Esclusivo. A un mese dalla sua chiusura Valentino Nizzo presenta la mostra “FELICE BARNABEI. “CENTUM DEINDE CENTUM”. Alle radici dell’archeologia nazionale”, ripercorrendo la storia personale, scientifica e pubblica di Felice Barnabei, il fondatore del museo di Villa Giulia

Locandina della mostra “Felice Barnabei. Centum deinde centum. Alle radici dell’archeologia nazionale” dal 22 marzo al 9 luglio 2023 al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia

Il busto bronzeo di Barnabei restaurato grazie alle donazioni ricevute attraverso l’Art Bonus (foto etru)
Il Centenario della morte di Felice Barnabei (1922-2022) ha offerto al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia l’occasione per valorizzare, con diverse iniziative culturali (come il Barnabei Day: vedi Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia è il Barbabei Day: un’intera giornata a ingresso eccezionalmente gratuito con un ricco programma di iniziative dedicate al suo fomdatore Felice Barnabei nel giorno del centenario della sua morte | archeologiavocidalpassato), le sue imprese e la sua figura di uomo politico e archeologo a cui si deve la fondazione nel 1889 del museo nazionale Romano e del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, nonché la promozione delle moderne leggi italiane di tutela del patrimonio culturale. Momento clou è la mostra “FELICE BARNABEI “CENTUM DEINDE CENTUM”. ALLE RADICI DELL’ARCHEOLOGIA NAZIONALE” dedicata al fondatore del museo di Villa Giulia, personalità di spicco nel panorama scientifico e politico italiano, che si può visitare fino al 9 luglio 2023 (vedi Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia anteprima della mostra “Felice Barnabei ‘centum deinde centum’. Alle radici dell’archeologia nazionale” dedicata al fondatore del museo di Villa Giulia. E presentazione dei restauri del Tempio di Alatri che diventerà “La macchina del Tempio” | archeologiavocidalpassato).

Allestimento della mostra “FELICE BARNABEI. “CENTUM DEINDE CENTUM” al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
A un mese dalla chiusura dell’esposizione, curata Maria Paola Guidobaldi, Valentino Nizzo e Antonietta Simonelli, proprio Valentino Nizzo, direttore del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, con un intervento esclusivo per “archeologiavocidalpassato.com”, presenta la mostra “FELICE BARNABEI. “CENTUM DEINDE CENTUM”. Alle radici dell’archeologia nazionale”, ripercorrendo la storia personale, scientifica e pubblica di Felice Barnabei, il fondatore del museo di Villa Giulia.

Un’immagine d’archivio di Felice Barnabei (foto etru)
“Felice Barnabei. Centum deinde centum. Alle radici dell’archeologia nazionale”, inizia Nizzo, “è il titolo di una mostra che abbiamo coltivato da tempo. Avevamo cominciato a riflettere nel 2019 per i 130 anni dalla fondazione del museo su una mostra che raccontasse la storia di Villa Giulia. Poi la revoca dell’autonomia e il Covid, subito dopo, hanno fatto naufragare il progetto. Nel ’21 abbiamo fatto una piccola anticipazione di quello che adesso abbiamo raccontato e ora ci siamo arrivati (vedi Roma. A un anno dalle celebrazioni ufficiali per il centenario della morte di Felice Barnabei, fondatore del museo di Villa Giulia, apre la mostra “FELICE BARNABEI. Gocce di memorie private”, con parte dei disegni giovanili e della collezione archeologica dell’illustre archeologo donata al museo dai suoi discendenti. Ingresso col Green Pass | archeologiavocidalpassato). “Felice Barnabei. Centum deinde centum” scomoda Catullo perché Barnabei era un filologo, un epigrafista, un archeologo, uno dei primi a formarsi professionalmente attraverso un rigoroso percorso universitario. Era nato nel 1842 a Castelli, in Abruzzo. Aveva studiato a Teramo. Si era laureato alla Normale di Pisa. Quindi era arrivato a Napoli dove aveva iniziato come insegnante di liceo.

Singolare caricatura di Felice Bernabei, realizzata in ceramica probabilmente di Castelli e a forma di salvadanaio (foto etru)
“La sua fortuna però arriva grazie all’incontro con Giuseppe Fiorelli, lo scavatore di Pompei, appassionato, all’apice del suo successo dopo alterne vicende: era direttore del museo Archeologico di Napoli. Contemporaneamente insegnava all’università e dirigeva gli scavi di Pompei. Ma aveva di fronte a sé una brillante carriera anche nelle strutture del ministero della Pubblica istruzione. Infatti venne chiamato a Roma poco dopo l’Unità d’Italia e la presa anche di Roma a fondare quella che sarebbe diventata – diciamo – la direzione generale per le Antichità e Belle arti. E lì volle con sé nel 1875 il giovane Felice Barnabei come suo segretario. Inizia quindi un percorso all’interno dell’amministrazione nel quale insieme a Fiorelli cerca di strutturare non solo il sistema di tutela e valorizzazione, che ancora così non si chiamava, cioè i musei per raccontare l’Antico e la tutela per cercare di preservarlo, ma anche le prime leggi. Ci vollero trent’anni però per raggiungere questo risultato. E furono gioie e dolori per Barnabei che nel frattempo diventa non solo il braccio destro di Fiorelli ma gli succede come direttore generale nel 1897.

Villa Giulia vista da drone, sede del museo nazionale Etrusco, fondato da Felice Bernabei (foto etru)
“Nel frattempo è riuscito, nel 1889, a fondare il museo nazionale Romano con due nuclei: a Villa Giulia le antichità extraurbane, e alle Terme di Diocleziano le antichità urbane. In questi due luoghi cerca di raggiungere gli obiettivi cui ho accennato prima. Cioè strutturare la narrazione del nostro passato attraverso i frutti della ricerca archeologica (la Carta archeologica d’Italia era un progetto avveniristico che era iniziato nel 1881). Villa Giulia doveva recepirne i risultati e raccontarli a tutti gli italiani che in questo modo, attraverso questo museo, dovevano acquisire consapevolezza del loro passato in vista del sentirsi di più italiani dopo l’unità politica. Riesce in questo straordinario obiettivo, crea in Villa Giulia un modello museografico di una straordinaria innovazione.

Il tempietto di Alatri realizzato nel 1891 nel giardino del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma (foto etru)
“Costruisce addirittura, insieme ad Adolfo Cozza, la riproduzione in scala 1:1 di un tempio etrusco-italico scavato ad Alatri pochi anni prima, e usa gli strumenti dell’archeologia sperimentale per creare quello che oggi chiamiamo un Open air Museum, mentre ne nascevano i primi nel Nord Europa, a Skansen, citati nei manuali. Insomma fa una piccola rivoluzione. Villa Giulia diventa un modello. Tutti vogliono le stesse cose che Barnabei riesce a far arrivare a Villa Giulia. In un contesto nel quale le leggi lo consentono di un depauperamento del patrimonio italiano, paradossalmente innescato dal luogo che doveva valorizzarlo e tutelarlo. E Barnabei si oppone. Si crea un’infinità di nemici, soprattutto internazionali. Esplode lo scandalo di Villa Giulia grazie al suo acerrimo rivale, il collega archeologo Wolfgang Helbig. E Barnabei è costretto a dimettersi. L’accusa? Che il suo museo non rispecchia le regole scientifiche, che i corredi sono rimescolati. Nulla di più falso. Qualche confusione c’è, è vero, ma è dovuta al problema di gestire tanti impegni. Barnabei lascia il museo di Villa Giulia, il suo Papa Giulio tanto amato, ma inizia una nuova avventura in politica.

La biga etrusca di Monteleone di Spoleto trafugata dall’Italia 120 anni fa e ora esposta al Met di New York come Golden Chariot (foto etru)
“Barnabei viene eletto parlamentare nel collegio di Teramo, e lì attraverso una lenta azione, lavorando ai fianchi i vari ministri di turno e – insomma – i suoi colleghi dell’amministrazione, arriva a coronare il sogno di avere la prima legge di tutela nazionale nel 1902, a firma del ministro Nunzio Nasi. Non basta, purtroppo. Preziosi gioielli emigrano quello stesso anno: il tesoro di Boscoreale; ancora peggio la biga di Monteleone di Spoleto di cui avete sentito parlare. archeologiavocidalpassato ha dedicato molto spazio al film “L’anello di Grace” che è stato premiato all’archeofilm festival di Firenze (vedi Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, nell’ambito della Festa etrusca, anteprima esclusiva del documentario “L’anello di Grace” che svela tutti i segreti (editi e inediti) del celeberrimo “Golden Chariot”, trafugato 120 anni fa e oggi al Met. Ecco il programma della due giorni “etrusca”: rievocazioni, incontri e tavole rotonde, visite guidate | archeologiavocidalpassato; Roma. In occasione dell’apertura serale del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, doppia proiezione a grande richiesta del film “L’anello di Grace” di Dario Prosperini sul trafugamento della Biga di Monteleone di Spoleto, trovata 120 anni fa, e oggi esposta al Met di New York nota come Golden Chariot | archeologiavocidalpassato; Firenze. Il film “L’anello di Grace” ha vinto il premio Firenze Archeofilm assegnato dal pubblico. Ecco tutti gli altri premi assegnati ai film presentati nell’edizione 2023 | archeologiavocidalpassato). Ebbene Barnabei l’anno seguente farà un’ulteriore legge, questa a sua firma, per impedire le esportazioni. Bisognerà però aspettare il 1909 l’opera di un suo protetto, Corrado Ricci, naturalmente non l’unico, insieme a Casati ed altri per avere la prima legge che sancisce, nel 1909 appunto, un principio importantissimo che il patrimonio archeologico, il patrimonio culturale è un bene di interesse collettivo e gli interessi privati devono soggiacere sempre all’interesse di tutti di avere una propria storia, conservarla, conoscerla, e trasmetterla.

Alcuni bronzi della collezione archeologica di Felice Barnabei in mostra al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
“Di tutto questo – si avvia alle conclusioni Nizzo – parliamo nella nostra mostra che è curata da Maria Paola Guidobaldi, da me e da Antonietta Simonelli, e che racchiude tanti oggetti mai visti prima, che sono stati donati o prestati eccezionalmente dagli eredi di Felice Barnabei al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia per cui vedrete tante sue cose personali, disegni giovanili, foto, taccuini, appunti, tutto quello che era stato in parte valorizzato da Filippo Del Pino e la figlia di Barnabei, Margherita Barnabei, in un poderoso volume del 1991 che è un punto di riferimento per chi vuole ricostruire la storia dell’archeologia alle sue radici.

Il direttore Valentino Nizzo davanti al sarcofago degli Sposi con un gruppo di studenti in visita al museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma (foto etru)
“E di questo parla la nostra mostra. Parla di un uomo, delle sue aspettative, dei suoi sogni, della sua vita, della sua fortuna, dei suoi insuccessi, ma non trascura il lato umano, quello familiare, di chi proveniva da una famiglia umile di ceramisti che avevano la loro bottega a Castelli e che è diventato uno dei più importanti uomini nel settore dei Beni culturali, come oggi li chiamiamo. Quindi vi invitiamo a vedere questa mostra fatta davvero con amore e in cui il materiale archeologico non è altro che quello del museo di Villa Giulia che è frutto molto dell’opera di Felice Barnabei a partire da quel sarcofago degli Sposi che lui riuscì a evitare facesse la fine del suo omologo oggi al Louvre, grazie a un’intuizione, grazie alla sua sensibilità per la ceramica – da artigiano anch’egli – che lo ha portato quindi a realizzare il tempio di Alatri e intuire l’importanza del sarcofago degli Sposi, e a fare l’archeologia come mai nessuno l’aveva fatta prima anche nelle sale di un museo, il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia che vi aspetta fino al 9 luglio per raccontarvi la grande storia del nostro fondatore”.
Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma: nei venerdì di ottobre apertura straordinaria di Villa Poniatowski con il nuovo allestimento delle tombe Barberini e Bernardini di Palestrina, due tra i più importanti corredi principeschi del periodo Orientalizzante

La “prova generale” durante le Giornate europee del Patrimonio il 24 e 25 settembre 2021 al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma: l’apertura al pubblico di Villa Poniatowski con il nuovo allestimento delle tombe Barberini e Bernardini di Palestrina, due tra i più importanti corredi principeschi del periodo Orientalizzante, risalenti all’inizio del VII secolo a.C., di nuovo esposti dopo otto anni chiusi alle visite. Villa Poniatowski riapre straordinariamente al pubblico tutti i venerdì di ottobre 2021, dalle 10 alle 14 e dalle 15 alle 18. Ingresso contingentato per motivi di sicurezza a cura del personale in servizio. Il biglietto si acquista nella sede di Villa Giulia e dà accesso a tutte le collezioni e alle mostre temporanee in corso.

Ciascun corredo è composto da decine di oggetti di inestimabile valore e da alcuni capolavori assoluti dell’oreficeria, della bronzistica e della scultura in avorio di questo periodo. Materiali provenienti dal vicino Oriente e dall’Egitto figuravano insieme a gioielli e vasellame di produzione etrusca, rendendo i “principi” che li indossavano e li utilizzavano simili ai monarchi più influenti del Mediterraneo orientale. Questa è una peculiarità del periodo Orientalizzante ed è manifestata ad altissimo livello dalle due sepolture prenestine che, pur provenendo da un’area culturale di influenza latina, beneficiavano del controllo delle vie di transito e delle risorse ad esse connesse per rappresentarsi al massimo livello di sfarzo possibile come e anche in modo più esuberante dei loro vicini Etruschi sull’opposta sponda del fiume Tevere. Il progetto dell’attuale allestimento è dell’architetto Andrea Mandara con la collaborazione di Claudia Pescatori (Studio di Architettura, Roma), il progetto grafico è di Francesca Pavese, l’organizzazione generale di Electa; il progetto scientifico è stato curato da Antonietta Simonelli, funzionario archeologo del museo di Villa Giulia e curatore della sezione museale di Villa Poniatowski, con la supervisione del direttore Valentino Nizzo. L’allestimento è stato realizzato dal personale del Museo coordinato dalla funzionaria restauratrice Miriam Lamonaca supportata dalla collega Irene Cristofari.

La Tomba Barberini. Nel 1855 nel fondo della Colombella, che insisteva sull’area di necropoli dell’antica Praeneste (attuale Palestrina), viene riportata alla luce la Tomba Barberini, fondamentale testimonianza del periodo Orientalizzante nel Latium vetus e, più in generale, uno dei contesti più rappresentativi di una fase storica e artistica profondamente influenzata dai contatti tra Oriente e Occidente, mediati, tra gli altri, dai Greci e dai Fenici. Insieme con altre centinaia di oggetti di scavo, il contesto della Tomba Barberini, attraverso l’omonima collezione della celebre nobile famiglia romana, viene acquisito dallo Stato italiano nel 1908 per 350mila lire e, grazie all’interessamento dell’allora direttore Angelo Maria Colini, viene destinato al museo di Villa Giulia, nato nel 1889 e subito divenuto un punto di riferimento nel panorama museografico romano.

Presentando la Collezione nel Bollettino d’Arte del 1909 Alessandro Della Seta nota come nello scavo della Tomba Barberini non si fosse prestata alcuna attenzione al contesto e che una ricostruzione del corredo era stata possibile solo a posteriori mettendo insieme le prime notizie sul rinvenimento, individuando affinità stilistiche tra gruppi di oggetti e ricorrendo al confronto con le associazioni già riscontrate nella Tomba Bernardini (675-650 a.C.). E infatti nel nuovo allestimento, appena inaugurato a settembre 2021, il posizionamento del corredo della Tomba Barberini segue per analogia quello dell’altra tomba prenestina. Intorno alla sagoma del defunto trovano posto gli ornamenti personali in oro, come la meravigliosa piastra decorata con piccole figure di animali reali e fantastici eseguiti a sbalzo e a granulazione, lo spillone dalla testa d’argento a forma di bocciolo di fiore e la fibula a “drago”.


Coppa (kotyle) di bronzo a doppia parete dal corredo della Tomba Barberini di Palestrina esposta a villa Poniatowski (foto etru)
Tra gli oggetti d’avorio già Della Seta dava grande rilievo, accanto ai calici su alto piede, al corno musicale (?) decorato con incisioni e incrostazioni di ambra e ai tre sorprendenti avambracci lavorati a intaglio con fregi di animali e terminanti a forma di mano, interpretati come manici di specchi o di ventagli. L’altissimo rango sociale del personaggio, a cui doveva essere appartenuto il corredo, è evidenziato dalla ricca dotazione di oggetti per il banchetto sia in bronzo, come il cratere con teste di grifo su alto sostegno, le brocche e le coppe, sia in argento dorato, come le coppe a due manici (kotylai) e la coppa “fenicia”; ma ancor di più ne sottolineano la funzione regale e sacerdotale nell’ambito della comunità di riferimento il trono di lamina di bronzo e gli oggetti legati alla cottura delle carni e alla celebrazione di sacrifici, come l’ascia, il coltello, i bacini, le patere baccellate, il carrello per offerte.

La Tomba Bernardini, scoperta nel febbraio del 1876, prende il nome dai fratelli che ne finanziarono lo scavo nel territorio dell’antica Praeneste (attuale Palestrina). Il suo corredo, originariamente esposto nel museo Kircheriano e poi in quello preistorico-etnografico “Luigi Pigorini”, venne infine dal 1960 trasferito nel museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, dove oggi è conservato nell’adiacente Villa Poniatowski. L’unico oggetto rimasto nella sezione preistorica dell’odierno museo delle Civiltà, erede del “Pigorini”, è la celebre fibula prenestina, con la più antica iscrizione latina fino ad oggi nota. Considerata fino a pochi anni fa un falso e oggi finalmente riabilitata dalla critica grazie ad approfondite indagini archeometriche, la fibula era riemersa diversi anni dopo la scavo della Tomba Bernardini, in circostanze sospette che avevano fatto dubitare della sua autenticità e della sua appartenenza al celebre corredo prenestino, cui invece diverse testimonianze la attribuivano.

La tomba era a pseudocamera consistente in una fossa rettangolare irregolare (m 5,45×3,82/3,92) orientata E-O e profonda ca 1,70 m; le pareti erano rivestite da filari di blocchi di tufo con copertura a lastroni di calcare e travertino; sul fondo vi era un incavo lungo circa 2 metri presso il lato Sud. La disposizione del corredo è nota grazie al sopralluogo effettuato dopo la scoperta dal celebre archeologo tedesco Wolfgang Helbig e alla pubblicazione che ne seguì. Gli ornamenti personali in oro e in argento, come la piastra, la fibula, i fermagli, le frange, da immaginarsi sul petto e sulle spalle quale parte integrante dell’abbigliamento, si concentravano nella zona Est dell’incavo, confermando sia il luogo della deposizione del corpo, già suggerito dal ritrovamento di ossa umane, poi gettate via, che il suo orientamento.

Sull’orlo della fossa verso Sud trovavano posto le armi (lance di ferro, spada d’argento e spada di ferro), mentre nella parte opposta vi erano i finali di bronzo, pertinenti con ogni probabilità a un carro. Sulla parete Sud erano appesi i tre scudi, mentre lungo quella Est vennero ritrovati il grande calderone di bronzo a protomi di grifo, con all’interno una coppa di bronzo e il suo sostegno. Tutti questi oggetti raccolti nella zona Est della tomba, a cui si possono unire le due falere d’argento rivestite di lamina d’oro, pertinenti la bardatura di un cavallo, sono segni distintivi del ruolo sociale del defunto quale principe guerriero.


Lebete d’argento con coperchio a colino, attingitoio e coppa dal corredo della Tomba Bernardini esposti a Villa Poniatowski (foto etru)

Coppa di vetro blu dal corredo della Tomba Bernardini esposta a Villa Poniatowski (foto etru)

Coppa “fenicia” d’argento dorato con fregi di tori e cavalli dal corredo della Tomba Bernardini esposta a Villa Poniatowski (foto etru)
Nella zona Ovest della tomba trovano posto, invece, gli oggetti da ricondursi al banchetto e all’offerta, rappresentativi della condizione socio-economica del defunto, come la coppa (kotyle) d’oro, il calderone a teste di serpenti, le coppe “fenicie” in argento dorato, il lebete con coperchio a colino e attingitoio d’argento, la coppa di vetro blu, gli avori per il rivestimento di scatole o mobili, tra cui risalta il frammento con scena nilotica, il tripode con statuette maschili e cani affacciati sull’orlo; rientrano in questa tipologia di oggetti anche le coppe d’argento appartenenti a un servizio potorio destinato al consumo del vino insieme con la grattugia, mentre il calderone di bronzo con gli spiedi e gli alari sono da collegarsi alla cottura e alla distribuzione delle carni, appannaggio esclusivo degli esponenti dell’aristocrazia. Per tecniche esecutive, tipologica e decorazioni gli oggetti del corredo trovano stringenti confronti con materiali provenienti da Fenicia, Siria, ma anche Grecia insulare e orientale, rappresentando nel loro complesso uno degli esempi più significativi dell’Orientalizzante Antico nell’Italia centrale, dove a oggetti di importazione se ne affiancano altri fabbricati in Italia da artigiani immigrati, che propongono ai nuovi signori un repertorio figurativo diffuso nelle corti del Vicino Oriente segno di prestigio e regalità. La cronologia dei materiali oscilla tra la fine dell’VIII e il secondo quarto del VII secolo a. C. e, grazie a oggetti datanti come la kotyle d’oro, la tomba può essere riferita al 675- 660 a.C.
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Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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