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Roma. Il parco archeologico del Colosseo celebra la giornata del Mare promuovendo il progetto “La rotta di Enea”, itinerario culturale che segue il viaggio del mitico eroe da Troia al Lazio. Annunciati convegno sul Tempio di Vesta e una mostra sul Palladio. E nel 2022 convegno su “Le città di Troia, Cartagine e Roma tra mito e storia”

La copertina del libro “Enea. L’ultimo dei Troiani. Il primo dei Romani” (Salerno Editrice)
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Giornata nazionale del Mare 2021

Oggi, 11 aprile 2021, è la Giornata nazionale del Mare, istituita in Italia nel 2018. Il parco archeologico del Colosseo celebra la Giornata nazionale del Mare sull’onda grande progetto “La rotta di Enea”, promosso dall’associazione Rotta di Enea (www.aeneasroute.org ), al quale il PArCo partecipa sin dalle fasi di avvio. Il progetto coinvolge un ampio network di istituzioni internazionali presenti nel bacino del Mediterraneo, unite da un itinerario culturale che segue il viaggio del mitico eroe, fuggitivo da Troia in fiamme e poi fondatore della città di Lavinium, mentre il figlio Ascanio fonderà sui Colli Albani Alba Longa e dalla sua stirpe nascerà Romolo, fondatore di Roma e suo primo re. Di questo e molto altro ha parlato recentemente in Curia Iulia Mario Lentano (Università di Siena) a proposito del suo volume “Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani”, edito da Salerno editrice. Chi non ha avuto la possibilità di seguire l’incontro, è disponibile il podcast Dialoghi in Curia | Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani – Parco archeologico del Colosseo | Podcast on Spotify.

Ara Pacis (Roma): Enea, con il capo velato, compie un sacrificio agli dei appena giunto a Lavinium; di fronte a lui il figlio Ascanio, in alto a sinistra il tempio dei Penati portati da Troia (foto da http://www.aeneasroute.org)
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Il logo dell’associazione Rotta di Enea

“Un progetto nel nome del mito di Enea”, spiega Giovanni Cafiero, presidente dell’associazione Rotta di Enea, “è un patto tra generazioni per non abbandonare il vecchio Anchise, ma allo stesso tempo per pre-occuparsi del futuro di Ascanio, un progetto di ripresa da un lungo periodo di smarrimento, che ruota intorno a un progetto umanistico comune. Uno smarrimento che ha portato a gravi crisi economiche e ambientali preesistenti, ma apparse più evidenti alla luce dell’emergenza pandemica. La Rotta di Enea costituisce un nuovo itinerario marittimo a tema archeologico, culturale e paesaggistico, che rappresenta – attraverso il mito di Enea e il racconto virgiliano dell’Eneide – la fusione del patrimonio culturale mediterraneo di cui la Roma antica fu erede e che sistematizzò attraverso istituzioni e leggi comuni che hanno costituito il riferimento per tutta l’Europa”.

Mappa della rotta di Enea da Troia alle coste del Lazio (foto associazione Rotta di Enea)

Le tappe del viaggio di Enea. “Leggere l’Eneide – spiega l’associazione Rotta di Enea -vuol dire scoprire le radici mitiche della nostra storia nata intorno al Mediterraneo, culla di civiltà e luogo di incontro fra culture, quasi il liquido amniotico della nostra Europa. La Rotta di Enea, attraverso un itinerario fatto di secoli e di molte soste nel Mediterraneo, è un percorso fisico, attraverso le località toccate dall’eroe troiano in fuga dalla sua città in fiamme in cerca di un nuovo inizio in una terra sconosciuta. È un viaggio ideale, perché parla della storia dell’uomo, sempre pronto a viaggiare, per scelta o per necessità, e a cercare casa dove regnano pace e prosperità, portando con sé affetti e saperi. È una rotta culturale, perché racconta attraverso l’archeologia, la natura, la letteratura, una storia avvincente nella quale tutti possiamo riconoscerci. Il viaggio tocca cinque paesi diversi, ventuno località diverse, tra le quali ben cinque siti Unesco, ma anche molti altri luoghi straordinari ed affascinanti, tutti da scoprire”.

Smontaggio dei ponteggi del cantiere di restauro del Tempio di Vesta (foto PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo intende promuovere il patrimonio archeologico e culturale dei paesi coinvolti affacciati sul Mediterraneo, organizzando (dopo la riapertura) una serie di attività ed eventi che ne raccontano storia e leggende, natura e paesaggi. “Il 9 giugno 2021”, spiegano al PArCo, “abbiamo intenzione di proporre un convegno su “Il Tempio di Vesta – Archeologia, Architettura e Restauro” in occasione della conclusione delle attività di manutenzione straordinaria condotte sul monumento tra il 2020 e l’inizio del 2021. Verranno analizzati i diversi aspetti connessi all’evidenza archeologica e i differenti approcci alla conservazione e restauro di inizio Novecento”.

La testa di Atena, il cosiddetto Palladio, conservata al museo Palatino (foto PArCo)

Tra i progetti in cantiere una mostra sul Palladio, la statua in legno (xoanon) di Pallade Atena che aveva il potere di proteggere l’intera città. Ulisse e Diomede la sottrassero ai troiani ed Enea la portò a Roma, dove fu conservata nel Tempio di Vesta nel Foro Romano per secoli. In questa occasione verrà esposto anche il famoso Palladio del museo Palatino. “Si tratta di una testa in marmo greco insulare, proveniente molto probabilmente dall’area del Colle Palatino”, spiegano gli archeologi del PArCo, “che appartiene ad una statua di Atena armata di dimensioni minori rispetto al naturale (circa 1 metro di altezza). La testa è caratterizzata da un elmo liscio che lascia in vista la capigliatura. L’occhio a mandorla, di taglio ionico con sopracciglio allungato, e le ciocche di capelli ondulate ad incorniciare la fronte datano l’originale al periodo tardo arcaico o alla prima età severa (480-450 a.C.). La raffigurazione di Atena armata, di dimensioni ridotte, prende il nome di Palladio, statuetta sacra che aveva il potere di proteggere un’intera città e che, secondo una tradizione, era stata portato a Roma da Enea ed era conservata nel tempio di Vesta nel Foro Romano”. Per il prossimo anno sono in programma altri eventi. Tra questi, una conferenza internazionale su “Le città di Troia, Cartagine e Roma tra mito e storia”, un momento di confronto e di analisi delle più recenti informazioni archeologiche.

Nel giorno dell’uscita del film “Il primo Re” di Matteo Rovere recitato in latino arcaico, al museo “Pigorini” di Roma-Eur incontro sulle “origini della scrittura latina” attraverso due eccezionali reperti: la Fibula prenestina e l’Anfora di Capena

Il museo Preistorico etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma

La locandina del film “Il primo Re” di Matteo Rovere

Giovedì 31 gennaio 2019, proprio nel giorno in cui nelle sale cinematografiche esce il film di Matteo Rovere “Il primo Re”, trasposizione della leggenda di Romolo e Remo, dove l’accuratezza della ricostruzione dei costumi, delle scenografie, addirittura della lingua adottata (l’intero film è recitato in latino arcaico sottotitolato in italiano), si mescola alla spettacolarità delle battaglie, messe in scena con la stessa perizia tecnica che ci aspetteremmo in un colossal hollywoodiano, al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma-Eur, alle 17, l’incontro “Verba volant, scripta manent” approfondisce il tema delle “origini della scrittura latina”. Rari, ma anche offuscati dalla ricchezza degli scritti degli storici latici, sono i reperti archeologici che ci informano sulle origini della lingua latina e di come e quando questa da linguaggio parlato sia stato organizzato in lettere e quindi in scrittura.

La fibula prenestina, in oro, con la più antica testimonianza della lingua latina

Il museo delle Civiltà – museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini” conserva due di questi eccezionali reperti, che si riallacciano al contesto ricostruito nel film Il Primo Re di Matteo Rovere: una è la fibula prenestina in oro sulla quale è incisa la frase, leggibile da destra a sinistra, Manios med fhefhaked Numasioi, solo quattro parole ma scritte in un latino talmente arcaico che gli stessi antichi romani avrebbero stentato a capirle e che oggi sappiamo tradurre in “Manio mi ha fatto per Numasio”. Il prezioso reperto con la sua iscrizione è datato al VII secolo a.C., di conseguenza costituisce, al momento, la più antica testimonianza della lingua latina giunta sino a noi. L’altro eccezionale reperto è l’anfora di Capena, rinvenuta nella tomba 2 della necropoli di Monte Laceto (Capena – Roma), sul cui ventre è chiaramente inciso un alfabeto.

La Lupa Capitolina con Romolo e Remo, gruppo bronzeo conservato ai Musei Capitolini di Roma

Racconta lo storico latino Strabone che Albalonga, secondo la leggenda, fu fondata da Ascanio, figlio di Enea e Creusa (figlia del re troiano Priamo), intorno alla meta del XII secolo a.C. Da Ascanio discese una dinastia di re Albani, di cui si conoscono solo i nomi, fino ad arrivare a Numitore e Amulio, figli del re Proca. Sempre secondo Strabone in quel periodo i domini di Albalonga giunsero fino al Tevere e il legittimo erede di Proca, Numitore, venne spodestato dal fratello Amulio. Una profezia però lo avvertì che un discendente di Numitore lo avrebbe a sua volta deposto per riconsegnare il trono al legittimo erede. Per eliminare questa possibilità Amulio costrinse Rea Silvia, unica figlia di Numitore, a diventare vestale, in modo che non potesse generare figli, nonostante questo Rea Silvia rimase incinta del dio Marte e partorì i gemelli Romolo e Remo, che Amulio ordinò di uccidere. Questi, invece di essere uccisi, furono affidati alla corrente del fiume Tevere e si salvarono grazie all’allattamento di una lupa. Una volta cresciuti Romolo e Remo scacciarono Amulio e riconsegnarono il trono di Albalonga al nonno Numitore, ottenendo da questi il permesso di fondare Roma.

La necropoli protostorica di San Quintino alle porte di Roma (foto Shutterstock)

Fuori dalla leggenda i dati archeologici relativi al periodo precedente la tradizionale data della fondazione di Roma (753 a.C.), provenienti dal territorio immediatamente a sud del Tevere e dai Colli Albani (dove si trovava l’antica Albalonga), ci confermano che tra il IX e il VII secolo a.C. in quest’area si sviluppò una cultura originale e ricca caratterizzata della presenza di numerosi abitati posti in posizioni strategiche a controllo del territorio e delle principali vie di comunicazione. Le testimonianze provenienti dalle necropoli, i cui reperti sono conservati in gran quantità presso il museo delle Civiltà, ci raccontano di una grande ricchezza e di una cultura materiale raffinata.