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Archeologia in lutto. Si è spento a 84 anni, dopo lunga malattia, David O’Connor, direttore emerito della spedizione archeologica ad Abydos (Abydos Archaeology) e professore emerito alla cattedra Lila Acheson Wallace di Arteed Archeologia Egizia all’Institute of Fine Art della New York University

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L’egittologo australiano David O’Connor ad Abydos nel 2022 (foto di Robert Fletcher)

abydos.org_logo“Un Grande è passato all’Occidente”. Così Abydos Archaeology annuncia la morte, sabato 1° ottobre 2022, a 84 anni, dopo una lunga lotta con il Parkinson, dell’archeologo australiano David O’Connor, professore emerito della cattedra Lila Acheson Wallace all’Institute of Fine Art della New York University, curatore emerito del museo Egizio dell’università della Pennsylvania e direttore emerito della spedizione archeologica di Abido (Abydos Archaeology) in Egitto. “La dipartita di David – scrivono i colleghi di Abydos Archaeology, “è una grave perdita per l’Egittologia e una grande perdita personale per i suoi ex studenti, colleghi e amici. Nella comunità di studiosi dell’antica Abydos, soprattutto, lascia un grande vuoto. Gran parte del lavoro svolto oggi sul sito è la sua eredità”. Un concetto ribadito anche dalla direzione del museo Egizio di Torino: “La sua morte è una grande perdita per l’egittologia”. Il saluto dei colleghi è alla maniera degli antichi egizi: “Mille di pane, mille di birra, mille di ogni cosa buona e pura di cui si nutre un dio, per il ka del venerato David O’Connor, vero di voce”.

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L’home page del sito di Abydos Archaeology che illustra l’attività di ricerca e conservazione nella città sacra a Osiride

Prima di assumere al cattedra di Arte dell’antico Egitto all’Institute of Fine Arts della New York University, dal 1964 al 1995, era stato professore di Storia e Archeologia dell’antico Egitto all’Università della Pennsylvania e curatore responsabile dell’importante collezione egizia del Penn Museum di quell’università. Durante quel periodo, ha curato/co-curato numerose mostre interne o itineranti (ad esempio, sull’arte e l’archeologia di Abydos, le donne nell’antico Egitto e l’antica Nubia). David O’Connor si era laureato all’Università di Sydney, Australia (BA); aveva conseguito il diploma in Egittologia allo University College, Londra; e il PH.D. all’Università di Cambridge (Ph.D.). I suoi interessi hanno compreso tutte le fasi preistoriche e storiche dell’arte, dell’archeologia e della storia dell’antico Egitto; era anche uno specialista in cultura e archeologia dell’antica Nubia, con un ampio interesse per le relazioni estere dell’Egitto in generale, e in particolare dei libici molto poco studiati.

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La copertina del libro di David O’Connor “Ancient Egypt in Africa”

Tra i libri di David O’Connor, come autore o co-autore, ricordiamo Antico Egitto. Una storia sociale (1985); Antica Nubia. Il rivale dell’Egitto in Africa (1993); e Abido. I primi faraoni d’Egitto e il culto di Osiride (2010). I volumi co-editi includono Ancient Egyptian Kingship (1995); Amenofi III. Prospettive sul suo regno (1998); Thutmosi III. Una nuova biografia (2006); Terre misteriose (Incontri con l’antico Egitto; 2003); e l’Antico Egitto in Africa (Incontri con l’Antico Egitto; 2003). David O’Connor ha avuto una vasta esperienza archeologica in Sudan; in Egitto, ha diretto gli scavi in ​​corso ad Abydos dal 1964 e ha anche co-diretto con Barry Kemp gli scavi nel palazzo-città e nel porto gigantesco di Amenhotep III a Malkata, a ovest di Tebe.

Egitto. Scoperto ad Abydos il più antico birrificio del mondo dalla missione egiziano-americano diretta da Matthew Adams. Risale all’epoca di Narmer (I dinastia). Forniva la birra usata nei rituali funebri

L’area di scavo nella zona nord di Abydos (Egitto) dove è stato scoperto il più antico birrificio del mondo dalla missione egiziano-americana diretta da Matthew Adams (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Scoperta in Egitto la più antica fabbrica di birra ad alta produzione del mondo: risalirebbe a 5mila anni fa. A scoprirla nella zona Nord di Abydos, provincia di Sohag, la missione archeologica congiunta egiziano-americana, guidata da Matthew Adams della New York University e da Deborah Fishak della Princeton University. In realtà il sito era stato visto da alcuni archeologi britannici all’inizio del XX secolo, ma la sua posizione non era stata determinata con precisione, e solo l’attuale spedizione è stata in grado di individuarla e scoprire che si trattava di un birrificio.

Alcune delle 40 vasche del birrificio scoperto ad Abydos risalente all’epoca del re Narmer (I dinastia) (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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I sostegni verticali in argilla delle vasche per la produzione della birra scoperte ad Abydos (foto ministry of Tourism and Antiquities)

“La fabbrica risale probabilmente all’era del re Narmer (I dinastia)”, ha affermato Mostafa Waziry, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità. “Si compone di otto grandi sezioni con un’area di 20 metri di lunghezza x 2,5 metri di larghezza x 0,4 metri di profondità, che servivano come unità per la produzione di birra, in quanto ogni settore conteneva circa 40 vasche di coccio disposte su due file per riscaldare la miscela di grani e acqua, e ogni vasca è tenuta in posizione da leve in argilla poste verticalmente attorno ad anello”.

Una vasca di coccio dell’antico birrificio scoperto ad Abydos con ancora resti dei grani (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Secondo Matthew Adams, capo della missione, “gli studi hanno dimostrato che la fabbrica produceva circa 22.400 litri di birra alla volta, e potrebbe essere stata costruita in questo luogo appositamente per assicurare la birra destinata ai rituali reali che si svolgevano all’interno delle tombe dei faraoni d’Egitto. E durante gli scavi in ​​queste strutture sono state trovate prove dell’uso della birra nei riti sacrificali”.

Road to Rome. A Vittorio Veneto la mostra “30 anni per Abydos – Egitto”: esperienze di Paolo Renier dal 1989 al 2019 con testimonianze fotografiche e ricostruzioni del tempio di Seti I. Primo passo verso la grande mostra di Roma

La locandina della mostra “30 anni per Abydos – Egitto” di Paolo Renier a Vittorio Veneto

Road to Rome. Se fossimo in ambito calcistico questo sarebbe l’incipit dell’iniziativa di Paolo Renier “30 anni per Abydos – Egitto”. Perché la mostra che il 31 agosto 2019 alle 18 apre alla Rotonda Villa Papadopoli di Vittorio Veneto (Tv) potrebbe essere considerata una prova generale, o almeno il primo step, verso l’obiettivo prestigioso: la Grande Moschea di Roma. Grazie infatti all’interessamento dell’Accademia d’Egitto a Roma e di Mariapia Ciaghi, direttrice de “Il Sextante”, Editoria-Comunicazione-Eventi di Roma, il complesso disegnato da Paolo Portoghesi potrebbe ospitare al suo interno, dove ci sono spazi notevoli adatti a esposizioni significative, le gigantografie di rilievi e architetture di Abydos e i plastici dei suoi monumenti più significativi realizzati da Paolo Renier con la collaborazione di Maurizio Sfiotti. Senza dimenticare che c’è un’altra sede espositiva prestigiosa che si è detta interessata al lavoro del fotografo (anche se il termine è riduttivo) trevigiano: è Villa Manin di Passariano (Ud), la dimora dell’ultimo doge di Venezia.

Andreas M. Steiner, direttore di Archeo

In attesa del “gran salto”, godiamoci l’esposizione di Vittorio Veneto che ripercorre i 30 anni di esperienze di Paolo Renier in Egitto, e in special modo ad Abydos, a partire proprio da quel 1989, lontano ormai ma che segnò una svolta nella vita di Renier, quando realizzò il suo primo viaggio in Egitto, partecipando a un tour promosso dalla rivista Archeo, diretta da Andreas M. Steiner con il quale nel tempo è nata una stretta amicizia. Non è un caso che proprio Steiner sia tra gli invitati d’onore alla vernice vittoriese. Dopo quel viaggio memorabile per Paolo, ne seguirono molti altri: 30 anni ininterrotti all’insegna del motto “Rispetto, conoscenza, valore” che è diventato un po’ il mantra di Renier. “È proprio in questo contatto diretto con l’Antico Egitto”, spiega, “in questo vivere quasi in simbiosi con la città sacra ad Osiride che mi resi conto che proprio in questo sito nasce la storia della regalità e monumentalità dei Faraoni”.

La stanza del sarcofago nell’Osireion ad Abydos (foto Paolo Renier)

Il fotografo Paolo Renier con l’egittologa Carla Alfano

L’egittologo Sergio Donadoni nel suo studio a Roma (foto Paolo Renier)

Anni di viaggi, ma anche di incontri e di eventi. Uno dei primi, e tra i più importanti, fu la piccola mostra fotografica su Abydos negli spazi dell’Accademia d’Egitto a Roma, nel 2004, con la presentazione dell’egittologa Carla Alfano: piccola ma sufficiente per far conoscere a tutti le capacità e gli obiettivi di Paolo Renier e, soprattutto, il suo amore per Abydos. Ma in quell’occasione non fu presentata solo la mostra fotografica ma anche il libro “Abydos, Egitto” che Renier scrive con il cuore: un viaggio emozionale di immagini e testi alla scoperta della città sacra ad Osiride, un reportage praticamente irripetibile – visto il degrado che ha colpito molti monumenti, a partire da quello più simbolico, l’Osireion – che incontra l’entusiasmo e l’approvazione del decano degli egittologi, Sergio Donadoni, il quale – nella prefazione – ha parole di ammirazione per la sensibilità di Renier fotografo nel solco di una tradizione che affonda nell’Ottocento. Tra gli invitati alla vernice di Roma c’era anche Roberto Giacobbo, all’epoca direttore del programma Voyager su Rai3 che nel febbraio 2005, memore della mostra all’Accademia d’Egitto, invitò Renier come fotografo in una spedizione In Egitto: “Fu in quell’occasione – ricorda – che ebbi modo di conoscere e di lavorare con Zahi Hawass, il più famoso egittologo egiziano, allora segretario del Consiglio supremo delle Antichità”.

Paolo Renier con l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago ad Abydos (foto Graziano Tavan)

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)

È dalla mostra di Roma che nasce l’idea di un viaggio in Egitto, invitato dall’allora ministro egiziano alla Cultura, Farouk Hosny, incontrato nel suo ufficio al Cairo, e mirato su Abydos per incontrare i protagonisti, cioè i direttori delle missioni archeologiche ad Abydos. Così nel dicembre 2004 Paolo Renier spiega il suo progetto di valorizzazione di Abydos al responsabile della missione tedesca, Gunter Dreyer, lo scopritore a Umm el-Ghaab, nella zona Sud-Ovest di Abydos, dei primi ideogrammi e segni di scrittura databili a 5200 anni fa: straordinari reperti, iscritti su piccole tavolette in avorio o in pietra, testimonianze delle prime dinastie dei faraoni, oggi conservate al museo Egizio del Cairo e all’università tedesca al Cairo. E ancora, ecco l’incontro con gli egittologi americani Stephen P. Harvey, dell’università di Chicago, scopritore dell’ultima piramide (siamo ormai nel Medio Regno) nella zona a sud, vicino alle montagne, dove invece sono state trovate tracce dell’uomo preistorico di 200mila anni fa, e Matthew Adams, dell’università di New York, impegnato nella zona di Shunet el-Zebib, nella grande muraglia del faraone Khasekhemwy (2700 a.C.), un monumento in mattoni crudi con mura perimetrali alte anche 15 metri e larghe 4-5, che racchiudono un grande spazio vuoto, il cui significato e utilizzo lascia aperti ancora molti interrogativi.

Paolo Renier mostra le straordinarie immagini della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abido

In questi anni, tra il 2003 e il 2005, Paolo Renier realizza la sua opera più preziosa: la ricognizione fotografica a 360 gradi del soffitto astronomico dell’Osireion. “Riuscii a entrare nella Stanza del Sarcofago con grande difficoltà”, racconta, ancora emozionato, “rischiando anche la vita, perché si camminava in un acquitrino putrido pieno di larve pericolose e su un pavimento irregolare, scivoloso e pieno di buche, purtroppo invisibili per la scarsa illuminazione e l’acqua melmosa. Ma sentivo che dovevo farcela, perché umidità e pipistrelli, insieme all’incuria dell’uomo, stavano minando irrimediabilmente l’integrità della stanza segreta del faraone Seti I”. E continua: “Feci varie riprese del soffitto, con i suoi bellissimi rilievi che raffigurano due scene della dea Nut”. È qui che incontra un altro egittologo, James Westerman, incaricato dal governo egiziano di studiare la provenienza e i livelli in continuo movimento dell’acqua ancora presente nel canale attorno all’isola centrale dell’Osireion. Un modo per cercare di capire i segreti di questo tempio, molto particolare, un unicum, con dieci pilastri in granito rosa di 80-90 tonnellate l’uno e un canale attorno all’isola centrale profondo una quindicina di metri. “Westerman con le sue ricerche geologiche”, interviene Renier, “è riuscito a definire quando fu costruito il tempio dell’Osireion, datandolo almeno al 4000/5000 a.C., quindi prima dei faraoni. Mi piace pensare che Seti I abbia scoperto e capito l’importanza di questo monumento e abbia deciso di costruire qui il suo tempio, inglobando l’Osireion, probabilmente per riti straordinari, legati probabilmente ai livelli della sua acqua purificatrice. Non dimentichiamo che l’Osireion è così chiamato perché gli antichi egizi ritenevano che custodisse la testa di Osiride”.

La locandina della mostra “Il tempio di Osiride svelato. L’Antico Egitto nell’Osireion di Abydos” al museo Archeologico nazionale di Firenze nel 2009

Il Progetto Abydos e le mostre. Ormai Paolo Renier e il suo Progetto Abydos per la conoscenza e la valorizzazione del sito sono una realtà. È il momento di allargare la platea. Vengono così organizzate alcune mostre che allargano le conoscenze e le collaborazioni. Si inizia nel 2006 con “Abydos, Egitto. Ricostruzione scenografica del sito di Abydos” nella prestigiosa cripta della basilica di San Lorenzo a Firenze, con il contributo di Maria Cristina Guidotti direttrice del museo Egizio di Firenze. L’anno successivo la stessa mostra viene proposta al Palazzo del Turismo al Lido di Jesolo (Ve), e nel 2008 passa nell’aula magna dell’istituto scolastico di Tarzo (Tv). Nel 2009 Renier torna a Firenze con “Il tempio di Osiride svelato. L’Antico Egitto nell’Osireion di Abydos”. Stavolta siamo nel cuore archeologico di Firenze. La mostra infatti viene ospitata nella sezione Egizia del museo Archeologico nazionale di Firenze, dove, con la direttrice Maria Cristina Guidotti, viene proposto un percorso di documenti fotografici e gigantografie insieme a splendidi reperti egizi del museo fiorentino.

Manifesto della mostra “Il tempio di Osiride svelato” alla Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista a Venezia

La locandina della mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” nelle antiche scuderie di Dolo (Ve)

Nel 2012 la mostra diventa sempre più ricca. Alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia va in scena “Il tempio di Osiride svelato”, mostra allestita tra un antico cimitero coperto e l’annessa bellissima chiesa di S. Giovanni Evangelista. “Non abbiamo mai visto un allestimento così in sintonia con le nostre particolari sale: Renier è riuscito a sposare i nostri ambienti religiosi con la spiritualità dell’Antico Egitto”, il commento del Guardian Grande della Scuola. Per l’occasione il museo Egizio di Firenze ha messo a disposizione ben 23 reperti tra cui un sarcofago con la dea Nut, restaurato e presentato per la prima volta, che dialogava idealmente con le raffigurazioni della dea Nut del soffitto astronomico riprodotto, grazie alle immagini di Renier, nella cappella centrale dell’altare della chiesa. A Venezia intervengono Matthew Adams dell’università di New York, Emanuele Ciampini dell’università Ca’ Foscari di Venezia e Alessandro Roccati dell’Accademia delle Scienze di Torino. Nel 2013 con la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” nelle antiche scuderie di Dolo (Ve), Renier con l’egittologa di Ca’ Foscari, Federica Pancin, “ricrea” l’Osireion, la tomba di Osiride, cioè il luogo più sacro nella città più sacra dell’Egitto dei faraoni: Abydo, a 150 chilometri da Luxor, ai margini dei deserto occidentale, è la città di Osiride, il dio dell’Oltretomba ma anche della Rinascita, per tremila anni meta di pellegrinaggi dal faraone all’egiziano comune; la città dove le prime dinastie (solo dalla V le sepolture monumentali sono state spostate a nord, nella piana di Giza) hanno posto le loro tombe; la città che prima il faraone Seti I (XIX dinastia) e poi il figlio Ramses II hanno monumentalizzato (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2013/11/30/in-riva-al-brenta-losireion-di-abydo-e-i-misteri-dellantico-egitto/).

Maurizio Sfiotti durante i rilievi dell’Osireion ad Abydos, in Egitto

Il plastico dell’Osireion realizzato da Maurizio Sfiotti: in primo piano il Corridoio ipogeo

Nel 2014 un nuovo salto di qualità con la mostra a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Tv): “Egitto. Come faraoni e sacerdoti nel tempio di Osiride custodi di percorsi ormai inaccessibili” con la collaborazione dell’egittologa di Ca’ Foscari, Federica Pancin (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2014/09/09/lantico-egitto-a-conegliano-nella-mostra-a-palazzo-sarcinelli-viaggio-alla-scoperta-dei-misteri-di-osiride-ad-abido-dalla-stanza-del-sarcofago-con-il-soffitto-astronomico-in-scala-11-al-co/). La mostra è preceduta da un ennesimo viaggio-missione ad Abido. Stavolta ad accompagnare Renier c’è Maurizio Sfiotti, presidente dell’associazione culturale Osireion di Abydos, che realizza i rilievi necessari a realizzare in scala 1:20 i modellini del tempio di Seti I con le sette cappelle e dell’Osireion, ma anche le misure esatte del soffitto astronomico della Stanza del Sarcofago. Questi modellini vengono esposti proprio nella mostra di Conegliano. E, per la prima volta, è possibile toccare con mano il soffitto astronomico della stanza del sarcofago a ridosso dell’Osireion di Abido, posizionato con tutto il suo straordinario potere comunicativo in verticale in uno sviluppo che avvolge il visitatore.

Paolo Renier tra i pannelli della mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

Nel 2015, grazie all’invito e alla collaborazione della associazione Zheneda e di Ceneda Arte e Cultura, Renier approda per la prima volta alla Rotonda Villa Papadopoli di Vittorio Veneto (Tv) con la mostra “Egitto. Il tempio del faraone Seti I: le sacre rappresentazioni” (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2015/04/24/lantico-egitto-a-vittorio-veneto-il-tempio-del-faraone-seti-i-ad-abido-nella-mostra-di-paolo-renier-alla-rotonda/), un allestimento del tutto originale dove, ovviamente, non manca l’esposizione in scala 1:1 del soffitto astronomico dell’Osireion di Abido (vero unicum che può permettersi di mostrare solo Paolo Renier) e un excursus su Abido, la città sacra dedicata a Osiride il dio dell’Aldilà e della resurrezione. Ma stavolta il focus è incentrato tutto sul grande faraone Seti I, il padre di Ramses II, sotto il cui regno l’arte egizia toccò uno dei suoi punti più elevati, un vero “rinascimento”. Tre anni dopo Renier è ancora a Vittorio Veneto con “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” dove Renier presenta un racconto particolare in cui il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/05/21/1989-2018-paolo-renier-per-abydos-egitto-a-vittorio-veneto-il-fotografo-trevigiano-racconta-per-immagini-e-emozioni-la-sua-trentennale-esperienza-dedicata-alla-citta-sacra-dei-fara/).

Franco Naldoni, ricercatore dell’associazione Archeosofica di Firenze, esperto di Egittologia

E siamo al 2019. Ancora a Vittorio Veneto, con “30 anni per Abydos – Egitto. Esperienze di Paolo Renier dal 1989 al 2019. Testimonianze fotografiche, ricostruzioni del tempio di Seti I”, a cura di Paolo Renier e Maurizio Sfiotti, in collaborazione con le associazioni Zheneda, Osirion Abydos, Archeosofica, aperta alla Rotonda Villa Papadopoli fino al 13 ottobre 2019. All’inaugurazione, sabato 31 agosto 2019, alle 18.30, Renier e Sfiotti insieme a Franco Naldoni dell’associazione Archeosofica di Firenze anticiperanno, con approfondimenti, alcuni temi che saranno trattati nella prossima grande mostra. Road to Rome.

Al museo Egizio di Torino incontro con Julia Budka che presenta le ultime scoperte sulle ceramiche votive ad Osiride sotto la XXV dinastia trovate nella necropoli di Umm el-Qaab ad Abydos, la città sacra al dio dell’Oltretomba

Al museo Egizio di Torino incontro con l’egittologa Julia Budka esperta di ceramica

Il sito di Abido, 550 chilometri a Sud del Cairo, sulla sponda occidentale del Nilo dal quale dista una ventina di chilometri, era considerato sacro dagli Egizi che qui ritenevano fosse sepolto il dio Osiride. Una delle più famose necropoli del sito è Umm el-Qaab, il cui nome moderno significa “Madre dei cocci”, poiché l’intera area è disseminata di frammenti di vasi di offerte fatte nel corso dei secoli, testimoni del culto di Osiride. Martedì 9 aprile 2019, alle 18, il museo Egizio di Torino ospiterà la conferenza in inglese “Ceramic votive offerings for Osiris: new evidence from Umm el-Qaab (Offerte votive in ceramica per Osiride: nuove prove da Umm el-Qaab)” tenuta dalla professoressa Julia Budka, dal 2015 professore di Archeologia e Arte egiziana alla Ludwig Maximilians Universität München. I suoi campi di specializzazione sono l’archeologia egiziana e la ceramica; conduce scavi in Sudan e in Egitto, sia in insediamenti che in siti funerari, in particolare a Luxor (Tebe), Elefantina, Abido e l’isola di Sai. La conferenza sarà introdotta dalla curatrice Federica Facchetti e verrà anche trasmessa via streaming sulla pagina Facebook del Museo. Ingresso libero in sala conferenze fino a esaurimento posti.

La distesa di cocci ceramici a Umm el-Qaab ad Abydos (foto di Graziano Tavan)

Dal 2007, il grande corpus di ceramiche associate al culto di Osiride a Umm el-Qaab è oggetto di studio nell’ambito di un progetto di ricerca del German Archaeological Institute del Cairo. La ceramica testimonia attività cultuali dal tardo Antico Regno, attraverso tutte le fasi della storia egizia, fino all’Epoca Tolemaica, Romana e Copta. Secondo la ceramica, uno dei periodi più importanti per il culto di Osiride a Umm el-Qaab è chiaramente la XXV dinastia (744–656 a.C.), formata da un gruppo di sovrani di provenienza nubiana. Recenti ricerche sul campo hanno portato ad un notevole aumento della comprensione della natura, della data, delle dimensioni e della variabilità dei depositi di ceramica in situ nei dintorni della tomba di Djer, faraone della I dinastia (5mila anni fa) che è stata reinterpretata come tomba di Osiride dalle dinastie del Nuovo Regni. La professoressa Budka presenterà il quadro rituale per il culto di Osiride, compresi i riferimenti alle fonti testuali, i resti architettonici e il paesaggio sacro di Abido.

L’egittologa Julia Budka, esperta di ceramica

“Nell’ambito del progetto “Culto di Osiride a Umm el-Qaab” dell’Istituto Archeologico Tedesco al Cairo, a Umm el-Qaab di Abydos”, spiega Julia Budka sul “Bullettin de liaison de ceramique egyptienne”, “sono stati documentati numerosi vasi ceramici che testimoniano un primo picco di notevole attività, dopo il Periodo Dinastico Antico, durante la XIX dinastia. Un aumento e una rinascita dell’attività cultuale nel sito avvennero specialmente durante la XXV e XXVI dinastia. L’importanza generale di Abydos durante il primo millennio a.C. si riflette anche nella ceramica votiva depositata a Umm el-Qaab, e questo vale anche per il periodo libico. Una notevole quantità di vasetti votivi e coppe offerte possono essere datati alla XXII dinastia”. E continua: “Tra la ceramica votiva a Osiride di Umm el-Qaab è stato trovato un considerevole numero di frammenti di vasi di grandi dimensioni destinati allo stoccaggio: sono i cosiddetti zîr, termine arabo per indicare dei vasi in terracotta di forma panciuta ad Abydos presumibilmente utilizzati per la conservazione dell’acqua. Oltre ai singoli vasi ricostruiti, più di 20 piccoli frammenti indicano una quantità totale di circa 100 di questi serbatoi di stoccaggio molto grandi”.

Un esempio di vaso zîr ricomposto, proveniente dallo scavo di Umm el-Qaab di Abydos

“Gli aspetti rituali dell’acqua e in particolare il suo importante ruolo all’interno del culto di Osiride sono ben noti”, continua Budka. “L’acqua versata nella tomba di Osiride a Umm el-Qaab potrebbe avere diverse implicazioni: come l’inondazione del Nilo e quindi la fertilità del dio; il ringiovanimento il dio rinfrescando il suo cuore attraverso la libagione o annaffiando le piante alla tomba come incarnazioni del dio rivissuto rispettivamente come parti del boschetto sacro presso la tomba del dio. Data la posizione della tomba ad Abydos, c’era bisogno di immagazzinare acqua non solo per le libagioni, ma anche per le persone che compivano atti rituali e che partecipavano alle processioni. Tranne che per un sottile strato di limo rimasto all’interno di alcuni vasi, non ci sono tracce di alcun contenuto dei vasi zîr di Umm el-Qaab. Sebbene manchi la prova, è molto probabile l’uso di questi vasi come vasi d’acqua. Fino ai giorni nostri i vasi zîr sono usati per immagazzinare acqua potabile per il consumo umano”.

“1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”: a Vittorio Veneto il fotografo trevigiano racconta per immagini e emozioni la sua trentennale esperienza dedicata alla città sacra dei faraoni fino alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion

Un delicato rilievo dal tempio di Sethi I ad Abydos reso magistralmente da Paolo Renier

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto

La stanza del sarcofago nell’Osireion ad Abydos (foto Paolo Renier)

Paolo Renier tra i pannelli della mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

Il titolo non deve trarre in inganno. “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” non è la solita mostra. Soprattutto non è il tipo di mostra cui ci ha abituato il fotografo e grafico trevigiano Paolo Renier con al centro del racconto espositivo il soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abydos. Era successo nel 2009 al museo Archeologico nazionale di Firenze con “Il tempio di Osiride svelato. L’antico Egitto nell’Osireion di Abydos”; nel 2012 alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia con “Il tempio di Osiride svelato”; e nel 2014 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Tv) con “Egitto, come faraoni e sacerdoti nel tempio di Osiride”. Questa volta nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv),  messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, fino al 24 giugno 2018 Paolo Renier presenta un racconto particolare dove il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici: dalla “folgorazione” per la civiltà dei faraoni e, soprattutto, per la città sacra di Abydos in occasione del suo primo viaggio – come turista – sulle rive del Nilo (era il 1989), alla nascita del progetto Abydos, alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion: un’opera unica e irripetibile, visto che purtroppo nel frattempo lo stato di salute del monumento, lasciato nel degrado, è profondamente compromesso: danneggiato dall’umidità, dai nidi dei pipistrelli, e dall’incuria dell’uomo. Il rilievo fotografico del soffitto astronomico realizzato da Paolo Renier è oggi un “monumento” scientifico riconosciuto e richiesto dai più grandi egittologi del mondo. Ma a Vittorio Veneto non vediamo la ricostruzione in scala 1:1 del soffitto astronomico, bensì le circostanze e le vicende che hanno portato il fotografo e grafico trevigiano a realizzare i suoi preziosi reportage.

Grandi fotografie e racconti nella mostra di Paolo Renier a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

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L’egittologo Sergio Donadoni nel suo studio a Roma (foto Paolo Renier)

Una mostra da leggere, prima ancora che da gustare con gli occhi. Anche se, ovviamente, le straordinarie immagini dell’Egitto di Renier accompagnano passo passo il visitatore. “In queste immagini”, scrive, “ci sono la bellezza e il fascino irresistibile dell’antico Egitto. Ma anche il mondo, intimo spirituale, voluto e costruito dal faraone Sethi I ad Abydos, per relazionarsi con il ristretto pantheon degli dei e del mondo dell’aldilà”. La sua consacrazione Renier la ebbe niente meno che da uno dei padri dell’Egittologia del Novecento, Sergio Donadoni, che accettò di scrivergli la presentazione al libro “Abydos. Egitto”, punto di arrivo delle conoscenze di Renier sulla città sacra degli antichi egizi, ma anche di partenza per far conoscere e salvare la stessa dal degrado attraverso il Progetto Abydos. Così scrive Donadoni: “…va vista l’opera di Renier, che è frutto ed espressione di uno specifico innamoramento per una specifica località, in confronto con l’aspirazione alla totalità propria degli altri: non l’Egitto in genere, ma Abido è quel che incanta questo osservatore. Un centro che merita una simile dedizione, carico com’è di storia, di significato, di arte.  …In questa ricchezza di possibili prospettive, Renier si muove senza altra pretesa se non quella di dirci come il suo occhio sia compiaciuto di questa o quella visione, di questa o quella possibilità di sfruttarla figurativamente. Se conosce il valore storico dei vari monumenti, delle varie rappresentazioni, non è di quello che ha fatto la sua guida nella sua scelta e nel suo approccio. Alla esigenza del capire il passato e l’arte del passato, oppone quella, non meno essenziale ed autentica, del sentirlo. Sono due modi diversi e complementari di far valer quello che è la vera caratteristica dell’arte, il suo essere in perpetuo contemporanea di chi se ne appropri il messaggio”. Sergio Donadoni era riuscito a cogliere l’essenza e lo spirito che in questi decenni ha mosso Paolo Renier inserendolo con grande naturalezza e semplicità nella storia dei primi artisti esploratori della terra dei Faraoni, dalle prime immagini dipinte alle litografie e poi dalle prime lastre fotografiche alle prime foto in bianco e nero.

Paolo Renier nell’acqua melmosa della stanza del sarcofago dell’Osireion ad Abydos

Paesaggio nilotico ad Assuan (foto Paolo Renier)

Paolo Renier con Horus ad Abydos

Paolo Renier sulla tomba di Omm Seti

Così, passando da un pannello all’altro, seguiamo il percorso artistico-emozionale di Renier nella terra d’Egitto, attraverso un racconto – come si diceva – ricco di aneddoti. “Durante quel viaggio”, scrive a esempio ricordando la traversata del lago Nasser nel 2009, “nelle limpidi notti stellate, disteso su un lettino sopra il ponte della nave, osservavo incantato la splendida luce della stella Sirio (pensando alla dea Iside) e della bellissima costellazione di Orione (pensando al grande Osiride). Solo così, avvolto ed estasiato da incredibili e commoventi emozioni, riuscivo a consolarmi e non pensare alla triste alluvione che stavo percorrendo. Ad Abydos alcuni mesi dopo, la presenza di una strana giovane donna vestita con una tunica bianca, il capo coperto e i piedi nudi, che incontrai nel corridoio delle liste dei Faraoni e dei Semidei a sinistra del tempio di Sethi I, si rivolse a me dicendomi che quella mattina ero con lei dentro alla grande piramide di Cheope. Non capii bene cosa volesse e chiesi a un amico arabo li vicino che conosceva diverse lingue, di cercare di aiutarmi, ma quando ci rivolgemmo a lei, non c’era più, subito la cercai nel tempio e la vidi scomparire verso l’ingresso. Da alcuni giorni soggiornavo ad Abydos ed era chiaramente impossibile che io assieme a lei quella stessa mattina, potevamo essere a più di 500 km di distanza. Ho ancora presente i suoi occhi scuri, i capelli neri e il pallido volto, ma non capii e non seppi mai chi fosse, comunque poi quella mattina e i giorni seguenti mi sentii stranamente molto più sereno e in pace con me stesso”. E ancora: “Ad Abydos conobbi Horus, personaggio mistico del luogo del quale ancor oggi non conosco esattamente il vero nome perché tutti continuano a chiamarlo solo così; lui è come il capo spirituale del villaggio soprattutto per aver conosciuto fin da piccolo Doroty Eady, l’egittologa inglese che dedicò tutta la sua vita con una straordinaria passione verso il grande faraone Sethi I, ed è anche per questo che fu chiamata dagli arabi Omm Seti, cioè La madre di Seti. Una donna che fin da bambina fu avvolta nel magico e incredibile amore per questo faraone e il suo tempio di Abydos: infatti Omm Seti vivrà gli ultimi suoi 30 anni di vita per la ricostruzione del tempio di Sethi I, lei seppe rimettere esattamente al loro posto originale moltissimi reperti caduti e rovinati dal tempo, con incredibile conoscenza. A 77 anni, prima di morire, nel 1981 espresse il suo grande desiderio di essere sepolta nel deserto di Abydos, nella grande gola tra le montagne dove tramonta il sole. E Horus, in questi ultimi anni, è riuscito finalmente a realizzare il sogno di Omm Seti. Nel 2013 ebbi la grande fortuna di essere accompagnato da lui in questo luogo incredibile, dove il vento disegna delle magiche e coinvolgenti onde nella sabbia: un suono e una luce, come in un fantastico sogno, mi avvolsero e sulla sua tomba segnata con delle pietre, rimpiansi il desiderio di non averla mai conosciuta, in lei avrei trovato una grande sintonia”.

Paolo Renier con l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago ad Abydos (foto Graziano Tavan)

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)

Importanti studiosi confermano il valore di Abydos. “Ebbi la fortuna di conoscere personaggi importanti nelle mie permanenze ad Abydos, come l’archeologo Stephen P. Harvey dell’università di Chicago”, racconta Renier. “Lui scoprì alcune piramidi nella zona a sud vicino alle montagne (dell’epoca di Amosi I della XVIII dinastia: il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto, ndr), inoltre Harvey mi rivelò che sull’altipiano esistono incredibili testimonianze di 200mila anni fa. Ebbi anche la fortuna di conoscere nella sede della missione germanica immersa nel deserto l’importante egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo; lui scoprì nella zona di Abydos, denominata Umm El-Ghaab, i primi ideogrammi e segni di scrittura datati 3200 a.C. Straordinari e importantissimi reperti scolpiti in piccole tavolette in avorio o in pietra, vere testimonianze delle prime dinastie dei faraoni e che, per la loro valenza (sono i primi segni di scrittura), sono custodite al museo del Cairo esposte nelle teche appena si entra nella sala principale”.

Paolo Renier al Cairo con fratel Aldo Benetti (foto Graziano Tavan)

“Ricerche egizie”, manoscritti e dattiloscritti di fratel Aldo Benetti

Un amico speciale. “La mia passione per conoscere la terra e le persone legate a questa importante e straordinaria storia dell’antico Egitto, in quasi 30 anni d’incredibili continue esperienze, è maturata sempre di più diventando il Progetto Abydos, creato sui principi fondamentali di Rispetto, Conoscenza e Valore soprattutto per il sito moto importante e poco conosciuto di Abydos. Sono riconoscente all’Egitto per avermi fatto conoscere le persone che mi hanno creduto, sostenuto e incoraggiato, voglio ricordare soprattutto un grande amico che prima di morire all’età di 88 anni, mi ha lasciato molti suoi libri manoscritti e dattiloscritti delle sue Ricerche Egizie: il mio carissimo fratel Aldo Benetti, missionario comboniano in Egitto per ben 55 anni, notevole studioso dell’antico regno dei Faraoni con una profonda e straordinaria esperienza. Nei miei viaggi in Egitto cercavo spesso di passare per la sua sede al Cairo e lui era sempre molto ospitale e disponibile nell’accompagnarmi per conoscere questa grande città, facendomi rivivere anche assieme agli amici arabi straordinarie esperienze portandomi in luoghi che difficilmente si possono visitare. Mi inviava spesso dal Cairo le sue lettere raccontandomi i suoi difficili momenti di vita dedicata soprattutto per aiutare i ragazzi arabi, i più deboli e i più bisognosi, e non si dimenticava mai di incoraggiarmi nell’andare avanti con il mio impegno per la conoscenza di Abydos, spesso lo considerava molto importante. Una volta mi scrisse: “Caro Paolo coraggio, tu stai perseguendo il ministero della Memoria Storica”, questo suo particolare incoraggiamento mi aiuta ancor oggi nonostante le continue difficoltà. Sarò sempre riconoscente a fratel Aldo, anche perché decise di consegnare personalmente i miei libri al museo del Cairo, alla biblioteca di Alessandria e all’ambasciata italiana in Egitto”.

Il soffitto astronomico dell’Osireion di Abido: un unicum dell’Antico Egitto. A Dolo si può quasi toccare con mano nella mostra di Paolo Renier

Il fotografo Paolo Renier in Egitto durante una ricognizione nell'Osireion

Il fotografo Paolo Renier in Egitto durante una ricognizione nell’Osireion

Più lo studi e più il mistero sembra infittirsi: è il soffitto astronomico della cosiddetta “stanza del sarcofago”, spazio “segreto”, quasi un testamento spirituale, voluto da Seti I, il grande faraone della XIX dinastia, padre di un altro grande – Ramses II -, a ridosso dell’Osireion, la “tomba” del dio dell’aldilà e della rinascita, ad Abido, nel cuore della terra dei faraoni, città sacra per eccellenza per tutto l’Antico Egitto, meta per tremila anni di pellegrinaggi, luogo di elezione per numerose dinastie di faraoni, incarnazione della divinità in terra.

Paolo Renier e Federica Pancin in missione ad Abido, all'ingresso dell'Osireion

Paolo Renier e Federica Pancin in missione ad Abido, all’ingresso dell’Osireion

E in questi giorni che a Dolo, alle antiche scuderie, è aperta la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” (fino al 6 gennaio, orario: tutti i giorni 16-19.30), il soffitto astronomico rivive e si può toccare quasi con mano grazie alle eccezionali fotografie di Paolo Renier, fotografo trevigiano (ma il termine è riduttivo per un personaggio che da quasi tre decenni con le sue immagini e, soprattutto, con la sua sensibilità, ha cercato di cogliere quasi di carpire i segreti i misteri, si potrebbe dire l’energia vitale, che l’Antico Egitto ancora oggi emana), e grazie alle spiegazioni che la dottoressa Federica Pancin, laureanda in Egittologia all’università  Ca’ Foscari di Venezia, offre a tutti i visitatori, facendo “parlare” ogni dettaglio dei rilievi, dei cartigli, dei geroglifici, che fanno del soffitto astronomico di Abido un “unicum” di tutto l’Antico Egitto. Proprio con queste eccezionali immagini, scattate ancora qualche anno fa da Paolo Renier con perizia un po’ di coraggio e superando non poche difficoltà, oggi gli egittologi hanno a disposizione uno strumento di studio insostituibile, se pensiamo al degrado e all’incuria in cui versa l’originale, per salvare il quale Renier si batte da anni cercando di sensibilizzare autorità e studiosi.

Lo Zodiaco del tempio di Dendera, oggi conservato al Louvre

Lo Zodiaco del tempio di Dendera, oggi conservato al Louvre

Tra i primi a tornare a studiare il soffitto astronomico di Abido, con le fotografie di Paolo Renier, è stata l’egittologa Carla Alfano della Fondazione Memmo di Roma.  “Il soffitto dell’Osireion di Abydos è poco conosciuto – ammette -, non sufficientemente studiato ma soprattutto non documentato”. Ben più famosi sono altri soffitti astronomici, come quello, più antico, nella tomba di Senenmut, l’architetto di corte e amante della regina-faraone Hatshepsut  che visse a metà della XVIII dinastia. “Questa tomba, la n.353”, ricorda Alfano, “è una seconda tomba del grande uomo di corte, meno fastosa della prima ma molto più importante. Si trova a pochi metri dal grande complesso templare di Deir el Bahari, costruito per la gloria ultraterrena delle regina che governò l’Egitto non come reggente ma come faraone, derivando tale diritto non dall’essere stata moglie di re, ma dall’essere la figlia legittima del faraone Tuthmosi I. Nella camera A del sepolcro si può ammirare una delle più complete rappresentazioni del cielo che gli Egizi ci abbiano tramandato. Dalla posizione degli astri, secondo gli scienziati il soffitto può essere stato dipinto intorno al 1463 a.C.”. Conosciamo altri soffitti astronomici, ma posteriori a quello di Abido, come il meraviglioso soffitto nella sala colonnata della tomba dii Ramses VI e lo zodiaco del tempio di Hathor a Dendera.

Paolo Renier con Carla Alfano

Paolo Renier con l’egittologa Carla Alfano

“Alzare gli occhi verso l’alto e riuscire a percepire tutta la volta celeste in una perfetta mezza sfera era l’esperienza quotidiana degli Egizi”, spiega Carla Alfano che ci introduce nella concezione cosmica della terra dei faraoni. “Là dove l’orizzonte non è mai interrotto da monti, vegetazione e colline si poteva entrare in sintonia con i fenomeni del cielo e comprendere che l’essere umano e la stessa Terra sono all’interno di un complesso, immenso sistema celeste. A noi, abitanti di altre latitudini, tale spettacolo è negato, forse per questo, con grande ritardo, abbiamo osservato il cielo sperimentalmente e quindi scientificamente. In Egitto è sempre stato diverso. La natura del luogo ha sempre facilitato la comprensione che la Terra e l’uomo sono parte di un sistema più grande, con regole fisse e ricorrenti che per essere conosciute e capite andavano solo osservate. I sacerdoti sul tetto terrazzato del tempio, posti uno di fronte all’altro, osservavano per tutta la notte il movimento delle stelle, annotandolo e scandendo così il tempo astronomico e il calendario. Quei sacerdoti hanno iniziato dagli albori della civiltà egizia lo studio dell’astronomia”.

Paolo Renier a Dolo nella stanza del sarcofago con il soffitto astronomico

Paolo Renier a Dolo nella stanza del sarcofago con il soffitto astronomico

Il movimento degli astri e del sole si è poi imbevuto di religiosità. “L’egizio, come tutti gli uomini, era alla ricerca di Dio e lo cercò nel sole, nell’aria, nel cielo, nella terra. Ma soprattutto lo trovò nel sole che indiscutibilmente è l’artefice della vita e che compie un viaggio quotidiano nel cielo diurno e nella Duat infernale di notte. Le conoscenze astronomiche servivano a regolare il mondo dei vivi e la società, ma servivano anche ad interpretare il mondo ultraterreno con la speranza della resurrezione, proprio come fa il sole che riusciva ogni notte a sconfiggere i suoi nemici e tornava a sorgere per illuminare un altro giorno. Proprio questo è descritto nei soffitti astronomici che erano una collocazione architettonica e spaziale ideale per riprodurre la volta celeste e poter fissare la mutabilità della posizione delle stelle e il cammino del sole”.

La metà destra del soffitto astronomico, o parte orientale, è essenzialmente descrittiva

La metà destra del soffitto astronomico, o parte orientale, è essenzialmente descrittiva

Ma scopriamo meglio il soffitto astronomico dell’Osireion di Abido, i cui due rettangoli riportano ciascuno, oltre alle iscrizioni, una figura della dea-cielo Nut incurvata sulla terra e con il sole tangente al suo corpo perché, secondo il mito, ella lo partoriva al mattino e lo ingoiava la sera. “La metà destra del soffitto, o parte orientale”, continua l’egittologa, “è essenzialmente descrittiva. La zona sottostante la dea rappresenta la Duat, cioè il regno di Osiride, visitata ogni notte dal sole che lo percorre in dodici ore nella sua barca celeste. Va ricordato a tale proposito che le ore egizie, a differenza delle nostre, non erano ore equinoziali, ma misuravano, di giorno, i dodicesimi del tempo di luce e, di notte, i dodicesime del tempo di buio. Questo viaggio nella Duat, che si trova con poche varianti in altri soffitti astronomici, qui è disegnato in tre registri paralleli separati fra loro da righe di scrittura: si hanno quindi dei quadri simili in cui il registro centrale riporta il viaggio della barca mesketet, sopra e sotto la quale si vedono teorie di divinità, gruppi di demoni, spiriti e simboli”.

La metà sinistra del soffitto astronomico è la parte più interessante e più nota con la figura di Nut

La metà sinistra del soffitto astronomico è la parte più interessante con la figura di Nut

“La metà sinistra del soffitto è la parte più interessante e più nota con la figura di Nut preceduta da testi: il primo è il Testo drammatico, cosiddetto perché descrive in forma mitologica il sorgere e il tramontare delle stelle, i loro periodi di invisibilità e il ciclo lunare, sottolineando il fatto che tutti questi fenomeni astronomici dipendono dalla posizione del sole. Segue un testo relativo alla determinazione dell’ora diurna con la descrizione del modo di costruire e di usare un orologio solare a cubito del quale si riporta una figura e poi da un elenco delle ore notturne messe in relazione con il corpo di Nut. Dopo queste righe di scrittura verticali si ha la figura della dea-cielo Nut , incurvata sulla terra e sorretta dal dio-aria Shu. Sul corpo della dea è riportato un elenco di 36 decani, che sono quelli al transito e costituiscono la famiglia decanale detta appunto “di Seti I”. I decani sono 36 stelle, costellazioni o zone di cielo visibili per 10 notti consecutive la cui levata (prima della XII dinastia) e il cui transito al meridiano (dopo la XII dinastia) permettevano di determinare l’ora notturna. Il problema di riconoscere i decani è fondamentale per lo studio dell’astronomia egizia. Sotto il corpo di Nut, a destra e a sinistra di quello di Shu, c’è un altro elenco di decani, datati in funzione dell’anno vago, cioè dell’anno egizio formato da una sequenza di 365 giorni interi: ciò vuol dire che è registrata la data in cui ciascuno nasce, entra nella Duat (dopo 90 giorni) e poi rinasce (dopo 70 giorni)”.

Il soffitto astronomico della tomba di Ramses VI (XX dinastia)

Il soffitto astronomico della tomba di Ramses VI (XX dinastia)

Considerando l’importanza che la levata della stella Sirio ebbe nel calendario agricolo e religioso, e che mantiene ancora nello studio della cronologia egizia, gli egittologi oggi sono in grado di calcolare l’epoca durante la quale questa tavola era in accordo con il cielo; l’originale risulta databile intorno al 1879 a.C., cioè risale al Medio Regno, più o meno al tempo di Sesostri III. Il resto delle iscrizioni costituisce la cosiddetta Cosmologia che descrive nella consueta forma mitica: l’origine del sole, i limiti del cielo, il moto delle stelle e il comportamento dei decani. “Questa Cosmologia era ritenuta molto importante e fu riprodotta anche sul soffitto della tomba di Ramses VI nella Valle dei Re e tramandata su papiri astronomici di età posteriore. Ancora oggi questi testi sono alla base di qualunque studio di astronomia egizia”.

In riva al Brenta l’Osireion di Abydo e i misteri dell’Antico Egitto

L'Osireion di Abydo, il luogo più sacro dell'Antico Egitto: è ricostruito a Dolo

L’Osireion di Abydo, il luogo più sacro dell’Antico Egitto: è ricostruito a Dolo

Le antiche scuderie di Dolo sede della mostra

Le antiche scuderie di Dolo

Visto da fuori l’edificio, con la sua forma a “tempio” completo di colonnati e timpani, chiara evocazione palladiana, attira per la sua monumentalità. Ma è all’interno che le antiche scuderie di Dolo, in Riviera del Brenta, nel Veneziano, svela una vera e propria meraviglia che vale la pena di ammirare: la mostra “L’Osirion di Abydo. Viaggio nel cuore spirituale dell’Antico Egitto” (fino al 6 gennaio, orario: tutti i giorni 16-19.30). Nei vasti ambienti a capriate delle antiche scuderie Paolo Renier, fotografo trevigiano (ma il termine è riduttivo per un personaggio che da quasi tre decenni con le sue immagini e, soprattutto, con la sua sensibilità, ha cercato di cogliere quasi di carpire i segreti i misteri, si potrebbe dire l’energia vitale, che l’Antico Egitto ancora oggi emana) ha “ricreato” l’Osireion, la tomba di Osiride, cioè il luogo più sacro nella città più sacra dell’Egitto dei faraoni: Abydo, a 150 chilometri da Luxor, ai margini dei deserto occidentale, è la città di Osiride, il dio dell’Oltretomba ma anche della Rinascita, per tremila anni meta di pellegrinaggi dal faraone all’egiziano comune; la città dove le prime dinastie (solo dalla V le sepolture monumentali sono state spostate a nord, nella piana di Giza) hanno posto le loro tombe; la città che prima il faraone Sethi I (XIX dinastia) e poi il figlio Ramses II hanno monumentalizzato.

Il fotografo Paolo Renier davanti ad alcuni rilievi di Abydo in Egitto

Il fotografo Paolo Renier davanti ad alcuni rilievi di Abydo

Non è stato facile fotografare  i segreti di Osiride. Chi ha avuto la fortuna di raggiungere quel luogo, come chi scrive, sa bene delle difficoltà logistiche (fino a poco tempo fa non c’era neppure una camera modesta dove passare la notte: all’ospite veniva concessa una visita veloce di poche ore al seguito del convoglio militare in partenza all’alba da Luxor dove tornava rigorosamente prima di sera) ma anche operative: l’illuminazione dentro i templi di Abydo o non esiste proprio (e per illuminarli, in mancanza di collegamenti elettrici, bisogna affidarsi al vecchissimo ma sempre efficace metodo degli specchi) o è scarsa con luci al neon il cui effetto è pessimo perché toglie profondità ai delicatissimi rilievi. In questo ambiente dal fascino e dall’energia unici, Paolo Renier non solo è riuscito a fotografare ogni dettaglio, ogni rilievo, ogni ambiente, ma anche a renderlo “vivo”, quasi che ad accompagnarlo nel suo paziente e decennale lavoro ci sia stato qualche schiavo mandato dal gran sacerdote a illuminargli il cammino con le torce anche là dove all’umano non era consentito andare.

Le magiche atmosfere dell'interno monumentale dell'Osireion ricostruito a Dolo

Le magiche atmosfere dell’interno monumentale dell’Osireion ricostruito a Dolo

Quest’atmosfera magica fino al 6 gennaio si rivive appunto alle antiche scuderie di Dolo nella mostra “L’Osirion di Abydo”  promossa dal Comune di Dolo, con l’assessore alla Cultura e grandi eventi Antonio Pra, e realizzata da Paolo Renier col contributo del geometra Maurizio Sfiotti, che ha realizzato il plastico dell’Osireion in scala 1:20 dopo aver rilevato tutte le misure sul posto; della dottoressa Federica Pancin, laureanda in Egittologia all’università  Ca’ Foscari di Venezia che aiuta a “leggere” il monumento;   di Romeo Tonello, direttore di Rexpol – main sponsor della mostra – che ha realizzato la riproduzione del monumento in scala 1:1; e di Enrico Longo, direttore di CultourActive, curatore della grafica e della promozione dell’evento.

L'Osireion di Abydo come è oggi con lo spazio centrale parzialmente allagato

L’Osireion di Abydo come è oggi con lo spazio centrale parzialmente allagato

La ricostruzione in scala dell'Osireion realizzata da Maurizio Sfiotti

La ricostruzione in scala dell’Osireion realizzata da Maurizio Sfiotti

Invito alla mostra. Ci sarà tempo per affrontare studi specifici, nuove ipotesi o solo intriganti suggestioni sull’Osireion di Abydo. Per ora l’invito è proprio di andare a Dolo perché si può rivelare un’esperienza unica: accanto a gigantografie di dettagli del monumento, c’è la ricostruzione in scala 1:20 del complesso dell’Osireion, realizzato in legno e blocchi di granito da Maurizio Sfiotti che nell’ultima missione di Paolo Renier ad Abydo, nel maggio scorso, ha misurato col laser tutta la tomba di Osiride, compresi gli annessi, regalandoci per la prima volta  una planimetria completa del complesso sacro più misterioso dell’intero Antico Egitto (un lavoro eccezionale che merita un post a parte). E poi ci sono i filmati (anche in 3D: gli organizzatori forniscono gli occhialini) che documentano l’Osireion di Abydo insieme alla stessa operazione di documentazione del sito da parte di Renier e del suo gruppo.

Paolo Renier a Dolo nella stanza del sarcofago con il soffitto astronomico

Paolo Renier a Dolo nella stanza del sarcofago con il soffitto astronomico

Ma il vero “clou” della mostra è la ricostruzione in scala 1:1 (sì, avete letto bene: a grandezza naturale) della stanza del sarcofago dell’Osireion, realizzata da Sethi I quasi 3300 anni fa e dallo stesso faraone fatta sigillare con tutti i suoi segreti. Sono stati i tombaroli, nei secoli successivi, a violarlo sfondando una parete e procurandosi così un varco. Nella stanza del sarcofago c’è il famoso soffitto astronomico, una meraviglia che solleva più interrogativi che certezze, e che a Dolo è possibile vedere in tutto il suo splendore grazie a otto proiettori che riproducono sul tetto a spioventi immagini, simboli, geroglifici incisi sulle lastre e fotografati con cura da Paolo Renier. Perché è eccezionale l’esperienza dolese? Primo, perché all’interno dell’originale, anche chi ha la ventura di giungere ad Abido, difficilmente riesce ad arrivarci (l’ambiente è invaso da una melma – può arrivare anche a quasi mezzo metro di spessore – maleodorante e popolata da animaletti o microrganismi poco consigliabili, che comunque rende il pavimento già sconnesso e irregolare anche estremamente scivoloso); secondo, ed è l’aspetto più importante e purtroppo anche più grave, il soffitto astronomico è in precarie condizioni di conservazione: i rilievi si stanno  sfaldando sotto l’effetto distruttivo combinato dell’umidità e dei pipistrelli che nella stanza del sarcofago trovano rifugio sicuro. Ciò significa che le immagini di Paolo Renier, realizzate molti anni fa, sono ormai la documentazione più completa dell’Osireion. Non resta quindi che andare a Dolo dove Paolo Renier e l’egittologa Federica Pancin arricchiscono l’emozione della visita con accattivanti quanto complete spiegazioni. Buona visita.