Il museo Egizio di Torino apre una sezione a Catania: firmato l’accordo di collaborazione. Valorizzerà reperti conservati nei depositi con collezioni ellenistiche presenti in Sicilia

Il museo Egizio di Torino apre una sezione a Catania per valorizzare reperti conservati nei depositi
Il museo Egizio di Torino sbarca in Sicilia. E apre una sezione a Catania. Il progetto era già stato annunciato nella primavera del 2016 dopo un incontro tra il ministro Dario Franceschini, il direttore dell’Egizio Christian Greco, la presidente della fondazione Evelina Christillin, e il sindaco di Catania Enzo Bianco (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/04/03/come-i-grandi-musei-internazionali-anche-il-museo-egizio-di-torino-pensa-a-una-sede-distaccata-a-catania-nellex-convento-dei-crociferi-per-sviluppare-i-rapporti-tra-la-sicilia-e-l/). Ma se allora si era ai preliminari, alla verifica della fattibilità, oggi è ufficiale: si può fare. È stato infatti firmato a Torino un accordo quadro finalizzato alla realizzazione di un progetto per l’apertura di una sezione del museo Egizio di Torino a Catania. All’incontro hanno partecipato la presidente Evelina Christillin, il direttore Christian Greco, la soprintendente Luisa Papotti, il sindaco Enzo Bianco e l’assessore alla Cultura Orazio Licandro. “In pieno accordo con il ministero dei Beni culturali”, spiegano in Comune a Catania, “il museo Egizio intende valorizzare una selezione di reperti egizi, attualmente custoditi nei depositi di via Accademia delle Scienze, mettendoli in dialogo con alcune collezioni ellenistiche presenti in Sicilia, attraverso un progetto museale che verrà ospitato nel Convento dei Crociferi”. E il soprintendente Papotti: “Il ministero sostiene fortemente l’iniziativa poiché offre l’opportunità di veicolare un modello culturale e gestionale di successo”. Non a caso il sindaco Bianco sottolinea che questo “è il primo caso italiano di collaborazione fra una grande museo internazionale e una città che punta sulla valorizzazione dei beni culturali come volano di sviluppo e di cambiamento”. “Siamo molto soddisfatti”, conclude Christillin, “perché questo accordo ci consente di proseguire un percorso di diplomazia culturale iniziato a Torino con progetti di inclusione sociale che a Catania e in tutta la Sicilia potranno coinvolgere nuovi pubblici e diffondere i legami tra i popoli e le culture del Mediterraneo”.
Come i grandi musei internazionali, anche il museo Egizio di Torino pensa a una sede distaccata: a Catania, nell’ex convento dei Crociferi, per sviluppare i rapporti tra la Sicilia e l’Egitto nell’età ellenistica
All’estero per i grandi musei non è una novità avere una sede distaccata. Il Louvre ne ha aperta una a Lens, l’ex cittadina mineraria nella regione francese nord-orientale del Pas de Calais. E un’altra la stanno realizzando sull’isola sabbiosa di Saadyat di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, allo Zayed National Museum dove l’anno prossimo aprirà anche una dependance del newyorkese museo Guggenheim, che da tempo vanta altre due prestigiose sedi, una sul Canal Grande a Venezia e l’altra a Bilbao. L’Ermitage di San Pietroburgo ha aperto sedi in Russia (Kazan, Vyborg, Mosca, e l’elenco è destinato ad allungarsi) e in Europa (prima Ferrara, poi Venezia; e da anni a Amsterdam).
Ora anche un grande museo italiano, l’Egizio di Torino, progetta di aprire una sede distaccata. A Catania. La sede potrebbe essere già stata individuata nell’ex monastero dei Crociferi, ma non ci sarebbero ancora progetto scientifico e piano finanziario. “L’apertura di una seconda sede del Museo Egizio a Catania è un progetto in nuce, per ora un pensiero”, ammette il direttore del Museo Egizio Christian Greco. “C’è stato un avvicinamento ma il progetto scientifico e il piano finanziario non sono stati ancora definiti. Se si riuscisse a realizzare questo progetto desidererei molto che si mettesse in luce il materiale dell’età ellenistica facendolo dialogare con il materiale archeologico presente nell’isola. Il rapporto che si ebbe nell’età ellenistica tra la Sicilia e l’Egitto fu intensissimo. Ricrearlo e rimettere in connessione la Sicilia con la sponda Sud del Mediterraneo è un progetto di diplomazia culturale molto importante. Le aree del Mediterraneo e la Sicilia, che viene invasa, lo dico in termini positivi, da tutti questi immigrati, possono trovare in questa collezione il loro motivo di identificazione culturale”.

L’ex convento dei Crociferi a Catania indicato come possibile sede distaccata del museo Egizio di Torino
Il primo incontro per il progetto di una sede distaccata a Catania del Museo Egizio si è tenuto al ministero dei Beni culturali e del turismo, tra il ministro Dario Franceschini, la presidente dell’Egizio Evelina Christillin, il direttore Christian Greco e il sindaco di Catania Enzo Bianco, che esprime ottimismo: “A Catania stiamo finendo di restaurare un bellissimo monastero, il convento dei Crociferi. Il primo piano sarebbe disponibile ad ospitare una parte delle collezioni del museo Egizio, naturalmente sotto la supervisione dello stesso museo Egizio. Sarebbe una vera e propria sezione staccata. Completeremo il convento entro la fine dell’anno e se ci saranno le condizioni questo progetto potrebbe già essere maturo”.
Il parco archeologico greco-romano di Catania è finalmente realtà: dalla stipe votiva di piazza San Francesco ai teatri antichi alle terme della Rotonda
Il parco archeologico greco-romano di Catania è una realtà. I parchi archeologici erano stati istituiti dalla Regione Sicilia con decreto del 2010, ma solo nei giorni scorsi è stato riconosciuto ufficialmente quello di Catania con un nuovo decreto regionale che entrerà in vigore alla fine di aprile, definendone finalmente la perimetrazione. Lo ha annunciato a Palazzo degli Elefanti, sede del municipio, al sindaco di Catania Enzo Bianco l’assessore regionale ai Beni Culturali, Maria Rita Sgarlata. “Un riconoscimento importante per Catania – commenta Bianco -. Ringrazio l’assessore Sgarlata per l’attenzione, l’interesse, il coraggio dimostrati per il riconoscimento di questa realtà così diversa dagli altri parchi archeologici che coincide con la città vissuta e stratificata. L’averne fissato i confini è un incoraggiamento forte per lavorare al recupero dei beni culturali”. L’assessore regionale Sgarlata sottolinea come ci sia stato “un percorso condiviso con il sindaco e i vertici della soprintendenza e del Parco Archeologico. Il parco archeologico di Catania – continua – non era stato previsto tra i parchi siciliani ma abbiamo scelto di inserirlo proprio per la sua particolarità di essere parte viva all’interno del tessuto cittadino. Con la perimetrazione sarà possibile la tutela e salvaguardia di questo sistema complesso”.

Il bassorilievo in marmo con Demetra e Proserpina trovato presso la Procura (all’epoca la Banca d’Italia), in via Manzoni
Il Parco archeologico greco-romano di Catania (nome completo Parco archeologico greco romano di Catania e delle aree archeologiche dei comuni limitrofi) comprende aree archeologiche e museali che per la maggior parte si trovano nella città di Catania. Il parco – come specifica la legge – si occupa di ricerca, manutenzione, valorizzazione e fruizione di circa un centinaio fra siti e monumenti archeologici, nonché della tutela di diverse migliaia di reperti, tra cui le migliaia di reperti della stipe votiva di piazza San Francesco, trovata in maniera fortuita nel 1959: un deposito di ceramiche greche dedicato a Demetra, tra i più importanti e ricchi complessi votivi dell’Occidente greco con materiali dalla fine del VII a tutto il IV secolo a.C. I reperti sono oggi custoditi dal Parco archeologico greco-romano di Catania.
Tra i siti gestiti nel territorio comunale di Catania quelli la cui apertura al pubblico è garantita con orari regolari sono l’anfiteatro (oggi è visibile una piccola sezione in piazza Stesicoro. Fu costruito probabilmente nel II secolo), il teatro (situato in centro storico, il suo aspetto attuale risale al II secolo secolo quando, sotto l’imperatore Adriano, fu restaurato l’antico teatro greco), l’odeon (accanto al teatro greco-romano), le terme della Rotonda (databili al I-II secolo d.C. su un sito in cui in epoca bizantina è sorta una chiesa intestata alla Vergine Maria. L’appellativo di Rotonda viene proprio dalla singolare struttura architettonica della chiesa con una grande cupola sorretta da possenti contrafforti posta su un ambiente quadrato. La struttura termale appare come un grande complesso di edifici quadrangolari connessi tra loro. C’è una grande sala absidata – forse un “frigidarium” – a cui si appoggia sul lato est un grande ambiente a ipocausto (sistema di riscaldamento ad aria calda) ricco di numerose “suspensurae” (pilastrini) che dovevano reggere un pavimento mosaicato di cui pure si sono rinvenute esigue tracce e identificabile come “calidarium”. A sud si aprono diversi altri ambienti appartenenti alla fase di II-III secolo, come due pavimenti ad ipocausto pertinenti a piccoli ambienti circolari, forse un “tepidarium”). Sono invece ancora soggetti a lavori per la fruizione le terme dell’Indirizzo, mentre altre aree archeologiche quali il foro o il cosiddetto Ipogeo Quadrato sono visitabili su prenotazione. Per garantire la fruizione dei reperti archeologici trovati a Catania sono state realizzate due sezioni espositive, Casa Pandolfo e Casa Libérti, entrambe ospitate presso il teatro romano e costituenti l’antiquarium regionale del Teatro romano.
Le perimetrazioni dei parchi archeologici erano state stabilite con la legge 20 del 2000. L’inserimento e il riconoscimento del parco catanese porterà alla migliore salvaguardia del beni culturali della città perché vi sarà una autonomia finanziaria e di gestione sganciata dalla burocrazia regionale a cui finora era destinato il 70 per cento degli introiti. Tale percentuale sarà gestita dal Parco stesso come sta già avvenendo ad Agrigento con la Valle dei Templi. “Soddisfazione”, è stata espressa, tra gli altri, anche dalla soprintendente Fulvia Caffo “per i risultati che si potranno avere con il Museo Regionale Multidisciplinare, una realtà unica nel suo genere”.
L’Auriga di Mozia e la Phiale di Caltavuturo tornano in Sicilia con altri 63 capolavori: “Mai più fuori dall’isola”. Politica di rilancio dei musei siciliani valorizzando le opere “blindate”
La vacanza-assenza da casa è finita. Tornano in Sicilia l’Auriga di Mozia e la Phiale aurea di Caltavuturo, e con questi due capolavori assoluti dell’arte antica un’altra sessantina di tesori archeologici, dopo aver fatto il giro tra i più importanti musei del mondo, rientrano nelle loro sedi originarie: e da lì non si muoveranno mai più. Sono beni di valore inestimabile che la Regione Sicilia ha deciso di blindare per creare un circuito isolano di eccellenze da ammirare solo se si viene in Sicilia. “Dopo aver fatto bella mostra di sé al Paul Getty Museum di Los Angeles e al Cleveland Museum of Art nel 2013”, annuncia l’assessore regionale ai Beni Culturali Maria Rita Sgarlata, “ed essere state in giro con la mostra ‘Sicily: Art and Invention between Greece and Rome’ (oltre mille visitatori al giorno) tornano i ‘gioielli di famiglia’ per essere opportunamente valorizzati nella loro terra di appartenenza”. E se l’Auriga di Mozia e la Phiale aurea di Caltavuturo custodita nel parco di Himera sono i pezzi più famosi, il tesoro che rientra in Sicilia è ricchissimo: da un cratere attico a maschere teatrali (Vaso del Pittore di Boston) ai rilievi votivi con Demetra e Kore. E ancora medaglioni a rilievo, arule, coppe con emblema, statuette fittili, pissidi e antefisse, brocchette e bronzi.
I reperti, infatti, torneranno nei vari siti museali di provenienza: il museo archeologico di Agrigento, di Aidone, di Cefalù, il parco archeologico di Himera, il museo archeologico di Gela, Lipari, Palermo, Siracusa, Trapani e Catania. “Perchè è là che questi reperti devono stare”, stigmatizza l’assessore Sgarlata, “e non nei ‘mostrifici’ sganciati da contesti di effettiva qualità in giro per il mondo. Questo non vuole dire chiusura nei confronti degli scambi culturali, piuttosto è una sorta di “fermo biologico” in previsione di riequilibrio del rapporto con i musei stranieri”.A giovarsi degli scambi culturali e di beni d’arte “non devono essere solo gli altri”, aggiunge, “ma anche e soprattutto la Sicilia che troppe volte ha avuto come tornaconto solo un ritorno di immagine. Non si tratta di una pratica oscurantista o protezionista ma di buon senso il cui fine è solo quello di valorizzare, come meritano, i nostri beni. Questi sono i principi della nuova stagione di reciprocità”. Il che vuol dire ora sono i grandi musei del mondo a prestare alla Sicilia i loro capolavori.
IL RITORNO A MOZIA L’Auriga di Mozia ritorna in Sicilia dopo un lungo periodo di assenza, iniziato con la prima tappa a Londra in occasione delle Olimpiadi 2012. Il peregrinare del famoso giovinetto ha portato la statua marmorea anche oltre oceano prima per una mostra al Paul Getty Museum di Los Angeles poi al Cleveland Museum of Art. L’esposizione al Getty ha perlomeno consentito la realizzazione di una sofisticata base antisismica, la cui costruzione è stata inserita nell’accordo siglato nel 2010, destinata ovviamente a preservare la statua nel luogo in cui tornerà ad essere esposta, il museo Whitaker a Mozia. Il lungo viaggio di ritorno dell’Auriga con il resto del tesoro siciliano dagli Stati Uniti all’Italia è stato coperto per nave fino al porto di Genova. Dopo una sosta in un caveau a Milano, il carico col “tesoro” è arrivato nei giorni scorsi a Palermo dove è stato custodito in un magazzino di sicurezza. E quindi smistato nelle singole destinazioni. Il pezzo più pregiato, l’Auriga, con una chiatta è arrivato finalmente a Mozia dove sarà sistemato nel delizioso museo della fondazione Whitaker.
DALLA SCOPERTA AL MUSEO Il Giovinetto di Mozia, una statua in marmo del V sec. a.C., èsenza dubbio la principale attrazione dell’isola nello Stagnone di Marsala. La statua fu rinvenuta, quasi per caso, il 26 ottobre 1979, nella zona “K” accanto al santuario di Cappiddazzu, proprio durante l’ultimo giorno di quella campagna di scavi, quando il piccone di un operaio colpì qualcosa di diverso. Gli scavi furono così prolungati di una decina di giorni, il tempo di riportare alla luce questo splendido capolavoro dell’arte greca. La statua raffigura una figura maschile panneggiata, forse un auriga, e fu probabilmente portata nell’isola di Mozia dai Cartaginesi dopo che ebbero saccheggiato Selinunte nel 409 a.C. Molti studiosi pensano potesse raffigurare un giovane alla guida di un cocchio, un auriga, cioè un atleta vincitore nella corsa con il carro, o comunque un atleta vittorioso. Altre ipotesi comunque sono state avanzate: la particolare veste secondo alcuni ricondurrebbe ad un sufeta, magistrato punico, per altri sarebbe invece il dio punico Melqart, corrispondente all’Eracle dei Greci. L’Auriga è stata definita come la statua dei misteri, perché è un reperto greco rinvenuto in una provincia punica (spiegabile, abbiamo visto, come bottino del sacco di Selinunte) e poi perché la sua origine, la sua rappresentazione simbolica, lo stile artistico e il secolo in cui si possa collocare sono avvolti dal mistero. E di ogni ipotesi formulata non c’è stato un riscontro certo anche perché la statua è unica nel suo genere. La provenienza è di certo orientale, ipotesi avvalorata dall’analisi geochimica del materiale che ha rilevato che il marmo contiene dello stronzio, elemento presente esclusivamente nelle cave di Efeso e della Tessaglia, richiesto in gran quantità dalla Magna Grecia che non disponeva di marmo. Secondo la maggior parte degli studiosi, la statua risale al V sec. a.C., più precisamente al periodo compreso tra il 475 e il 450 a.C., ed è realistico ritenere che questo capolavoro fu realizzato in una città greca della Sicilia, Selinunte o Agrigento.
INCIDENTE DIPLOMATICO Il Giovinetto di Mozia ha rischiato di diventare il vessillo di una guerra di campanile. Da una parte, Marsala e il museo Baglio Anselmi dove sono custoditi i resti di una preziosa nave punica. Dall’altra, la Fondazione Whitaker composta da quanti preservano l’eredità del colto collezionista, amante dell’archeologia, al quale si devono tante magnifiche strutture, da Villa Malfitano alla sede della prefettura di Palermo. A Marsala che dista appena cinque chilometri dall’isola avevano tutto pronto per l’esposizione, con soddisfazione di Antonella Milazzo, la deputata regionale del Pd pronta a ringraziare con comunicati ufficiali la scorsa settimana l’assessore Sgarlata per il via libera. Entrambe ignare del putiferio scatenato da Renato Albiero e Fabio Virdi, un cardiochirurgo e un avvocato che, in sintonia con la segretaria generale della Fondazione, Enza Carollo, hanno convocato un minaccioso consiglio di amministrazione. Quanto è bastato per determinare la retromarcia, spiegata dall’assessore Sgarlata: “Non se ne farà niente. Il giovinetto torna a Mozia. Ma non sarebbe stato un dramma se fosse rimasto per qualche settimana, in periodo invernale, in un museo sulla terra ferma…”. Ma a Mozia lo avrebbero considerato un ulteriore “scippo”, come ripetono Albiero e Virdi davanti ai conteggi di Enza Carollo: “Abbiamo perduto 200mila euro all’anno. Chi arriva davanti alle barche per venire a vedere il giovinetto, si informa e non parte per l’isola. La Regione pensava di mandare in giro per il mondo questo gioiello per accendere interesse e fare approdare turisti da Londra o dagli Stati Uniti. La verità è che non ne è arrivato nemmeno uno”. Un dato che ha già portato il governatore Rosario Crocetta a decidere che le opere d’arte dal territorio regionale non dovranno più spostarsi: “Debbono diventare elemento di attrazione perché i turisti vengano ad ammirarle in Sicilia. Meglio fermare tante inutili costose e non produttive trasferte”.
AL WHITAKER NUOVO ALLESTIMENTO Basteranno due mesi per allestire al museo Whitaker un nuovo spazio espositivo, finanziato con un contributo della Banca Nuova e fondamentale per valorizzare uno dei pezzi più importanti rinvenuti in Sicilia. È Jerry Podany, Senior Conservator of Antiquities del J. Paul Getty Museum, a illustrare anche il progetto per la nuova base antisismica dell’Auriga di Mozia. “L’attuale configurazione di supporto della scultura – spiega – non è sufficiente a proteggerla dai danni in caso di terremoto di medio livello. Il supporto attuale collegato alla testa non impedirebbe, infatti, il movimento della scultura verso l’alto né sarebbe sufficiente a frenare lo spostamento in direzione laterale”. Per Podany “il fissaggio della scultura ad un piedistallo espositivo sarebbe una soluzione più fattibile e più sicura. Il supporto attuale della base (composto da numerosi pezzi) dovrebbe essere sostituito con un unico blocco di supporto in acciaio”. Alla complessa opera di montaggio della base si assoceranno interventi del Servizio Museografico del Dipartimento Beni Culturali mirati ad assicurare all’Auriga il migliore stato di conservazione, in rapporto al microclima dell’isola. «Accoglieremo l’Auriga più degnamente”, ribadisce dice l’assessore ai Beni culturali Mariarita Sgarlata, “e lo restituiremo alla fruizione dei visitatori a breve in un cornice più adatta e consona al suo immenso valore”.
OPERA BLINDATA, ACCORDI CULTURALI Ma oltre alla nuova veste espositiva c’è anche la volontà di farla restare in Sicilia nei prossimi anni. Dopo il “gran rifiuto” alla richiesta di prestito da parte del British Museum di Londra, l’Auriga sarà blindata. “L’opera è da troppo tempo fuori e la prima tappa fu proprio Londra in occasione delle Olimpiadi del 2012, quindi per adesso stop ai prestiti”. Anche perché rientra nella black list delle 23 beni culturali più preziose. “Le nuove trattative hanno consentito di ottenere due mostre di assoluto rilievo per la nostra isola, totalmente a carico del museo di Cleveland e Mart di Rovereto, che hanno chiesto i prestiti: una su Caravaggio e i caravaggeschi; l’altra su Antonello da Messina”, ribadisce l’assessore ai Beni culturali.
LA PHIALE DI CALTAVUTURO “È considerata un capolavoro dell’oreficeria antica , tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., pregevole per i motivi decorativi e per la tecnica di lavorazione a sbalzo che utilizza la punzonatura, la cesellatura e l’ incisione”, spiegano Alessandra Merra e Valeria Sola, che hanno curato le schede regionali. “La forma della phiale mesomphalos (dal greco antico “coppa, patera umbilicata”) era molto frequente sia nella ceramica che nella oreficeria della Grecia antica. Destinata per lo più alle libagioni e alle offerte per le divinità durante i riti religiosi, talvolta se realizzata in metallo prezioso, confluiva nei tesori dei santuari”. La storia del recupero della phiale è complessa ed affascinante ed emblematica, risultato di laboriose indagini della Magistratura italiana e del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico. La prima segnalazione della coppa aurea nel 1989 in casa di un collezionista siciliano. Cinque anni dopo fu avviata dalla Procura di Termini Imerese un’indagine su alcune opere d’arte trafugate dal museo della stessa città. “Si appurò che nel 1980 in seguito ad alcuni lavori per la messa in opera di un pilone della rete elettrica era stata rinvenuta una phiale, che clandestinamente fu venduta prima ad un collezionista di Catania e successivamente ad un collezionista di Enna”. Nel 1991 la phiale viene esportata clandestinamente in Svizzera e qui venduta da un antiquario al miliardario statunitense Michel Steinhardt per 1 milione 200mila dollari, che la trasferì a New York. Nel 1995 la procura di Termini Imerese avanzò una richiesta di rogatoria internazionale alla competente autorità giudiziaria di New York, chiedendo la restituzione dell’opera. Venne accertata l’autenticità della phiale sulla base di una perizia archeologica e di analisi di laboratorio. Nel 1999 la coppa fu sequestrata dall’autorità giudiziaria americana e riconsegnata allo Stato italiano.
NUOVA POLITICA CULTURALE: RILANCIO DEI MUSEI Esaurita la stagione dei viaggi all’ estero dei gioielli di famiglia, l’ assessorato ai Beni culturali inaugura una nuova era che prevede la fine dei prestiti delle opere d’ arte e il rilancio dei musei. È questo l’ indotto su cui la Regione punta: creare attorno a una lista di 26 opere “inamovibili” – tra cui le più importanti sono il Giovinetto di Mozia appena riconquistato, la Metope di Selinunte, l’ Ariete in bronzo del Salinas di Palermo, l’ Annunziata di Antonello da Messina, la Phiale aurea di Caltavuturo, la Dea di Morgantina di Aidone, il Satiro Danzante di Mazara del Vallo e il Trionfo della morte di palazzo Abatellis – un circuito museale superqualificato. Il progetto è ambizioso e può contare su un finanziamento di 55 milioni di euro, col programma operativo interregionale 2007-2013. I lavori per rimettere in sesto gli spazi espositivi prevedono illuminazione giorno e notte, percorsi pedonali e sentieri, segnaletica adeguata, aree per la sosta, diffusione sonora, climatizzazione, sistemi di allarme. Insomma, servizi che funzionino a puntino, per attrarre visitatori da un capo all’ altro dell’ Isola i musei all’ altezza. L’accordo è stato firmato nel giugno scorso a Roma dal presidente Rosario Crocetta e il ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia. E l’assessorato ai Beni culturali, sotto la regia dell’ assessore Mariarita Sglarlata, ha redatto il programma di interventi, finalizzati al lancio dei nuovi “Poli Museali di Eccellenza” (a Palermo, Siracusa, Ragusa e Trapani) e dei siti di maggiore attrazione culturale (musei e aree archeologiche). A Palermo, ad esempio, il polo museale che nascerà mette in rete Palazzo Abatellis, Oratorio dei Bianchi, Museo di Palazzo Riso, palazzo Mirto e palazzo Steri. E ci sono anche 658mila euro per gli itinerari subacquei. Il sogno della Regione è che per l’ Expo 2015 i musei siciliani funzionino da calamita. E che nell’ Isola dove si contano più custodi di musei che visitatori, con una spesa di circa 600 milioni a fronte di incassi che superano di poco i 100 milioni, si possa invertire la tendenza. Il primo piano di interventi conta 18 opere per un valore di 21 milioni. I lavori sono tutti in fase di aggiudicazione e si concluderanno entro il 2015. La seconda fase, che utilizzerà le risorse del Pac (piano di azione e coesione) si concentra sui poli museali di Siracusa, Ragusa e Trapani e prevede 11 interventi per un valore di 33 milioni, con fine dei lavori entro il 2017. Tra i maggiori interventi: l’ area archeologica della Neapolis (9 milioni di euro), Segesta (1 milioni e 600 mila euro), Cava d’ Ispica e Parco della Forza (8 milioni di euro) oltre a interventi nei musei Paolo Orsi e Galleria di Palazzo Bellomo di Siracusa, museo Agostino Pepoli e Baglio Anselmi a Trapani. Ma c’ è, infine, un piano che punta sui piccoli musei per incrementare offerta e incassi. L’assessorato lavora al circuito dei siti minori, da affidare in gestione, attraverso i Comuni, ad associazioni no profit: “Dai Comuni abbiamo ricevuto moltissime richieste. Ci apriremo al volontariato. Abbiamo siglato già le prime convenzioni. Vogliamo riportare alla luce siti del tutto chiusi, come la penisola di Thapsos a Siracusa, o finora aperti in modo discontinuo”.
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