Torino. Al museo Egizio ultimi giorni per la mostra “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”: con 170 oggetti (non solo papiri), alcuni eccezionali, si raccontano tremila anni di scrittura. Intervento esclusivo del direttore Christian Greco


L’ingresso ai nuovi spazi del museo Egizio di Torino che ospitano la mostra “Il dono di Thot” (foto graziano tavan)
Come si è sviluppata la scrittura geroglifica nell’antico Egitto? Quante scritture sono esistite nella terra dei faraoni? Per rispondere a queste e altre mille domande, il museo Egizio di Torino ha dedicato una mostra alle scritture e alla lingua della civiltà egizia intitolata “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”. Perché, secondo il mito, fu il dio Thot a ideare l’arte della scrittura, diventando il patrono della conoscenza e degli scribi nell’antica cultura egizia. Ma attenzione, c’è ancora poco tempo: la mostra è visitabile fino al 7 settembre 2023.
“Per celebrare il bicentenario della decifrazione dei geroglifici”, spiega ad archeologiavocidalpassato.com il direttore Christian Greco, “il museo Egizio ha aperto uno spazio espositivo che si chiama Il dono di Thot, che mette al centro la scrittura dal suo primo apparire, dal significato che la scrittura ha nel sistematizzare il sapere, nell’organizzare lo Stato, nel far nascere quella parola così negativa oggi, ovvero la parola burocrazia, che però è alla base per lo sviluppo di uno Stato moderno e per codificare il complesso pensiero religioso.

La statua del faraone Horemheb e della regina Mutnedjemet dal tempio di Amon a Karnak, conservata al museo Egizio di Torino, collezione Drovetti (foto graziano tavan)
L’esposizione mostra non solo come la scrittura si sia via via radicata ma ci fa vedere dei documenti importantissimi. Ne cito tre che, a mio giudizio, solo per questo varrebbe la pena venire a vedere la mostra. Uno: la statua del faraone Horemheb e della regina Mutnedjemet che finalmente è messa al centro. Può essere fruita nella sua tridimensionalità; e soprattutto la cosiddetta Stele dell’intronizzazione di Horemheb con le sue 26 righe di testo che attestano lo stato in cui Horemheb trovò il Paese e come lui dovette viaggiare da città in città, da tempio a tempio, per riaprirli, finalmente è visibile e leggibile, e presentata peraltro con una trascrizione-traduzione integrale. Poi il restauro, adesso visibile nel suo allestimento definitivo, del Papiro dei Re, che desidero non chiamare più Canone Regio perché non è un canone, non è una lista che sia stata epurata da una serie di sovrani che dovevano essere cancellati, ma faceva parte – su questo ce lo dice anche il fatto che era scritto nel verso – probabilmente di quelle biblioteche templari che purtroppo sono andate perse, in cui a uno scriba è stato richiesto di fare una lista dal periodo mitico in cui in Egitto regnavano gli dei per arrivare poi ai sovrani del Secondo Periodo Intermedio. E infine un terzo documento che nella sua monumentalità voglio citare è davvero monumentale nella sua scrittura ieratica: è il Papiro della Congiura finalmente visibile”.
Dal geroglifico al copto, dallo ieratico al demotico: è dunque la scrittura dell’antico Egitto, nelle sue varianti ed evoluzioni, la protagonista della mostra “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”, nei nuovi spazi del Museo, 500 metri quadrati, distribuiti tra piano terreno e ipogeo, concessi dall’Accademia delle Scienze di Torino al Museo Egizio, dopo un’opera di restauro, sostenuta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. Curata da Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Töpfer, egittologi del Museo Egizio, la mostra è frutto di un progetto scientifico ideato dal direttore del Museo, Christian Greco ed è sostenuta dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino.

Statua cubo del “padre divino” (titolo sacerdotale) di Djedkhonsuluefankh del Terzo periodo intermedio, collezione Drovetti, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Sono 170 i reperti in esposizione, tutti provenienti dalle Collezioni del Museo Egizio, ad eccezione delle tavolette cuneiformi provenienti dai Musei Reali di Torino. Se il focus dell’esposizione è rappresentato dai segni e dai testi, in mostra non ci sono solo papiri, ma anche capolavori della statuaria, oggetti in alabastro e statuine lignee, a testimonianza di quella cultura materiale attraverso cui egittologi e storici hanno ricostruito la biografia non solo degli oggetti, ma dell’intera civiltà nilotica.

Il grande cartiglio in calcare di Aten che apre la mostra “Il dono di Thot” (foto graziano tavan)
Fin dagli esordi gli antichi testi egizi ebbero una forte componente figurativa e la scrittura, a cavallo tra tecnica e arte, è giunta a noi anche incisa su grossi blocchi di pietra o statue dei faraoni, assumendo così connotati monumentali e celebrativi. È il caso del Cartiglio in calcare, datato tra il 1353 e il 1336 a.C., che apre l’esposizione. Scolpito su un gigantesco blocco, il geroglifico assume una valenza quasi sacra e il nome della divinità Aten, riportato nel cartiglio, attraversa i millenni per arrivare intatto fino ai giorni nostri.

Dettaglio del Papiro della Congiura dell’Harem (XX dinastia), collezione Drovetti, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Da sistema per etichettare le merci e amministrare il paese a strumento sacro e magico, che tramanda formule, rituali e legittima il potere regale: la scrittura nei millenni si evolve e i testi diventano custodi della memoria. È il caso del Papiro dei Re, l’unica lista reale d’epoca faraonica scritta a mano su papiro che sia giunta fino a noi, recentemente restaurata grazie al contributo degli Scarabei, o del Papiro della Congiura, un testo quasi di cronaca giudiziaria, che ricostruisce l’attentato a Ramesse III, un papiro di oltre 5 metri di lunghezza che torna in esposizione all’Egizio dopo sette anni, proprio in occasione della mostra “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”.

Statuetta in legno di Thot come Ibis, di epoca tarda, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
La storia dei geroglifici si snoda attraverso tremila anni e affonda le proprie radici nel mito. La scrittura arrivò agli uomini come dono divino: secondo il mito, infatti, fu il dio Thot, con il corpo di uomo e la testa di Ibis, a idearla e a donarla agli uomini, divenendo patrono della conoscenza e degli scribi. Un mito questo tramandato fino alla cultura greca e riportato anche da Platone nel “Fedro”. E proprio da qui parte la mostra “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto” per poi ripercorre l’evoluzione della lingua egizia e dei diversi tipi di scrittura, dalle primissime iscrizioni del 3200 a. C. ai testi letterari intorno al 2700 a. C., una panoramica che racconta molto della società e del pensiero dell’antico Egitto.

Stele dello scriba Ramose in adorazione di Thot come babbuino da Deir el Medina (epoca di Ramses II), collezione Drovetti, conservata la museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Il pensiero egizio”, interviene ancora Greco, “oscillava continuamente fra una razionalità astratta e un empirismo naturale. Forse nulla come il geroglifico dà ragione di questa tensione, che vogliamo far scoprire al visitatore. Rivestendo contemporaneamente il ruolo di grafema e simbolo, il geroglifico ci restituisce un doppio significato fonologico ed iconografico e si trova quindi ad assumere due funzioni distinte: quella linguistica e quella semiotica. Testo ed immagine sono reciprocamente complementari e ci permettono di avvicinarci alla comprensione di quattromila anni di storia dell’Antico Egitto. Come e perché si è sviluppata la scrittura, che ruolo ha avuto nella formazione dello Stato in tutte le sue articolazioni, come ha favorito il discorso religioso e la complessa cosmografia funeraria? Sono alcuni degli interrogativi a cui cerchiamo di dare risposta, con rigore scientifico, e allo stesso tempo cercando di interessare e appassionare visitatori di tutte le età”.

Una pagina del libro “Riassunto del sistema geroglifico degli antichi egizi…” di Jean-François Champollion (1824) conservato nella Biblioteca Silvio Curto (Rari 10) (foto graziano tavan)
I geroglifici sono sopravvissuti fino al 500 d.C. circa, insieme allo ieratico, la cosiddetta versione corsiva del geroglifico, che fu soppiantata dal demotico, come scrittura della vita quotidiana, nel VII secolo a.C. Non è un caso che questa indagine all’origine della scrittura e delle fonti scritte dell’antico Egitto prenda forma all’Egizio proprio nel 2022: quest’anno ricorre, infatti, il bicentenario della decifrazione dei geroglifici da parte di Jean-François Champollion, evento che diede i natali all’Egittologia. Il percorso che ha permesso di arrivare alla comprensione della scrittura geroglifica in epoca moderna è uno dei temi indagati dall’esposizione.
2 risposte a “Torino. Al museo Egizio ultimi giorni per la mostra “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto”: con 170 oggetti (non solo papiri), alcuni eccezionali, si raccontano tremila anni di scrittura. Intervento esclusivo del direttore Christian Greco”
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- - gennaio 2, 2024
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