmers, no party”
C’è la biblica manna nel racconto di Mosè o il vino cotto apprezzato dagli antichi romani, il fagiolo del borgo di Cortereggio o il grano di saragolla noto anche come grano dei faraoni. Coldiretti porta a Expo i cibi più antichi della tradizione italiana, gli antenati del made in Italy, che rischiavano di scomparire e sono stati salvati dagli agricoltori: è la prima esposizione dedicata a prodotti salvati nei secoli dagli agricoltori italiani nel Padiglione Coldiretti “No Farmers No Party” all’inizio del cardo sud. Come nel caso del fagiolo piemontese del borgo di Cortereggio, che in passato, per la sua qualità, era utilizzato come bene di scambio per acquistare l’uva del Monferrato, che serviva per fare il vino. Scomparso dai mercati italiani già negli anni ’80 del secolo scorso è stato salvato da un agricoltore che ne ha consegnato qualche chilo all’Università di Torino per conservarne il germoplasma. Oggi la Piattella, che può dunque essere prodotta con la stessa qualità di una volta, è entrata addirittura nel menù dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti. “Quello che esponiamo con orgoglio è il risultato di generazioni di agricoltori”, sottolinea il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, “impegnati a difendere la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari”.
Tra i cibi in mostra il più noto è forse la manna, che deve la sua fama all’episodio riportato nella Bibbia: gli Ebrei guidati da Mosè erravano nel deserto del Sinai, piegati dagli stenti e dalla fame quando ricevettero da Dio questi fiocchi bianchi e dolci dal gusto di miele. A salvarla dall’estinzione sono stati gli agricoltori siciliani, che la estraggono dal frassino per utilizzarla come dolcificante per i diabetici, nelle cure dimagranti e nelle terapie disintossicanti. Viene, invece, dall’antica Roma il vino cotto, bevanda marchigiana prodotta facendo bollire il mosto di uve bianche o rosse in caldaie di rame e lasciata quindi a fermentare e riposare in botti di legno per anni. I patrizi e gli imperatori romani concludevano i loro succulenti banchetti con calici di cotto proveniente dalle campagne picene, tanto che Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., ne descrive il metodo di preparazione e la considera tra le bevande più ricercate d’Italia.
Risale addirittura a 23mila anni fa – spiega Coldiretti – il grano monococco (Triticum monococcum), la specie geneticamente più semplice e antica di grano coltivato, originario della zona centro-settentrionale della Turchia. Anche l’esame della famosa mummia del Similaun (3350-3310 a.C.) ha accertato la presenza del grano monococco a base della dieta nell’età del Rame. La coltivazione di questo cereale scompare però alla fine dell’età del Bronzo (1000-900 a.C.), ma in Lombardia alcuni agricoltori hanno deciso di recuperarla, valorizzandone le caratteristiche dietetico-nutrizionali, grazie all’ottima composizione della sua farina, al basso livello di glutine e al limitato impatto ambientale della sua produzione. Dalle Piramidi deriva, invece, il grano saragolla, conosciuto anche come Grano degli Egizi o del Faraone, che oggi si coltiva in Abruzzo dove fu introdotto nel 400 d.C. Quasi abbandonata con l’avvio delle importazioni di grano dall’estero, la coltivazione del saragolla è stata salvata dai piccoli agricoltori della zona collinare del basso Adriatico. I Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, – prosegue Coldiretti – erano particolarmente amati dai Romani che nei pranzi nuziali erano soliti offrirli come cibo augurale per la fecondità degli sposi. Ricercati fin dall’antichità sia per le proprietà benefiche per stomaco e intestino, sia per i loro presunti effetti afrodisiaci, ebbero un posto di rilievo nei trattati di medicina nonché nelle diete proposte dai più famosi personaggi dell’antichità come Galeno, Plinio il Vecchio, Pedanio e persino da Ovidio. La loro coltivazione è stata recuperata in Basilicata. Anche l’idromele, bevanda a base di miele – evidenzia la Coldiretti – era molto noto nell’antichità come “la bevanda degli dei” che Omero chiamava ambrosia. Secondo alcuni si tratta addirittura della bevanda fermentata più antica del mondo, più della birra. Era tradizione, in molte parti d’Europa, che alle coppie appena sposate fosse regalato idromele sufficiente per la durata di una luna, un periodo di tempo di quasi un mese. Il termine “luna di miele” deriva proprio dal fatto che per la durata di una luna la coppia godeva del consumo di questa deliziosa bevanda.
È nato, invece, dall’incontro tra la cultura agroalimentare friulana e quella germanica il Prosciutto di Sauris Igp. La tecnica di produzione, infatti, è legata alla tradizione delle popolazioni tedesche, insediatesi in Friuli Venezia Giulia nel secolo XIII, di lavorare e conservare, attraverso l’affumicatura, la carne e le cosce suine, Da allora, il metodo dell’affumicatura viene tutt’oggi effettuata con le stesse modalità, per assicurare al prodotto le caratteristiche inconfondibili per le quali è conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini regionali e nazionali. Anche il mais sponcio ha una storia che risale al 1500, quando viene introdotto nelle zone montane di Belluno. Presenta spighe affusolate a tutolo bianco, con semi dalla inconfondibile forma a punta (rostro), da cui il nome dialettale sponcio, cioè che punge, ed è la base della tradizionale polenta gialla di montagna: densa, soda, forte e profumata, con le caratteristiche pagliuzze marroni. Ma è ripresa anche – conclude la Coldiretti – la coltivazione del farro, uno dei primissimi cereali coltivati dall’uomo, proveniente dalla Mesopotamia, da cui, attraverso l’antico Egitto e il Mediterraneo, arrivò nella penisola italica. Molto coltivato nell’antichità, con tracce che risalgono al 7000 a. C., menzionato anche nella bibbia (Ezechiele 4-9), ebbe grande prestigio durante il periodo romano e i legionari ne portavano sempre delle scorte con sé nei loro movimenti da un territorio all’altro.















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