Paleoantropologia. L’Australopithecus Sediba, l’ominide più vicino al genere Homo, vissuto due milioni di anni fa, scoperto in Sudafrica, non poteva masticare cibi duri: nella ricerca internazionale anche l’università di Bologna
La scoperta risale al 2008. Siamo in Sudafrica. Vicino a Johannesburg, nella grotta di Malapa, i paleoantropologi hanno rinvenuto il cranio fossile di Australopithecus Sediba, una specie pre-umana che visse circa due milioni di anni fa in Sud Africa, ritenuto uno dei principali antenati del genere Homo. Su quel cranio fossile gli studiosi hanno realizzato un modello digitale e ne hanno simulato la capacità di masticazione applicando una serie di metodi biomeccanici, simili a quelli comunemente utilizzati in campo ingegneristico per testare la resistenza alla rottura di costruzioni e macchinari come ponti, aeroplani, autovetture. E i risultati della ricerca, pubblicati nel febbraio 2016 sulla rivista “Nature communications”, sono stati davvero sorprendenti. Diversamente da alcune specie di Australopithecus che hanno fatto fronte ai cambiamenti ambientali avvenuti fra tre e due milioni di anni fa adattandosi a diete coriacee, il “sediba” ha rivelato un apparato masticatorio che limitava la sua capacità di masticazione: per lui niente gusci o cibi duri.

Lo studio pubblicato su Nature Communications sull’apparato masticatorio dell’Australopithecus Sediba
Le australopitecine – ovvero le specie di Australopithecus – si ritrovano tra i 4,2 milioni e i 2 milioni di anni fa (il più noto è l’Australopithecus Afarensis, di 3,4 milioni di anni fa, famoso col nomignolo di “Lucy”) e sebbene presentino alcuni tratti umani, come per esempio la capacità di camminare su due gambe, la maggior parte di loro non possiede altre caratteristiche tipiche dell’uomo, quali un grande cervello, faccia ortognata con riduzione della mandibola e dei denti, così come la capacità di utilizzare utensili. “Molte specie di Australopithecus presentavano sorprendenti adattamenti craniali, utili per processare cibi duri, ossia potevano sprigionare elevate forze durante la masticazione”, spiega David Strait, antropologo alla Washington University di St. Louis (Usa) e responsabile della ricerca. «Tuttavia”, continua Stefano Benazzi, paleoantropologo e ricercatore presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna) e co-autore dell’articolo, “i nostri risultati indicano che la morfologia dell’apparato masticatorio di Australopithecus sediba poneva grossi limiti durante la masticazione, perché se avesse utilizzato tutta la potenza dei suoi muscoli masticatori, avrebbe rischiato la lussazione della mandibola”.
I primi rappresentanti del genere Homo derivano quasi certamente da un’australopitecina e l’Australopithecus sediba è candidato per essere il diretto antenato. La ricerca pubblicata su “Nature Communications” non definisce il grado di parentela dell’Australopithecus sediba con il genere Homo, fornisce però importanti indicazioni sugli effetti che i cambiamenti della dieta hanno avuto per l’evoluzione del nostro genere. «Anche l’uomo infatti”, continua Stefano Benazzi, “presenta grosse limitazioni nel generare elevate forze masticatorie, e probabilmente questo caratterizzava anche i primi rappresentanti di Homo, così come alcune australopitecine. Ciò significa che mentre alcune australopitecine si sono evolute per massimizzare la capacità di masticare in modo energico, altre, tra cui quelle che hanno dato origine al genere Homo, si sono evolute nella direzione opposta. In definitiva, vari fattori ecologici devono aver modificato il comportamento alimentare e la dieta delle australopitecine, rivestendo quindi un ruolo fondamentale nell’origine del genere Homo”.
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