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Archeologia in lutto. È morto a 89 anni il professor Erik Hornung, uno degli ultimi grandi egittologi del Novecento, specialista straordinario della storia e della religione egizia. Suo il grande studio sul Libro dell’Amduat

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Il prof. Erik Hornung, egittologo

Lutto nel mondo dell’archeologia. Lunedì 11 luglio 2022, all’età di 89 anni, si è spento l’egittologo lettone Erik Hornung, uno dei più importanti studiosi moderni di religione egizia, professore emerito dell’università di Basilea. È proprio il settore Egittologia dell’università di Basilea a darne notizia. “Abbiamo il triste dovere di annunciare che il professor Erik Hornung (1933-2022) è deceduto l’11 luglio”, scrive l’ateneo elvetico nel necrologio. “Erik Hornung è stato professore di Egittologia all’università di Basilea dal 1967 al 1998. Era uno specialista straordinario della storia e della religione egizia. Per molti anni della sua carriera si è dedicato in particolare all’edizione sinottica, all’analisi e alla traduzione dei libri dell’aldilà nelle tombe della Valle dei Re. Nel corso degli oltre 30 anni trascorsi all’università di Basilea, ha dato un notevole contributo alla specializzazione in Egitto, formando diverse generazioni di studenti e di dottorati. Erik Hornung sarà ricordato come uno scienziato estremamente stimolante e produttivo, un insegnante di talento, un collega e un amico”. Al dolore dei famigliari e dei colleghi per la perdita di Erik Hornung si unisce il museo Egizio di Torino.

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Copertina del libro “The Egyptian Amduat”, nell’edizione 2010, di Erik Hornung e Theodor Abt nella traduzione di David Warburton

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Il prof. Erik Hornung, egittologo

Hornung era nato a Riga (Lettonia) nel 1933 e si era laureato all’università di Tubinga nel 1956. Professore di Egittologia all’università di Basilea dal 1967 al 1998, il suo principale campo di ricerca fu quello della letteratura funeraria, in particolare della Valle dei Re. Vice presidente della Società degli Amici delle Tombe Regali d’Egitto dal 1988, dal 2000 è stato anche Corresponding Fellow della British Academy nella sezione di Africa, Asia e Medio Oriente. Il professor Hornung è stato tra i maggiori esperti di letteratura religiosa e religioso-funeraria egiziana. Sua è la prima pubblicazione del Libro dell’Amduat, guida per l’aldilà egiziano, diviso in tre volumi (voll. I-II, 1963 – vol. III, 1967), di cui nel 2010 è uscita un’edizione in unico volume in inglese tradotta da David Warburton con la collaborazione di Theodor Abt, membro del consiglio di amministrazione del Centro di Ricerca e Formazione per la Psicologia dell’Inconscio secondo C.G. Jung e M.-L. von Franz (Zurigo). Insieme ad Abt, la cui ricerca è incentrata sulla relazione tra il mondo esterno e i bisogni dell’inconscio, escono anche i volumi La conoscenza per l’Aldilà. L’Amduat egiziano – Una ricerca per l’immortalità, e Il Libro delle Porte.

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Dall’album dei ricordi. Da sinistra, Maurizio Zulian, Graziano Tavan, Paolo Renier, Erik Hornung e Theodor Abt a Zurigo

Ho avuto l’onore di conoscere il professor Erik Hornung una quindicina di anni fa in un indimenticabile incontro a Zurigo a casa di Theodor Abt. Accompagnavo due amici grandi esperti e innamorati dell’Antico Egitto: Maurizio Zulian, conservatore onorario per la sezione Scienze naturali e Archeologia in immagini della Fondazione Museo Civico di Rovereto, e Paolo Renier, ideatore e promotore del Progetto Abydos: proprio loro avevano combinato l’incontro per un confronto e un approfondimento su alcuni temi della civiltà dei faraoni. “Abbiamo perso uno degli ultimi grandi egittologi del Novecento, che ci lascia contributi ancora oggi fondamentali e imprescindibili”, il commento di Maurizio Zulian alla notizia della morte del professor Hornung.

La collezione di papiri del museo Egizio di Torino, 700 completi e oltre 17mila frammenti, è ora online grazie alla piattaforma “TTOP. Turin Papyrus Online Platform” aperta a studiosi e appassionati

Uno dei preziosi papiri da Deir el Medina conservati nella collezione papirologica del museo Egizio di Torino (foto museo Egizio Torino)

Papiro da Deir el Medina conservato nella collezione papirologica del museo Egizio di Torino (foto museo Egizio Torino)

È una delle collezioni di papiri più significative a livello mondiale quella custodita dal museo Egizio di Torino con quasi 700 manoscritti completi (interi o ricomposti) e oltre 17mila frammenti di papiro. Circa la metà di questi testi sono scritti in egiziano (nella scrittura corsivo-geroglifica o ieratica), mentre il resto è scritto in demotico, greco, copto o arabo. I manoscritti spaziano da contenuti documentari (ad es. amministrazione di necropoli e templi, testi giuridici) a quelli letterari, rituali, religiosi, magici e funerari (ad es. il Libro dei morti). Solo una piccola parte della collezione trova spazio lungo il percorso espositivo, mentre la maggior parte di essi è custodita nella “papiroteca” del museo, il deposito in cui vengono archiviati e conservati gli antichi scritti. Da oggi questo patrimonio inestimabile, in larga parte non visibile né noto al pubblico, non sarà più “chiuso” nelle mura dell’istituzione torinese, riservato a pochi studiosi, perché i papiri del museo Egizio di Torino approdano sul web grazie alla piattaforma online open data “TPOP – Turin Papyrus Online Platform” che rende accessibili i reperti digitalizzati della collezione papirologica torinese con l’obiettivo, in particolare, di consentirne liberamente lo studio alla comunità scientifica, oltreché di garantirne una migliore conservazione e valorizzazione. “TPOP – Turin Papyrus Online Platform” rappresenta un progetto strategico per il Museo, che permetterà di implementare la conoscenza sulla propria collezione di papiri e, inoltre, si propone di diventare in prospettiva un punto di riferimento per gli egittologi di tutto il mondo, nonché un luogo virtuale di ricerca, condivisione e confronto, in particolare per quanto riguarda l’attività di studio sui frammenti, anche nell’ottica di contribuire a ricomporre documenti finora divisi in porzioni di ogni dimensione.

Una pagina della nuova piattaforma online Tpop Turin Papyrus Online Platform per l’accesso alla collezione papirologica del museo Egizio di Torino n(foto museo Egizio Torino)

Il sito che rende disponibile la piattaforma (https://collezionepapiri.museoegizio.it/), al momento in lingua inglese e prossimamente disponibile anche in italiano, si sviluppa attorno a un database che attualmente conta 230 papiri, la cui totalità è a disposizione degli utenti professionali e di coloro che si registrano sul portale, mentre 50 di essi sono liberamente “navigabili” da chiunque. È comunque in corso una costante attività di implementazione che renderà sempre più ricco questo eccezionale catalogo digitale, le cui schede, oltre all’immagine fotografica ingrandibile di entrambe le facciate di ciascun papiro, propongono la trascrizione dei contenuti e la loro traslitterazione in caratteri geroglifici, le informazioni sul reperto e la sua storia. Inoltre specifiche sezioni del sito consentono anche di scoprire l’attività di ricerca che si sta compiendo attraverso l’applicazione delle nuove tecnologie su questi antichi manoscritti. La maggior parte dei testi presenti sono in ieratico (la forma di scrittura dell’antico Egitto più utilizzata nel quotidiano), e appartengono al gruppo di papiri legati al sito archeologico di Deir el-Medina.

Susanne Töpfer, responsabile della collezione papirologica del museo Egizio di Torino

Il numero dei reperti disponibili online è in continua crescita: il progetto TPOP, infatti, avviato e sostenuto fortemente dal Museo, è sviluppato con un lavoro quotidiano e continuativo a cura dei ricercatori del Museo – e in particolare della responsabile della collezione papiri, Susanne Töpfer – e con l’apporto di una comunità accademica internazionale. Ecco perché il database è stato realizzato in lingua inglese, ma in futuro, e in particolare le traduzioni dei testi, saranno disponibili anche in altre lingue. Tra le iniziative che vedono protagonista la collezione papiri vale la pena di citare inoltre il progetto internazionale “Crossing Boundaries” che, oltre al Museo, coinvolge le università di Basilea e Liegi: tale programma, che ha l’obiettivo di approfondire lo studio dei papiri di epoca Ramesside (1292 – 1076 a.C. circa) del sito di Deir el-Medina presenti nella collezione torinese, ha garantito un sostegno economico al Museo che, in particolare, permette di impiegare un restauratore che si occupa della conservazione e del consolidamento dei papiri ramessidi. Molti frammenti devono infatti essere puliti, distesi e stabilizzati per migliorare (o semplicemente permettere) la leggibilità e per consentire la loro riproduzione fotografica, e il successivo inserimento nel database digitale.

Christian Greco, direttore dell’Egizio di Torino

“La messa online di TPOP, Turin Papyrus Online Platform, è un risultato importante, che permetterà di rendere visibile a tutti una delle parti fondamentali della ricerca del museo Egizio”, dichiara Christian Greco, direttore del museo Egizio. “In questi anni abbiamo infatti dedicato una grande attenzione ai papiri: con la piattaforma d’ora in poi studiosi, studenti, ma anche appassionati e curiosi, potranno trovare numerose e preziose informazioni che riguardano una delle documentazioni più importanti che si sono preservate dall’antico Egitto. Sarà così possibile costruire, e in alcuni casi rafforzare, la rete di accademici che studiano sulla nostra collezione papirologica, e allo stesso tempo permettere a tutti di scoprire tesori inediti custoditi nel Museo. Un’ulteriore testimonianza del forte impegno a fare della ricerca sulla cultura materiale, sulla biografia degli oggetti e sulla ricerca filologica, la spina dorsale di questa istituzione”.

Nella Valle dei Re in Egitto scoperta una tomba con almeno 50 mummie della famiglia reale di faraoni della XVIII dinastia

L'ammasso di mummie appartenenti a membri della famiglia reale ritrovate in una tomba della Valle dei re

L’ammasso di mummie appartenenti a membri della famiglia reale ritrovate in una tomba della Valle dei re dalla missione dell’università di Basilea

La XVIII dinastia, quella dei faraoni famosi come i Thutmosi, Hatshepsut, gli Amenofi, Akhenaton, Tutankhamon, ha ancora qualche segreto da svelare. Anzi, addirittura la super studiata Valle dei Re è ancora in grado di sorprenderci! Non molto distante dalla tomba di Tutankhamon, nella zona nord-ovest della Valle dei Re, nella provincia di Luxor, nel sud dell’Egitto, una missione dell’università svizzera di Basilea diretta da Susanne Bickel insieme a archeologi egiziani ha scoperto una grande tomba rupestre che si è rivelata un’immensa necropoli con almeno 50 mummie o resti di mummie, alcune delle quali bene conservate. E non mummie qualsiasi, ma appartenenti a membri della famiglia reale della XVIII dinastia (1590-1292 a.C.).  Ad annunciare la straordinaria scoperta è stato il ministero delle Antichità egiziane: “La cachette (nascondiglio) contiene i resti di mummie che con tutta probabilità potrebbero appartenere ai membri della famiglia regnante della XVIII dinastia”, precisa il ministro Mohamed Ibrahim. Quindi il ritrovamento potrebbe fornire informazioni preziose sulla XVIII dinastia del Nuovo Regno e in particolare sui figli dei re Thutmosi IV (1402 – 1394 a.C.) e Amenofi III (1394 – 1356 a.C.).

Il faraone Thutmosi IV della XVIII dinastia

Il faraone Thutmosi IV della XVIII dinastia

La Stele del Sogno di Thutmosi IV trovata tra le zampe della Grande Sfinge di Giza

La Stele del Sogno di Thutmosi IV trovata tra le zampe della Grande Sfinge di Giza

Thutmosi IV non era il figlio maggiore di Amenofi II; non sappiamo come giunse al potere e se la successione fu traumatica. Come il suo predecessore ebbe un regno tranquillo e fece due sole campagne militari, una in Sudan e l’altra in Asia; quest’ultima fu più che altro un’ispezione, anche perché la situazione era molto cambiata e il pericolo ittita aveva spinto gli antichi nemici dell’Egitto, come Mitanni, a cercarne l’appoggio. Tra questi due paesi fu stretta un’alleanza e, per suggellarla, Thutmosi sposò una principessa mitanna a cui suo figlio, Amenofi III, deve il suo sangue indoeuropeo. Una stele del primo anno di regno di Thutmosi IV riferisce che, mentre ancor giovanetto si trovava a caccia nei pressi della Grande Sfinge di Giza, gli apparve in sogno Harmakhe (Harmachis) il dio solare impersonante la sovranità, che gli promise il regno; in cambio egli avrebbe dovuto liberare il dio dalle sabbie che lo ricoprivano, e certo il resto dell’iscrizione, andato perduto, narrava come egli portò a termine il compito. Tranne questo immaginoso racconto, c’è poco da dire sul regno di Thutmosi IV; non si deve, comunque, dimenticare che fu lui a far erigere il maggiore degli obelischi egizi, alto circa trentadue metri, che ora si trova a Roma davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano; questo obelisco era rimasto per anni trascurato e steso al suolo a Karnak, finché Thutmosi IV non ne decise l’erezione.

Il faraone Amenofi III della XVIII dinastia

Il faraone Amenofi III della XVIII dinastia

Amenofis III, che successe naturalmente a suo padre, è noto come il “re Sole” dell’Egitto, appellativo che gli deriva da motivi diversi. Tra i suoi soprannomi ci fu quello di “disco splendente del Sole”, ma furono soprattutto lo splendore della corte di cui si circondò e la grandezza dei suoi monumenti a suggerirne l’assimilazione con Luigi XIV il più noto “re Sole” della storia. In particolare la città di Tebe, dove il sovrano trasferì la sua residenza nel ventinovesimo anno del regno, si abbellì di splendide costruzioni che ne fecero il centro più prestigioso del Paese. Qui i numerosi palazzi reali si affiancarono alle dimore sontuose dei funzionari, ricche di nuovi e raffinati oggetti d’arredo, impreziosite dai fregi architettonici e ornate di verdi giardini che, con gusto importato dall’Oriente, divennero parte essenziale delle architetture. Il periodo del regno di Amenofi III fu improntato a grande tranquillità sia interna sia esterna. Qualche tentativo di ribellione fu domato, ma l’Egitto visse in pace con i potenti vicini che il sovrano, forse sottovalutandone le potenzialità offensive, era solito definire “fratelli”. Quasi tutte le energie furono piuttosto impiegate nella realizzazione di opere civili, tra cui spicca il celeberrimo tempio di Amon a Luxor, frutto dell’iniziativa congiunta del re e del suo omonimo architetto. Sovrano di un Paese al suo apogeo politico ed economico, Amenofi III forse confidò eccessivamente nella diplomazia (per rafforzare il legame con il popolo dei Mitanni prese come moglie secondaria una principessa asiatica), ma non si rese conto che l’assenza di campagne militari indeboliva i legami di obbedienza verso l’Egitto dei potenti vicini e non avvertì che, a causa dell’indebolimento del controllo, l’influenza ittita si andava imponendo sull’Asia Minore. Del suo tempio funerario non sono rimaste che le due imponenti statue originariamente poste a guardia dell’ingresso, i celebri colossi di Memnone.

Le mummie della famiglia reale della XVIII dinastia trovate nella tomba KV40 della Valle dei Re

Le mummie della famiglia reale della XVIII dinastia trovate nella tomba KV40 della Valle dei Re

E ora la scoperta delle mummie. I corpi, alcuni dei quali ben conservati, ritrovati dagli archeologi di Basilea, comprendono anche mummie di bambini, sarcofagi lignei, maschere funerarie in cartonnage, numerosi oggetti di corredo, e vasi canopi, che dovevano contenere le viscere dei defunti. I canopi avevano come coperchio la testa delle divinità protettrici e proprio nella XVIII dinastia, durante il Nuovo Regno, questa forma di iconografia aveva avuto un forte sviluppo. Tutti i canopi recano liscrizione di circa 30 nomi di principi e principesse a noi ancora sconosciuti. Da uno studio preliminare di queste iscrizioni in ieratico sulle ceramiche, i nomi e i titoli emersi di circa 30 defunti erano probabilmente quelli delle principesse della corte di Thutmosi IV e Amenofi III.

L'egittologa Susanne Bickel dell'università di Basilea responsabile missione nella Valle dei Re

L’egittologa Susanne Bickel dell’università di Basilea responsabile missione nella Valle dei Re

Secondo la direttrice della missione svizzera Susanne Bickel la tomba potrebbe far parte della KV40, di cui non si sapeva niente finora. La sepoltura, usata per decenni, dovrebbe appartenere a oltre 50 membri delle famiglie reali di Thutmosi IV e Amenofi III. “Si tratta di un pozzo funerario profondo 6 metri – spiega Bickel – che porta a 5 camere sotterranee, tra le quali quella centrale e tre laterali conservano le mummie. Le pareti presentano chiari segni d’incendio, forse provocato dalle torce dei tombaroli che, molto spesso, preferivano bruciare i corpi imbalsamati per arrivare prima agli amuleti”. Dalla lettura dei testi sulle ceramiche, emergono titoli quali «principe» e «principessa»: 8 almeno sono i nomi di principesse reali sconosciute (come Taemwadjes e Neferunebu), 4 principi e numerose spose straniere e bambini. La tomba è stata poi riutilizzata in un secondo momento nel IX sec. a.C.