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Al via Sardinia Archeo Festival: la quarta edizione è sul tema “Ritorno a Itaca”. Tre giorni di confronto (2 a Cagliari, 1 a Carloforte) tra 18 studiosi e studiose di archeologia, storia, geografia, architettura e antropologia 

cagliari_sardina-archeofestival_ritorno-a-itaca_locandinaIl 9 e 10 giugno a Cagliari, negli spazi del Ghetto, e poi il 17 a Carloforte, all’ExMe, torna il Sardinia Archeo Festival sul tema “Ritorno a Itaca”: quarta edizione per il festival divulgativo di archeologia dedicato a storie e visioni del Mediterraneo. Tra gli ospiti gli archeologi Alfonso Stiglitz, Alessandro Usai, Fabio Pinna e Marco Minoja. Ingresso libero e gratuito. La tre giorni di Sardinia Archeo Festival metterà a confronto 18 tra studiosi e studiose di archeologia, storia, geografia, architettura e antropologia provenienti dal mondo dell’università e della ricerca che faranno il punto sulle indagini più affascinanti e aggiornate attorno alle nostre città. Gli incontri prenderanno il via venerdì 9 giugno 2023, alle 15.30 al Ghetto, e proseguiranno fino a sera con gli interventi di Giacomo Pozzi, Alessandro Usai, Francesca Desogus, Marco Milanese, Stefano Mais, Francesco Mascia; si prosegue sabato 10 giugno 2023, con la sessione del mattino, dalle 9 alle 12.30, che vedrà le relazioni di Marco Minoja, Consuelo Costa, Alessandro Cuccu, Francesco Bachis e Lidia Decandia; e quella pomeridiana, dalle 15.30 alle 20, con Marcello Schirru, Sergio Ribichini, Amedeo Feniello, Fabio Pinna, Alfonso Stiglitz. Entrambe le serate si chiuderanno in musica con “Da quale parte del mare”, concerto con i musicisti Roberto Tombesi (organetto), Davide Bonfanti (ghironda), Giovanni Floreani (cornamusa e cister). Terza e ultima serata sabato 17 giugno 2023, dalle 16.30 a Carloforte, con gli interventi degli storici Lorenzo Benedetti e Giampaolo Salice e in chiusura concerto del musicista Battista Dagnino.

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La sala conferenze al Ghetto di Cagliari (foto il ghetto)

Si dice spesso che l’Uomo sia un animale sociale, che rifugga da una dimensione di isolamento e che abbia sviluppato, nel tempo della sua presenza sulla Terra, un’attitudine al vivere collettivo, comunitario”, spiegano gli organizzatori associazione culturale onlus Itzokor nella presentazione. “Magari dandosi regole di convivenza che ne potessero indirizzare l’agire allo scopo del raggiungimento di un benessere di vita. Insomma, l’Uomo stanziale, almeno a partire dal neolitico, ha imparato a godere dei privilegi della comunità. Ma perché è stata scelta proprio questa via? Sarà questa la prima domanda a cui cercheremo di rispondere nella nuova edizione del Sardinia Archeo Festival. E poi a tutte le altre che, di conseguenza, derivano: quando nascono i primi centri di vita comunitaria? E cosa ne determina l’organizzazione sociale, politica, culturale, urbanistica, cui diamo il nome di “città”? Perché un centro assurge a tale dimensione, mentre quello accanto no? E cosa fa, veramente, di un gruppo ordinato di strade, architetture e servizi, una “città”? Cosa succede al territorio circostante: in che maniera interagisce con quel fermento umano che è racchiuso dai limiti della città? Ma proveremo a capire anche come muore una città, come si spopola un centro urbano, dove vanno a finire i suoi abitanti. Scaveremo nelle storie delle fondazioni di città famose come Cartagine, nelle dinamiche di potere delle città etrusche, cercheremo di capire cosa sia successo nella Sardegna nuragica o nel Mediterraneo all’arrivo dell’Islam. Ma il Festival diventerà occasione anche di rendere omaggio alla nostra città di Cagliari, che cercheremo di ricostruire nel racconto del suo sviluppo dal Cinquecento fino alle ricostruzioni dopo i bombardamenti del ’43. Anche attraverso la lettura dei preziosi documenti custoditi negli archivi cittadini. Volgeremo lo sguardo a realtà più piccole, capaci però di riproporre in dimensioni minori le dinamiche di un’organizzazione politico-sociale tipica dei grossi centri e ci chiederemo se davvero sia necessario parlare di “borghi quando si è paesi”. E forse arriveremo davvero, “cercando città, a trovare comunità”. Come al solito cercheremo di mettere in dialogo l’archeologia con le altre discipline che si interessano dell’essere umano, da una parte all’altra del nostro Mediterraneo, e nel tentativo di seguire un filo conduttore che dal passato giunga fino all’oggi”.

Cabras. Altri due Giganti emergono dalla necropoli di Mont’e Prama a pochi giorni dall’inizio del cantiere. Il ministro Franceschini: “Una scoperta eccezionale in un sito straordinario, che non ha eguali nel Mediterraneo”

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Altri due Giganti emergono dalla necropoli di Mont’e Prama a Cabras. Risultati immediati per la nuova campagna di scavi nel sito della necropoli nuragica di Mont’e Prama, avviata il 4 aprile 2022 dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna: a pochi giorni dall’inizio del cantiere, che sta interessando un terreno nella parte meridionale del sito archeologico nel comune di Cabras, sono emersi i torsi e altri frammenti di due nuove statue, entrambe identificate come “pugilatori del tipo Cavalupo” per il grande scudo flessibile avvolto davanti al tronco, del tutto simili alle due sculture recuperate a pochi metri di distanza nel 2014 ed ora esposte nel Museo civico di Cabras. Lo strato sottostante, inoltre, ha confermato la prosecuzione verso meridione della necropoli e della imponente strada funeraria, orientata sull’asse Nord-Sud. “Una scoperta eccezionale”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Dario Franceschini, “alla quale ne seguiranno altre, a conferma del significativo impegno del Ministero su questo sito straordinario, che non ha eguali nel Mediterraneo. Il ritrovamento di altri due Giganti, infatti, avviene a poco meno di un anno dalla nascita della Fondazione che vede il MiC, il Comune di Cabras e la Regione Sardegna impegnati nella valorizzazione di una delle maggiori testimonianze di un’antica civiltà mediterranea. Due nuove gioielli si aggiungono così a questo gruppo statuario dal fascino misterioso, capace di attirare l’attenzione del mondo intero”.

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Una fase dello scavo nella necropoli di Mont’e Prama a Cabras (foto mic)

L’attuale intervento di scavo è il risultato dell’inteso lavoro di preparazione scientifica e tecnica condotto dagli archeologi Alessandro Usai e Maura Varigiu, dall’antropologa Francesca Candilio, dalla restauratrice Georgia Toreno e dall’architetto Elena Romoli. Il cantiere in corso, finanziato dalla soprintendenza con 85mila euro, durerà tutta la primavera, mentre è già pronto il progetto per il prossimo intervento di ben maggiore importo, 600mila euro, che vedrà affiancati la soprintendenza come ufficio di direzione scientifica e tecnica e il Segretariato regionale del MiC come stazione appaltante. Segretariato e soprintendenza, inoltre, stanno per avviare un intervento ancor più ambizioso, per un importo di 2,8 milioni di euro, che comprende il restauro delle sculture rinvenute dal 2014 al 2016. A queste risorse, insieme ai 3 milioni di euro destinati all’ampliamento del museo Archeologico di Cabras nell’ambito del programma d’interventi previsti dal Piano strategico “Grandi Progetti Beni culturali” annualità 2015/2016, si sommano inoltre 4,15 milioni di euro mentre per il sito di Tharros, sempre nel comune di Cabras. La Fondazione Mont’e Prama, presieduta da Anthony Muroni, è nata il 1° luglio 2021 con la firma dell’atto costitutivo da parte del ministro Franceschini, del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, Christian Solinas, e del sindaco di Cabras, Andrea Abis. Il ministero della Cultura ha conferito alla Fondazione il complesso delle sculture di Mont’e Prama; l’immobile realizzato in funzione dell’ampliamento del museo civico Archeologico di Cabras; l’area archeologica di Tharros, la Torre di San Giovanni e l’ipogeo di San Salvatore. È attualmente in corso la procedura di selezione per il primo direttore della Fondazione.

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La sala dei Giganti di Mont ‘e Prama nel museo civico di Cabras “Giovanni Marongiu” (foto museo cabras)

La soprintendente Monica Stochino. Il suggestivo e misterioso gruppo dei Giganti di Mont’e Prama si arricchisce così di altre due unità grazie a un ritrovamento che certamente non rimarrà isolato, date le promettenti quantità, qualità e condizioni di conservazione dei resti archeologici sepolti nel settore meridionale della necropoli nuragica. “Mentre i frammenti di piccole e medie dimensioni vengono quotidianamente messi in evidenza, documentati nella giacitura sul terreno e recuperati”, dichiara la soprintendente, Monica Stochino, “i due grossi e pesanti blocchi dei torsi avranno bisogno di tempo per essere liberati dal sedimento che li avvolge e perché possa essere approntato quanto è necessario per il recupero in sicurezza. Il ritrovamento premia la costanza e la validità del metodo archeologico di esplorazione progressiva attraverso fasi di sondaggio preliminare e di indagine sistematica, misurate ed eseguite nei modi e nei tempi consentiti dalla disponibilità delle risorse e dalla parallela elaborazione dei progetti di scavo, restauro ed esposizione dei reperti e di valorizzazione del sito. Siamo particolarmente soddisfatti dei primi esiti dell’intervento di scavo archeologico che, per l’unicità del sito in Sardegna e nel Mediterraneo, ha richiesto un intenso lavoro di preparazione scientifica e tecnica. La  ricerca è stata indirizzata su due principali obiettivi – aggiunge – da un lato indagare alcuni gruppi di sepolture della fase più antica, nuragiche, e successive punico-romane, per reperire le informazioni scientifiche indispensabili ad una ricostruzione del mondo in cui si svilupparono i fenomeni culturali che portarono alla creazione del sito; dall’altro estendere gli scavi a sud delle aree già indagate, nell’intento di confermare l’estensione della sistemazione monumentale dell’area con la definizione della strada funeraria e la creazione del complesso scultoreo formato da statue, modelli di nuraghe e betili. L’emozione e l’entusiasmo di tutti noi è grande anche per la conferma che il metodo proposto di esplorazione progressiva per sondaggi preliminari e indagine sistematica, affiancata da conseguenti interventi di restauro e coordinati progetti allestitivi, è certamente vincente ed in grado di rendere fruibile in tempi ragionevoli un patrimonio unico che la Fondazione Mont’e Prama – conclude – saprà valorizzare per le finalità culturali e per  promozione di un territorio di eccellenza anche sotto il profilo ambientale”.

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Scavo nella necropoli di Mont’e Prama: la gamba (a sinistra) e la testa (a destra) di un Gigante, poggiate a terra (foto mic)

Il direttore dello scavo Alessandro Usai. “La ricerca programmatica dà i suoi frutti: è arrivata la conferma che il metodo funziona perché si tratta di sculture rinvenute alla luce in un tratto non ancora toccato”, commenta il funzionario archeologo Alessandro Usai, direttore scientifico dello scavo nel Sinis dal 2014. “Siamo andati a colpo sicuro su un’area riprendendo vecchi scavi e ampliandoli in continuità con quella che noi conosciamo come necropoli nuragica che si sviluppa lungo una strada precisa nel tratto che stiamo indagando. In particolare i due torsi rinvenuti con lo scudo allungato che assume una forma un po’ avvolgente rispetto al braccio sinistro e che si appiattisce sulla pancia riconducono i ritrovamenti alla categoria dei pugilatori si tratta di sculture calcaree la cui pietra proveniva da una cava non molto distante da qui, facile da scolpire ma proprio per questo anche molto fragile. La presenza capillare nel Sinis della civiltà nuragica nell’età del bronzo e del ferro è il presupposto stesso della ricerca che si fonda su una indagine sul Sinis – sottolinea Usai –  nell’ambito di questo quadro questa necropoli è unica in Sardegna. Lo scavo qui è una ricerca integrata non solo delle statue ma di tutto ciò che comprende anche scavi di tombe, grazie ai quali viene fuori anche l’aspetto antropologico: ovvero la necessità di definire cronologia, natura e ruolo di queste statue. L’emozione più grande? Senza dubbio – conclude – vedere qualcosa prendere forma davanti ai tuoi occhi che viene fuori dalla terra. Cose che sapevi essere sepolte lì, ma soprattutto vederle e interrogarle, dalla pietra informe fino a scoprirne lo stato. Ma non solo, anche l’emozione di poterne discuterne con i colleghi in cantiere, nell’attesa di vedere tutto quello che viene fuori. Uno scavo viene vissuto tutti i giorni appassionatamente, anche se annunciato”.

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Pulitura di un volto dei Giganti scoperto nella necropoli di Mont’e Prama a Cabras (foto mic)

Il fascino misterioso della necropoli nuragica e dei Giganti di Mont’e Prama. Custodi ancestrali di un’area sacra, simboli delle funzioni sociali dei defunti inumati o memoria di un importante evento della storia nuragica locale? Distrutti nel corso di una guerra intestina fra comunità nuragiche, demoliti dai fenici o abbattuti dai cartaginesi? Sono molti i misteri che circondano la necropoli nuragica e i Giganti di Mont’e Prama, reperti che non trovano paragoni nella statuaria della Sardegna nuragica e sembrano il prodotto di un estremo ingigantimento dei bronzetti votivi, attuato in un contesto culturale attraversato da faglie profonde in un momento di trapasso epocale vivamente percepito e sofferto. Gli studi più recenti datano le tombe e le sculture tra la fine del IX e la prima metà dell’VIII secolo a.C., in piena età del ferro, opera di una società radicalmente mutata rispetto a quella dell’età del bronzo. La necropoli di Mont’e Prama conosce tre fasi di utilizzo: una prima costituita da tombe singole a pozzetto in cui era deposto un corpo inumato; una seconda in cui vengono realizzate nuove tombe singole o raggruppate coperte da lastroni di pietra in modo disorganico; una terza in cui le tombe, con lastra quadrata di copertura, sono perfettamente allineate.

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Necropoli di Mont’e Prama: a sinistra, parte del torso meridionale; in alto a destra, il torso settentrionale; a sinistra di questo una gamba (precisamente il polpaccio sinistro con attacco del “gonnellino” a punta triangolare sul retro); a destra, la testa troncata al collo (foto mic)

Il ritrovamento. Al di sopra di queste tombe così ben organizzate e nella fascia libera antistante, che costituisce una sorta di strada funeraria, sono state rinvenute le statue in stato frammentario, frantumate già in epoca antica e depositate volontariamente sopra e accanto alle tombe. Allo stato attuale non è possibile determinare la collocazione originaria delle statue, i cui frammenti sono stati ritrovati in condizioni caotiche. Sulla loro antica collocazione vi sono più ipotesi: alcuni ritengono che le statue fossero poste in un’area lontana dalle tombe a delimitare un’area sacra; altri pensano che fossero collocate nell’area della necropoli; infine vi è chi pensa che fossero poste al di sopra dei lastroni di copertura delle tombe. Riguardo la loro distruzione, sono state fatte tre grandi ipotesi: la prima vuole la distruzione del complesso come un episodio di lotta interna fra comunità locali di cultura nuragica; la seconda ritiene che la distruzione sia avvenuta per mano dei fenici di Tharros sul finire del VII secolo a.C.; la terza propone che la distruzione risalga alla seconda metà del IV secolo a.C. per opera dei cartaginesi presenti sull’isola.

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La statua del “pugilatore tipo Cavalupo” meglio conservata, rinvenuta nel 2014 (foto drm-sardegna)

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Il bronzetto di Cavalupo, che dà il nome ai “pugilatori” della necropoli di Mont’e Prama, rinvenuto in una tomba a cremazione della necropoli “villanoviana” di Cavalupo a Vulci, nel Lazio (foto mic)

Le teorie sul significato dei giganti. Per quanto concerne le sculture, secondo un’interpretazione rappresentavano il ceto sociale più in vista, identificando negli arcieri i valori militari, nei pugilatori la sfera religiosa e nei modelli dei nuraghi quella politica. Un’altra interpretazione, invece, riconosce nelle statue, più che i defunti stessi, la raffigurazione dei loro antenati, evocati come eroi mitici delle leggende nuragiche, e nei modelli dei nuraghi il simbolo dell’identità e della compattezza della comunità. Secondo un’ultima interpretazione, infine, le statue potrebbero celebrare la memoria di un evento importante della storia nuragica locale. Il complesso funerario e scultoreo viene spesso definito come heeron, ossia un luogo organizzato e strutturato per il culto degli antenati elevati al rango di eroi. Le sculture di Mont’e Prama esprimevano quindi identità e appartenenza, valori particolarmente significativi in un momento di transizione caratterizzato da profonde tensioni e trasformazioni. Avrebbero quindi una forte valenza simbolica, rivolta sia alle comunità locali che a quelle provenienti dal Mediterraneo orientale che in quegli anni si affacciavano sulle coste della Sardegna occidentale.

Sardegna nuragica. I parchi archeologici di Losa e Santa Cristina ripartono con Realtà Virtuale e Intelligenza Artificiale. I primi cortometraggi cinematografici in realtà virtuale girati in Sardegna e un gioco interattivo per visitare i parchi archeologici in un modo tutto nuovo e sicuro

Attivati due progetti di Nabui per arricchire la visita dei parchi archeologici di Losa e Santa Cristina in Sardegna con la realtà virtuale (foto nabui)

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Veduta aerea del nuraghe Losa (foto paleotur)


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Veduta aerea del pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino (foto pozzo santa cristina)

In Sardegna i parchi archeologici di Losa e Santa Cristina ripartono con un progetto digitale. È infatti ora possibile fruire di spazi e contenuti in modo innovativo e del tutto sicuro, grazie a intelligenza artificiale e realtà virtuale. Il progetto, realizzato da Nabui Società Benefit nell’ambito del proprio programma di rilancio culturale “Heritage Tourism Programme”, ha previsto la realizzazione di alcuni contenuti inediti, prodotti a partire dalla studio delle comunità del luogo. Due cortometraggi in realtà virtuale, fruibili attraverso visori a uso personale disponibili presso il bookshop, senza rischio di contagio, e due chatbot story, sistemi di messaggistica realizzati grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e fruibili tramite il proprio smartphone personale, accompagneranno i visitatori alla scoperta dei segreti del Nuraghe Losa e del Pozzo Sacro di Santa Cristina. “Abbiamo iniziato un percorso sperimentale indirizzato verso nuovi modi di raccontare il Pozzo Sacro di Santa Cristina”, afferma Massimo Muscas, presidente della Cooperativa Archeotour di Paulilatino. “Con questo progetto intendiamo sostenere buone pratiche di fruizione, proponendo punti di vista inediti della nostra comunità millenaria”. “Abbiamo il compito di raccontare il Nuraghe Losa alle nuove generazioni e ai visitatori del futuro e vogliamo farci trovare pronti”, sostiene Dario Vinci, presidente della Cooperativa Paleotur di Abbasanta. “L’emergenza ci ha spinto ad accelerare i nostri processi di innovazione e a proporre nuove soluzioni per il turismo culturale in Sardegna”. “Stiamo lavorando a un programma aperto, in evoluzione, pensato per favorire il turismo culturale in Sardegna attraverso il coinvolgimento delle comunità”, afferma Roberta Falcone, responsabile del Heritage Tourism Programme di Nabui. “Losa e Santa Cristina sono i primi luoghi culturali che partecipano al nostro programma, ma contiamo di creare una rete di collaborazione e di scambi con altre zone sensibili dell’Isola”. Il progetto è stato finanziato attraverso la misura “CultureLAB2018” della Regione Sardegna. 

Tramonto al nuraghe Losa (foto paleotur)

“Il nuraghe Losa ci racconta anche la storia dell’archeologia in Sardegna”, scrive l’archeologo Alessandro Usai della soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Cagliari sul sito di Paleotur che gestisce il parco archeologico. “Infatti fu il primo ad essere indagato sistematicamente con l’obiettivo della ricerca archeologica e della valorizzazione, che però si è realizzato nell’arco di più di un secolo. Nel 1893 lo Stato acquisì il nuraghe e una striscia di terreno circostante e avviò la prima campagna di scavo. Il grande nuraghe diroccato, che per secoli aveva visto solo pastori e greggi e per un certo periodo era stato disturbato a distanza dai costruttori della “strada reale” di Carlo Felice (1821-1825), ora veniva invaso fin nelle viscere da una turba di operai. Nel 1915, il soprintendente Antonio Taramelli allargò le trincee ed esplorò in estensione le fasce a Sud e ad Est del monumento, avanzando a Nord e Nord-ovest fino al cortile posteriore. Dal 1970 a oggi, soprattutto per opera dei soprintendenti Ferruccio Barreca e Vincenzo Santoni, il nuraghe Losa e la vasta area archeologica circostante sono stati recuperati e offerti alla fruizione del più vasto pubblico con numerosi interventi di scavo scientifico, studio, restauro e valorizzazione. Un ruolo importante è stato svolto anche dall’Amministrazione comunale di Abbasanta, che ha acquisito le aree circostanti all’originario nucleo statale, costituendo un vasto parco archeologico; inoltre l’accordo stipulato nel 2001 dalla Soprintendenza e dal Comune ha consentito l’avvio della gestione turistico-culturale integrata a cura della cooperativa Paleotur”.

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Suggestivo scorcio dell’interno del nuraghe Losa (foto paleotur)

“Scorgiamo il nuraghe Losa, quasi un panettone sulla tavola, mentre percorriamo le superstrade Cagliari – Porto Torres o Abbasanta – Olbia e le rampe degli svincoli”, racconta ancora l’archeologo Alessandro Usai. “Lo guardiamo, isolato e maestoso, mentre a passi svelti attraversiamo il cancello e la breccia di un grande muro di pietra che solo per un attimo lo nascondono. E lo guardiamo ancora, senza badare a dove mettiamo i piedi, mentre percorriamo il sentiero leggermente accidentato. Ci avviciniamo incuriositi a quello che sembra l’ingresso, e invece è un grosso edificio rotondo antistante. Andiamo oltre, lo aggiriamo; arriviamo sotto il bastione ciclopico quasi verticale, come l’alta prua di una nave; saliamo di corsa pochi gradini e siamo alla porta. Guardiamo dentro l’oscurità dell’interno, quasi per chieder permesso a chi è già dentro, anzi a chi è dentro da sempre. (…) Ricordiamo che abbiamo visto una rampa: saliamo. (…) Dall’alto abbracciamo un paesaggio sconfinato a 360 gradi. Anche se quello che vediamo non è più il paesaggio dei tempi nuragici, la sua potenza evocativa è enorme: in qualche modo, qualcosa di simile osservavano i protagonisti di quella storia umana, lontana e sempre viva, quando, forse con orgoglio, ammiravano i campi coltivati e i pascoli, le messi e il bestiame, gli uomini e le donne al lavoro, gli altri nuraghi e i villaggi della tribù, i boschi, i fiumi e le sorgenti, le vie e i confini”.

È il più grande capolavoro nuragico. Parliamo del tempio a pozzo sacro di Santa Cristina, massima espressione architettonica della civiltà nuragica risalente a circa 3000 anni fa, ma che sembra costruito oggi, con i suoi massi squadrati, perfettamente incastrati con una geometria perfetta. Il monumento è orientato da NNO a SSE e si compone di tre distinte parti accuratamente scalpellate: vestibolo o atrio, vano scala e camera ipogeica a tholos. I due perimetri esterni non presentano alcuna lavorazione e sono realizzati con pietre e fango. Il vestibolo è la parte antistante la scalinata nel quale venivano deposte le offerte votive per la divinità. Il vano scala, oltre a consentire l’accesso alla camera ipogeica ed a rivestire un’importante funzione estetica, permetteva di raggiungere l’acqua che nei vari periodi dell’anno aveva un livello non costante. Situato nei pressi di Paulilatino, è il pozzo sacro più rappresentativo dell’Isola dove storie, leggende e verità si intrecciano tra loro. Nel mese di settembre dal 21 al 23 alle 12 e nel mese di marzo dal 18 al 21 alle 11 in occasione degli equinozi il sole illumina perfettamente il fondo del pozzo passando per il vano scale. Il sole, con i suoi raggi, si riflette dentro il pozzo sino a toccare l’acqua. In questa circostanza l’osservatore, mentre guadagna gli ultimi 6 scalini interni, viene accompagnato da due ombre: una si proietta nell’acqua, l’altra discende dalla camera a tholos a testa in giù.

Backstage con l’attrice Marta Alfonso che impersona Cristina nel corto in realtà virtuale al pozzo sacro di Santa Cristina (foto nabui)

Il processo di ricerca di Nabui Società Benefit. Per la realizzazione del progetto i due parchi sono stati oggetto di una ricerca condotta da Nabui sulle comunità del luogo. La ricerca ha portato alla luce due storie mai raccontate e che rischiavano di andare perse: quella di Cristina, bambina che secondo la tradizione orale ha dato origine al parco, e quella dei bambini della comunità di Losa che, negli anni precedenti all’apertura del parco archeologico, si incontravano al nuraghe con le loro famiglie per condividere insieme momenti di socialità e di gioco. Due storie che, affiancandosi alle informazioni storiche e archeologiche, arricchiscono di una nuova sfumatura la narrazione di questi luoghi unici al mondo, recuperando e valorizzando il patrimonio immateriale delle comunità, altrimenti destinato a perdersi.

Un momento delle riprese a 360 gradi per la realizzazione dei corti in virtual reality nei parchi archeologici di Losa e Santa Cristina (foto nabui)

I corti in realtà virtuale. Non dei semplici virtual tour. I parchi archeologici di Losa e Santa Cristina diventano protagonisti di due cortometraggi in realtà virtuale girati dal regista emergente Girolamo Da Schio attraverso l’uso di telecamere e tecniche di ripresa a 360 gradi. Grazie al virtual reality, infatti, lo spettatore potrà fare un’esperienza di cinema immersivo e ritrovarsi al fianco di Cristina e fuggire con lei dalle grinfie del padre o con i bambini di Losa, impegnati nei loro giochi.

Backstage del corto al nuraghe Losa con l’attore Gianluigi Moreddu (foto nabui)

Chatbot stories. Non solo chatbot game. Ma anche e soprattutto “chatbot stories”. Attraverso l’intelligenza artificiale il visitatore del parco potrà chattare e interagire su Facebook Messenger con i personaggi delle storie di Losa e Santa Cristina che li condurranno tra i segreti dei due parchi archeologici. Basterà collegarsi agli account messenger delle pagine Facebook @cristinaproject e @losaproject per godere di una visita guidata inusuale e interattiva durante la quale scoprire, oltre alle informazioni di carattere storico-archeologico, due storie inedite.

Backstage del corto al nuraghe Losa con i protagonisti, i gemelli Simone e Nicola Tocco (foto nabui)

Al Pozzo Sacro di Santa Cristina sarà Tzia Maria a fare da guida: si tratta della zia di Cristina, la panettiera di paese, l’unica in grado di raccontare quello che è successo alla povera Cristina, ma solo se il visitatore sarà in grado di farla parlare. Nel caso di Losa invece, Domenico cercherà di accompagnare i visitatori in giro per il parco ma sarà ostacolato dai gemelli Nanni e Didì e dai loro giochi d’infanzia.