Il Laboratorio di Epigrafia etrusca dell’università di Bologna realizza il percorso multimediale “Scrittura e società nelle città dell’Etruria padana” attraverso alcune opere dei musei etruschi di Bologna, Marzabotto, Spina e Adria


Andrea Gaucci dell’università di Bologna
Si chiama “Scrittura e società nelle città dell’Etruria padana” il percorso multimediale, un vero e proprio museo virtuale, realizzato dagli studenti del laboratorio di Epigrafia etrusca dell’università Alma Mater di Bologna nell’ambito del progetto “Zich. Scrivere etrusco all’università di Bologna” con la direzione del professor Andrea Gaucci. Il percorso multimediale propone una panoramica della scrittura etrusca nelle principali città dell’Etruria padana: Felsina-Bologna, Kainua-Marzabotto, Spina, Adria. Tema privilegiato che guiderà chi esplora questo percorso sarà la società etrusca e come questa si manifesta attraverso la scrittura. La variegata natura delle città interpreterà una diversa faccia di questa società: l’élite della metropoli a Felsina-Bologna, il rapporto con il sacro a Kainua-Marzabotto, la varietà multietnica nel porto di Spina, la mobilità delle persone nella più settentrionale città di Adria. Il percorso è stato realizzato dagli studenti del laboratorio di Epigrafia etrusca nel 2020 durante il lockdown, a contrasto della pandemia Covid-19. L’obiettivo è quello di rendere partecipi i visitatori del patrimonio storico dei Musei dell’Etruria padana attraverso oggetti iscritti, molto importanti per il loro valore documentario ma spesso difficilmente apprezzabili senza gli opportuni strumenti.

Il percorso è concepito come una rete che unisce i principali musei dell’Etruria padana: il museo civico Archeologico di Bologna, il museo nazionale Etrusco “P. Aria” di Marzabotto, i musei Archeologici nazionali di Ferrara e di Adria, importanti istituzioni che hanno supportato questa iniziativa e hanno concesso l’uso delle immagini. Tutti gli oggetti iscritti che si incontreranno, sono esposti nei rispettivi musei. L’invito è ad apprezzarli dal vivo, dopo averne approfondito la conoscenza con il percorso multimediale. Intanto nei prossimi giorni presenteremo le ricerche realizzate all’interno dei quattro musei etruschi, articolate in testi e grafiche, e i racconti audio.
I vetri antichi protagonisti al museo di Arte Orientale di Venezia con la giapponese Fuyuki Kaida (“La Bellezza Nascosta del Vetro Antico del Veneto”) e al museo Archeologico di Adria con la mostra “ORNAMENTA. Trasparenze tra storia e design”
C’è un filo rosso che unisce l’insediamento protostorico di Frattesina di Fratta Polesine e Venezia, un legame, un denominatore comune che passa per Adria etrusca e Aquileia romana: il vetro. L’arte del vetro fiorì nelle fasi in cui l’Alto Adriatico svolse un ruolo strategico negli scambi commerciali tra Europa e Mediterraneo orientale. E il primo episodio, la prima volta in cui si produsse vetro in Europa, fu proprio a Frattesina. A seguire e ripercorrere questo percorso “con gli occhi ammirati di chi per la prima volta si è avvicinato alla materia e al nostro patrimonio culturale” è stata la studiosa giapponese Fuyuki Kaida nel libro “Secret Beauty of Ancient glass from the via Annia and Northern Italy” studiando i vetri antichi conservati nei musei nazionali del Veneto. Proprio Fuyuki Kaida (“Se ci avviciniamo al vetro possiamo sentire il mormorio degli antichi”, è il suo motto) è protagonista dell’incontro di giovedì 16 maggio 2019, alle 16, al museo d’Arte Orientale Ca’ Pesaro di Venezia, su “La Bellezza Nascosta del Vetro Antico del Veneto / Secret Beauty of Ancient Glass in Veneto dal 1200 a.C. a 400 d.C.”.

Vetri esposti nella mostra “Ornamenta. Trasparenze tra storia e design” al museo Archeologico nazionale di Adria
Ancora il vetro (o, meglio, le trasparenze anche dei gioielli) protagonista sabato 18 maggio 2019, con l’apertura straordinaria dalle 19.30 alle 22.30, al museo Archeologico nazionale di Adria in occasione della Festa e Notte dei Musei. Adria in occasione della Festa e Notte dei Musei. I visitatori saranno accompagnati in un viaggio attraverso la bellezza con la mostra “ORNAMENTA. Trasparenze tra storia e design” (appena inaugurata e aperta fino al 14 ottobre 2019) grazie alla disponibilità del personale del museo. Il dialogo istituito tra passato e futuro in questa seconda edizione della mostra affianca gioielli di designer contemporanei selezionati da Venice Design Week agli splendidi vetri antichi custoditi nei depositi del museo, solitamente non visibili al pubblico e “portati alla luce” in questa occasione. Nell’allestimento, questo speciale accostamento segue un tema principale comune a tutti gli elementi, quello della trasparenza, declinato secondo diverse suggestioni, rimandi, emozioni e particolari evocativi. Le relazioni tra i gioielli contemporanei e i pregiati e rari reperti del museo contribuiscono così alla lettura degli oggetti stessi e partecipano alla loro valorizzazione.
Al museo Archeologico nazionale di Adria il prof. Gaucci dell’università di Bologna su “Nuove scoperte e realtà virtuale nella città etrusca di Marzabotto (Bo)”
L’appuntamento è al museo Archeologico nazionale di Adria domenica 4 febbraio 2018. E non solo perché, essendo la prima domenica del mese, l’ingresso è gratuito, e cogliere l’occasione per visitare la mostra temporanea “…Adria anche dopo i tempi romani… Il Rinascimento ritrovato nella collezione Bocchi” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/12/01/adria-anche-dopo-i-tempi-romani-il-rinascimento-ritrovato-della-collezione-bocchi-dai-magazzini-del-museo-archeologico-nazionale-di-adria-per-la-prima-volta-espost/). Alle 17, in collaborazione con il gruppo Archeologico Adriese “Francesco Antonio Bocchi”, per il XXVII ciclo di incontri 2018, Andrea Gaucci dell’università di Bologna parlerà di “Nuove scoperte e realtà virtuale nella città etrusca di Marzabotto (Bo)”. Proprio il prof. Gaucci dal 2014 è il Principal Investigator del progetto “FIRB 2013 KAINUA. Restituire, percepire, divulgare l’assente. Tecnologie transmediali per la città etrusca di Marzabotto” che mira alla ricostruzione filologica delle strutture architettoniche antiche della città etrusca di Marzabotto, restituite alla evidenza secondo le più innovative tecnologie, che traducono l’esigenza di dotare l’area archeologica e il museo di adeguati sistemi di percezione e di divulgazione della realtà archeologica.
Ad Adria si avrà modo di seguire le tappe del progetto fino al convegno “Kainua 2017”, tenutosi in aprile 2017, durante il quale archeologi, architetti, ingegneri, esperti del settore delle comunicazioni e dell’informatica, hanno presentato i risultati raggiunti, fornendo contributi utili a una riflessione multi-disciplinare che formuli nuovi metodi di indagine e analisi nella ricerca archeologica sulle città antiche, nuovi strumenti per la ricostruzione virtuale di queste strutture e inoltre più efficaci processi di divulgazione. Proprio a Kainua 2017, e all’incontro di Adria sarà possibile avere una dimostrazione, è stata proposta la ricostruzione virtuale della città etrusca con il primo prototipo operativo di “Kainua VR, passeggiata virtuale nella città antica”, possibile con Google Cardborad con l’applicazione Kainua VR oppure con Oculus Rift direttamente nell’area archeologica.
Spaziano da Zeus agli dèi, dalla musica alla medicina, dall’amore alla morte: sono i frammenti dei tragici greci che Adria propone nel libro “Oltre il mare, verso gli estremi confini della terra” commentati con i frammenti della pittura attica dei vasi conservati al museo Archeologico nazionale

Cratere a figure rosse del pittore di Filottrano conservato al museo Archeologico nazionale di Adria
Il titolo del libro è sicuramente curioso e intrigante: “Oltre il mare, verso gli estremi confini della terra”. Il sottotitolo già è più illuminante: “frammenti di tragici greci con illustrazioni dal museo Archeologico nazionale di Adria”. Ma per aver chiaro ogni dettaglio non mancate all’appuntamento di sabato 11 marzo 2017 alle 17 al museo Archeologico nazionale di Adria per la presentazione – presenti gli autori – del libro (Apogeo editore), curato da Gabriele Picard in stretta collaborazione con le archeologhe Giovanna Gambacurta e Maria Cristina Vallicelli, che comprende una scelta dai frammenti dei tre grandi tragici greci Eschilo, Sofocle ed Euripide, accompagnata da immagini di frammenti di ceramica attica dalle collezioni del museo Archeologico di Adria: il testo greco, con traduzione sottostante, è accompagnato da brevi commenti, mentre sotto le illustrazioni si possono leggere concise note esplicative. “Il connubio di frammenti letterari con frammenti provenienti dal mondo dell’archeologia”, spiegano gli autori, “ha un effetto straordinario: la lettura di questi brevi testi sprona lo spirito, acuisce la curiosità e ci mostra che passato e presente non sono molto diversi: forse non tanto nel senso materiale, bensì nella mente indagatrice e visionaria dello spirito superiore, come certamente era quello dei loro autori, tanto da conferire un valore universale anche al particolare di un frammento”.
La città di Adria conserva nel suo museo nazionale, vero gioiello dell’archeologia, una importante raccolta di testimonianze di pittura attica su ceramica dal VI al IV sec. a.C.: “Grazie all’interessamento della famiglia adriese dei Bocchi promotrice e sostenitrice di scavi archeologici a partire dagli inizi del XVIII secolo”, ricorda Gambacurta, “abbiamo a disposizione questa preziosa raccolta che consta in gran parte di frammenti. Quanto ai tre grandi tragici greci, di Eschilo (525 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed Euripide (480 – 406 a.C.) conosciamo le tragedie che vengono lette, studiate e talvolta ancor oggi rappresentate, mentre i frammenti di tragedie scomparse rimangono relegati in un volume di un migliaio di pagine, il Tragicorum Graecorum Fragmenta del filologo tedesco Johann August Nauck (1822-1892). Filologi classici, principalmente inglesi o americani, si sono poi nel tempo cimentati con la traduzione di tali frammenti”. E continua: “Questi frammenti dei tragici greci sono spesso poco conosciuti. Sono brandelli di testo giunti sino a noi: tuttavia per loro tramite risplende un mondo intero, un mondo che va oltre il mare, verso gli estremi confini della terra: i temi spaziano da Zeus agli dèi, dalla musica alla medicina, dall’amore alla morte, rasentano pregi e difetti dei comportamenti umani, ci parlano della casa, delle donne, e del tempo che fugge raggiungendo talora vette di altissima poesia. I frammenti accompagnano il lettore, pagina dopo pagina, sempre affiancati da immagini dell’arte figurativa, i frammenti del Museo di Adria, che ne rendono così la lettura agile e nel contempo variata”. “La conoscenza e l’approfondimento di una lingua antica”, conclude Picard, “è scuola di pensiero, soprattutto in un mondo digitalizzato e interconnesso come quello odierno, mentre la contemplazione del bello, espresso attraverso il linguaggio dell’arte figurativa, favorisce l’apertura del proprio orizzonte verso altri spazi che si estendono oltre il mare, quello stesso mare solcato dai mercanti greci diretti ad Adria. Questo volume ne è un modesto contributo”.
“Le meraviglie dello Stato di Chu”: nella mostra a Este, Adria e Venezia per la prima volta in Europa gli straordinari reperti del regno segreto venuto alla luce in Cina dopo 25 secoli. Giade, bronzi, strumenti musicali del I millennio a.C. dialogano con le produzioni dei Veneti antichi
Prima dell’Impero Romano in Occidente, prima del Celeste Impero in Oriente. Due storie parallele nel tempo, il primo millennio a.C., ma che si avverano a più di 8mila chilometri di distanza l’una dall’altra: nelle antiche terre dei Veneti, tra Po e Adige, e lungo le sponde del fiume Azzurro, in quella che poi sarà la Cina. In questi fertili territori, nei secoli che precedono l’era cristiana, si affacciano alla storia due grandi civiltà, capaci di proporre manufatti di straordinaria raffinatezza e di accogliere il meglio della cultura locale e dei popoli contemporanei. Civiltà che diventeranno parte integrante e costituente di realtà molto più potenti: l’Impero Romano nel caso dei Veneti, il regno di Qin per il futuro Celeste Impero. Dal 13 marzo 2016 e fino al 25 settembre 2016 per la prima volta in Europa le testimonianze e la storia dell’antica civiltà dello Stato di Chu, il regno segreto tornato alla luce dopo 25 secoli nel cuore della Cina, dialogano con i reperti coevi dei Veneti antichi nella grande mostra “Meraviglie dello Stato di Chu” allestita in tre sedi: il museo nazionale Atesino di Este (Padova), il museo Archeologico nazionale di Adria (Rovigo) e quello di Arte Orientale di Venezia. Un accordo tra Italia e Cina, e più precisamente tra Veneto e la Provincia cinese del Hubei, consente infatti per la prima volta in Europa di scoprire le testimonianze, davvero magnifiche, della civiltà dell’antico Regno. E successivamente, una mostra allestita al museo Provinciale del Hubei, consentirà ai cinesi di avvicinarsi alla grande storia che precedette di secoli la nascita di Venezia.
Giade, bronzi, strumenti musicali, testimonianze dell’antichissimo Regno di Chu, capolavori, riemersi dopo 2500 anni grazie a imponenti campagne di scavi, raccontano una civiltà che iniziò a prendere forma intorno all’VIII secolo a.C., per affermarsi quasi in parallelo con quella romana, come documentano le opere coeve custodite nei musei veneti. Il progetto, promosso, per parte italiana, dai Comuni di Este e di Adria, dalla soprintendenza Archeologia del Veneto, dal Polo Museale del Veneto (e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla Regione del Veneto), è curato da Adriano Madaro e Wang Jichao, che hanno selezionato i reperti rispettivamente dei musei veneti e di quello di Hubei per costruire questo inedito e ideale parallelo tra antichissime culture. Con l’organizzazione poi di Cultour Active, per la prima volta una esposizione di tesori archeologici sarà completamente rivisitata integrando l’allestimento espositivo in modo dinamico, multimediale e coinvolgendo il pubblico in un’esperienza multisensoriale.
Con Adriano Madaro, curatore della mostra, cerchiamo di conoscere meglio la civiltà dell’antico regno di Chu. “Le straordinarie scoperte archeologiche avvenute in Cina nell’ultimo trentennio”, spiega Madaro nel saggio del catalogo della mostra, “hanno fornito agli storici una grande quantità di informazioni sullo Stato di Chu, un regno che ebbe un suo ruolo fondamentale nella civiltà cinese tra l’VIII e il III secolo a.C.,nelle due grandi epoche storiche conosciute come il Periodo delle Primavere e degli Autunni (722 – 481 a.C.) e dei Regni Combattenti (481 – 221 a.C.). Fino alla sua totale distruzione ad opera del potente Stato di Qin (221 – 206 a.C.), la sua massima estensione copriva un vasto territorio della Cina centro-meridionale attraversato in parte dal maggiore dei fiumi cinesi, lo Yangzi, conosciuto in Occidente come il fiume Azzurro. Esso comprendeva le odierne province di Hubei, Hunan, Henan , Chongqing e parte del Jiangsu compresa l’area dell’attuale Shanghai. La sua capitale era Ying, nei pressi dell’odierna Jingzhou, nel Hubei. Il nome deriva dalla popolazione chiamata Chu, la quale abitava lo Stato di Jing, storicamente noto come Jingchu, governato dalla nobile famiglia Mi, imparentata con i sovrani Zhou e regnante con il titolo nobiliare Zi”.
“All’origine Chu era uno Stato di impronta fortemente militare”, continua Madaro, “quindi di carattere espansionista, e in effetti all’epoca delle Primavere e Autunni annesse territori degli altri Stati confinanti, finendo poi per fagocitarli completamente nonostante avesse stretto con essi alleanze. Nel passare dei secoli la sua aggressività militare si trasformò in compiacimento nella vita sedentaria allietata dalle arti, soprattutto la musica e la sofisticata lavorazione del bronzo e delle lacche, raggiungendo livelli ineguagliati. Sono questi, infatti, i preziosi reperti restituitici dalle tombe Chu del Hubei che oggi attraggono il nostro interesse per essere esposti nei musei archeologici nazionali di Este e di Adria. Gli oggetti in bronzo costituivano un elemento fondamentale per affermare il prestigio delle classi nobili, la loro stessa potenza politica ed economica, distinguendosi dal popolo”. Infatti gli oggetti in bronzo erano suddivisi in due grandi categorie : vasi sacrificali e recipienti di uso comune. I primi erano riservati ai riti in onore degli antenati o di divinità da placare; gli altri erano utilizzati per gli usi quotidiani (contenere l’acqua, le vivande, le granaglie, ecc). I vasi sacrificali a loro volta erano riservati – secondo il tipo – per il vino da cerimonia, l’ offerta delle carni cotte di animali, cibi rituali a seconda delle circostanze.
Altri oggetti di grande valore rituale erano le campane di bronzo (niuzhong e yongzhong) che componevano set di diverse decine di pezzi e di differenti dimensioni, creando un unico enorme strumento musicale con tanti musicisti quante erano le campane da percuotere. “Si può affermare”, assicura Madaro, “dopo quanto venuto alla luce nella tomba del Marchese Yi di Zheng nel 1978, che la musica aveva un posto d’onore tra le arti nello Stato di Chu. Gli esperti musicologi sono riusciti, secondo la disposizione delle campane (non solo di bronzo, ma anche di tavolette di diaspro) a ricostruire le melodie e addirittura la musica rituale di oltre venticinque secoli fa”. Ma c’è dell’altro, sempre di bronzo, che è venuto alla luce negli scavi di Chu. E sono per l’appunto i bronzi yanqi, come specchi, lampade, piatti, tazze, incensieri, mestoli, scatole, scrigni e naturalmente armi. Non soltanto spade, pugnali, punte di frecce, ma anche le loro impugnature e parti in legno che si sono conservate pressoché intatte solo perché laccate, per non menzionare le corazze di cuoio laccato… “A proposito di lacche”, sottolinea il curatore della mostra, “se hanno sbalordito per vetustà e ottima conservazione quelle venute alla luce nelle tombe Han nelle aree archeologiche di Xian e di Mawangdui, le quali sono più “giovani” di almeno tre secoli, non c’è che da trasalire di fronte agli oggetti in lacca usciti dalle tombe Chu del Hubei. Esse ci testimoniano una tecnica d’avanguardia che gli artigiani dello Stato di Chu conoscevano perfettamente. Le lacche di Chu sono di una varietà sorprendente : non solo si laccavano il legno e il bambù, ma anche il bronzo, la terracotta e il cuoio, con risultati davvero eccezionali. La conservazione stessa dei colori è a dir poco sbalorditiva”.
Un altro capitolo non certo trascurabile è quello relativo alle giade. Fin dai tempi ancestrali la giada ha avuto presso i cinesi una reputazione che l’Occidente non può capire. Come si sa, la giada è un minerale nemmeno tanto raro in natura. In Cina da tempi immemorabili la giada più preziosa è ritenuta quella del Xinjiang, in modo particolare quella ricavata dai sassi raccolti nei greti dei torrenti di Khotan. Non è propriamente la giada verde quella ritenuta più preziosa, ma quella definita “imperiale”, o più volgarmente “grasso di montone”. “La ragione di questa reputazione non è stata del tutto chiarita. Tuttavia i manufatti in giada rinvenuti nelle tombe imperiali e nobiliari dello Stato di Chu, ma anche delle dinastie precedenti e di quelle successive, sono immancabilmente scolpiti nella giada “imperiale”, ritenuta consona per oggetti rituali sia in vita che in morte. Infatti alla giada viene attribuita una forte influenza sulla salute del corpo e anche dell’anima. Re, nobiltà, alti funzionari civili e militari, a seconda del grado e dei meriti, esibivano le giade sui loro abiti come simboli evidenti del loro status. Placche di cinture, pendagli, bracciali, anelli, acconciature per capelli. Sia per il mondo maschile che per quello femminile, la giada era (e in certo senso lo è ancora oggi nella tradizione cinese) il più potente degli amuleti, autentico toccasana. Sul corpo di un defunto, poi, la giada era creduta un “salvacondotto” per l’Aldilà, tra l’altro le venivano attribuiti poteri che avrebbero prevenuto la decomposizione del corpo”.
La potenza militare di Chu nell’arco di mezzo millennio si trasformò in potenza culturale destinata alla parabola della decadenza e della corruzione. Nel 221 a.C. il suo potente vicino, lo Stato di Qin, spazzò via tutti. Il suo giovane e ambizioso sovrano, Qin Shi Huangdi si autoproclamò Primo Augusto Imperatore e in appena 15 anni fece tutto : creò l’Impero Cinese, costruì la Grande Muraglia e il Grande Canale Imperiale, unificò i pesi e le misure, costruì la sua mitica tomba seppellendovi seimila guerrieri e cavalli di terracotta, cancellò perfino la memoria dei suoi ex vicini. “L’odiato Regno di Chu”, conclude Madaro, “entrò nella leggenda, nulla rimase a testimoniare ciò che esso fu. Soltanto ventidue secoli dopo, con la scoperta di alcune tombe, esso riemergerà dal profondo della terra, testimoniando finalmente il suo glorioso passato”.
Una giornata in Polesine, tra Adria e Loreo, alla scoperta della Mansio Fossis: stazione di sosta sulla via Popilia lungo un ramo del delta del Po

Il manifesto dell’iniziativa “Mansio Fossis, la villa e la sua darsena”, che si articola tra Adria e Loreo
Due giornate a tu per tu con gli abitanti di un’antica villa romana, stazione di posta e sosta nel delta padano. In occasione della 657ma Fiera di San Michele, organizzata dal Comune di Loreo in collaborazione con la Pro Loco, la soprintendenza Archeologia del Veneto domenica 27 settembre 2015 propone “Mansio Fossis e la sua darsena”, un’iniziativa di valorizzazione del patrimonio archeologico loredano articolata in due appuntamenti (ma si può partecipare anche a uno solo dei due eventi), a cura della direzione del museo Archeologico nazionale di Adria in collaborazione con l’associazione culturale Studio D e Natalì Rosestolato. Un’occasione per conoscere, attraverso le testimonianze archeologiche, il paesaggio dell’antico delta padano e la quotidianità di una stazione di sosta lungo un’importante arteria stradale romana, la via Popilia, trascorrendo un piacevole pomeriggio a contatto con la storia, l’ambiente e la cultura del Delta.
Si inizia alle 15.30 al museo Archeologico nazionale di Adria con la visita guidata (compresa nel prezzo del biglietto) alla sezione romana, con particolare attenzione ai siti della fascia costiera (corte Cavanella di Loreo e San Basilio di Ariano Polesine) che hanno restituito importanti evidenze archeologiche tra età imperiale e tardo antico. San Basilio è una piccola località a una ventina di chilometri a sud-est di Adria, nell’Isola di Ariano, tra il Po di Venezia e il Po di Goro, così denominata dalla chiesetta medioevale edificata su una delle alte dune che nell’antichità segnavano la linea di costa. Qui sotto i campi, i frutteti e i pioppeti sono stati trovati importanti resti archeologici risalenti a diverse età a conferma della posizione strategica nell’area deltizia. “Tra il VI e il V sec. a.C.”, spiegano gli archeologi, “fiorì un insediamento commerciale ed artigianale frequentato da Etruschi, Greci e Veneti, collocato in una posizione strategica a ridosso della costa e presso la foce di un ramo del Po. Nel II sec. a.C., quando i Romani iniziarono il loro processo di conquista del Nord-Est d’Italia, qui venne fatto transitare un fondamentale asse viario, la strada costruita dal console Publio Popillio Lenate e fu collocata una stazione di posta, la mansio Hadriani. Intorno sorsero ville e, forse, un villaggio. Nel I sec.d.C. da qui si dipartiva una nuova strada diretta verso Nord, affiancata da un canale per la navigazione interna. Alla fine dell’Impero romano si costituì qui uno dei più antichi centri battesimali cristiani della zona”.
Il sito archeologico di Corte Cavanella si trova vicino a Loreo, il “portum Laureti” dei veneziani: qui è stata rinvenuta un insediamento rustico di età romana che comprendeva una parte residenziale e una ampia darsena per il ricovero delle barche. La grande villa romana doveva sorgere su una barena sopraelevata, all’interno di uno specchio lagunare, presso un canale che la metteva in comunicazione con il mare. La particolare posizione costrinse i romani a perfezionare le tecniche di costruzione, consolidando il terreno, e consentendo una lunga durata della struttura, dall’inizio del I sec. d.C. all’inizio del V sec. d.C. La villa divenne presto un punto strategico di snodi commerciali sia marittimo-fluviali che terrestri. Gli archeologi la identificano con la Mansio Fossis citata dagli itinerari antichi, una stazione di sosta lungo la prosecuzione della via Popilia verso nord. L’antica Mansio Fossis era composta di un edificio abbastanza grande, una specie d’albergo per dormire, una stalla per il ricovero dei cavalli e dei buoi, un altro locale adibito a cucina e mensa, e una piccola darsena con relativa tettoia per il riparo delle barche. Fossis è a ridosso di uno dei tanti piccoli canali che vanno ad immettersi in un canale naturale più grosso, che non è l’Adige ma il Fossiones, uno dei tanti rami del Po che formavano allora il delta del fiume. Nei pressi doveva essere in funzione una piccola fornace visti i ritrovamenti di scarti d’anfore, lucerne ed altri oggetti, recuperati negli scavi iniziati negli anni ottanta e ormai conclusi. Gli scavi hanno portato alla luce prima una palificata verticale che molto probabilmente serviva a proteggere la stazione di sosta dalle mareggiate e dall’azione del vento, poi un sistema idraulico che consentiva l’ingresso dell’acqua in una canaletta di legno lunga 25 metri che confluiva a sua volta in un vascone in mattoni destinato probabilmente all’allevamento delle aragoste, delle quali i romani erano particolarmente ghiotti.
Conclusa la visita del museo Archeologico nazionale di Adria ci si trasferisce (con mezzi propri) a Loreo dove c’è l’Antiquarium, allestito nel 2004 nella Torre civica del Comune, per valorizzare la cultura e le tradizioni storico-artistiche dell’area del Delta del Po, creando un polo di attrazione turistica. Alle 17.30, all’Antiquarium di Loreo (ingresso e visita guidata gratuiti) la soprintendenza propone “Sapori d’altri tempi”: un viaggio tra le abitudini alimentari dei Romani. Dall’archeologia alla tavola degli antichi romani, raccontata attraverso i reperti conservati presso l’Antiquarium, preziosa testimonianza della vivace realtà del delta padano fin da epoca antica. I reperti contenuti all’interno delle tre vetrine consistono perlopiù in vasellame da cucina (olle a fondo convesso in ceramica comune del II sec. d.C.), oggetti di lusso (frammenti di colli e fondi di hydriai in vetro, un ago e spilloni in osso lavorato), vasellame da mensa (coppette e piatti in ceramica sigillata norditalica e boccali in ceramica a pareti sottili) e oggetti d’arredo della villa (lucerne di tipo “Firmalampen”).
Adria. Sabato 11 aprile: inaugurazione della mostra “X INCISO. Sulle tracce della scrittura”
L’11 aprile, alle 17, al museo archeologico nazionale di Adria inaugurazione della mostra fotografica “X INCISO. Sulle tracce della scrittura”, in collaborazione con Fotoclub Adria, Comune di Adria e Associazione Culturale Studio D, e con il sostegno della Fondazione Scolastica “Carlo Bocchi” di Adria. Ingresso gratuito. La mostra è dedicata ad una selezione di iscrizioni in alfabeto greco, etrusco e latino, su reperti fittili e lapidei del museo. Immagini fotografiche ingrandite ed opportunamente trattate danno risalto e visibilità a questi importanti documenti, che spesso sfuggono all’attenzione in quanto di difficile individuazione o lettura, consentendo di metterne in luce valenze e peculiarità, aspetti linguistici e tecnici, ambiti d’uso. La mostra sarà visitabile fino al 13 settembre 2015.
I Veneti snobbarono la ceramica con rappresentati i miti dei Greci, estranei ai propri valori e cultura
I Veneti antichi sapevano bene chi erano i Greci dei quali ebbero modo di apprezzare la produzione artistica. Ma dei Greci snobbarono, se non addirittura rifiutarono, la mitologia, lontana ed estranea alle culture dei popoli delle terre che si affacciavano sull’Alto Adriatico. A queste conclusioni giungono Lorenzo Braccesi, professore emerito già ordinario di Storia antica all’Università di Padova, e Francesca Veronesi , una dei curatori della mostra “Venetkens” (chiude domenica 17 novembre con un successo di pubblico inaspettati: quasi 90mila spettatori), in un saggio scritto proprio per il catalogo dell’esposizione patavina.
Che i Greci conoscessero e fossero in contatto con le terre bagnate dall’Alto Adriatico lo aveva già scritto nel V sec. a.C. il greco Erodoto nelle sue “Storie”, sostenendo che erano stati i Focei a indicare agli altri Greci le particolarità dell’Adriatico, descritto con il termine Adrias, cioè proprio la parte alta dell’Adriatico. Ma quell’attestazione da sempre aveva fatto discutere e dubitare gli studiosi. Infatti, diversamente delle coste meridionali della penisola, lungo le coste delle terre dei Veneti antichi non c’è traccia di colonie greche, quasi che tra Micenei ed età classica, vale a dire tra il X e il VI sec. a.C., ci sia stata una cesura tra due periodi di frequentazioni ampiamente attestate. Invece i rinvenimenti archeologici più recenti sembrano dissipare ogni dubbio: l’Adriatico sarebbe stato abitualmente solcato da traffici commerciali ad ampio raggio senza soluzione di continuità. E i Veneti antichi ebbero modo di conoscere e apprezzare le merci greco-asiatiche . La ceramica greca la troviamo praticamente ovunque: nei centri abitati, nelle necropoli, nei santuari. Ma i Veneti antichi mostrano anche di valutare – prima di scegliere – nella ricca produzione non solo la tipologia, in base all’utilizzo cui quegli oggetti erano destinati, ma anche i soggetti decorativi. Alle rappresentazioni del mito greco si preferiscono le scene di guerra e le decorazioni a motivi vegetali e floreali. “Si può ipotizzare un preciso rifiuto da parte dei Veneti antichi nei confronti del patrimonio mitologico greco”, afferma Francesca Veronese, “forse sentito come troppo interferente con i propri valori. Ciò comunque non porta al rifiuto di altri aspetti culturali: ne è un esempio la pratica del simposio, che viene accettato e assimilato dai Veneti nella sue duplice valenza quotidiana e funeraria. Non a caso le forme di ceramica attica attestate in Veneto sono principalmente kylikes, skyphoi, kantharoi e crateri” .
Ma come e dove i Veneti antichi venivano in contatto con le merci greche ed egeo-orientali? A meridione delle lagune venete sorgevano gli empori di Adria, città etrusco-venetica a nord del delta del Po, meta di traffici greci già in epoca arcaica, e di Spina, città etrusca a sud del delta del Po, terminal di traffici attici per tutta l’età classica. Al centro delle lagune c’era l’emporio di Altino preromana. “A settentrione – precisa Braccesi – non conosciamo per ora l’esistenza di empori, ma è presumibile ce ne fosse uno al Caput Adriae, vicino alle risorgive del Timavo”. Questi empori erano raggiungibili attraverso una navigazione interna protetta o endolagunare: una via scavata dall’uomo in età preromana che consentiva, con tagli e canali trasversali (fossae), il collegamento del delta con le lagune venete. “I Romani – ricorda Braccesi – non fecero per buona parte che consolidare e ampliare una rete di tagli artificiali preesistenti”. Così seguendo le descrizioni fatte dagli storici romani, da Plinio a Livio, abbiamo un’idea di cosa fosse stato realizzato prima di loro. “In età augustea scavano la fossa Augusta, per collegare Ravenna a Spina, ma in realtà riattano la fossa Messanica. Nella prima età imperiale, la fossa Flavia per unire il Po di Spina ad Adria, lavorando su un canale etrusco. E poi la fossa Clodia, per immettere il Po di Adria nell’Adige e da Chioggia in laguna, canale che semplicemente amplia la fossa Philistina”. Quindi, sono gli idronimi a confermarlo, non furono solo gli Etruschi a realizzare le canalizzazioni preromane, ma anche i Siracusani, che ricolonizzarono Adria con il tiranno Dionigi: fossa Philistina omaggia il politico e storico siracusano Filisto, la Messanica la sicelota città di Messina.
Secondo Plinio il “sistema delle fossae” conferisce nella laguna veneta dove defluisce in mare il Medoaco (Meduacus Maior, il fiume di Padova) , formando con la sua foce la bocca di porto di Malamocco: qui infatti esisteva un “grande porto” che traeva nome dal fiume e che era invisibile dal mare perché a fronte della laguna, come assicura lo storico greco Strabone. “Dal grande porto – continua Braccesi – le navi antiche potevano raggiungere per via interna gli empori a nord e a sud, costituendo quindi uno svincolo decisivo per le rotte endolagunari che in età preromana attraversavano la laguna di Venezia”.
Non è un caso che proprio da qui parta in epoca storica il generale spartano Cleonimo alla volta di Padova. Percorso seguito anche nella leggenda dell’eroe troiano Antenore che risalendo il fiume andò a fondare Padova. Entrambi vengono dal mare, ricorda Braccesi, entrambi risalgono la via del Medoaco, entrambi sono personaggi immortalati dal medesimo autore antico, quel Tito Livio che ben conosceva la natura dei luoghi per essere nativo di Padova. Ma nell’immaginario locale, si chiede lo studioso, dove approda l’eroe della leggenda, dove sbarca Antenore? “Probabilmente nello stesso luogo dove Livio fa sbarcare Cleonimo. Cioè, spalle al mare, sul fronte simmetricamente opposto al litorale, dove sorgeva il grande porto del Medoaco. E quel luogo a un certo punto è stato chiamato Troia!”. Al sito lagunare dove era sbarcato Antenore probabilmente quel toponimo fu dato in epoca storica sull’onda della veicolazione attica (Sofocle, Strabone) della saga troiana. La leggenda antenorea, col tempo, diviene patrimonio delle stesso mondo veneto. Ma perché allora è assente nel repertorio figurativo della ceramica attica qui destinata all’esportazione? “Perché – conclude Braccesi – le immagini del mito, così diffuso nella ceramica attica, tra i Veneti antichi non paiono proprio trovare udienza”.
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