Alla XXX rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto il film “Sicilia Grand Tour 2.0”, viaggio al ritmo dei viaggiatori del Settecento alla scoperta della Sicilia “non solo da cartolina” che sa ancora stupire, anche la gente distratta del Terzo millennio
Un atto d’amore per la propria terra, la Sicilia, e di speranza. Al di là degli stereotipi, non sempre edificanti, dei pregiudizi, della storia. È il film che viene presentato il pomeriggio di sabato 5 ottobre 2019 alla XXX rassegna internazionale del cinema archeologico da FineArt produzioni, per la regia del giovane Giorgio Italia che ne è anche l’interprete e la voce narrante, la produzione di Lorenzo Daniele e la sceneggiatura dell’archeologa Alessandra Cilio. Il titolo “Sicilia Grand Tour 2.0” dice molto ma non tutto. Si capisce – quello è facile – che il soggetto è la Sicilia, e che si fa riferimento a quella moda che, già dal Cinquecento, porta viaggiatori da tutta Europa a visitare l’Italia a tappe fino a Napoli, fissando appunti e disegni sui loro taccuini; e che dal Settecento, porta questi ‘travellers’ tedeschi, inglesi, francesi e polacchi fino in Sicilia. Ma perché “2.0”? La risposta la dà lo stesso protagonista, giovane studente che “casualmente” trova sul tavolo di lettura di una biblioteca che non lo entusiasmi per niente un voluminoso libro di un tal Jean Houel, francese di Rouen, formatosi negli ambienti illuministici parigini, che trascorre in Sicilia ben quattro anni, e tra il 1782 e il 1786 pubblica i quattro volumi del “Voyage Pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari”. Il titolo lo incuriosisce e si chiede: quali ragioni spingono la gente del Terzo millennio a venire in Sicilia? Cosa rimane dell’eredità del Grand Tour, degli straniamenti fantastici di questi viaggiatori curiosi di trecento anni fa? La Sicilia rimane un’isola contraddittoria, a tratti bipolare. Marginale e remota lo è ancora, probabilmente; e al tempo stesso è crocevia di popoli, testa di ponte tra Africa e Europa, tra Oriente e Occidente. La natura che la caratterizza sa essere indomita e lussureggiante, sebbene spesso non riesca a nascondere le profonde ferite inferte dall’uomo contemporaneo. La Sicilia è terra di tradizioni e conservatorismo, ma anche di innovazione e di dinamismo. È un’isola fatta di generazioni vecchie, che si contrappongono a generazioni di giovani che, anziché piegare la testa a questo nuovo Secolo Buio e lasciare la propria terra sconfitti, si ostinano a restare. Non sono meno “cervelli” di chi parte; forse sono solo più coraggiosi.
Nasce così questo viaggio alla scoperta della Sicilia con gli occhi di un siciliano e la curiosità di uno straniero che sa ancora stupirsi della gente prima ancora dei monumenti e dei paesaggi. E per farlo non ci vuole fretta. Se Houel ci mise quattro anni, Giorgio Italia passa qualche mese. Il ritmo è lento, come merita l’incontro con un luogo, non la visita organizzata. Una slow motion che ritroviamo anche nell’architettura del film. Ma la durata di 90’ minuti non deve spaventare. Portati per mano dal regista-protagonista, Giorgio Italia, si diventa subito suoi convinti compagni di viaggio. E se si ha la ventura di aver avuto modo di conoscere quest’isola meravigliosa nel seguire le tappe proposte da “Sicilia Grand Tour 2.0” si capisce presto che si riesce ancora a “stupirsi” perché si scopre una Sicilia altra, forse più viva, certo altrettanto autentica della Sicilia patinata delle guide.
Protagonisti sono ovviamente i monumenti e i paesaggi, ma non tutti e non sempre quelli più famosi, ma alla fine della visione è più probabile che si ricordino le persone, che nel loro ambiente sono dei “giganti”, anche se non sempre noti al grande pubblico, e che sullo schermo diventano personaggi con una loro filosofia di vita, i loro problemi, ma anche le loro rivincite, senza mai perdere la speranza. A Bagheria, Antonio Mineo che ci porta tra le decorazioni “morbosamente attraenti” di palazzo Palagonia; a Sperlinga, Luisa Spagna e il marito Enzo Falce sono la prova vivente dell’ospitalità della gente nel cuore della Sicilia, e Antonia Marchese – zi’ Antonia – svela l’arte del telaio tra ricordi e nostalgia; a Randazzo, Giuseppe Severini, musicista e liutaio, studia e ripropone strumenti d’ogni epoca facendo “cantare” i legni dell’Etna, aiutato dall’assistente Mario La Rosa; sull’Etna, Guglielmo Fiorista, appassionato escursionista sul vulcano più alto d’Europa; ad Aci Trezza, Salvatore e Giovanni Rodolico portano avanti lo storico cantiere navale sul quale campeggia la scritta “Omero, Odissea… Verga, I Malavoglia… Visconti, La Terra Trema… Aci Trezza, mare che ispira”; ad Augusta, Eva di Mare mostra il fascino che ancora il paese conserva, mitigando il giudizio negativo sull’area, con il sito archeologico di Megara Hiblea, “la Pompei greca”, fagocitata dalle erbacce e dal degrado, scempio della raffineria e dello sviluppo industriale; a Siracusa Emanuela Maggio, dove nel suo “laboratorio creativo di riciclo” gli oggetti più disparati rinascono, è la prova vivente del riscatto dei giovani siciliani che credono in un futuro positivo nella loro terra; a Ragusa Ibla, Clorinda Arezzo, nata a Ibla dove è tornata dopo aver studiato a Roma e Milano per fare la promotrice culturale “perché non potrebbe vivere altrove”, mentre Biagio Castilletti e Damiano Rotella ci riportano al mitico mondo dei carretti siciliani che loro restaurano e ricreano nel rigoroso rispetto della tradizione; a Mazara del Vallo, infine, Paolo Ayed, figlio di un genitore tunisino e uno italiano, spiega che cos’è l’integrazione nel paese da sempre “porta dell’Africa”, che non significa sottomissione di una cultura su un’altra, ma incontro propositivo.
Già da questo breve escursus si vede come le tappe privilegino luoghi non sempre prioritari nei percorsi turistici. Non mancano comunque le mete più famose, da Palermo a Taormina, da Agrigento a Siracusa, ma senza mai eccedere nelle descrizioni cartolina. Comunque la costante sono delle immagini accattivanti che ti catturano. Spiace solo che le ultime tappe, Agrigento, Mazara del Vallo, Marsala, quindi non siti “da poco”, siano raccontati in pochi minuti, quasi un’accelerata rispetto al ritmo tenuto fino a quel momento. Ma forse, allora, sarebbero state necessarie due parti/puntate per un’isola che “non è monolitica, come si crede, per tradizioni, lingua e colori”, conclude il regista-protagonista, “ma cambia a seconda delle stagioni, dell’umore, delle persone che incontri. E allora anche tu cambi, tappa dopo tappa, ti adatti, cresci e torni a casa diverso”.
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