Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).

L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)

Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.

Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.

La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.

Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.

Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.

Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.

Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 2. parte: il “fiume del tempo”, la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo
Seconda parte della visita guidata live della mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri” a Palazzo Zaguri a Venezia con il curatore prof. Maurizio Damiano. Dopo aver visto come è nato il progetto espositivo e perché sono esposte repliche del tesoro di Tutankhamon, e del messaggio che queste portano nel mondo (vedi Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 1. parte: il progetto espositivo e il ruolo delle repliche | archeologiavocidalpassato), in questa puntata il prof. Damiano ci porta per mano a scoprire la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo: è “il fiume del tempo”, come è stata chiamata questa sezione. Giocando sul ruolo del Nilo e sullo scorrere dei secoli. La sezione si trova all’ultimo piano di Palazzo Zaguri, la soffitta, ed è da lì che inizia la visita della mostra articolata su cinque piani, dall’alto in basso.
In questa prima sezione si vedono tanti modellini di navi per ricordare che l’Egitto vive per il fiume che era poi la via di trasporto maggiore. “L’Egitto non esisterebbe senza il Nilo, naturalmente”, esordisce Damiano. “È vero – come dice Erodoto – che l’Egitto è un dono del Nilo. Ma è certo che gli egiziani se lo sono guadagnato perché il Nilo nella preistoria era un fiume violento. Quindi questa grande conoscenza che loro hanno sviluppato nell’idraulica era dovuta alla difesa prima di tutto. Loro dovevano difendersi da questo fiume ben diverso da quello controllato di oggi. Quindi io ho voluto tenere sempre a mente il fiume con questi modelli di navi”. Siamo ndel “fiume del tempo”: “In questa sezione ho voluto sviluppare la storia dell’Egitto ma partendo da lontano. Nella prima vetrina si vedono i nostri antenati: australopithecus, homo habilis, homo erectus, neanderthal. E si vedono i loro manufatti, dai più antichi – chopper, chopping tool realizzati dall’homo habilis 2 milioni e mezzo di anni fa – fino a quelli sbozzati nell’Abbevilliano che poi si vanno perfezionando nell’Acheuleano. L’amigdala per me è la prima opera d’arte dell’umanità. Non c’è solo il lato utilitaristico con la punta e il taglio, che però erano già presenti negli strumenti più antichi. Qui nasce qualcosa che mancava totalmente prima. Questo ominide non è più un animale come gli altri, comincia a volere un qualcosa di particolare che non ha nessun uso specifico. È un’esigenza interiore: la simmetria. Questo ominide perde ore e giorni per creare strumenti che siano esattamente simmetrici, belli. Ecco lì nasce l’arte. Una delle scoperte fatte tra i 400 siti esplorati nel gran mare di sabbia nella zona della mia concessione sono le scuole delle amigdale”, spiega Damiano. “Ma nel gran mare di sabbia si trova anche un materiale più raro dei diamanti: si chiama silica glass, noto anche come vetro del deserto, creato dall’impatto di una cometa contro l’atmosfera terrestre in un punto sopra il gran mare di sabbia. L’impatto, che ha portato la temperatura a più di 4700 gradi, ha fuso la sabbia e ha creato il vetro naturale più puro sul pianeta Terra: 98% di biossido di silicio. Il Cristallo di Boemia, per fare un esempio, è al 65%. E questo è successo 29 milioni di anni fa. Poi, quando è arrivato, l’uomo ha scoperto che questa cosa strana tagliava meglio della stessa selce – è ovvio, è vetro -, e quindi ha iniziato a fabbricare i suoi manufatti: siamo nel Neolitico, nel gran mare di sabbia”. Il “fiume del tempo” prosegue con dei modelli ricostruiti in base alle pitture vascolari protostoriche-predinastiche e alle incisioni rupestri. Sono esposti due tipi di imbarcazioni. Quindi è presentata la tavolozza dove vediamo la vacca Hathor e le stelle. Questa è finora la più antica rappresentazione di costellazione dell’umanità. “Diciamo Hathor ma in realtà all’epoca la dea vacca era chiamata Bat, la sua antenata. Nel Neolitico – continua Damiano – si sviluppa la tecnica fino alla perfezione delle punte di freccia straordinarie e delle lame”. Si vede poi esposto il grande faraone Cheope, Kufu in antico egizio. “Il faraone Cheope, il costruttore della Grande piramide, ci ha lasciato delle opere. E forse alcune sono statue sue, ma non c’è certezza perché è andata persa l’iscrizione. L’unica statua di cui c’è certezza è questa statuetta trovata dal grande archeologo Petrie in una fossa. Era un po’ sporca e incrostata. L’ha fatta analizzare: era sterco umano. Quindi l’hanno letteralmente buttato lì. Peraltro lui è passato alla storia come un pessimo faraone mentre suo padre Snefru che è il più grande costruttore di piramidi (perché ne ha costruite diverse) è passato alla storia come il faraone ideale, quello buono illuminato. E si arriva alla tavolozza di Narmer che è l’atto di fondazione dell’Antico Egitto, esposta di fianco per permettere di vere entrambi i lati della stele, su una faccia il faraone con la corona rossa e con la corona bianca sull’altra. Con Narmer il re diventa faraone, cioè il signore di tutto l’Egitto. E con questo atto nasce la storia, inizia la prima dinastia, inizia la storia dinastica dell’Egitto”.
“Del Nuovo Regno prendiamo due esempi: Hatsheptut, il faraone donna, e Tutmosis III”, riprende il curatore della mostra veneziana. “Qui spiego il rapporto che c’era tra di loro perché vi hanno romanzato. È stato detto che era un’usurpatrice: no, lei era per più motivi legittima”. Quindi si passa al nonno di Tutankhamon, Amenhotep III (Amenofi III), che i francesi chiamano il Re Sole d’Egitto perché era il re esteta. Lui ha vissuto in un regno di pace, ricchezza, prosperità e l’arte egizia, che è sempre volta a uno scopo creatore, con Amenhotep III ha anche un lato edonistico che si sviluppa. Amenhotep III è il padre di Akhenaten che è il padre di Tutankhamon. La moglie di Amenhotep III era Tye, un personaggio che probabilmente era quella che decideva in casa: donna molto forte, aspetto reso bene anche dai suoi ritratti. Uno è anche in mostra. Si arriva quindi al regno di Akhenaten che, come detto è il padre di Tutankhamon: fatto appurato dalle analisi genetiche sulla mummia della tomba KV 55. La madre non è Nefertiti, ma un’altra donna che il DNA ci ha detto essere la cosiddetta Younger Lady. È la mamma di Tutankhamon, ma non ne conosciamo il nome. Si sa che era una cugina o una sorella di Akhenaten, ma il DNA non dice di più”. In mostra due dei molti ritratti di Nefertiti: uno è la riproduzione di quello del Cairo. E poi c’è quello di una principessa amarniana. “Il cranio allungato – precisa Damiano – non è una deformazione praticata dagli egizi, per il quale il corpo è sacro. Il documento più antico che abbiamo sull’argomento riguarda un greco di età ellenistica che chiede a un medico di praticare questa barbarie a sua moglie. In Egitto questa è una convenzione artistico-religiosa lanciata da Akhenaten per sottolineare la divinità della famiglia reale. Ma attenzione: si dice che il faraone era divino. È sbagliato. La funzione di faraone era divina, ma il faraone restava uomo. Lo si capisce bene non in Egitto, dove non se o sarebbe mai permesso, ma nei templi della Nubia: qui si vede Ramses che fa offerte agli dei tra i quali c’è Ramses II: quindi da un lato c’è Ramses II uomo e re che offre al dio Ramses II in funzione faraonica”. E si arriva all’Epoca Tarda. Esposti amuleti autentici in argento e in faience. E un modello di nave punica per ricordare un episodio particolare: quando il faraone Nechao II (XXVI dinastia) chiese ai Fenici di esplorare le coste dell’Africa. Questi, al loro ritorno dopo tre anni, nel loro rapporto raccontarono che il sole, dopo un certo punto di navigazione, si levava a destra. “Dettaglio che per i Greci, secoli dopo, ritennero un falso. E invece era la dimostrazione che avevano superato il Capo di Buona Speranza: quella fu la prima circumnavigazione dell’Africa e l’avevano fatta i Fenici”.
Il percorso del “fiume del tempo” ci porta ai famosi ritratti del Fayyum, bellissimi. Per l’epoca romana ci sono una trireme, un po’ di vetri romani. E si giunge all’epoca cristiana. “Con il Cristianesimo – sottolinea Damiano – inizia la fine dell’Antico Egitto. Il vescovo di Alessandria, appena fu fatta la legge che diceva che i templi o diventavano chiese o dovevano essere rasi al suolo, con un gruppo di seguaci armati andò a distruggere il Serapeum, e con esso distrusse l’ultima parte della Biblioteca di Alessandria. È stata la fine dell’Antico Egitto, e da allora si sviluppa il Cristianesimo, del quale c’è un aspetto ancora molto popolare in Egitto: il culto della Sacra Famiglia (legato alla fuga in Egitto). Si creano monasteri, seguendone il percorso. Un altro dettaglio interessante è che viene venerato l’albero della Vergine a Eliopolis, oggi quartiere del Cairo che insiste sulle fondamenta di una delle più antiche città del mondo. Questo albero avrebbe nascosto la Vergine quando si sono avvicinati i soldati di Erode. Ed è ancora oggetto di pellegrinaggio. Ma in quel posto, quello stesso tipo di albero, un sicomoro, era l’albero sacro di Eliopolis che veniva venerato da millenni a Eliopolis”.
Torino. Al museo Egizio per “Incontro con gli autori”, in presenza e on line, presentazione del libro “I segreti di Tutankhamon” di Valentina Santini in dialogo con la curatrice del museo Egizio Federica Facchetti
Grazie al ritrovamento degli splendidi oggetti che erano parte del corredo funerario del giovane faraone, nel XX secolo esplose una vera e propria Tut-mania, che influenzò architettura, musica, letteratura e ogni altra forma d’arte. Tutankhamon iniziò a dettare moda più di qualsiasi altro stilista al mondo, divenne fonte di ispirazione più di qualsiasi altra musa, e affascinò l’immaginario collettivo più di qualsiasi altro personaggio. Ancora oggi, quando si pensa a un faraone, il rimando è quasi automatico: chi, se non Tutankhamon? Per “Incontro con gli autori” al museo Egizio di Torino, Valentina Santini, autrice del libro “I segreti di Tutankhamon”, in dialogo con la curatrice del museo Egizio Federica Facchetti, presenterà il volume edito da Longanesi giovedì 24 novembre 2022 alle 18 nella sala Conferenze del museo Egizio. L’evento è in lingua italiana. Ingresso libero fino ad esaurimento posti. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo Egizio

La copertina del libro “I segreti di Tutankhamon. Storia di un faraone tra mito e realtà” (Longanesi) di Valentina Santini
“I Segreti di Tutankhamon” (Longanesi). A cento anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, un saggio che svela fatti e curiosità su uno dei ritrovamenti archeologici più sensazionali di tutti i tempi. Un viaggio avvincente attraverso il passato e le sabbie della Valle dei Re per conoscere più da vicino i segreti del faraone bambino. Il 4 novembre 1922 il piccone di un operaio colpì il primo gradino di una scala davanti alla tomba già nota di Ramses VI. L’egittologo inglese Howard Carter, ormai sfinito e prossimo a interrompere gli scavi, seguì quegli scalini uno dopo l’altro con il cuore che gli martellava nel petto finché non si trovò di fronte all’accesso di una porta in pietra. Quello che scoprì entrando da quel passaggio avrebbe cambiato le sorti dell’archeologia: la prima tomba di un faraone praticamente intatta. La casa che avrebbe dovuto ospitare la vita ultraterrena di Tutankhamon era stipata di migliaia di oggetti preziosi, statue divine e umane, letti, un trono, armi e gioielli e di alcuni dei reperti più incredibili, famosi e misteriosi di tutta la Storia come i feti mummificati delle figlie del faraone, la maschera in oro e lapislazzuli che copriva il suo volto e il pugnale forgiato con ferro e nichel di origine meteoritica: tutti gli ingredienti del mito e della Tut-mania che a partire dagli anni Venti si sarebbe diffusa in tutto il mondo. A distanza di cento anni, il fascino che Tutankhamon esercita su di noi e sulla cultura pop è ancora profondo.

L’egittologa Valentina Santini
Valentina Santini è dottoranda in Egittologia al dipartimento di Studi classici, Storia antica e Archeologia dell’università di Birmingham e, dopo aver lavorato al museo Egizio di Torino, è ora egittologa e addetta alla comunicazione al centro studi CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies) di Firenze. Le sue ricerche si concentrano sull’antico Egitto e in particolare sugli aspetti della vita spirituale del popolo del Nilo.
Firenze. Chi era davvero Tutankhamon? Rispondono Massimiliano Franci e Valentina Santini nell’incontro “Tutankhamon oltre il mito” promosso da CAMNES
Chi era davvero Tutankhamon? La cultura moderna quanto è ancora influenzata dalla sua leggenda? Nel mese del centenario della scoperta della sua tomba, CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies) di Firenze continua a celebrare Tutankhamon, stavolta con un incontro dedicato a “sfatare i miti” che ruotano attorno alla figura del giovane faraone. L’appuntamento – a ingresso libero – è venerdì 18 novembre 2022, alle 16, alla ex-chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini, in via Faenza 43 a Firenze con “Tutankhamon oltre il mito”. Cosa sappiamo davvero di Tutankhamon? Quanto è sottile il filo che divide la leggenda dalla realtà? Cosa si intende per Tut-mania? Com’è nata la “maledizione” della sua mummia? Un incontro a cura di Massimiliano Franci e Valentina Santini per parlare del faraone, ma anche e soprattutto del ragazzo Tutankhamon, a cento anni da una delle scoperte archeologiche più celebrate di tutti i tempi.
Egitto. Per il centenario della scoperta della Tomba di Tutankhamon il Consiglio supremo delle Antichità apre mostre archeologiche e d’arte, accompagnate da visite guidate, attività e laboratori artistici sull’arte della mummificazione e della scrittura nell’antico Egitto
4 novembre 1922-2022: per il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon il settore Musei del Supremo Consiglio delle Antichità dell’Egitto celebra l’anniversario con una serie di mostre archeologiche e d’arte, ed eventi che includono visite guidate didattiche, attività e laboratori artistici didattici sull’arte della mummificazione e della scrittura nell’antico Egitto, sulla tomba del Faraone bambino e sul suo corredo funerario.

Due statue del faraone bambino che furono scoperte tra undici statue nel nascondiglio del tempio di Karnak esposte al Cairo nella mostra “Tutankhamon e la sua famiglia” (foto ministry of tourism and antiquities)

Mummia di giovane donna, forse la madre di Tutankhamon esposta al Cairo nella mostra “Tutankhamon e la sua famiglia” (foto ministry of tourism and antiquities)
“Al museo Egizio di Tahrir al Cairo”, annuncia il professor Moamen Othman, capo del settore dei musei al Consiglio supremo delle antichità, “apre la mostra “Il centenario della scoperta della tomba del re Tutankhamon: Tutankhamon e la sua famiglia”, con 18 reperti appartenenti al re Tutankhamon, che non sono stati trovati all’interno della sua tomba, alcuni dei quali sono esposti per la prima volta. Tra questi la mummia di giovane donna, probabilmente la madre del re Tutankhamon (la regina Kyia?), quattro statue del faraone bambino che furono scoperte tra undici statue nel nascondiglio del tempio di Karnak, una serie di anelli recante il nome del re e una piccola lastra di maiolica incisa su entrambi i lati con i suoi nomi. E ancora un gruppo di scarabei col nome della regina Ankhesenamon, moglie del re Tutankhamon, una statua del re Akhenaten con la moglie Kyia, scoperta ad Amarna, un vaso canopo di Kyia, la madre di Tutankhamon, e la testa di una statua del re Amenhotep III scoperta nel nascondiglio di Karnak e la testa di una statua della regina Tiye, moglie del re Amenhotep III e madre del re Akhenaten, fu scoperta nel tempio di Hathor a Serabit el-Khadem nel Sinai”.
Il museo nazionale della Polizia nella Cittadella del Cairo organizza la mostra fotografica “Le armi del piccolo faraone”, aperta fino al 20 novembre 2022, con alcune immagini delle armi del re Tutankhamon, mettendo in luce le sue armi preziose e rarissime.
Il museo Tell Basta a Zagazig nel Delta centro-orientale aprendo la mostra d’arte di fotografie “Treasures of the Golden King”, che include un gruppo di fotografie d’archivio di alcuni dei possedimenti della tomba di Tutankhamon, e proseguirà per un mese.

Vasi canopi esposti al museo della Mummificazione a Luxor (foto ministry of tourism and antiquities)
Al museo della Mummificazione di Luxor apre la mostra archeologica “Vasi canopi”, che comprende quattro vasi canopi in alabastro che conservavano rispettivamente il fegato, l’intestino, i polmoni e lo stomaco del defunto. Continua fino all’11 novembre 2022.
Al museo di Arte antica egizia di Luxor apre la mostra archeologica “The Golden King Tut”, che proseguirà fino al 18 novembre 2022, con la statua del dio Amon nel corpo di re Tutankhamon, cinque stampi di mattoni rossi con il cartiglio del Re Tutankhamon, una statua in alabastro del re Tutankhamon in forma di Sfinge. Inaugurerà la mostra d’arte sul corredo funerario del re Tutankhamon intitolata “The Golden Mask”, con dipinti e fotografie di studenti di scuole e università, di belle arti e educazione artistica.
4 novembre 1922 – 4 novembre 2022: nell’anniversario della scoperta- cento anni fa – della tomba di Tutankhamon, a Firenze presentazione del libro “I segreti di Tutankhamon” e la mostra “Re-discovering Tutankhamon”
4 novembre 1922 – 4 novembre 2022: oggi, cento anni fa, Howard Carter scopri il primo gradino d’ingresso della Tomba di Tutankhamon. Il C A M N E S – Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies di Firenze insieme alla Lorenzo de Medici Gallery, dedica a questa ricorrenza, oggi 4 novembre 2022, un doppio evento: la giornata inizia alle 15 con la presentazione del libro “I Segreti di Tutankhamon” (Longanesi) di Valentina Santini all’ex-Chiesa di S. Jacopo, in via Faenza 43 – Firenze; e prosegue alle 17 con l’inaugurazione della mostra “ReDiscovering Tutankhamon”, dedicata al faraone bambino in occasione del centenario della scoperta della tomba. La mostra rimarrà aperta alla LdM Gallery in via de’ Pucci 4, a Firenze, fino al 18 novembre 2022. Proprio l’egittologa Valentina Santini, una dei protagonisti della giornata, ha anticipato questi due eventi con un video prodotto da Camnes, su un tema che dalla scoperta della tomba del faraone bambino ha fatto presa sull’opinione pubblica ed è entrata nell’immaginario collettivo: la maledizione di Tutankhamon.
Come è nata la leggenda della maledizione di Tutankhamon? E come si è diffusa fino ai nostri giorni? In questo video vedremo l’origine del mito e la sua trasmissione nel corso del tempo. Ne parla Valentina Santini, archeologa e dottoranda in Egittologia all’università di Birmingham, ha lavorato al museo Egizio, a Torino, dove è stata parte della redazione della Rivista dello stesso museo Egizio, ha gestito lo sviluppo del nuovo sito web e si è occupata della trasmissione al grande pubblico di contenuti scientifici egittologici (2016-2018). In precedenza aveva svolto attività di tirocinio al museo Egizio di Firenze, dedicandosi alla digitalizzazione e alla riorganizzazione dell’archivio cartaceo della collezione e fornendo supporto nel riallestimento delle sale (2012, 2015). È ora egittologa e addetta alla comunicazione presso il centro studi CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies) di Firenze.

La copertina del libro “I segreti di Tutankhamon. Storia di un faraone tra mito e realtà” (Longanesi) di Valentina Santini
“I Segreti di Tutankhamon” (Longanesi). A cento anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, un saggio che svela fatti e curiosità su uno dei ritrovamenti archeologici più sensazionali di tutti i tempi. Un viaggio avvincente attraverso il passato e le sabbie della Valle dei Re per conoscere più da vicino i segreti del faraone bambino. Il 4 novembre 1922 il piccone di un operaio colpì il primo gradino di una scala davanti alla tomba già nota di Ramses VI. L’egittologo inglese Howard Carter, ormai sfinito e prossimo a interrompere gli scavi, seguì quegli scalini uno dopo l’altro con il cuore che gli martellava nel petto finché non si trovò di fronte all’accesso di una porta in pietra. Quello che scoprì entrando da quel passaggio avrebbe cambiato le sorti dell’archeologia: la prima tomba di un faraone praticamente intatta. La casa che avrebbe dovuto ospitare la vita ultraterrena di Tutankhamon era stipata di migliaia di oggetti preziosi, statue divine e umane, letti, un trono, armi e gioielli e di alcuni dei reperti più incredibili, famosi e misteriosi di tutta la Storia come i feti mummificati delle figlie del faraone, la maschera in oro e lapislazzuli che copriva il suo volto e il pugnale forgiato con ferro e nichel di origine meteoritica: tutti gli ingredienti del mito e della Tut-mania che a partire dagli anni Venti si sarebbe diffusa in tutto il mondo. A distanza di cento anni, il fascino che Tutankhamon esercita su di noi e sulla cultura pop è ancora profondo.

Locandina della mostra fotografica “Re-discovering Tutankhamon” alla LdM Gallery di Firenze dal 4 al 18 novembre 2022
Mostra fotografica “Re-Discovering Tutankhamon”. È curata da Valentina Santini, Massimiliano Franci e Irene Morfini, con le immagini di Paolo Bondielli. La mostra, visitabile dal 4 al 18 novembre 2022, a ingresso libero, pensata per celebrare il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, mira a far riflettere il visitatore sugli aspetti meno noti che ruotano attorno alla figura del giovane faraone. Le foto sono state scelte con lo scopo di accompagnare il pubblico ad approfondire dettagli e particolari che spesso sfuggono o sui quali non ci si sofferma abbastanza, dando l’impressione ai visitatori di essere fianco a fianco al celebre sovrano d’Egitto.
Torino. Al museo Egizio per il centenario della scoperta della tomba del faraone bambino apre la mostra di arte contemporanea “Attraverso gli occhi di Tutankhamon. Prospettive e alternative sull’Egittologia” di Sara Sallam
In occasione dell’anniversario della scoperta della tomba di Tutankhamon, dal 4 novembre 2022 fino al 31 gennaio 2023, il museo Egizio di Torino ospiterà una mostra di arte contemporanea “Attraverso gli occhi di Tutankhamon. Prospettive e alternative sull’Egittologia” di Sara Sallam (1991), artista egiziana attualmente residente nei Paesi Bassi. La mostra, a cura di Sara Sallam e di Paolo Del Vesco, curatore del museo Egizio, sarà ad ingresso gratuito e accessibile sia dall’esterno (via Maria Vittoria) che dall’atrio principale (via Accademia delle Scienze 6) del museo. Saranno esposti tre diversi progetti dell’artista: A Tourist Handbook for Egypt Outside of Egypt, una guida turistica per le vie di Parigi che commemorano i luoghi e le battaglie della spedizione napoleonica in Egitto per cercare di proporre una narrazione storica alternativa a quella dominante occidentale; Home Outside of Home, una serie di stampe in cui oggetti antichi decontestualizzati in città europee esprimono tutta la loro nostalgia per i luoghi di origine; e I Prayed For The Resin Not To Melt, un’istallazione video in cui l’artista ci trasporta con forza nella tomba di Tutankhamon, al momento della sua scoperta, ma stravolgendo completamente la prospettiva alla quale siamo assuefatti dalla narrazione mitizzata occidentale della scoperta, focalizzando la nostra attenzione sull’udito anziché sulla vista dei tesori del faraone e restituendoci il punto di vista di Tutankhamon in uno dei momenti più drammatici della propria esistenza dopo la morte. Sabato 5 novembre 2022, in occasione della Notte delle Arti Contemporanee, sarà possibile visitare il museo e la mostra fino alle 20. Clicca QUI per acquistare il biglietto di ingresso al Museo.
Torino. Al via al museo Egizio le conferenze scientifiche ‘22-’23 con le ultime novità nell’ambito della ricerca egittologica direttamente dalla voce dei protagonisti. Apre, in presenza e on line, il curatore Federico Poole su “Statuette funerarie transgender: un problema epistemologico”
È online sul sito del museo Egizio di Torino il nuovo programma di conferenze scientifiche per la stagione 2022/2023: un ricco calendario di incontri incentrati sui temi di ricerca e di indagine egittologica e museale con protagonisti il dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio e studiosi provenienti da università e istituti di ricerca italiani e internazionali. Ad aprire la stagione sarà Federico Poole, curatore del museo Egizio, il 20 ottobre 2022, con la conferenza “Statuette funerarie transgender: un problema epistemologico” per analizzare le differenze fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, e affrontare il nodo della complessa figura dell’ushabti. Alcuni degli argomenti proposti dal dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio sono approfondimenti sulla cultura materiale, sui contesti archeologici di provenienza dei reperti e sulla società egizia, fino ai più recenti progetti espositivi realizzati come “Cortile Aperto. Flora dell’antico Egitto”. Grazie alla preziosa collaborazione con l’associazione ACME (Amici e Collaboratori del Museo Egizio), il pubblico potrà ascoltare le ultime novità nell’ambito della ricerca egittologica direttamente dalla voce di studiosi provenienti da università e istituti di ricerca italiani e internazionali. Tra i protagonisti il direttore del museo Egizio Christian Greco che parlerà della scoperta della tomba di Tutankhamon, l’egittologa Rita Lucarelli (University of California, Berkeley) che approfondirà il rapporto tra antico Egitto e l’Afrofuturismo, e Luigi Prada, assistant professor all’università di Uppsala e presidente dell’associazione ACME che terrà un intervento dal titolo “Quando l’antico torna di moda: Geroglifici per papi, re, e principi nell’Ottocento europeo”. Il programma di incontri è realizzato in collaborazione con il dipartimento di Studi storici dell’università di Torino. Tutti gli appuntamenti si terranno in presenza, in sala Conferenze, con ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Per gli incontri in lingua inglese, sarà disponibile il servizio di traduzione simultanea per il pubblico in sala. Tutti gli appuntamenti verranno anche trasmessi in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo Egizio.
Ad aprire la stagione ’22-’23 sarà dunque Federico Poole, curatore del museo Egizio, il 20 ottobre 2022, alle 18, con la conferenza “Statuette funerarie transgender: un problema epistemologico” per analizzare le differenze fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, e affrontare il nodo della complessa figura dell’ushabti. Introduce: Alessia Fassone, curatrice museo Egizio. Ingresso libero fino a esaurimento posti. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo. A partire dal periodo ramesside, i defunti di sesso femminile sono talvolta accompagnati nella tomba da statuette funerarie (“ushabti”) chiaramente caratterizzate come maschili dal loro abbigliamento. Questo fenomeno ci lancia una sfida interpretativa: le statuette sono infatti normalmente immagini del defunto, e conosciamo vari esemplari per donne che recano infatti parrucche femminili. Il tentativo di spiegare l’apparizione degli ushabti “trans” ci porterà, da un lato, al cuore del problema epistemologico della differenza fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, dall’altro, ad affrontare il complesso nodo della natura dell’ushabti, al contempo immagine del defunto e suo servitore.
Bologna. Al via “…Comunicare l’archeologia…” (quarto trimestre), il ciclo di incontri del Gruppo archeologico bolognese con focus sulla Grecia macedone, l’uomo del Paleolitico, e il riutilizzo dei materiali romani
“…Comunicare l’archeologia…”: al via il ciclo di incontri per il quarto trimestre 2022 proposto dal Gruppo archeologico bolognese al martedì, alle 21, in presenza al Centro Sociale G. Costa in via Azzo Gardino 48 a Bologna. Tuttavia, a causa del permanere del rischio di contagio da sars-cov-2, gli incontri si faranno applicando il criterio di sicurezza fondamentale, e cioè l’uso della mascherina tipo FFP2 per tutta la durata dell’incontro. Il Gabo richiede di non presentarsi alle conferenze con una temperatura corporea superiore a 37.5 gradi e se risultati positivi al tampone anche se asintomatici. Tutto questo salvo imprevedibili maggiori restrizioni richieste da eventuale peggioramento della situazione pandemica.

Alessandro Magno: dettaglio del grande mosaico della battaglia di Isso, proveniente da Pompei e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Si inizia martedì 18 ottobre 2022, con la conferenza “Nella Grecia macedone sulle orme di Alessandro Magno. Racconto di viaggio con il Gruppo Archeologico Bolognese” (Prima parte) tenuta dall’archeologa e travel designer Silvia Romagnoli che racconta lo splendido viaggio attraverso una civiltà di grande fascino realizzato da Insolita Itinera e accompagnato dalla stessa Silvia Romagnoli, tenutosi a giugno 2022, in collaborazione con il Gruppo Archeologico Bolognese. La Grecia conobbe in epoca antica momenti di assoluta gloria, dalla fioritura delle arti nel periodo classico al regno di Macedonia, il cui più celebre sovrano, Alessandro Magno, conquistò giovanissimo i territori remoti e inesplorati dell’Asia centrale. Il territorio della Macedonia custodisce i più affascinanti siti archeologici dell’antico Impero macedone, tra cui città fortificate, artefatti d’oro, e tombe monumentali dei sovrani. E poi lo splendore delle chiese bizantine di Salonicco, i cui mosaici, patrimonio dell’umanità UNESCO, sono tra le più alte testimonianze dell’arte cristiana sotto l’Impero Romano d’Oriente. Sopravvivono castelli e fortificazioni sul mare che sono oggi parte integrante del paesaggio e dell’anima dei borghi della Grecia del Nord. La Grecia continentale è anche spiritualità e contemplazione, come mostra il complesso monastico della Meteora, eretto in un paesaggio impervio quanto mozzafiato con inenarrabili sforzi e ora autentico spettacolo di umana tenacia. Denso di sacralità è anche il territorio autonomo di Monte Athos, una montagna sporgente sul mare della Penisola Calcidica. La seconda parte si terrà il 25 ottobre 2022.

L’ingresso della grotta di Fumane, uno dei massimi siti preistorici in Europa (foto unife)
Martedì 15 novembre 2022, conferenza “Come eravamo. L’Italia nel Paleolitico” con il prof. Marco Peresani dell’università di Ferrara che parlerà della Grotta di Fumane a Verona, uno dei maggiori siti archeologici preistorici d’Europa con ricche testimonianze che rappresentano un eccezionale documento delle frequentazioni dell’Uomo di Neanderthal e dei primi Uomini Moderni.

Howard Carter e il faraone Tutankhamon “coinvolti” nelle interviste impossibili del Gabo
Martedì 29 novembre 2022, nel centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon da parte di Howard Carter il 29 novembre 1922 il Gruppo Archeologico Bolognese e la compagnia Ten Teatro Costarena presentano: “Intervista impossibile a Tutankhamon” di Giorgio Manganelli, e “Intervista impossibile a Howard Carter” di Giuseppe Mantovani. Introduzione a cura dell’archeologa Daniela Ferrari.

Un capitello romano riutilizzato a Bologna in epoca medievale (foto gabo)
Martedì 13 dicembre 2022, conferenza ” Spolia bononensia. Il riutilizzo del materiale architettonico di età romana nel centro storico di Bologna” con Claudio Calastri, archeologo, classicista, dirigente di Ante Quem per servizi in campo archeologico e casa editrice dedicata all’archeologia.
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