Teatro antico. “Le nuvole. Seconde” di Aristofane nell’area archeologica di Montegrotto con gli allievi del liceo classico “Tito Livio” di Padova diretti da Filippo Crispo e Daniela Mazzon
Teatro antico accanto a un teatro antico. Questa l’idea che porterà martedì 31 maggio 2016 alle 18.30 i giovanissimi allievi del liceo classico “Tito Livio” di Padova, diretti dal prof. Filippo Crispo, nell’area archeologica di viale Stazione / via degli Scavi a Montegrotto Terme, per mettere in scena “Le Nuvole. Seconde” di Aristofane, una commedia scritta dall’autore greco oltre 2400 anni fa. Traduzione di Guido Paduano; riduzione, elaborazioni lessicali e sintattiche, adattamento scenico e regia di Filippo Crispo. Ingresso da via degli Scavi, libero con offerta, fino a esaurimento posti. L’evento è promosso da soprintendenza Archeologia del Veneto, associazione Lapis di Padova e i docenti del liceo “Tito Livio” Filippo Crispo e Daniela Mazzon, con la collaborazione del Comune di Montegrotto Terme e Itaka – Officina culturale. Per info: associazione Lapis – 3890235910 – Facebook: Associazione Lapis. “L’area archeologica di Montegrotto”, spiega Marianna Bressan della soprintendenza Archeologia del Veneto, “conserva i resti di un piccolo teatro, in uso in età romana e quindi qualche secolo dopo il componimento di Aristofane, ma l’associazione della cultura immateriale, la commedia appunto, a quella invece tangibile dei resti archeologici vuole suscitare nello spettatore il sentimento dell’antico, il recupero, attraverso l’emozione, di origini lontane che tuttavia ci accomunano”. “Le Nuvole” raccontano di un padre che, oberato dai debiti a causa delle intemperanze del figlio, decide di mandare il figlio stesso a scuola di sofismi per apprendere la capacità di dimostrare con le parole ai creditori l’insussistenza del loro debito. Inutile dire che il figlio sarà così abile nell’apprendere la lezione di Socrate, da ritorcela contro l’ingenuo padre…
Ma perché nel titolo si legge “Le nuvole. Seconde”? Lo spiega bene il prof. Crispo. “Ho voluto evidenziare che il testo a noi pervenuto non è lo stesso che partecipò all’agone delle Dionisie dell’anno 423 a.C., nel quale Aristofane subì inaspettata e sonora sconfitta da parte di Cratino e Amipsia. Una ferita, questa, che il nostro mal sopportò e per la prima volta fu costretto a rielaborare una sua commedia: ecco dunque le Nuvole “seconde”, in un ben articolato progetto drammaturgico-teatrale-registico scritto per ottenere la rivincita, ma che non riuscì a far accettare nelle successive gare dionisiache: gli arconti Aminia nel 422 e Archia nel 419-418 rifiutarono il progetto e la commedia non fu più recitata. Pur essendo state pubblicate Nuvole “prime” e Nuvole “seconde”, quasi sicuramente dallo stesso Aristofane, della struttura e dialoghi delle “prime” ci è dato sapere pochissimo. Comunque, in base ai vari scoliasti, il tema e l’impegno politico-sociale sono gli stessi, compresi alcuni personaggi. Negli anni avvenire, però – continua Crispo -, il postumo successo di queste Nuvole “seconde” fu straordinario. Qui Aristofane è abbastanza sobrio nell’uso di quel suo particolare lessico a “forti tinte”, con il quale oltrepassa il limite del buon gusto, in vari suoi lavori, quando deve scagliare le sue infuocate invettive contro l’ingiustizia. Qui, a differenza di altre commedie, le espressioni “grasse” lasciano il posto alla parola moderata e sorprendente, che i personaggi adoperano nei loro scontri verbali, anche se qualche volta sbuca all’improvviso la “sferzata colorita”, cui Aristofane sembra non poterne fare a meno. Il gioco della parola, per il nostro poeta, è l’arma ideale -più della spada- per colpire ladri e ruffiani, politici corrotti e despoti, illegalità sfruttatori demagoghi, venditori di fumo, parolai e sofisti. Con Le Nuvole, l’attacco frontale del nostro poeta è proprio contro i sofisti, cialtroni patentati, esemplificati in Socrate e la sua cerchia, che Aristofane non sopporta e ne fa l’emblema per la sua battaglia sociale e culturale”.
L’analisi di Aristofane è sottile e feroce, da attento osservatore politico-sociale quale egli è di quella sua società: le Nuvole andarono in scena nel 423 a.C. Il prof. Filippo Crispo si chiede se dopo 2439 anni sia cambiato qualcosa. “A me pare di no, possiamo constatare invece il peggioramento sociale e il rafforzamento della sofistica, del capzioso, del cavillo, dell’azzeccagarbugli di manzoniana memoria, per far sì che i loro adepti possano aver sempre e comunque ragione, possano gaiamente nuotare nelle piscine dell’illegalità, nel mare magnum dell’intrallazzo e nel saccheggio materiale pubblico e privato, negli anfratti della devianza etico-morale … facendo sberleffi a quella democrazia e buona educazione civica che ci insegnano i nostri antichi maestri”. Nell’immensa giungla di leggi, l’arte del cavillo è il padre-padrone assoluto, il dittatore che distrugge ogni aspetto dell’umano convivere. Infinite leggi, infinite ingiustizie. Lo si dice da millenni: vale a qualcosa? “Contro questo andazzo così immorale e criminale, si scagliano le invettive di Aristofane con la sua incisiva ironia, satira e forte sarcasmo, creando situazioni di coinvolgente comicità per finalità catartiche, per il sogno di una democrazia compiuta, ove si possa vivere con gioia e pace. Questo il suo e nostro ideale. È la finalità di tutte le arti, del teatro: che richiedono ovviamente dedizione, competenza e professionalità, senza pressappochismi, altrimenti è inutile e deleterio. Così era quell’antico impegno artistico-culturale e così bisogna farlo rivivere alimentandone la fiamma, nel contesto del quotidiano divenire”. Le Nuvole sono le dèe dell’eloquenza, e chiamano Socrate addirittura loro sacerdote-ministro. “Aristofane non poteva escogitare parallelismo più efficace: esse dominano continuamente la scena, con il loro aspetto fluttuante-fluido-etereo, trasformate per l’occasione con volto di gentili enigmatiche fanciulle; ma possono prendere anche qualsiasi forma, a seconda delle situazioni … appunto come la mefistofelica architettura del cavillo. Una commedia dalla comicità alta, accattivante, con dialoghi che coinvolgono per la loro genuinità. La macchina drammaturgica e teatrale del nostro poeta, nella sua sanguigna provocazione, non perdona. Quella sua sceneggiatura è la stessa di oggi, ove la Historia magistra vitae sembra non interessare più. Comunque – conclude Crispo -, Aristofane nonostante tutto”.
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