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Roma. Per “Dialoghi in Curia” incontro, in presenza e on line, con i docenti dell’università di Siena Alessandro Fo e Filomena Giannotti su “Fra poesia e pandemia: presenze di Enea oggi” nell’ambito della mostra “Il viaggio di Enea. Da Troia a Roma” al Tempio di Romolo nel Foro Romano

roma_dialoghi-in-curia_tra-poesia-e-pandemia_enea-oggi_fo-e-giannotti_locandinaAlla mostra “Il viaggio di Enea. Da Troia a Roma” allestita al Tempio di Romolo, nel Foro romano, è legato un interessante programma di conferenze e visite guidate mirate all’approfondimento di temi specifici o dei luoghi del parco archeologico del Colosseo legati al mito di Enea. Per “Dialoghi in Curia”, promossi dal parco archeologico del Colosseo, giovedì 16 febbraio 2023, alle 16.30, la Curia Iulia ospita la conferenza “Fra poesia e pandemia: presenze di Enea oggi”. Introduce Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo; intervengono Alessandro Fo e Filomena Giannotti, studiosi entrambi afferenti al Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature antiche e moderne della università di Siena. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti su eventbrite https://www.eventbrite.it/e/522978040397. L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalla Curia Iulia sulla pagina Facebook del Parco archeologico del Colosseo: https://www.facebook.com/parcocolosseo. Oltre a vantare un’incredibile fortuna nell’arte di tutti i tempi e nella letteratura contemporanea, il celebre episodio del secondo libro dell’Eneide, in cui Enea fugge da Troia in fiamme con il padre sulle spalle e il figlioletto per mano, ha ispirato in Italia una serie di riflessioni tra marzo 2020 e marzo 2021. Sullo sfondo della drammatica questione, emersa nel primo dilagare del contagio, circa la distribuzione delle cure in base alle aspettative di vita, saranno presentati vari testi, nati perlopiù nell’ambito della comunicazione di massa e tutti incentrati sulla figura di Enea e sul suo entrare in risonanza con la pandemia da Covid-19. Ne scaturisce la lezione dell’importanza della pietas verso i propri cari, a riprova di quanto l’archetipo di Enea continui ad agire sulla coscienza di noi moderni.

Roma. Il parco archeologico del Colosseo celebra la giornata del Mare promuovendo il progetto “La rotta di Enea”, itinerario culturale che segue il viaggio del mitico eroe da Troia al Lazio. Annunciati convegno sul Tempio di Vesta e una mostra sul Palladio. E nel 2022 convegno su “Le città di Troia, Cartagine e Roma tra mito e storia”

La copertina del libro “Enea. L’ultimo dei Troiani. Il primo dei Romani” (Salerno Editrice)
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Giornata nazionale del Mare 2021

Oggi, 11 aprile 2021, è la Giornata nazionale del Mare, istituita in Italia nel 2018. Il parco archeologico del Colosseo celebra la Giornata nazionale del Mare sull’onda grande progetto “La rotta di Enea”, promosso dall’associazione Rotta di Enea (www.aeneasroute.org ), al quale il PArCo partecipa sin dalle fasi di avvio. Il progetto coinvolge un ampio network di istituzioni internazionali presenti nel bacino del Mediterraneo, unite da un itinerario culturale che segue il viaggio del mitico eroe, fuggitivo da Troia in fiamme e poi fondatore della città di Lavinium, mentre il figlio Ascanio fonderà sui Colli Albani Alba Longa e dalla sua stirpe nascerà Romolo, fondatore di Roma e suo primo re. Di questo e molto altro ha parlato recentemente in Curia Iulia Mario Lentano (Università di Siena) a proposito del suo volume “Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani”, edito da Salerno editrice. Chi non ha avuto la possibilità di seguire l’incontro, è disponibile il podcast Dialoghi in Curia | Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani – Parco archeologico del Colosseo | Podcast on Spotify.

Ara Pacis (Roma): Enea, con il capo velato, compie un sacrificio agli dei appena giunto a Lavinium; di fronte a lui il figlio Ascanio, in alto a sinistra il tempio dei Penati portati da Troia (foto da http://www.aeneasroute.org)
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Il logo dell’associazione Rotta di Enea

“Un progetto nel nome del mito di Enea”, spiega Giovanni Cafiero, presidente dell’associazione Rotta di Enea, “è un patto tra generazioni per non abbandonare il vecchio Anchise, ma allo stesso tempo per pre-occuparsi del futuro di Ascanio, un progetto di ripresa da un lungo periodo di smarrimento, che ruota intorno a un progetto umanistico comune. Uno smarrimento che ha portato a gravi crisi economiche e ambientali preesistenti, ma apparse più evidenti alla luce dell’emergenza pandemica. La Rotta di Enea costituisce un nuovo itinerario marittimo a tema archeologico, culturale e paesaggistico, che rappresenta – attraverso il mito di Enea e il racconto virgiliano dell’Eneide – la fusione del patrimonio culturale mediterraneo di cui la Roma antica fu erede e che sistematizzò attraverso istituzioni e leggi comuni che hanno costituito il riferimento per tutta l’Europa”.

Mappa della rotta di Enea da Troia alle coste del Lazio (foto associazione Rotta di Enea)

Le tappe del viaggio di Enea. “Leggere l’Eneide – spiega l’associazione Rotta di Enea -vuol dire scoprire le radici mitiche della nostra storia nata intorno al Mediterraneo, culla di civiltà e luogo di incontro fra culture, quasi il liquido amniotico della nostra Europa. La Rotta di Enea, attraverso un itinerario fatto di secoli e di molte soste nel Mediterraneo, è un percorso fisico, attraverso le località toccate dall’eroe troiano in fuga dalla sua città in fiamme in cerca di un nuovo inizio in una terra sconosciuta. È un viaggio ideale, perché parla della storia dell’uomo, sempre pronto a viaggiare, per scelta o per necessità, e a cercare casa dove regnano pace e prosperità, portando con sé affetti e saperi. È una rotta culturale, perché racconta attraverso l’archeologia, la natura, la letteratura, una storia avvincente nella quale tutti possiamo riconoscerci. Il viaggio tocca cinque paesi diversi, ventuno località diverse, tra le quali ben cinque siti Unesco, ma anche molti altri luoghi straordinari ed affascinanti, tutti da scoprire”.

Smontaggio dei ponteggi del cantiere di restauro del Tempio di Vesta (foto PArCo)

Il parco archeologico del Colosseo intende promuovere il patrimonio archeologico e culturale dei paesi coinvolti affacciati sul Mediterraneo, organizzando (dopo la riapertura) una serie di attività ed eventi che ne raccontano storia e leggende, natura e paesaggi. “Il 9 giugno 2021”, spiegano al PArCo, “abbiamo intenzione di proporre un convegno su “Il Tempio di Vesta – Archeologia, Architettura e Restauro” in occasione della conclusione delle attività di manutenzione straordinaria condotte sul monumento tra il 2020 e l’inizio del 2021. Verranno analizzati i diversi aspetti connessi all’evidenza archeologica e i differenti approcci alla conservazione e restauro di inizio Novecento”.

La testa di Atena, il cosiddetto Palladio, conservata al museo Palatino (foto PArCo)

Tra i progetti in cantiere una mostra sul Palladio, la statua in legno (xoanon) di Pallade Atena che aveva il potere di proteggere l’intera città. Ulisse e Diomede la sottrassero ai troiani ed Enea la portò a Roma, dove fu conservata nel Tempio di Vesta nel Foro Romano per secoli. In questa occasione verrà esposto anche il famoso Palladio del museo Palatino. “Si tratta di una testa in marmo greco insulare, proveniente molto probabilmente dall’area del Colle Palatino”, spiegano gli archeologi del PArCo, “che appartiene ad una statua di Atena armata di dimensioni minori rispetto al naturale (circa 1 metro di altezza). La testa è caratterizzata da un elmo liscio che lascia in vista la capigliatura. L’occhio a mandorla, di taglio ionico con sopracciglio allungato, e le ciocche di capelli ondulate ad incorniciare la fronte datano l’originale al periodo tardo arcaico o alla prima età severa (480-450 a.C.). La raffigurazione di Atena armata, di dimensioni ridotte, prende il nome di Palladio, statuetta sacra che aveva il potere di proteggere un’intera città e che, secondo una tradizione, era stata portato a Roma da Enea ed era conservata nel tempio di Vesta nel Foro Romano”. Per il prossimo anno sono in programma altri eventi. Tra questi, una conferenza internazionale su “Le città di Troia, Cartagine e Roma tra mito e storia”, un momento di confronto e di analisi delle più recenti informazioni archeologiche.

Dalla guerra alla caduta di Troia, con i suoi protagonisti Achille, Ulisse, Enea: a Comacchio la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” in collaborazione con il Mann. Seconda parte: il viaggio iniziato con Omero si conclude con Virgilio, che celebra Roma nuova Troia

Locandina della mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” a Comacchio fino al 27 ottobre 2019

È il 1898 quando Heinrich Schliemann, seguendo fedelmente quanto descritto da Omero nell’Iliade, scopre Troia. Nel nostro viaggio spazio-temporale affrontato visitando la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito”, aperta fino al 27 ottobre 2019 a Palazzo Bellini di Comacchio, curata da Carla Buoite e Lorenzo Zamboni, da un’idea di Paolo Giulierini, Alice Carli e Roberto Cantagalli, partendo da Omero e passando attraverso alcuni miti greci siamo arrivati alla scoperta sulla collina di Hisarlik, nell’attuale Turchia nordoccidentale, delle vestigia della mitica Troia, dando vita a una campagna di scavi che arriva fino ai nostri giorni, e non vede ancora la fine (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/09/11/cantami-o-diva-del-pelide-achille-lira-funesta-a-comacchio-la-mostra-troia-la-fine-della-citta-la-nascita-del-mito-in-collaborazione-con-il-m/).

Le diverse fasi della cittadella di Hisarlik: la Troia omerica è la VI finale o VII iniziale

Ma quella individuata da Schliemann non era la Troia omerica o almeno non solo. Dietro il mito di Troia c’è una città che conosce una vita lunghissima, tra l’Antica età del Bronzo e il periodo bizantino (dal 3000 a.C. alla fine del 1200 d.C. circa) scandita dagli studiosi in dieci periodi (I-X). Molte delle fasi edilizie di Troia mostrano segni di incendi, distruzioni e terremoti. Secondo diversi ipotesi, la città descritta da Omero coinciderebbe con il periodo VI finale, oppure VII iniziale (circa 1300-1200 a.C.). In questi livelli gli scavi hanno messo in luce una cittadella di circa 2 ettari, circondata da mura possenti, e una “città bassa” estesa per almeno altri 27 ettari. Se il mito riconduce la guerra di Troia al rapimento di una donna, gli attacchi militari che la città ha subito suggeriscono la sua importanza strategica nello scacchiere geopolitico del mondo antico. Troia sorgeva infatti a controllo dello stretto dei Dardanelli, punto di passaggio obbligato tra Europa e Asia, e via d’accesso al mar Nero (un ruolo che secoli più tardi sarà ereditato da Costantinopoli, l’odierna Istanbul).

Ricostruzione della fase Troia VI, la cittadella e la “città bassa”

Guerrieri achei e anatolici del XIV e XIII secolo a.C., ricostruzione ipotetica dell’abbigliamento e dell’armamento dell’epoca

Mura incrollabili. Una delle particolarità del sito di Hisarlik è che fin dalla sua nascita è dotato di una cerchia difensiva, costantemente rinnovata e rinforzata nel corso dei secoli, segno di ricchezza e potere. Nelle fasi della tarda età Bronzo, alla fine del I millennio a.C., la cortina muraria di Troia mostra alcuni dettagli tecnici notevoli, con mura composte di grandi blocchi squadrati per tutta la profondità, dotate di pendenza e contrafforti sporgenti. Le difese erano completate da torri, ingressi obliqui (le porte Scee) e rampe di accesso. Gli eroi di Omero sono stati rappresentati, nei secoli, nei modi più diversi e fantasiosi. Anche in questa mostra li vediamo spesso abbigliati, di volta in volta, come guerrieri greci del periodo arcaico e classico, o reinventati secondo canoni romantici e immaginari. In realtà possiamo ricostruire l’armamento e l’abbigliamento dei Micenei grazie agli scavi e alle raffigurazioni dell’epoca su affreschi e ceramiche dipinte. Anche i nomi dei personaggi trovano testimonianza archeologica. Dai documenti scritti dell’epoca, le tavolette in Lineare B, sappiamo infatti che esistette effettivamente un popolo chiamato A-ka-wi-ja-de (gli Achei), presso cui il potere era in mano a un re, il wanax, e ai suoi comandanti, i la-wa-ge-tas, e che adorava una divinità femminile chiamata A-ta-na Po-ti-ni-ja (Atena). I nomi con cui Omero ha immortalato i suoi eroi sono micenei: A-ki-re-u (Achille), E-koto (Ettore), Pi-ri-ja-me-ja (Priamo). Interessante però che questi nomi fossero di persone comuni, di bassa estrazione sociale, inservienti, pastori, schiavi.

Affresco di Achille e Chirone, 65-79 d.C., da Ercolano, Basilica: Chirone insegna al giovane Achille a suonare la lira (foto Giorgio Albano, Mann)

L’educazione di un eroe: Achille. “Uomo grande e generoso, nobile pedagogo, che a maggior tua gloria allevasti un intero popolo di eroi…”, scrive Goethe nel Faust (7, II, 15). I monti della Tessaglia, nella Grecia centrale, sono il regno dei Centauri, irascibili, rozze e selvagge creature per metà uomini e per metà cavalli. Al contrario dei suoi primitivi compagni, il mite Chirone, amante delle scienze mediche e umane, vive da eremita nella grotta del monte Pelio, dedicandosi all’insegnamento. Sotto la sua guida vengono formate le giovani promesse del mito greco: Eracle, Teseo, Giasone, Aiace, Enea, e persino il padre della medicina, Asclepio. Tra i suoi celebri allievi c’è anche Achille, che da Chirone impara i segreti della caccia, della guerra, della medicina, della chirurgia e dell’arte oratoria, temprato nel corpo e nell’animo. L’anomalo centauro forgiò inoltre la lancia magica che solo Peleo e poi suo figlio Achille erano in grado di brandire. La stessa lancia con cui venne prima ferito e poi curato Telefo.

Pelike apula a figure rosse, Gruppo di Ruvo, 375350 a.C. Achille affranto per la morte di Patroclo, consolato dalla madre, la dea marina Teti, che gli porta assieme alle sorelle Nereidi le nuove armi forgiate da Efesto (foto Giorgio Albano, Mann)

L’ira funesta. Nei versi dell’Iliade le passioni e le emozioni sono protagoniste assolute: ira, superbia, desiderio, gloria, vendetta, violenza, ma anche dignità, senso dell’onore, leale amicizia, cura, premura e amore muovono le azioni dei protagonisti. Il poema si apre con l’ira di Achille, funesta, rovinosa, che esplode per l’ingiustizia subita dall’arrogante sovrano Agamennone, che gli sottrae la sua amata Briseide. Non solo i suoi sentimenti vengono feriti, è la stessa immagine pubblica di Achille a subire un disonore incancellabile. Per non cedere alla violenza, Achille si chiude in un’ostinata solitudine, allietata solo dalle arti e dai banchetti. Achille è un eroe complesso, in cui alla spietata violenza in battaglia si affiancano le delicate premure che riserva ai suoi amici e compagni più cari, su tutti l’inseparabile Patroclo. La perdita dell’amico prediletto, che ne veste le armi per sfidare il campione troiano Ettore, lo getta nel baratro di un’inconsolabile disperazione. Per Patroclo Achille versa fiumi di lacrime che nemmeno la divina madre Teti può fermare. Per vendicarlo torna in battaglia più feroce e spietato che mai, infierendo sul corpo del rivale Ettore. Ma ancora una volta mostra la sua grandezza d’animo, ascoltando le toccanti parole di Priamo, piangendo insieme a lui per le reciproche perdite, e consentendo a un anziano padre di dare onorevole sepoltura al figlio amatissimo.

Cratere apulo a figure rosse, da Ruvo di Puglia, tomba 111, attribuito al pittore dell’Ilioupersis, 370-360 a.C. Achille trascina il corpo di Ettore alla presenza dell’immagine di Patroclo (foto Giorgio Albano, Mann)

Disegno con la ricostruzione di un hippos, imbarcazione fenicia

La caduta di Troia. Ilio, nome greco della città di Troia, è caratterizzata dall’epiteto delle sue celebri mura, che vengono definite “forti”, “ben costruite”, o semplicemente “belle”. Dopo nove anni di sanguinose battaglie, e nonostante la morte di Ettore, i Greci ancora non sono riusciti a espugnare le possenti mura troiane, erette da Apollo e Poseidone, che torreggiano tra il mare e le piane dell’Asia. Sfiniti dalla guerra, i Greci, ispirati dal multiforme ingegno di Ulisse e con l’aiuto divino di Atena, erigono un cavallo simile a un monte dai fianchi d’abete intrecciati, e lo lasciano davanti alle porte della città, come dono votivo ad Atena, protettrice di Troia, prima di fingere la ritirata. In realtà, come da recenti studi dell’archeologo navale Francesco Tiboni, Omero avrebbe parlato mai parlato di un cavallo ma avrebbe fatto riferimento a una nave fenicia, l’hippos (cavallo) appunto (da qui l’interpretazione errata nei secoli successivi, quando si era persa nozione dell’imbarcazione fenicia), usata all’epoca – carica di doni preziosi – come tributo degli sconfitti lasciata davanti alla città inespugnata (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/02/19/tourisma-2018-il-cavallo-di-troia-una-clamorosa-fake-news-dellantichita-larcheologo-navale-tiboni-omero-non-ha-mai-scritto-di-un-cavallo-ilio-fu-vinta-con-lin/). Riprendiamo il racconto. Il sacerdote troiano Laocoonte subito s’avvede dell’inganno, e prova a mettere in guardia i suoi compagni, pronunciando la famosa frase immortalata nei versi dell’Eneide virgiliana: “… temo i Greci anche se recano doni”. Ma ecco emergere dalle acque tranquille del mare due serpenti dalle spire immense e dalle creste rosso sangue, che avvolgono e straziano le carni del sacerdote e dei suoi due figli col loro corpo squamoso, soffocandone le disperate grida. I Troiani, persuasi che la cruenta fine di Laocoonte sia una divina punizione per le sue empie parole, spalancano esultanti le porte della città all’inganno acheo: gravida di armati la macchina fatale sale alle mura. I festeggiamenti per la fine della guerra e la ribadita supremazia di Troia proseguono fino a notte, mentre la spiaggia è ormai deserta.

Aiace Oileo strappa Cassandra dal Palladio, davanti a Priamo, da Pompei, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)

Il massacro. Tra cigolii, passi furtivi e bisbigli, nel cuore delle mura il cavallo immane vomita soldati armati che lesti aprono le porte della città ai compagni. I Troiani tentano un’ultima disperata difesa: si lotta porta a porta, fino all’ultimo uomo. Ma i Greci sciamano ormai inarrestabili, incendiando e distruggendo qualsiasi cosa incontri le loro armi: ammazzano, sgozzano, predano come fiere assetate di sangue, mentre i Troiani, impreparati e inermi, soccombono. Dovunque la città è sconvolta da grida di dolore: crescono i clamori e un fragore orrendo di armi sovrasta la notte. La Cittadella, cuore pulsante della città, cade preda di nemici pronti a ogni nefandezza ed efferato crimine. Quella di Troia è principalmente una vicenda di guerra, in cui prevalgono la violenza bruta e la prevaricazione del più forte sul più debole. E la sfida non è solo il duello eroico, due valenti guerrieri che si misurano ad armi pari gareggiando per l’onore e la gloria. Il mito, come la storia, è costellato di azioni vili e turpi, dove sono soprattutto gli anziani, le donne e i bambini a subire l’orrore e l’oltraggio. L’ultima, fatale notte di Troia è infatti un crescendo di episodi truculenti e di violenze intollerabili. Il vendicativo figlio di Achille, Neottolemo, fa strage di Troiani, arrivando a scagliare dalle mura Scee il corpo del piccolo Astianatte, figlio di Ettore. Tra gli ultimi a venire ucciso è il vecchio re, Priamo, ormai annichilito e prostrato sui gradini dell’altare, mentre tenta invano di opporsi al suo destino. Risuonano, agghiaccianti e concitate, le urla delle donne troiane: ma la morte è per loro quasi un sollievo, al confronto dell’umiliazione e della schiavitù che le aspetta quali bottino di guerra. Cassandra, che tutto ha già visto, aggrappata all’altare di Atena leva inutilmente gli occhi al cielo, mentre cade, inerme, tra le grinfie dell’empio Aiace Oileo. Come sua madre Ecuba, come le sue sorelle, come Andromaca, la sposa di Ettore, la attende un cupo futuro di prigionia presso le corti nemiche. Per Elena, oggetto di odio e rancori sia da parte dei Troiani che dei Greci, la resa significa il disprezzo del suo stesso popolo. Eppure, Menelao, marito tradito, la riporta a casa e la perdona, e nell’Odissea Ulisse la rincontrerà onorata e rispettata regina.

Terracotta da Pompei con Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)

L’ultimo, fatale capitolo della nostra storia è ormai compiuto. Calcante, sacerdote e indovino dell’esercito greco, lo aveva predetto nel II libro dell’Iliade (“Nove anni a Troia durerà la guerra, il decimo la città cadrà…”), e la sua visione trova ora un tragico compimento. Distruzione e saccheggio regnano ormai sulla sacra rocca di Troia. Crollano per sempre le belle mura di Ilio, avvolte dalle fiamme. Ben pochi sono i superstiti. Tra questi Enea, principe troiano, al quale gli dei hanno affidato una missione da portare a compimento. Con l’anziano padre Anchise in spalla, il figlioletto Ascanio per mano e le ceneri degli antenati, Enea fugge, nella notte, tra i flutti del mare…

Anfora attica a figure nere, fine del VI secolo a.C., da Nola (Napoli). Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia (foto Patrizio Lamagna, Mann)

Fughe e ritorni. Nonostante la vittoria, gli eroi greci vivranno dei ritorni difficili: sono i nostoi, le peripezie e i ritorni degli eroi omerici, fatti di imprevisti, di vagabondaggi, di errori che apriranno nuovi scenari, premesse di nuove storie. Il più famoso dei ritorni è quello di Ulisse, che durerà ben dieci anni, e che viene narrato nell’Odissea. Dei Troiani, Enea è uno dei pochi a sopravvivere. Lo vediamo ormai in fuga verso l’Occidente, con il padre Anchise, il figlioletto Ascanio, detto Iulo, e un manipolo di compagni. Di Enea e del suo viaggio narra Virgilio nell’Eneide, un’opera modellata sui poemi omerici, dei quali si propone come un “sequel”. Le vicende sono quelle successive alla fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite. Le tappe principali sono le isole greche di Delo, Creta e le Strofadi, l’Epiro, nell’odierna Albania, la Sicilia, il regno di Cartagine sulla costa nordafricana, persino l’Averno, il mondo dei morti. Il viaggio si concluderà in Lazio, e con il matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino, Enea diviene l’illustre antenato della civiltà romana.

Rilievo in marmo pentelico, originale greco della fine del V – inizi del IV secolo a.C., da Pompei, Casa V, 3, 10. Scena di sacrificio offerto da una famiglia a una divinità femminile, Afrodite o Demetra (foto Patrizio Lamagna, Mann)

Sacrifici e rinascite. Il rilievo di marmo, esposto in mostra a Comacchio, è un prezioso originale greco, simbolo del lusso e del livello culturale sfoggiato in alcune case di Pompei, dove è stato rinvenuto, posato a terra contro un muro in attesa di una collocazione definitiva. La Casa V, 3,10, dotata di altri arredi originali, tra cui statue bronzee, testimonia l’uso di veri e propri pezzi d’antiquariato greco, icona di una ricchezza colta e ricercata. Nei secoli la cultura greca plasma infatti la società romana nel profondo, attraverso le tecniche, le scienze, le arti e la letteratura. La scena rappresentata è una processione sacrificale: un gruppo di devoti accompagna in sacrificio un ariete al cospetto di una divinità femminile, nettamente sovradimensionata. Si tratta forse di Afrodite, amorevole madre e protettrice di Enea, oppure, secondo un’altra interpretazione, di Demetra, dea ancestrale della rinascita e della fertilità.

Busto di Ottaviano di marmo, di età tiberiano-claudia (14-54 d.C.), da Fondi (Latina) (foto Patrizio Lamagna, Mann)

Roma, una nuova Troia. Siamo alla fine del nostro viaggio che iniziato con Omero e trova il suo compimento in Virgilio: quindi da Troia a Roma. Nell’Eneide di Virgilio infatti l’eroe troiano Enea, tramite il figlio Iulo, viene celebrato come il capostipite della gens Iulia, una delle più importanti famiglie della repubblica romana, il cui esponente più illustre è Giulio Cesare. Mediante adozione, Ottaviano Augusto entra a far parte della famiglia Iulia, e sfrutta abilmente a fini propagandistici questo mito delle origini. I poeti della sua corte, tra i quali Virgilio, sono incaricati di trasporre in versi un mito inventato ad arte, quello della genealogia eroica e divina della prima dinastia imperiale. Una delle caratteristiche del nuovo Enea virgiliano, la pietas, ne fa il prototipo dell’uomo obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, rispettoso delle tradizioni e dei vincoli familiari. Ora da celebrare non sono più gli antichi eroi omerici, ma un nuovo ordine morale, di cui Ottaviano Augusto si pone come restauratore. Si chiude il capitolo del mito, si apre quello della storia.

Scoperta a Tell Mozan in Siria una fossa necromantica: 4500 anni fa era la “Porta degli Inferi” della città hurrita di Urkesh dove si evocavano gli antenati. Riferimenti alla Nekyia di Odisseo e di Enea presente nella letteratura greco-romana

La fossa necromantica ("abi" in hurrita) scoperta a Tell Mozan, l'antica Urkesh, in Siria

La fossa necromantica (“abi” in hurrita) scoperta a Tell Mozan, l’antica Urkesh, in Siria

Giorgio Buccellati e Marilyn Kelly alla 25. Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto

Giorgio Buccellati e Marilyn Kelly alla 25. Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto

Pochi gradini, ripidi, e si accedeva alla porta del regno dei morti, una fossa profonda dove il sacerdote evocava gli spiriti degli antenati. Succedeva a Urkesh, una città hurrita di 4500 anni fa, fiorente in quella che oggi è territorio curdo nella Siria Nord-Orientale, ai confini con la Turchia. La scoperta di una cosiddetta “fossa necromantica”, in hurrita “abi”, dove cioè si entrava in contatto col Regno dei Morti, è uno dei risultati più intriganti della missione diretta dalla famiglia Buccellati (Giorgio Buccellati con la moglie Marilyn Kelly del Cotsen Institute of Archeology di Los Angeles – UCLA; e il figlio Federico Buccellati della Goethe University di Frankfurt a.M.), che nel trentennale dello scavo a Tell Mozan (il moderno toponimo di Urkesh) hanno fatto il punto delle ricerche in un’interessante incontro alla 25. Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, moderato da Luca Peironel dello Iulm di Milano, allievo di Paolo Matthiae e a sua volta archeologo impegnato in missioni in Siria.

La collina artificiale di Mozan si eleva nel paesaggio siriano: là sotto è conservata Urkesh

La collina artificiale di Mozan si eleva nel paesaggio siriano: là sotto è conservata Urkesh

“Il sito di Urkesh (l’odierno Tell Mozan)”, introduce Peironel, “conosce il suo periodo di massima espansione nel III millennio a.C. e in parte del II. Il sito è importante perché testimonia i cambiamenti epocali avvenuti nella società: soprattutto la nascita delle città (la cosiddetta urbanizzazione secondaria) che si data di poco dopo quella avvenuta in Mesopotamia”. Lo scavo di Urkesh è iniziato nel 1984 e copre un’area di 130 ettari. In questi 30 anni sono stati scoperti templi, palazzi e documenti di archivio che confermano come gli abitanti di Urkesh ebbero delle relazioni con il regno accadico. Quindi grandi monumenti e intensi rapporti internazionali. E tra questi monumenti anche il singolare “abi” che ha svelato il rito necromantico.

Scena di Nekyia: particolare di un vaso greco conservato allo  Staatliche Antikensammlungen di Monaco

Scena di Nekyia: particolare di un vaso greco conservato allo Staatliche Antikensammlungen di Monaco

Il rito necromantico, che nella pratica cultuale e nella letteratura greca è chiamato Nekyia (in greco antico νέκυια), è un rito attraverso il quale spettri o anime di defunti venivano richiamati sulla terra e interrogati sul futuro. Ed è proprio dalla letteratura greco-romana che a noi sono giunti gli esempi più famosi, come Odisseo-Ulisse (Od. XI) ed Enea (En. VI), per entrambi i quali il termine Nekyia, anche se non necessariamente assimilabile a una catabasi (cioè il viaggio fisico vero e proprio nell’aldilà), è usato per illustrare sia il rito necromantico sia il viaggio fisico nell’Ade: eventi che in effetti offrono ambedue l’opportunità di parlare con i defunti.

L'incontro di Ulisse con Tiresia nello sceneggiato rai "Odissea" del 1969

L’incontro di Ulisse con Tiresia nello sceneggiato rai “Odissea” del 1969 di Rossi-Bava

Il più antico riferimento al rito necromantico viene proprio dal Libro XI dell’Odissea: il passo è così intrigante che su di esso l’archeologo-scrittore Valerio Massimo Manfredi ancora nel 1990 aveva costruito un romanzo giallo, “L’oracolo”, ripreso e aggiornato recentemente per inserirlo, dopo “Il giuramento” e “Il ritorno”, come terza tappa dei romanzi su Odisseo “Il mio nome è Nessuno”. Odisseo, alla corte dei Feaci, racconta che, ottenuto il consenso per il ritorno a casa dalla maga Circe, viene avvertito dalla stessa dea che prima di volgere la prua verso la patria Itaca, avrebbe dovuto discendere agli Inferi per consultare l’anima dell’indovino Tiresia. Odisseo parte e giunge fino all’Oceano, immaginato come un fiume che circondava le terre emerse, dove era collocato l’Oltretomba. Qui egli avrebbe dovuto scavare una fossa, versarvi in giro una libagione a tutti i morti: prima una bevanda di latte e miele, poi il dolce vino ed infine acqua. Avrebbe anche dovuto spargervi della farina d’orzo e per ultimo sacrificare alle divinità infernali una pecora nera ed un montone. Sarebbe quindi giunto Tiresia a predirgli il futuro e a indicargli la via del ritorno. Scrive Omero “Scavai la fossa cubitale, e miele/ Con vino, indi vin puro, e lucid’onda/ Versaivi, a onor de’ trapassati, intorno,/ E di bianche farine il tutto aspersi./ Poi degli estinti le debili teste/ Pregai, promisi lor, che nel mio tetto,/ Entrato con la nave in porto appena,/ Vacca infeconda, dell’armento fiore,/ Lor sagrificherei, di doni il rogo/ Rïempiendo; e che al sol Tiresia, e a parte,/ Immolerei nerissimo arïete,/ Che della greggia mia pasca il più bello./ Fatte ai Mani le preci, ambo afferrai/ Le vittime, e sgozzaile in su la fossa,/ Che tutto riceveane il sangue oscuro”. Odisseo dunque scava una fossa e la riempie di sangue sgozzando degli animali sacrificali. Sopraggiungono così le ombre dei defunti a bere il sangue e temporaneamente entrarono in contatto con i vivi: Elpenore, il compagno rimasto senza sepoltura in casa di Circe, l’indovino Tiresia, la madre Anticlea, morta dopo la sua partenza per la guerra di Troia, Agamennone, Achille, Aiace.

Enea, la Sibilla e Caronte in un quadro di Giuseppe Maria Crespi (XVIII secolo)

Enea, la Sibilla e Caronte in un quadro di Giuseppe Maria Crespi (XVIII secolo)

Anche Enea, per giungere nella nuova patria, deve affrontare un viaggio nel mondo dei morti. Se Odisseo la porta dell’Ade la trova solcando l’Oceano, Enea raggiunge l’accesso all’Averno sbarcando a Cuma, in Campania dove l’eroe, memore dei consigli di Eleno, si reca nel tempio di Apollo. La somma sacerdotessa di Apollo, la Sibilla Deifobe, figlia di Glauco, invasata dal dio durante il vaticinio, gli rivela che riuscirà ad arrivare nel Lazio, ma per ottenere la nuova patria dovrà affrontare odi e guerre, essendo inviso a Giunone. Su sua richiesta, la Sibilla guida Enea nell’Aldilà. Scrive Virgilio: O vergine, nessuna specie di travagli mi si presenta nuova o inaspettata; tutto ho provato e considerato nell’animo, tra me. Una cosa sola ti prego: poiché si dice che qui si trovino la porta del re dell’inferno e la tenebrosa palude formata dal rigurgito dell’Acheronte, che io possa andare alla presenza dell’anima dell’amato genitore; insegnami la via ed aprimi le sacre porte (…). Con tali parole pregava e abbracciava gli altari, quando così la veggente cominciò a parlare: O generato dal sangue degli DEI, Troiano figlio di Anchise, facile è la discesa nell’Averno: notte e giorno è aperta la porta dell’oscura Dite, ma ritrarre il passo ed uscire all’aria superna, questo è il problema, qui sta l’impresa (…). Ma se ti piace affrontare questa folle fatica, ascolta ciò che prima deve essere fatto. Un aureo ramo, con foglie e gambo pieghevole, consacrato a Giunone infernale, è nascosto sotto un albero ombroso: lo copre tutto il bosco e le ombre lo chiudono in oscure convalli. E non si può entrare nei luoghi segreti della terra prima di aver staccato dall’albero il virgulto dalle fronde d’oro. Proprio questo dono la bella Proserpina ordinò che le fosse portato; strappato il primo, ne nasce un altro pure d’oro e il virgulto mette frondi d’uguale metallo. Dunque, cerca profondamente cogli occhi e, trovato il virgulto d’oro, strappalo con la mano secondo il rito; ed infatti ti seguirà facilmente e di buon grado se i Fati ti chiamano; altrimenti con nessuna forza potrai vincerlo né strapparlo con duro ferro (…). Conduci nere pecore, e siano queste le prime offerte, così vedrai alfine i boschi dello Stige e i regni inaccessibili ai vivi. Disse, e, chiusa la bocca, tacque”. Caronte, lo psicopompo dell’Ade, ostacola l’ingresso di Enea e della Sibilla a bordo della sua barca, sostenendo che i vivi finora traghettati sono stati per lui grave fonte di problemi. Quando però gli mostrano il ramo d’oro, chiave degli Inferi che portano con loro, acconsente a trasportarli. Enea e la sacerdotessa incontrano prima le anime di molti troiani caduti in guerra, poi quelle dei suicidi per amore: tra queste v’è anche Didone, che reagisce gelidamente al passaggio di Enea, il quale scoppia in un pianto disperato. Giunti alla diramazione tra la via per il Tartaro e quella per i Campi Elisi, incontrano l’ombra del poeta Museo, che porta Enea dall’amato padre Anchise.

L'abi scoperto a Tell Mozan veniva usato per i riti necromantici di notte

L’abi scoperto a Tell Mozan veniva usato per i riti necromantici di notte

La ripida e stretta scaletta che porta nella fossa necromantica di Urkesh

La ripida e stretta scaletta che porta nella fossa necromantica di Urkesh

Fin qui letteratura e mito. Ma a Tell Mozan la fossa necromantica è una realtà. “L’Abi, il nome antico della fossa necromantica”, spiega Giorgio Buccellati, “risale almeno al secondo quarto del terzo millennio, ma è forse molto più antica. Allo stato attuale degli scavi raggiunge una profondità di 8 metri, e ci preserva uno dei luoghi cultuali più sacri e più caratteristici della religiosità hurrita, non solo per Urkesh ma per tutto il mondo hurrita. In contrasto con le tradizioni mesopotamiche, anticipa invece aspetti salienti della sensibilità religiosa dei Greci e della Bibbia. Si tratta di una monumentale struttura sotterranea, usata di rado e in tal caso di notte. Serviva come un canale ideale tra i nostro mondo e quello dei morti, la “undiscovered country” dell’Amleto di Shakespeare. Ma per gli Hurriti questa era invece una “discovered country” perché tramite questa fossa si sentivano in grado di entrare nella regione nascosta e interpretare la voce dei suoi spiriti”.

L'evocazione del rito necromantico nell'abi di Urkesh a Tell Mozan in Siria

L’evocazione del rito necromantico nell’abi di Urkesh a Tell Mozan in Siria

La mappa di Tell Mozan con la posizione del tempio e dell'abi di Urkesh

La mappa di Tell Mozan con la posizione del tempio e dell’abi di Urkesh

Gli abitanti di Urkesh guidati dai loro sacerdoti si muovevano dal tempio, posto nel punto più alto della città, e raggiungevano l’Abi, la grande fossa aperta vicino al palazzo, la quale rappresentava il luogo più profondo, e quindi – nell’immaginario – più vicino al regno dei Morti. “Dal tempio si accedeva dunque all’Abi, la Porta degli Inferi”, continua Buccellati. “In questo pozzo molto profondo che si apre accanto al palazzo la gente di Urkesh veniva a chiedere aiuto agli antenati per il raccolto o prima di andare in guerra. L’Abi non è altro che una fossa necromantica, dove si scendeva (e si scende ancora) attraverso una scaletta molto ripida. Erano i sacerdoti a richiamare gli spiriti degli antenati attraverso un preciso rituale che prevedeva l’uso di due pugnali e il versamento del sangue di animaletti”.

Un maialino in terracotta a ricordare gli animali sacrificati per evocare gli antenati

Un maialino in terracotta a ricordare gli animali sacrificati per evocare gli antenati

La scoperta è stata possibile grazie al ritrovamento e allo studio delle ossa animali (“Nel passato – sottolinea il professore italiano – sarebbero state buttate, con tutti i dati scientifici ad esse legati, come materiale di disturbo Oggi per fortuna ci sono gli archeo-zoologi”). Gli archeologi impegnati a Urkesh pensavano che i sacrifici riguardassero grossi animali. Invece lo scavo ha smentito questa convinzione: “A Tell Mozan abbiamo trovato solo ossa di maialini di pochi mesi e di piccoli cani, macellati come se si volesse estrarre qualcosa piuttosto che per il pasto”.

La cosiddetta “Signora degli Inferi”, piccola giara antropomorfica trovata nella fossa necromantica di Urkesh

La cosiddetta “Signora degli Inferi”, piccola giara antropomorfa trovata nella fossa di Urkesh

Il rito necromantico è stato ricostruito dai Buccellati seguendo le descrizioni riportate dai testi ittiti in lingua hurrita. “Prendono due pugnali,/ che sono stati/ fatti assieme/ alla statua/ della divinità,/ e scavano/ una fossa./ Offrono/ una pecora/ alla divinità…/ e la sacrificano/ giù nella fossa”. C’è un’eco con l’episodio di Enea che parla con la madre. Dalla fossa necromantica di Tell Mozan proviene la cosiddetta “Signora degli Inferi”. Si tratta di una piccola giara antropomorfa. Presumibilmente conteneva olio profumato usato nei rituali della Nekyia. “La distorsione della bocca non è casuale”, fa notare Giorgio Buccellati. “Gli spiriti degli Inferi non parlavano distintamente ma come un cinguettio di uccelli (così ci dicono i testi hurriti). La nostra figura – conclude – rappresenta quindi un tale spirito nel momento in cui comunica il suo messaggio indistinto che una donna medium dovrà poi interpretare”.

Bimillenario di Augusto. Mostre ed eventi a Roma dal’Ara Pacis (L’arte del comando) ai Mercati Traianei (La città di Augusto) e al foro di Augusto rivive la romanità con Piero e Alberto Angela

All'Ara Pacis di Roma la mostra "L'arte del comando. L'eredità di Augusto"

All’Ara Pacis di Roma la mostra “L’arte del comando. L’eredità di Augusto”

La mostra all'Ara Pacis "L'arte del comando. L'eredità di Augusto"

La mostra all’Ara Pacis “L’arte del comando”

A Roma si susseguono mostre ed eventi per celebrare il bimillenario di Augusto. “L’arte del comando. L’eredità di Augusto”, al Museo dell’Ara Pacis fino al 7 settembre, è una tappa fondamentale per approfondire le principali politiche culturali e di propaganda messe in atto da Augusto nel suo principato e replicate nei secoli per il loro carattere esemplare. Le 12 sezioni della mostra, articolate per temi ed epoche storiche differenti, illustrano in che modo imperatori come Carlo Magno, Federico II, Carlo V o Napoleone, per citarne solo alcuni, nel corso della storia abbiano reinterpretato “l’arte del comando” di Augusto a volte con formule molto vicine o identiche. Sono esposti incisioni, dipinti, monete, mosaici, acqueforti, oli, sculture e gemme grazie ai prestiti di prestigiosi istituti culturali, dagli Uffici ai Musei Vaticani, dal museo di Capodimonte alla Galleria Borghese, da Palazzo Barberini al museo etrusco di Villa Giulia, solo per citarne alcuni. “La propaganda augustea si basava sulla discendenza della gens Julia dall’eroe troiano Enea, il figlio di Anchise e della dea Venere già noto dalla tradizione epica greca e romana e protagonista nel Lazio di antichi miti di fondazione”, spiegano i curatori della mostra Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini. “Il principe ebbe però l’abilità di commissionare una serie di opere che sistematizzavano le origini troiane di Roma e al tempo stesso quelle della sua stessa famiglia, in modo tale che la sua ascesa al potere apparisse agli occhi dei contemporanei non solo legittima ma predestinata. A questo scopo commissionò opere come l’Eneide, l’arredo simbolico del suo Foro e l’Ara Pacis, facendo della propaganda un’arte e affidando alle creazioni delle migliori menti del suo tempo la sua stessa immagine. Augusto seppe scegliere i suoi collaboratori e con loro adattò al suo regime il mito dell’età dell’oro, quando il tempo ricomincia il suo ciclo e riporta tra gli uomini semplicità di costumi, prosperità e pace universale”. Queste due leve, usate dal circolo augusteo per gettare le basi dell’immaginario imperiale, furono così efficaci che la discendenza divina dell’imperatore e la pace augustea saranno fonte d’ispirazione nei secoli per gli assolutismi a venire.

I Mercati Traianei di notte: lì apre la mostra "Le chiavi di Roma"

I Mercati Traianei di notte: lì apre la mostra “Le chiavi di Roma”

La mostra "Le chiavi di Roma. La città di Augusto" è promossa dai Musei Virtuali europei

La mostra “Le chiavi di Roma. La città di Augusto” è promossa dai Musei Virtuali europei

L’evento “Keys To Rome”, ai Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali dal 24 settembre 2014 al 12 aprile 2015 ha come tema centrale della mostra “Le Chiavi di Roma. La città di Augusto”. L’esposizione, ideata e curata dalla soprintendenza Capitolina e dal CNR, è un evento organizzato dalla più grande rete di eccellenza europea sui Musei Virtuali, V-MUST, coordinata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Quattro città forniranno quattro prospettive diverse sulla cultura romana: il cuore di Roma, con il Museo dei Fori Imperiali; Alessandria d’Egitto, nelle splendide sale della Biblioteca Alessandrina; Amsterdam con l’innovativo Museo Allard Pierson e, infine, Sarajevo all’interno della storica biblioteca, sede del municipio, da poco restaurata. Le quattro città, che simboleggiano i “quattro angoli” del mondo romano, sono alla base dell’idea della mostra europea e saranno un’occasione senza precedenti per guardare all’Impero da punti di osservazione storici, geografici, culturali e umani molto diversi. Al centro dell’esperienza museale, un percorso fatto di filmati, di sistemi di interazione naturale e applicazioni mobili, guiderà il visitatore a ripercorrere la storia romana, grazie a due protagonisti, un vecchio mercante e suo nipote, che dovranno ritrovare gli oggetti appartenuti alla famiglia e svelarne i segreti, usando le chiavi di Roma, nell’unico giorno in cui il dio Giano consentirà di aprire le porte del tempo. Nella Grande Aula del Museo, una mappa della città darà al visitatore la sensazione di “camminare” nella Roma di duemila anni fa. Il Foro di Augusto, il suo Mausoleo, l’Ara Pacis e gli altri monumenti, “emergeranno” dalla mappa e racconteranno la propria storia. Due busti di Augusto e Agrippa – il suo “braccio destro” – si animeranno e parleranno delle strategie e degli avvenimenti storici che hanno permesso l’irresistibile ascesa del princeps e la trasformazione della città. Infine, videopannelli presenti lungo il percorso espositivo illustreranno le novità scientifiche sugli ultimi scavi, testimoniando la continua ricerca e la presenza sul territorio degli archeologi della soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Nell’ambito delle attività collaterali che arricchiranno ulteriormente l’evento, verrà anche organizzata la “Digital Museum Expo”, esposizione e workshop rivolti a professionisti e operatori del settore, che presenteranno le soluzioni tecnologiche più recenti, create per i musei del futuro. L’Expo sarà visitabile a Roma, sempre all’interno del Museo dei Fori Imperiali, per una settimana, dal 24 al 28 settembre 2014. Verrà poi spostato a turno nelle altre quattro sedi di “Keys to Rome” tra ottobre e dicembre.

La sera il foro di Augusto a Roma rivive con lo spettacolo a effetti speciali di Piero Angela

La sera il foro di Augusto a Roma rivive con lo spettacolo a effetti speciali di Piero Angela

Una suggestiva visione notturna del Foro di Augusto a Roma

Una suggestiva visione notturna del Foro di Augusto a Roma

Ma si potrà anche «camminare» nella Roma Augustea scoprendo luoghi suggestivi e testimonianze architettoniche importanti dell’azione innovatrice di Augusto. “Foro di Augusto. 2000 anni dopo” è un progetto spettacolare ideato e curato da Piero Angela e Paco Lanciano con la storica collaborazione di Gaetano Capasso. Grazie ad appositi sistemi audio con cuffie gli spettatori (durata 40 minuti; max 200 persone; le giornate di pioggia saranno recuperate) possono ascoltare la musica, gli effetti speciali e il racconto di Piero Angela in 6 lingue, italiano, inglese, francese, russo, spagnolo e giapponese, tutte le sere fino al 27 settembre in tre repliche alle 21, alle 22 e alle 23 da via Alessandrina, proprio affacciati sul Foro di Augusto. “Utilizzando le tecnologie più all’avanguardia”, spiega Renzo De Simone, “il progetto illustra in modo puntuale il sito archeologico situato lungo via dei Fori Imperiali e adiacente a via Alessandrina partendo da pietre, frammenti e colonne presenti. Gli spettatori sono accompagnati dalla voce di Piero Angela e da magnifici filmati e ricostruzioni che mostrano i luoghi così come si presentavano all’epoca di Augusto: una rappresentazione emozionante ed allo stesso tempo ricca di informazioni dal grande rigore storico e scientifico”. Le tribune ideate per ospitare il pubblico e l’impianto tecnico necessario (luci, proiettori, computer ecc.) sono stati realizzati, in accordo con la soprintendenza Capitolina, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto visivo sull’area archeologica. Disposte su due file parallele, le tribune sono contenute interamente dal marciapiede di via Alessandrina e composte da 7 moduli interrotti dalle scale a doppia rampa per un’altezza totale di circa 2,60 metri più il parapetto alto 1 metro. “Pur spaziando su vari aspetti di quel fenomeno unico che fu la romanità”, continua De Simone, “il racconto è sempre ancorato al sito di Augusto, utilizzando in modo creativo i resti del Foro per cercare di far parlare il più possibile le pietre. Oltre alla ricostruzione fedele dei luoghi, con effetti speciali di ogni tipo, il racconto si sofferma sulla figura di Augusto, la cui gigantesca statua, alta ben 12 metri, dominava l’area accanto al tempio. Con Augusto Roma ha inaugurato un nuovo periodo della sua storia: l’età imperiale è stata, infatti, quella della grande ascesa che, nel giro di un secolo, ha portato Roma a regnare su un impero esteso dall’attuale Inghilterra ai confini con l’attuale Iraq, comprendendo gran parte dell’Europa, del Medio Oriente e tutto il Nord Africa. È questa dunque un’occasione – conclude – anche per raccontare che quella conquista significò l’espansione non solo di un impero, ma anche di una grande civiltà, che ha portato con sé cultura, tecnologia, regole giuridiche, arte. In tutte le zone dell’Impero ancora oggi sono rimaste le tracce di quel passato, con anfiteatri, terme, biblioteche, templi, strade”. Dopo Augusto, del resto, molti altri imperatori lasciarono la loro traccia nei Fori Imperiali costruendo il proprio Foro. “Roma – ricorda Alberto Angela – a quel tempo contava più di un milione di abitanti: nessuna città al mondo aveva mai avuto una popolazione di quelle proporzioni; solo Londra nell’800 ha raggiunto queste dimensioni. Era la grande metropoli dell’antichità: la capitale dell’economia, del diritto, del potere e del divertimento”.

L'imperatore Ottaviano Augusto

L’imperatore Ottaviano Augusto

Infine c’è lo spettacolo d’eccezione ‘Tyrtarion”: per celebrare Augusto andrà in scena nella cornice suggestiva dei Mercati di Traiano il 30 agosto alle 19 con replica il 31 agosto. I poeti di età augustea “cantati” e musicati dagli studenti dell’Accademia Vivarium Novum: Virgilio, Orazio, Ovidio, Catullo torneranno a essere recitati e cantati per celebrare l’Imperatore Augusto nella lingua dell’antica Roma: il latino.