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Nel mare di Levanzo, a 80 metri di profondità, individuato il 24.mo rostro di una nave romana impegnata nella “Battaglia delle Egadi” dalla missione americana della RPM Nautical Foudation, con la supervisione della soprintendenza del Mare e il contributo dell’università di Malta. La soprintendente Li Vigni: “Contiamo di recuperarlo in un prossimo futuro”

Il 24.mo rostro di una nave romana coinvolta nella battaglia delle Egadi (241 a.C.) individuato a 80 metri di profondità nel mare di Levanzo (foto soprintendenza del mare)

Nel mare di Levanzo individuato un nuovo rostro di una nave impegnata nella “Battaglia delle Egadi”. È il 24.mo relativo alla famosa battaglia del 241 a.C. che pose fine alla prima guerra punica. Anche questo rostro, come la maggior parte di quelli rinvenuti finora, sembra appartenere a una nave romana riportando le lettere L F Q P in caratteri latini. Le indagini sul sito della battaglia delle Egadi, individuato dal compianto archeologo Sebastiano Tusa, morto nel disastro aereo in Etiopia del 2018 (vedi Archeologia in lutto. Nel disastro aereo del Boing 737 precipitato in Etiopia è morto l’archeologo Sebastiano Tusa: siciliano doc, docente di paletnologia e archeologia marina, ha creato la soprintendenza del Mare. A Malindi con l’Unesco doveva promuovere ricerche subacquee nell’oceano Indiano | archeologiavocidalpassato) proseguono sotto la direzione della soprintendenza del Mare guidata da Valeria Patrizia Li Vigni. Rimane il grande quesito di come si continui a ritrovare rostri di nave romane se a essere sconfitta fu la flotta cartaginese. Probabilmente i rostri, posizionati sulle prue con la funzione di incastrarsi nelle fiancate delle navi nemiche sfondandole, erano fissati con un sistema che ne facilitava lo sganciamento.

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi
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L’archeologo Sebastiano Tusa, tragicamente scomparso in un incidente aereo nel marzo 2019

Sono passati 17 anni dalla “scoperta” del primo rostro delle Egadi: era il 2004. “Dapprima vi fu la consegna spontanea da parte di un pescatore”, ricordava Tusa, “di un elmo in bronzo del tipo Montefortino in uso proprio in quella battaglia da parte dei militi romani. Egli affermò di averlo trovato nello spazio di mare a poche miglia a Nord-Ovest di Levanzo. Poi venne l’elemento decisivo per darci la convinzione che la nostra ipotesi era esatta e che, pertanto, avrebbe avuto ottime possibilità di essere provata da auspicate ricerche. La “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri. Chi lo deteneva ed era in procinto (su sua dichiarazione) di consegnarlo agli organi di tutela, ci diede la conferma che il luogo di rinvenimento era a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo. Fu una “scoperta” eccezionale poiché oltre al valore storico-topografico legato all’evento bellico, il primo rostro delle Egadi era il secondo in assoluto rinvenuto fino ad allora seguendo quello di Athlit rinvenuto nelle acque israeliane qualche decennio prima” (vedi Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani | archeologiavocidalpassato).

Il recupero del dodicesimo rostro dalle acque antistante Levanzo appartenuto a una nave coinvolta nella battaglia delle Egadi del 241 a.C.
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Valeria Li Vigni, soprintendente del Mare (foto soprintendenza del mare)

Il nuovo rostro è stato individuato nei fondali di Levanzo, isola dell’arcipelago delle Egadi, dagli esperti della missione americana della RPM Nautical Foudation, con la supervisione della soprintendenza del Mare della Regione Siciliana diretta da Valeria Li Vigni e rappresentata a bordo della nave oceanografica Hercules da Ferdinando Maurici, e in collaborazione con l’università di Malta. Alcune lettere visibili grazie al robot sottomarino fanno pensare che il rostro sia romano: giace a 80 metri e la soprintendenza del Mare progetta di recuperarlo in un prossimo futuro. “È stato individuato il ventiquattresimo rostro nel mare delle Egadi in questa fortunata campagna del 2021. Che la campagna di ritrovamento fosse così ricca”, evidenzia la soprintendente del Mare Valeria Li Vigni. “Lo avevamo preannunciato a fine 2020 a seguito dei 40 target registrati, ma le aspettative sono state superate con il ritrovamento, nell’arco di pochi giorni, di un relitto di nave romana con il suo carico di anfore e di questo rostro, sul quale sono state  identificate le lettere L F Q P e che appare in buone condizioni”.

#iorestoacasa. Il museo Archeologico nazionale di Napoli propone una visita virtuale della mostra “Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo” con un secondo video della sezione “Acque profonde” sullo straordinario ritrovamento dei rostri della Battaglia delle Egadi

Il dodicesimo rostro in bronzo a 80 metri di profondità nel mare di Levanzo (foto Luca Palezza)

Il manifesto della mostra “I pionieri dell’archeologia subacquea in area flegrea e in Sicilia” (foto Graziano Tavan)

Dalle isole Eolie alle Egadi: ecco una nuova esplorazione nelle profondità del mare proposto dal museo Archeologico nazionale di Napoli continuando la visita virtuale della sezione “Acque profonde” della mostra “Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo”. Oggi conosceremo lo straordinario ritrovamento dei rostri della Battaglia delle Egadi: https://it-it.facebook.com/MANNapoli/videos/249597042858837/. Dal 2005, nelle acque intorno all’isola di Levanzo, grazie alla collaborazione tra la soprintendenza del Mare e la RPM Nautical Foundation, sono state avviate ricerche sistematiche per l’identificazione esatta del luogo ove fosse avvenuta la battaglia delle Egadi tra Cartaginesi e Romani. Già negli anni ’60 del secolo scorso, Cecè Paladino e altri pionieri delle attività subacquee in Sicilia avevano recuperato centinaia di ceppi d’ancora romani lungo la costa orientale di Levanzo: i ceppi erano indizio della presenza di una flotta. La ricerca sistematica, ancora in corso con l’ausilio di sommozzatori e nave oceanografica e ROV (veicolo subacqueo filoguidato ad una profondità di 80 metri), ha messo a segno risultati di grande rilievo scientifico: sono stati individuati, infatti, i primi rostri in bronzo relativi alle navi da guerra impiegate nello scontro navale del 241 a.C. Nell’estate del 2019, il numero dei rostri ritrovati è salito a 19: inoltre, è stata scoperta una concrezione metallica riconducibile ad una spada, la prima arma di un soldato.

Il cosiddetto Rostro Egadi 4 con decorazione di Vittoria alata sormontante iscrizione con i nomi dei due questori, ripescato nelle acque di Levanzo, area della battaglia delle Egadi, e conservato nell’Antiquarium di Pantelleria (foto Soprintendenza del Mare)

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi

La storia delle ricerche nel mare delle Egadi, ad opera del professore Sebastiano Tusa, è stata illustrata e proposta da “Teichos. Servizi e Tecnologie per l’Archeologia” in occasione dell’anticipazione de ” I pionieri dell’archeologia subacquea in area flegrea e in Sicilia” (Baia, 24 maggio 2019 – 9 marzo 2020), che doveva fare da battistrada, come una preview che anticipava, essendone complemento necessario, la grande mostra “Thalassa. Meraviglie dei Mari della Magna Grecia e del Mediterraneo”. La mostra, che il parco archeologico dei Campi Flegrei ha affidato a Teichos Archeologia, che ne ha curato la progettazione e la realizzazione, racconta, partendo dagli anni ’50, le prime fasi pionieristiche dell’archeologia subacquea in Italia, particolarmente nell’area Flegrea ed in Sicilia, con le grandi scoperte che ne sono derivate e che hanno dato impulso alla ricerca scientifica in questo campo e alla relativa applicazione delle tecnologie più avanzate, nonché alla nascita di strumenti di tutela specifici, fino a giungere alla costituzione della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana da parte di Sebastiano Tusa.

Per i “Martedì di Carthago” nella Curia Julia a Roma giornata di studio “Fenici e Cartaginesi: Patrimonio e ricerca archeologica in Sicilia” e presentazione del libro postumo di Sebastiano Tusa sul sito della Battaglia delle Egadi

La locandina della Giornata di studio “Fenici e Cartaginesi: Patrimonio e ricerca archeologica in Sicilia” nell’ambito de “I Martedì di Carthago” a Roma

“Fenici e Cartaginesi: Patrimonio e ricerca archeologica in Sicilia” è il titolo della Giornata di Studio, organizzata nell’ambito della mostra “CARTHAGO. Il mito immortale”, al Parco archeologico del Colosseo fino al 29 marzo 2020, che rappresenta un’occasione di aggiornamento sui nuovi studi e sulle attività in corso sul mondo fenicio-punico in Sicilia, con l’obiettivo di stimolare e aprire un dibattito per il futuro, coinvolgendo le diverse Istituzioni attive sul territorio e nell’ambito della ricerca. La giornata di studio è a cura di Martina Almonte e Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), Francesca Guarneri (soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale), Paolo Xella (università di Tübingen) e José Ángel Zamora López (Escuela Española de Historia y Arqueología-CSIC). Appuntamento martedì 10 dicembre 2019 alla Curia Iulia nel Foro Romano a partire dalle 9, con i saluti del direttore del parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo e di Francesca Guarneri. La Giornata, articolata in una sessione mattutina e in una sessione pomeridiana, presenterà i nuovi dati sulla Sicilia fenicia e punica, attraverso approfondimenti mirati sui siti, sui parchi archeologici e sui materiali rinvenuti negli scavi. Le conclusioni dei lavori saranno lasciate a Mario Torelli. È gradita la prenotazione a: pa-colosseo.convegni@beniculturali.it

La copertina del libro postumo di Sebastiano Tusa “The Site of the Battle of the Aegates Islands at the end of the First Punic War. Fieldwork, analyses and perspectives, 2005-2015”

Dopo il dibattito e prima delle conclusioni, alle 16.40, sarà presentato da Alfonsina Russo il volume postumo a cura di Jeffrey G. Royal e Sebastiano Tusa sul sito della Battaglia delle Egadi: “The Site of the Battle of the Aegates Islands at the end of the First Punic War. Fieldwork, analyses and perspectives, 2005-2015” (L’Erma di Bretschneider, 2019), con contributi di Giovanni Garbini, Sebastiano Tusa, Tommaso Gnoli, W.M. Murray, J.R.W. Prag, Jeffre G. Royal, Aja Rose, Gemma Alia, Meritxell Aulinas, Robert A. Blanchette, Roberto Cabella, Claudio Capelli, Edward Faber, Benjamin W. Held, Jon C. Henderson, Michele Piazza, Lloyd Weeks, Cecilia Albana Buccellato, Francesca Oliveri, A.L. Goldman. La battaglia finale della prima guerra punica tra romani e cartaginesi, la battaglia delle isole Egadi, ebbe luogo nel 241 a.C. Nell’ambito del progetto di indagine sulle Isole Egadi condotto dalla Soprintendenza del Mare, in Sicilia, un’indagine intensiva ha portato a scoperte uniche da un antico campo di battaglia. Questa pubblicazione include le stagioni sul campo dal 2010-‘15. Reperti di arieti da guerra in bronzo, armature, anfore, iscrizioni e prove di siti di relitti confermano la scoperta di questo antico paesaggio di battaglia navale. Inoltre, questi manufatti forniscono nuove linee di indagine sull’epigrafia latina e sul ruolo dei funzionari, la formazione di paesaggi di battaglia, le dimensioni delle navi da guerra e i loro arieti, i tipi di armature personali, i cambiamenti culturali durante il III sec. a.C. e l’economia della flotta costruzione durante la prima guerra punica.

“CARTHAGO. Il mito immortale”: al Colosseo e al Foro Romano, nel tempio di Romolo e nella Rampa imperiale, la prima grande esposizione con oltre 400 reperti interamente dedicata alla storia e alla civiltà di una delle città più potenti e affascinanti del mondo antico. La mostra dedicata a Sebastiano Tusa e Paolo Bernardini. Omaggio al museo del Bardo di Tunisi

Locandina della mostra “CARTHAGO. Il mito immortale”, al Colosseo e al Foro Romano dal 27 settembre 2019 al 29 marzo 2020

Parco archeologico del Colosseo a Roma

“Il solo nome di Cartagine evoca ancora oggi una civiltà esotica, uno straniero inquietante, un temibile nemico: un’alterità radicale. È una visione che la modernità ha ereditato dalla tradizione classica. In effetti, sono stati soprattutto gli autori latini a informarci sulla civiltà cartaginese, a raccontarne in parte la storia come componente della propria, a trasmetterci la loro visione: di fatto, noi vediamo Cartagine con gli occhi di Roma. Una prospettiva non sempre e solo negativa, ma comunque esterna, fortemente condizionata da una rivalità che è andata via via crescendo fino a provocare uno scontro fatale”. Inizia così l’intervento di Alfonsina Russo, Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, curatori della mostra “CARTHAGO. Il mito immortale”, la prima grande esposizione interamente dedicata alla storia e alla civiltà di una delle città più potenti e affascinanti del mondo antico. L’esposizione, promossa dal Parco archeologico del Colosseo, con l’organizzazione di Electa, è allestita fino al 29 marzo 2020 nei monumentali spazi del Colosseo e del Foro Romano, nel tempio di Romolo e nella Rampa imperiale, con oltre quattrocento reperti, provenienti dalle più prestigiose istituzioni museali italiane e straniere, grazie a prestiti straordinari, frutto di un lavoro assiduo di cooperazione internazionale.

Ricostruzione virtuale di Punto Rec Studios del porto commerciale e del tophet di Cartagine intorno al 150 a.C.

“Cartagine e Roma si confrontarono in un lungo percorso”, continuano i curatori, “contrassegnato all’inizio da reciproca indifferenza, poi da accordi e concorrenza, e infine da una lotta senza esclusione di colpi. Sarà Roma vincitrice quella che racconterà tutto questo percorso, dalla sua prospettiva e secondo la sua mentalità. Il prestigio della tradizione classica ha poi trasmesso il racconto romano al mondo moderno e contemporaneo. Tanti degli stereotipi ricevuti dal passato sono stati accolti e variamente rielaborati senza rimuovere, anzi talvolta rafforzando, l’idea centrale di Cartagine come alterità. La ricerca scientifica è tuttavia intervenuta attraverso un paziente lavoro storico, archeologico e filologico, riuscendo a restituire voce autonoma alla cultura di Cartagine. Si è inoltre avviata un’attenta riflessione sugli stereotipi tradizionali e le loro radici, che ha mirato alla loro comprensione e superamento. Sembra ora giunto il momento di trasmettere attraverso una mostra il percorso di questa lunga riflessione scientifica e le sue principali acquisizioni. Il titolo scelto, “Carthago” (resa latina del nome punico della città), evidenzia la centralità di Cartagine ma, al tempo stesso, ne sottolinea l’importanza rivestita dalla dialettica con Roma. La stessa Roma, sede della Mostra, è chiamata infatti a raccontare ora Cartagine in un modo diverso”.

Il cosiddetto Rostro Egadi 4 con decorazione di Vittoria alata sormontante iscrizione con i nomi dei due questori, ripescato nelle acque di Levanzo, area della battaglia delle Egadi, e conservato nell’Antiquarium di Pantelleria (foto Soprintendenza del Mare)

L’ingresso al Colosseo della mostra “Carthago” che richiama la stilizzazione della dea fenicia Tanit

Ad accogliere il visitatore all’ingresso del Colosseo una ricostruzione del Moloch del film “Cabiria” del 1914 di Giovanni Pastrone, sceneggiato da Gabriele D’Annunzio: la terribile divinità legata ai culti fenici e ai cartaginesi. La rassegna lega le vicende delle due grandi potenze del mondo antico – Cartagine e Roma – lungo un percorso narrativo che si snoda, negli spazi del Colosseo, dalla fondazione dell’Oriente fenicio passando per la storia della città e dei suoi abitanti, l’espansione nel Mediterraneo e la ricchezza degli scambi commerciali e culturali nella fase che va dalle guerre puniche all’età augustea, sino a giungere alla complessità del processo di romanizzazione che ha portato Roma ad annientare, nella battaglia delle Egadi (241 a.C.), quella che era ormai divenuta l’unica temibile rivale per il controllo del mare. E proprio dalle Egadi provengono reperti mai esposti prima, risultato delle campagne di ricerca condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana. Chiude l’esposizione al Colosseo un’appendice sulla riscoperta della città nell’immaginario moderno e contemporaneo.

Ritratto di Giulio Cesare di età tardo tiberiana-claudia dall’acropoli di Kossyra, conservata nell’Antiquarium di Pantelleria (foto Sabap Trapani)

Il processo di interscambio culturale tra le sponde del Mediterraneo è raccontato, all’interno del Foro Romano, nel tempio di Romolo con i casi di studio di Nora e Pantelleria. Il percorso prosegue nella Rampa imperiale con la rifondazione della nuova Colonia Concordia Iulia Carthago che per tutta l’età imperiale si distinguerà per la sua superficie di oltre 200 ettari e che diverrà a tutti gli effetti una città monumentale dotata di edifici da spettacolo e lussuose abitazioni private, famose ovunque per la ricchezza dei loro mosaici policromi di cui si hanno in mostra alcuni straordinari esemplari; si conclude quindi con testimonianze del nascente cristianesimo, di cui Cartagine è stata uno dei principali centri propulsori.

Corazza in bronzo del III-II sec- a-C- con decorazioni geometriche, vegetali e figurative (volto di dea guerriera) da Ksour es-Saaf, conservata al museo del Bardo di Tunisi (foto De Agostini Picture Library / A. Dagli Orti / Bridgeman Images)

Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo

“L’esposizione, che presenta, oltre ai numerosi reperti giunti dai principali musei italiani e internazionali (Spagna, Malta, Libano, Germania), diverse testimonianze provenienti dalla Tunisia (Museo di Cartagine) e in particolare dal museo del Bardo di Tunisi, intende anche contribuire a rilanciare l’immagine, a livello internazionale, di quel museo, colpito al cuore dall’attacco terroristico avvenuto il 18 marzo 2015, durante il quale sono morte ventiquattro persone, tra cui quattro turisti italiani: una testimonianza di grande rispetto per uno tra i musei archeologici più importanti di tutto il bacino del Mediterraneo”, spiega Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico del Colosseo. “Non è un caso che nel momento in cui si voglia attentare alla vita politica e civile di una comunità, gli obiettivi prioritari da colpire sono i musei e i monumenti, ma dalla cultura si può e si deve ripartire per riaffermare l’identità e la coesione sociale di una nazione, per costruire una rete di solidarietà internazionale, estremamente efficace per evitare l’isolamento di un popolo. La mostra “Carthago. Il mito immortale” ha anche questa finalità, forse la principale. Non a caso, con il Ministero della cultura della Repubblica di Tunisia, che ringrazio infinitamente per la straordinaria collaborazione, saranno organizzate, nel corso dell’evento, una serie di manifestazioni per far conoscere espressioni e testimoni importanti della cultura di questa nazione e per riaffermare e consolidare la vicinanza e l’amicizia tra l’Italia e la Tunisia”.

Sebastiano Tusa, 66 anni, archeologo subacqueo di fama internazionale, soprintendente del Mare, assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, morto nel disastro areeo dell’Ethiopian Air LInes

“C’è uno studioso che riassume in sé queste relazioni profonde che legano i popoli del Mediterraneo nel nome di una cultura comune portatrice di valori importanti”, riprende Russo: “è Sebastiano Tusa, straordinaria figura di archeologo, cui si devono, tra l’altro, importanti scoperte sulle presenze fenicie e puniche in Sicilia ed eccezionali rinvenimenti sottomarini riferibili ai relitti delle navi romane e cartaginesi che nel 241 a.C. si scontrarono, con la vittoria di Roma, al largo delle isole Egadi, ponendo fine alla prima guerra punica. A lui, che, prima della tragica scomparsa a seguito di un incidente aereo nel marzo di quest’anno, ha rivestito anche la carica di Assessore ai beni culturali della Regione Siciliana, è dedicata questa mostra, di cui ha seguito le prime fasi organizzative. Accanto al nome di Sebastiano Tusa, non è possibile non affiancare – nel ricordo e nella dedica – quello di un altro studioso di altissimo profilo del mondo fenicio e punico, e della Sardegna in particolare: Paolo Bernardini, venuto a mancare proprio nel periodo più intenso della preparazione della Mostra, senza le cui ricerche e interpretazioni archeologiche e storiche, il Mediterraneo fenicio e punico non sarebbe così ricco, sfaccettato e oggetto di rinnovato interesse come lo è attualmente. Molti dei reperti in esposizione, che si devono agli studi e alle scoperte di questi due colleghi – conclude -, manterranno viva la loro presenza nel segno di un dialogo che dall’antichità prosegue sino ai nostri giorni tra le genti del Mediterraneo”.

Una vetrina della mostra “CARTHAGO. Il mito immortale” al Colosseo (foto Claudia Pescatori)

La via di presentazione scelta dai curatori è stata quella di fornire un grande affresco storico generale, prevedendo molteplici possibilità di fruizione. Il discorso proposto parte dalle radici fenicie di Cartagine nel Levante, ripercorre le fasi formative e di espansione e giunge ai definitivi scontri con Roma, che segneranno la sua distruzione, ricostruzione e integrazione definitiva nel mondo romano e poi cristiano. La presentazione si chiude con una riflessione sulla visione di Cartagine nell’immaginario moderno e contemporaneo. “Si sottolinea così la traccia incancellabile lasciata da una civiltà restituita scientificamente dalla ricerca, ma tuttora prigioniera di clichés creati da altri. Per ognuna di questa fasi storiche, si è cercato di privilegiare alcune chiavi di lettura che mirano a consentire al visitatore una riflessione su fenomeni moderni in qualche modo comparabili. Viviamo infatti un’epoca in cui la questione della convivenza tra genti in grande, crescente, inarrestabile mobilità, della necessità d’integrazione socio-culturale tra popoli di tradizioni e lingue diverse, dell’accoglienza dell’altro senza strumentalizzazioni o pregiudizi, è ineludibile: una rievocazione storica e documentata dell’esperienza fenicia e punica nel nostro Mediterraneo, che ha lasciato tracce profonde fino ai nostri giorni risulta, anche per questo, di straordinaria attualità”.

Il catalogo Electa della mostra “Carthago”

Alla mostra si accompagnano due pubblicazioni edite da Electa. Il volume di studi, dai numerosi contributi, fornisce un grande affresco storico generale, sorretto da rigorose e aggiornate basi scientifiche. Privilegia alcune chiavi di lettura che mirano a introdurre il lettore nella realtà antica e, al tempo stesso, a consentirgli una riflessione su fenomeni moderni in qualche modo comparabili. A questa pubblicazione si affianca un’agile guida, bilingue italiano e inglese, che accompagna il visitatore attraverso le varie sezioni della rassegna e nel percorso espositivo al Foro Romano.

Roma. Per i “Giovedì del Parco archeologico del Colosseo” incontro con Adriana Fresina, soprintendente del Mare, su “Una battaglia ritrovata nelle acque delle Egadi, in ricordo di Sebastiano Tusa”, scomparso nel recente disastro aereo in Etiopia

Il recupero del dodicesimo rostro dalle acque antistante Levanzo appartenuto a una nave coinvolta nella battaglia delle Egadi del 241 a.C.

L’archeologo Sebastiano Tusa

“Già negli anni Settanta del secolo scorso nacque in me l’interesse per la battaglia delle Egadi, l’evento che il 10 marzo del 241 a.C. pose fine alla prima guerra punica e cambiò la storia del Mediterraneo con la vittoria dei Romani sui Cartaginesi”. Inizia così l’articolo che Sebastiano Tusa, archeologo subacqueo, all’epoca soprintendente del Mare, scrisse per la rivista Archeologia Viva (n. 177, maggio-giugno 2016: “Battaglia delle Egadi. La storia ritrovata”). “Il racconto di vecchie scoperte fatte dal più leggendario dei pionieri delle immersioni in Sicilia, Cecè Paladino, nelle acque antistanti Levanzo attirò la mia attenzione. Durante un convegno a Favignana, Paladino raccontò di centinaia di ceppi d’ancora con le relative contromarre in piombo recuperati appunto lungo la costa orientale della piccola isola. Il collegamento con la battaglia delle Egadi fu inevitabile anche se era opinione diffusa tra gli studiosi di storia romana che lo scontro navale si fosse svolto più a sud, presso la Cala Rossa di Favignana, la principale isola dell’arcipelago. Rilessi le pagine dello storico greco Polibio (II sec. a.C.), che offre la migliore descrizione della battaglia e degli antefatti, ma anche Diodoro Siculo (I sec. a.C.), Eutropio (IV sec. d.C.) e il cronista bizantino Giovanni Zonara (XII sec.)”. E continua l’articolo di Tusa: “Studiammo con l’esperto Piero Ricordi il regime dei venti dominanti di quell’area. Con l’aiuto di Antonino Filippi, ottimo conoscitore del territorio, rivedemmo la topografia archeologica del monte San Giuliano sulla cui sommità sorge la cittadina medievale di Erice, antica sede di una città elima con un famoso tempio di Venere. Era lì che Amilcare, comandante dell’esercito cartaginese, assediato dai Romani, attendeva con ansia i rifornimenti. Mi apparve chiara, in seguito a tali studi, la logicità della presenza della flotta romana in agguato presso Levanzo, poiché mi resi conto che la rotta seguita dall’ammiraglio cartaginese Annone doveva essere a nord di Levanzo, sia per giungere più direttamente alla baia di Bonagia, piccola insenatura sulla costa siciliana a nord di Trapani, unico approdo da dove sarebbe stato possibile ascendere al monte e congiungersi con i compatrioti, sia per eludere il blocco navale romano che controllava la costa siciliana tra Lilibeo e Drepanum, l’antica Trapani”.

Lo studio del regime dei venti nella battaglia delle Egadi (vedi https://libreriainternazionaleilmare.blogspot.it/2015/11/egadi-241-ac-il-vento-cambio-il-corso.html)

Adriana Fresina, soprintendente del Mare

A poche settimane dalla tragica scomparsa di Sebastiano Tusa nel disastro aereo in Etiopia, per il ciclo “I giovedì del PArCo”, il Parco archeologico del Colosseo diretto da Alfonsina Russo giovedì 4 aprile 2019, alle 16.30, alla Curia Iulia, promuove la conferenza di Adriana Fresina, soprintendente del Mare, su “Una battaglia ritrovata nelle acque delle Egadi, in ricordo di Sebastiano Tusa”. Le ricerche archeologiche strumentali in alto fondale, iniziate nel 2004, hanno consentito fino a oggi l’individuazione e il recupero di 19 rostri, 22 elmi del tipo montefortino, oltre a un grande numero di anfore e dotazioni di bordo. “La ricerca nei fondali delle Egadi – aveva dichiarato nel 2018 Sebastiano Tusa, come assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana – continua con grande successo, dimostrando ancora una volta la grande ricchezza dei fondali egadini e, in particolare, presso il luogo dove avvenne la Battaglia delle Egadi nel 241 a.C.”. Le ultime scoperte del 2018 (4 rostri) si aggiungono alle tante effettuate nel passato in questo tratto di mare tra Levanzo e Marettimo e che hanno permesso di localizzare esattamente il sito in cui si combatté una delle più grandi battaglie navali dell’antichità per numero di partecipanti, circa 200 mila, tra i Romani, guidati da Lutazio Catulo, e i Cartaginesi, capeggiati da Annone, e che, oltre a chiudere a favore dei primi la lunga e lacerante Prima Guerra Punica, sancì la supremazia di Roma su Cartagine.

Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani

Il recupero del dodicesimo rostro dalle acque antistante Levanzo appartenuto a una nave coinvolta nella battaglia delle Egadi del 241 a.C.

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi del 241 a.C.

E 12! Se ancora ci fossero stati dubbi sull’ubicazione della battaglia delle Egadi, combattuta nel 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che concluse a favore dei romani la lunga ed estenuante Prima Guerra Punica iniziata nel 264 a.C., ora dovrebbero essere fugati definitivamente. A tredici anni di distanza dal sequestro del primo rostro, che avviò le ricerche subacquee sistematiche, è stato recuperato a 80 metri di profondità, nei fondali a nord – ovest dell’isola di Levanzo, il dodicesimo rostro in bronzo della battaglia delle Egadi, cioè proprio dove da anni Sebastiano Tusa, responsabile della soprintendenza del Mare, ritiene si sia combattuto lo scontro finale. Questa importante scoperta conferma dunque la veridicità dell’ipotesi e aggiunge un tassello importante al patrimonio culturale della Sicilia. Il suo recupero è stato possibile ancora una volta grazie alla fruttuosa collaborazione che la soprintendenza del Mare ha intrapreso con la statunitense RPM Nautical Foundation guidata da George Robb e la direzione scientifica archeologica di Jeff Royal. Per la soprintendenza del Mare la ricerca è diretta da Sebastiano Tusa con la collaborazione di Stefano Zangara. Le ricerche sono state condotte con l’ausilio della nave oceanografica Hercules a posizionamento dinamico (DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica di ultima generazione.

Il dodicesimo rostro in bronzo a 80 metri di profondità nel mare di Levanzo (foto Luca Palezza)

Ma non è tutto. Perché questo dodicesimo rostro ha una particolarità eccezionale: il reperto, tra i 12 finora identificati, ha ancora la parte lignea della prua della nave incastrato al suo interno: Il reperto presenta la novità, tra i 12 finora identificati, ha la parte lignea della prua della nave all’interno: si notano le parti finali della chiglia, del dritto di prua, delle due cinte laterali e della trave di speronamento. La sua estrazione e il conseguente studio darà preziose informazioni sulla tecnologia navale adoperata per costruire le navi da guerra in quel periodo. Proprio il soprintendente Tusa, qualche anno fa, dava una spiegazione alla mancanza di ritrovamenti di reperti lignei: “L’assenza di legno è dovuta quasi certamente al fatto che le navi perdute in battaglia erano quelle adibite al combattimento. Erano, pertanto, prive di pesante carico che generalmente con il suo peso copre e fa sprofondare lentamente lo scafo al di sotto del sedimento del fondo marino preservandolo dall’aggressione della Teredo Navalis. Il legno è, pertanto, scomparso lasciando sul fondo le ceramiche usate dall’equipaggio, i chiodi e quegli elementi inorganici che facevano parte delle imbarcazioni affondate. Emerge, in tal modo, un vasto areale ove si raggruppano numerose concentrazioni di oggetti che offrono la percezione di numerose navi affondate costituendo l’ulteriore prova dell’identificazione esatta del luogo dello scontro”.

La sede logistica del team che partecipa alle ricerche archeologiche subacquee alle isole Egadi (foto Salvo Emma)

La svolta nel 2004. “Dapprima vi fu la consegna spontanea da parte di un pescatore”, ricorda Tusa, “di un elmo in bronzo del tipo Montefortino in uso proprio in quella battaglia da parte dei militi romani. Egli affermò di averlo trovato nello spazio di mare a poche miglia a Nord-Ovest di Levanzo. Poi venne l’elemento decisivo per darci la convinzione che la nostra ipotesi era esatta e che, pertanto, avrebbe avuto ottime possibilità di essere provata da auspicate ricerche. Fu la “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri. Chi lo deteneva ed era in procinto (su sua dichiarazione) di consegnarlo agli organi di tutela, ci diede la conferma che il luogo di rinvenimento era a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo. Fu una “scoperta” eccezionale poiché oltre al valore storico-topografico legato all’evento bellico, il primo rostro delle Egadi era il secondo in assoluto rinvenuto fino ad allora seguendo quello di Athlit rinvenuto nelle acque israeliane qualche decennio prima”.

Lo studio del regime dei venti nella battaglia delle Egadi (vedi https://libreriainternazionaleilmare.blogspot.it/2015/11/egadi-241-ac-il-vento-cambio-il-corso.html)

Uno dei rostri in bronzo recuperati e già restaurato

Le scoperte archeologiche consentono di ricostruire la dinamica della battaglia con notevole accuratezza anche grazie agli studi sul regime del vento che dovette caratterizzare quel fatidico giorno. Così la sintetizza Tusa: “Annone all’alba del 10 marzo del 241 a.C., invogliato da una leggera brezza da Sud che andava girando da Ovest, diede l’ordine di salpare da Marettimo poiché pensava che con il vento in poppa avrebbe raggiunto rapidamente la costa siciliana eludendo i rigidi pattugliamenti romani della costa tra Drepanum e Lilibeo. Evidentemente Lutazio Catulo, l’astuto ammiraglio romano, intuì la mossa del nemico e pose tutta o parte della sua flotta al riparo dell’alta mole di Capo Grosso. Quando la flotta cartaginese si andava avvicinando diede l’ordine di salpare mollando cime ed ancore e scaraventando la sua forza d’urto e di sorpresa sul nemico. Lo scontro avvenne a circa miglia 4 ad Ovest / Nord-Ovest di Capo Grosso di Levanzo. Lo scompiglio nelle file nemiche dovette essere terribile sicché, anche in virtù del cambiamento del vento che già nel pomeriggio iniziò a spirare da Nord- Nord-Est ed Est, impossibilitato a proseguire e con il vento nuovamente in poppa per una salvifica ritirata verso il suo Paese, Annone diede l’ordine di far vela verso Cartagine. Svanirono per sempre le speranze cartaginesi di risolvere il conflitto a proprio favore. Amilcare, privo di rifornimenti, dovette capitolare cedendo la Sicilia ai Romani. La dinamica del vento che nel pomeriggio gira da Nord giustifica il rinvenimento della ben nota “nave punica di Marsala” sulle sponde dell’Isola Longa (qualche miglio a Sud del teatro del conflitto) giustamente identificata da Honor Frost come pertinente quella battaglia”. La battaglia delle Egadi fu di epocale valore per il destino del Mediterraneo ed oltre nei secoli a venire. “Nell’ambito dei 118 anni di guerra che videro lo scontro titanico tra due grandi potenze dell’antichità”, conclude Tusa, “questo fu uno dei momenti più importanti che ebbe un peso non indifferente per la vittoria finale del 146 a.C. dei romani, non foss’altro che perché tolse ai cartaginesi il controllo strategico della Sicilia. Ma, soprattutto, perché, come ci dice espressamente Polibio, il più attento osservatore, seppur di parte, del conflitto, i romani dopo il 10 marzo del 241 acquisirono la legittimità e l’autorevolezza di grande potenza mediterranea e di potenza navale intraprendendo con l’abilità che seppero sviluppare nei secoli seguenti la ben nota fisionomia di potenza imperialista anche se il vero e proprio impero nascerà dopo altre due secoli”.