Roma. Alle Scuderie del Quirinale ultimi giorni per la mostra “ARTE LIBERATA 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra”: oltre cento capolavori salvati durante la Seconda Guerra Mondiale grazie all’azione lungimirante di tanti Soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti. Incontro a Milano

Il cerbiatto in bronzo dalla Villa dei Papiri di Ercolano, oggi al museo Archeiologico nazionale di Napoli. E, dietro, il cerbiatto con Hitler e Goering (foto scuderie del quirinale)
Camminando nelle sale delle Scuderie del Quirinale fino al 10 aprile 2023 ci si può imbattere in un cerbiatto dalla Villa dei Papiri di Ercolano (oggi al museo Archeologico nazionale di Napoli), nel Discobolo Lancellotti (a Palazzo Massimo alle Terme a Roma), in vasi in alabastro o in terracotta o ancora in una statuina in calcare (tutti al museo Egizio di Torino); o ancora nel famoso Ermes a riposo (capolavoro al Mann) come l’inconfondibile statua di peplophores/Danzatrice dalla Villa dei Papiri di Ercolano (Mann). E poi l’iscrizione votiva della Vittoria N.I. 8753 dal tempio G di Selinunte (oggi al museo Archeologico regionale Salinas di Palermo), o i ritratti di Tiberio e di Druso minore (conservati alla Sabap di Caserta). Che cos’hanno in comune questi capolavori per vedere i quali si dovrebbe fare il giro dell’Italia? Sono tutti stati salvati dalle bombe e dai saccheggi della Seconda Guerra Mondiale.

Locandina della mostra “Arte liberata 1937-1947” alle Scuderie del Quirinale dal 16 dicembre 2022 al 10 aprile 2023
E appunto fino al 10 aprile 2023, alle Scuderie del Quirinale a Roma, si possono ammirare con un centinaio di opere nella mostra “ARTE LIBERATA 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra”, curata da Luigi Gallo e Raffaella Morselli ed organizzata dalle stesse Scuderie in collaborazione con la Galleria Nazionale delle Marche, l’ICCD – Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione e l’Archivio Luce – Cinecittà. La mostra offre una selezione di oltre cento capolavori salvati durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre che un ampio panorama documentario, fotografico e sonoro – riuniti grazie alla collaborazione di ben quaranta Musei ed Istituti – per un racconto avvincente ed emozionante di un momento drammatico per il nostro Paese ma altrettanto lungimirante e fondativo per una nuova coscienza civica. Un omaggio doveroso alle donne e agli uomini che, nella drammatica contingenza bellica, hanno interpretato la propria professione all’insegna di un interesse comune, coscienti dell’universalità del patrimonio da salvare.

Sacchi di sabbia a protezione dei monumenti (foto scuderie del quirinale)
Distruzioni e razzie di monumenti e opere d’arte fanno parte da sempre delle manovre belliche; la Seconda Guerra Mondiale va considerata, tuttavia, come un momento imprescindibile della moderna riflessione sulla tutela dei beni culturali, con un nuovo approccio ai temi del restauro e della museografia che seguì agli esiti drammatici del conflitto. Dall’esperienza di quegli storici dell’arte nacque un nuovo modo di intendere la tutela e la valorizzazione dei Beni Culturali, a partire dalla fondazione dell’attuale Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Non solo, nel secondo dopoguerra, la museografia italiana avviò una delle stagioni più prolifiche per la valorizzazione e la divulgazione del capitale culturale del Paese: i musei italiani divennero il campo di sperimentazione di una didattica permanente rivolta a tutti i cittadini, luoghi della coscienza civica in rapporto con il territorio.

Personale della pubblica amministrazione nel salvataggio delle opere d’arte (foto scuderie del quirinale)
Al centro del progetto espositivo l’azione lungimirante di tanti Soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti – spesso messi forzatamente a riposo dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò – che, coadiuvati da storici dell’arte e rappresentanti delle gerarchie vaticane, si resero interpreti di una grande impresa di salvaguardia del patrimonio artistico-culturale. Fra questi si annoverano Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Emilio Lavagnino, Vincenzo Moschini, Pasquale Rotondi, Fernanda Wittgens, Noemi Gabrielli, Aldo de Rinaldis, Bruno Molajoli, Francesco Arcangeli, Jole Bovio e Rodolfo Siviero, agente segreto e futuro ministro plenipotenziario incaricato delle restituzioni: persone che, senza armi e con mezzi limitati, presero coscienza della minaccia che incombeva sulle opere d’arte, schierandosi in prima linea per evitarla, consapevoli del valore educativo, identitario e comunitario dell’arte.

Il Discobolo Lancellotti finito in Germania per le mire collezionistiche di Hitler e Goering (foto scuderie del quirinale)
Storie avvincenti, dunque, dall’alto valore civile, che si dipanano in mostra attraverso tre principali filoni narrativi. Il primo – Le esportazioni forzate e il mercato dell’arte – si riferisce all’alterazione subita dal mercato dell’arte all’indomani della stipulazione dell’asse Roma-Berlino (1936); per assecondare le brame collezionistiche di Adolf Hitler ed Hermann Göring, i gerarchi fascisti favorirono il permesso di cessione di importanti opere d’arte, anche sotto vincolo, come il Discobolo Lancellotti (vincolato dal 1909), copia romana del celebre bronzo di Mirone – fra le opere di spicco della rassegna – o i capolavori della collezione Contini Bonacossi di Firenze.

1943, non c’è più tempo: si salva quanto più possibile (foto scuderie del quirinale)
Il racconto afferente al secondo nucleo – Spostamenti e ricoveri – trova principio nel 1939, quando, con l’invasione della Polonia da parte di Hitler, il ministro dell’educazione Giuseppe Bottai mise in atto le operazioni di messa in sicurezza del patrimonio culturale, con la conseguente elaborazione del piano per lo spostamento delle opere d’arte. Da qui si dipanano molte storie: i rapporti tra i sovrintendenti italiani e il Vaticano, l’impegno dei singoli funzionari per inventariare e nascondere i beni culturali nel Lazio, in Toscana, a Napoli, in Emilia e nel Nord Italia, l’impegno fondamentale di curatrici donne, quali Fernanda Wittgens, Palma Bucarelli, Noemi Gabrielli, Jole Bovio ed altre, nonché la razzia della Biblioteca Ebraica di Roma. Tra le figure-chiave di questa sezione figura Pasquale Rotondi, il giovane soprintendente delle Marche che fu incaricato di approntare un deposito nazionale e mise in salvo nei depositi di Sassocorvaro e Carpegna capolavori provenienti da Venezia, Milano, Urbino e Roma, per un totale di circa diecimila opere sotto la sua custodia. Un caso esemplare nella formazione di un’identità professionale degli storici dell’arte italiani.

La danzatrice dalla villa dei Papiri di Ercolano e l’Ermes a riposo, entrambi oggi al museo Archeologico nazionale di Napoli. Dietro le protezioni adottate al Mann durante la Guerra (foto scuderie del quirinale)
Il terzo ed ultimo filone – La fine del conflitto e le restituzioni – prende in considerazione le missioni per il recupero e la salvaguardia delle opere trafugate al termine della guerra. Ai funzionari italiani si affiancarono gli uomini della “Monuments, Fine Arts, and Archives Program” (MFAA), una task force composta da professionisti dell’arte provenienti da tredici diversi Paesi ed organizzata dagli Alleati durante il secondo conflitto mondiale per proteggere i beni culturali e le opere d’arte nelle zone di guerra. Con la fine della guerra ha inizio l’avventura delle restituzioni dei beni trafugati dai nazisti con oltre seimila opere ritrovate finora.

Allestimento della mostra “Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra” alle Scuderie del Quirinale (foto scuderie del quirinale)
Mercoledì 5 aprile 2023, alla fondazione Luigi Rovati, a Milano, alle 18, incontro dedicato alla mostra “Arte Liberata 1937 – 1947. Capolavori salvati dalla guerra”, in corso alle Scuderie del Quirinale, dedicata ai protagonisti che hanno salvato il patrimonio artistico nazionale durante la Seconda Guerra Mondiale. Ne parleranno il presidente delle Scuderie del Quirinale Mario De Simoni e Anna Mattirolo, insieme a Giovanna Ginex che racconterà, attraverso il tratteggio di alcuni protagonisti, come avvennero le operazioni di salvataggio del patrimonio artistico in quei frangenti bellici che colpirono Milano.
Firenze. A TourismA Sgarbi ricorda commosso l’amico Sebastiano Tusa a un anno dalla sua ultima apparizione pubblica proprio davanti alla platea fiorentina. E rilancia il “suo” progetto della ricostruzione del Tempio G di Selinunte “il modo migliore per ricordare Tusa”

Vittorio Sgarbi commemora la figura di Sebastiano Tusa davanti alla platea di TourismA 2020 (foto Graziano Tavan)

Sebastiano Tusa, 66 anni, archeologo subacqueo di fama internazionale, soprintendente del Mare, assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, morto nel disastro areeo dell’Ethiopian Air LInes
Stesso palco, stessa platea, quella di TourismA, ma stavolta a parlare c’era solo Vittorio Sgarbi chiamato a ricordare il suo amico Sebastiano Tusa che non c’è più. Giusto un anno fa, sabato 23 febbraio 2019, infatti, l’ultimo applauso, quasi una standing ovation, era stato tributato a Sebastiano Tusa proprio dalla competente platea dell’auditorium del Palazzo dei Congressi di Firenze, durante i lavori di Tourisma 2019, il salone internazionale dell’Archeologia e del turismo culturale. L’archeologo subacqueo di fama internazionale, soprintendente del Mare, nella sua nuova veste di assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, solo pochi giorni dopo, il 10 marzo 2019, avrebbe trovato a 66 anni la morte sul Boing 737 dell’Ethiopian Air Lines per Nairobi (Kenia), con tutti gli altri 156 passeggeri, tra cui 7 italiani, precipitato a Bishoftu (Etiopia) sei minuti dopo il decollo dall’aeroporto della capitale Addis Abeba. Tusa, nel suo ultimo intervento pubblico a Firenze, si era confrontato con il presidente del Fai Andrea Carandini, con il critico d’arte Vittorio Sgarbi, cui era subentrato l’11 aprile 2018 nel ruolo di amministratore regionale, e con l’ingegnere di Anas Paolo Mannella, per ragionare sull’opportunità di abbattere il viadotto Morandi di Agrigento (tecnicamente i ponti Akragas 1 e Aktagas 2), chiuso da molti mesi in attesa di urgenti restauri, che deturpa la Valle dei Templi. E due giorni prima, a Milano, aveva presentato ufficialmente la grande mostra di Palazzo Reale dedicata ad Antonello da Messina (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/03/11/archeologia-in-lutto-nel-disastro-aereo-del-boing-737-precipitato-in-etiopia-e-morto-larcheologo-sebastiano-tusa-siciliano-doc-docente-di-paletnologia-e-archeologia-marina-ha-creato-la-so/).
“Per me è come non se ne fosse mai andato”, ha ricordato Sgarbi con una voce che tradiva la commozione. “Mi vedo ancora lì mentre a Palazzo Reale a Milano guardiamo la mostra su Antonello da Messina perdendo poco dopo per sempre i rapporti della nostra vita. Ma vivo è il suo sorriso, il suo pensiero, la sua memoria”. Per Sgarbi parlare di Sebastiano Tusa (“un amico vero, al di là del bellissimo rapporto professionale”) non è facile: “Aveva la mia età, più giovane di me solo di pochi mesi (io in maggio, lui in agosto del 1952). Io fui nominato assessore alla Cultura della Regione Siciliana nel 2018, carica che ho tenuto per quasi 4 mesi. All’epoca Tusa era direttore di alcuni scavi archeologici ed era diventato soprintendente del Mare, e ambiva/aspettava di essere promosso a direttore generale per poter coordinare l’attività di tutte le soprintendenze e i siti archeologici della Sicilia. La sorte ha voluto che, mentre lui pensava alla direzione tecnica, su mia indicazione quando diedi le dimissioni sia stato nominato assessore regionale alla Cultura al posto mio. La morte ci lega: magari, se non avessi dato le dimissioni, su quell’aereo precipitato in Etiopia potrei esserci stato io. Potrebbe essere morto al posto mio”.

Vittorio Sgaarbi sul palco di TourismA 2018 mostra la grande “ruina” del tempio G a Selinunte (foto Graziano Tavan)
C’è un progetto che lega a filo doppio Sgarbi a Tusa: la ricostruzione del Tempio G di Selinunte. “Basterebbero sette mesi per vedere in piedi le prime colonne”, aveva affermato Vittorio Sgarbi, ancora una volta da TourismA, quella del 2018, lanciando in veste di neo assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia il grande progetto di ricostruire per anastilosi il cosiddetto Tempio G, tempio greco di ordine dorico (VI-V sec. a.C.) dedicato agli dei olimpici e alle principali divinità della città di Selinunte (Zeus, Phebo, Apollo, Pasikrateia, Malophoros), che con i suoi quasi 45 metri di larghezza e 109 di lunghezza era uno dei più grandi dell’occidente greco. Quello che si vede oggi sulla collina orientale di Selinunte è invece solo un informe ammasso di rocchi di colonne, più vicino a una ruina dantesca che a una vestigia antica (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/02/17/tourisma-2018-sgarbi-lancia-la-sfida-progetto-ricostruiro-per-anastilosi-il-tempio-g-di-selinunte-il-piu-grande-delloccidente-greco-sara-un-valore-aggiunto-di-bellezza-per-la-sic/). “Tusa – ha ricordato ancora Sgarbi – accettò l’incarico di seguire il progetto – da me proposto – di ricostruire il tempio G di Selinunte. Oggi la sua ricostruzione sarebbe il modo migliore per ricordare Tusa. E quando il Tempio G di Selinunte sarà ricostruito, come io ancora spero, non ci si dimentichi di dedicarlo a Tusa. Oggi purtroppo non si parla più del Tempio G. Questo nostro segno e sogno è senza un titolare responsabile che porti avanti il progetto. E stavolta non per colpa dei negazionisti, ma semplicemente per morte avvenuta”.
È giusto ricostruire per anastilosi il Tempio G di Selinunte? A Venezia allo Iuav Valerio Massimo Manfredi dialoga con Lorenzo Lazzarini del Lama. Nel pomeriggio a Torcello l’archeologo-scrittore presenta il suo ultimo libro con “Aperitivo archeologico”

L’ammasso di rocchi di colonne effetto del crollo del tempio G di Selinunte
Sulla collina orientale di Selinunte oggi si vede solo un informe ammasso di rocchi di colonne, più vicino a una ruina dantesca che a una vestigia antica. È quello che rimane di quello che oggi è noto come Tempio G, tempio greco di ordine dorico (VI-V sec. a.C.) dedicato agli dei olimpici e alle principali divinità della città di Selinunte (Zeus, Phebo, Apollo, Pasikrateia, Malophoros), che con i suoi quasi 55 metri di larghezza e 114 di lunghezza era uno dei più grandi dell’occidente greco, grande come quattro volte il Partenone. Giusto quindi rialzarlo dopo 2500 anni con una ricostruzione per anastilosi, come sostengono molti archeologi, o meglio lasciare i rocchi di colonne là dove sono approfondendo lo studio dei materiali per capire meglio i segreti di questo gigante dell’antichità, come sostengono altri studiosi? Con queste premesse si annuncia particolarmente interessante il dialogo su “Il Tempio di G di Selinunte. Progetto di anastilosi” tra l’archeologo Valerio Massimo Manfredi e il prof. Lorenzo Lazzarini, promosso dall’università Iuav di Venezia (dipartimento di Culture di Progetto, master Mi-Heritage sistemi interattivi e digitali per la restituzione e valorizzazione dei Beni culturali) e l’università Ca’ Foscari di Venezia. L’incontro è previsto alle 9.30, a Venezia a Palazzo Badoer nell’aula Consiglio, ma attenzione sarà lunedì 17 settembre 2018 (e non martedì 18, come inizialmente scritto nelle comunicazioni Iuav). L’ingresso è libero e aperto a tutti, ma i posti a disposizione per assistere al seminario sono limitati.
Il Tempio G di Selinunte – come si diceva – è fra i più grandi santuario del mondo greco, grande come quattro volte il Partenone. È lungo 113,4 metri, 54,5 di larghezza, alto trenta metri. Le colonne quando erano in posizione verticale erano alte 16,27 metri, 3,2 metri di diametro e reggevano capitelli di sedici metri quadri e del peso di 32 tonnellate. La sua costruzione iniziò intorno al 530 a.C. e cessò con la distruzione di Selinunte a opera dei Cartaginesi nel 409 a.C. Al centro aveva un portico colonnato su più piani, che conduceva alla cella che custodiva la statua di culto. Nella cella fu rinvenuta dall’archeologo Cavallari il torso di una figura maschile, probabilmente un “gigante” forse atterrato da Zeus a cui doveva essere dedicato. Il gruppo doveva essere ispirato ad una scena di gigantomachia. Non fu mai completamente rifinito, ma sicuramente coperto e officiato. A poca distanza le cave di Cusa sono l’unico esempio superstite di un cantiere minerario dove ancora si possono vedere rocchi di colonne tagliati e quasi pronti per il trasporto.
Tempio G di Selinunte: ricostruirlo o lasciarlo così com’è? Valerio Massimo Manfredi, archeologo, giornalista e scrittore italiano, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di saggi storici, che ha affiancato con felici esiti l’attività di studio e di ricostruzione storico-archeologica all’esercizio della scrittura letteraria, sul “Tempio G di Selinunte” in realtà a Venezia è già intervenuto. E in tempi recenti. Era il 21 giugno di quest’anno, quando Manfredi ha presentato a Torcello il progetto di ricostruzione per anastilosi del Tempio G di Selinunte (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/06/25/venezia-iuav-col-progetto-mi-heritage-e-ca-foscari-con-torcello-abitata-2018-insieme-per-il-patrimonio-lagunare-a-torcello-da-luglio-a-settembre-scavi-ar/). Ma in quell’occasione, per impegni diversi, non era stato possibile il contradditorio con Lorenzo Lazzarini, già direttore scientifico del LAMA, Laboratorio di Analisi di Materiali Antichi dello Iuav (oggi diretto dal prof. Fabrizio Antonelli), e dal 2009 collabora per le indagini archeometriche con la missione archeologica sull’Acropoli di Selinunte dell’università di New York e della Statale di Milano. Il Lama è una delle eccellenze dello Iuav, conosciuta e richiesta in tutto il mondo, creato nel 1993, per svolgere attività didattica, di ricerca e di servizio per conto terzi nel campo dei materiali lapidei e litoidi usati in antico. Lo straordinario sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha consentito alla scienza progressi prima impensabili, e quindi anche l’acquisizione di una grande massa di dati sui materiali storico-artistici dei beni culturali in generale, dati che sono di rilevante interesse per la caratterizzazione, datazione e conservazione dei beni culturali stessi. Lunedì 17 settembre 2018, alle 9.30, il dialogo tra Manfredi e Lazzarini sarà coordinato dai professori dello Iuav Monica Centanni e Giuseppe D’Acunto.
Doppio appuntamento con Manfredi. Ma per Valerio Massimo Manfredi l’incontro di lunedì mattina a Venezia non sarà l’unico impegno dell’archeologo-scrittore. Nel pomeriggio, alle 17, a Torcello è in programma un “Aperitivo archeologico” nell’area archeologica. L’iniziativa, che rientra nel progetto “Torcello abitata” dell’università Ca’ Foscari in collaborazione con l’università Iuav di Venezia, prevede una breve visita agli scavi, toccando materialmente la ricerca in corso sulle origini dell’abitato lagunare. Subito dopo, presso lo scavo, si discorrerà con ospite, aprendo l’incontro a domande e al dibattito con il pubblico. “L’Aperitivo archeologico” dura un paio di ore, e può ospitare al massimo 35 persone. Perciò è necessaria la prenotazione (via mail: torcelloabitata@gmail.com; via Facebook: http://www.facebook/torcelloabitata; via Sms o WhatsApp: 3922432000). Valerio Massimo Manfredi a Torcello lunedì 17 presenterà il suo ultimo libro “Quinto comandamento” (settembre 2018). In una mattina di febbraio del 2004 un uomo fa irruzione in un ospedale di Imola. Il suo nome è Jean Lautrec. Incurante di sorveglianti e infermieri si precipita nella stanza in cui è sdraiato un uomo sedato e intubato. E un sacerdote, padre Marco Giraldi, che è riuscito a sfuggire ai sicari assoldati dalle multinazionali contro cui si è messo per fermare la distruzione della foresta amazzonica e dei suoi popoli. Ma la sua fuga ha avuto un prezzo. Ora giace nel letto, avvelenato e tenuto in vita dalle macchine. Ha continuato a combattere la causa dei deboli, a dare speranza a chi non ne ha. Jean Lautrec a denti stretti ringhia: “Cosa ti hanno fatto, comandante?”. Marco diventerà il Templare di fine millennio…
Venezia, Iuav col progetto “Mi-Heritage” e Ca’ Foscari con “Torcello Abitata 2018” insieme per il patrimonio lagunare. A Torcello da luglio a settembre scavi archeologici, incontri, spritz archeologico. Il progetto di ricostruzione virtuale introdotto dall’incontro di Valerio Massimo Manfredi sul Tempio G di Selinunte

Con l’incontro di Valerio Massimo Manfredi su “Il tempio G di Selinunte”, giovedì 21 giugno 2018, si è aperta la serie di incontri di studio con personalità del mondo della cultura promossi da Ca’ Foscari e Iuav per riflettere insieme sulla progettualità della narrazione storico-archeologica legata alle testimonianze archeologiche. Si tratta di un’iniziativa nell’ambito della “Convenzione intorno al Progetto Condiviso per la “Ricostruzione Virtuale del Patrimonio Culturale – Archeologico, Storico e Paesaggistico – e della Resa Immersiva tramite tecnologie 3d con ricostruzioni proposte a partire dal record archeologico”, siglata recentemente tra università Iuav di Venezia e università Ca’ Foscari, progetto archeologico “Torcello Abitata” e progetto “Approdi”: archeologia partecipata e avanzate tecnologie per raccontare le origini di Torcello. La ricostruzione 3D del patrimonio storico-archeologico dell’isola di Torcello è l’obiettivo della collaborazione tra progetto di archeologia pubblica e partecipata “Torcello Abitata 2018” (Ca’ Foscari) e il master “Mi-Heritage” (Iuav), che intende proporre un approccio del tutto innovativo della “narrazione” dell’affascinante storia delle origini di Venezia coniugando: modalità scientifiche di ricerca (moderno scavo stratigrafico); avanzate tecnologie di restituzione grafica e medievale (ricostruzione 3d e realtà immersiva); forme narrative e partecipative di forte impatto sociale (visite allo scavo archeologico, incontri presso lo scavo con personalità e attori della contemporaneità).
L’approccio partecipativo e divulgativo riflette un’esigenza diffusa e permette forme comunicative contemporanee e – volutamente – trans-disciplinari e trans-istituzionali. In questo contesto si è inserita la conversazione sul Tempio G di Selinunte con Valerio Massimo Manfredi, archeologo, giornalista e scrittore italiano, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di saggi storici, che ha affiancato con felici esiti l’attività di studio e di ricostruzione storico-archeologica all’esercizio della scrittura letteraria, come attestano successi editoriali quali la Trilogia di Aléxandros, la serie di Ulisse e numerosi romanzi storici di successo. Di rilievo anche la sua attività di sceneggiatore per la televisione e di conduttore televisivo di programmi di divulgazione scientifica. Sulla collina orientale di Selinunte si vede solo un informe ammasso di rocchi di colonne, più vicino a una ruina dantesca che a una vestigia antica. È quello che rimane di quello che oggi è noto come Tempio G, tempio greco di ordine dorico (VI-V sec. a.C.) dedicato agli dei olimpici e alle principali divinità della città di Selinunte (Zeus, Phebo, Apollo, Pasikrateia, Malophoros), che con i suoi quasi 45 metri di larghezza e 109 di lunghezza era uno dei più grandi dell’occidente greco. La ricostruzione 3D sicuramente aiuterebbe a capire meglio il grande tempio greco, sul quale recentemente si è focalizzata l’attenzione di Vittorio Sgarbi, he nel suo nuovo ruolo di assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, ha lanciato il progetto di ricostruirlo per anastilosi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/02/17/tourisma-2018-sgarbi-lancia-la-sfida-progetto-ricostruiro-per-anastilosi-il-tempio-g-di-selinunte-il-piu-grande-delloccidente-greco-sara-un-valore-aggiunto-di-bellezza-per-la-sic/).
“In particolare Venezia e la sua laguna rappresentano un sito eccezionale per lo studio e la valutazione delle dinamiche di interazione sociale tra passato e presente”, spiegano gli esperti dei due atenei veneziani. “La ricerca archeologica intorno alla laguna di Venezia e a Torcello offre un’occasione per tracciare la ricostruzione storica delle relazioni tra uomo e ambiente e mettere in luce gli aspetti ecologici, percettivi e sociali nelle azioni di ricerca e promozione del patrimonio archeologico. Lo studio del patrimonio archeologico Veneziano offre opportunità uniche per riflettere sul significato identitario tra l’attività di ricerca archeologica, le politiche di conservazione, le istanze ambientali, le necessità delle comunità locali e le attività economiche connesse con la promozione del patrimonio archeologico”. E continuano: “Un approccio alla storia di tipo antropologico e ambientale vuole evidenziare il rapporto tra la società del presente, in piena tumultuosa trasformazione, e l’effettiva tensione verso la riappropriazione (o meno) di tale passato. L’economia dell’area intorno a Torcello è oggi garantita da cittadini che vivono letteralmente “vendendo” la bellezza e l’unicità della memoria del passato. Fare archeologia, dunque, e progettarne il suo uso pubblico, pianificandone la conservazione e la valorizzazione, riveste un valore sociale, economico e politico di assoluto rilievo”.
Il progetto Approdi, From Ancient Maritime Routes to eco-touristic destinations (Iuav) Il progetto Approdi ha l’obiettivo di proporre itinerari eco-turistici integrati legati alla portualità del sistema Adriatico-Ionio, mettendo in rete porti poco noti al grande pubblico, ma caratterizzati da una straordinaria importanza sul piano archeologico e di identità culturale. Approdi sviluppa nuove forme sostenibili di turismo culturale, mettendo in evidenza le connettività storiche e l’importanza locale di siti chiave: Venezia (porto altomedievale di Torcello), Zadar, Ortona, Dubrovnik, Durress e Corfù sono i luoghi della ricerca. L’azione pilota di Venezia-Torcello mira a proporre un parco-archeologico a impatto zero, valorizzando il momento peculiare della scoperta e dello scavo archeologico, che diventa partecipato, aperto costantemente al pubblico. La città racconta le sue origini in un modo diverso, leggendole in diretta nelle pieghe del fango che conserva le tracce delle origini della Serenissima.
Torcello 2018, Scavo Archeologico e Archeologia Partecipata Il progetto Torcello 2018 continua con iniziative di “archeologia partecipata”, cioè l’archeologia spiegata ai cittadini e volta a sensibilizzare l’opinione pubblica: dal 16 luglio al 30 settembre 2018 previsto lo scavo archeologico, in concomitanza con il quale sono in programma occasioni di incontro nell’area degli scavi di Torcello, e dal 27 agosto al 30 settembre 2018, il giovedì e il venerdì pomeriggio c’è lo Spritz archeologico.
TourismA 2018, Sgarbi lancia la sfida-progetto: “Ricostruirò per anastilosi il tempio G di Selinunte, il più grande dell’occidente greco. Sarà un valore aggiunto di bellezza per la Sicilia”. Costo dell’operazione: 15 milioni, da coprire con sponsor
Sulla collina orientale di Selinunte si vede solo un informe ammasso di rocchi di colonne, più vicino a una ruina dantesca che a una vestigia antica. È quello che rimane di quello che oggi è noto come Tempio G, tempio greco di ordine dorico (VI-V sec. a.C.) dedicato agli dei olimpici e alle principali divinità della città di Selinunte (Zeus, Phebo, Apollo, Pasikrateia, Malophoros), che con i suoi quasi 45 metri di larghezza e 109 di lunghezza era uno dei più grandi dell’occidente greco. “Basterebbero sette mesi per vedere in piedi le prime colonne”, ha affermato Vittorio Sgarbi, neo assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, ospite sabato 7 febbraio di TourismA 2018, a Firenze. Poi, rivolgendosi all’auditorium gremito del centro congressi, mostra un’immagine sul grande schermo: “Guardate. Qui in primo piano le rovine del tempio G, sullo sfondo il tempio E maestoso. Ma non è sempre stato così. Anche quel tempio era a terra ed è stato riassemblato. Perché allora non fare altrettanto con il più grande tempio greco dell’occidente?”.

Vittorio Sgaarbi sul palco di TourismA 2018 mostra la grande “ruina” del tempio G a Selinunte (foto Graziano Tavan)
L’idea-progetto del suo assessorato Sgarbi l’aveva manifestata la prima volta un mese fa proprio a Selinunte, intervenendo al convegno “Valorizzazione e tutela dai rischi geologici della polis di Selinunte” al baglio Florio del parco archeologico selinuntino, dove sono stati presentati i risultati del primo di tre anni di una ricerca che i geomorfologi dell’università di Camerino stanno svolgendo nel sito. E a Firenze l’ha ribadito con forza: “Mi sto impegnando per raggiungere l’obiettivo: la ricostruzione per anastilosi del tempio G, che rappresenterà un valore aggiunto di bellezza per il parco archeologico selinuntino. Una bellezza in più per il patrimonio siciliano”.

La mapppa del crollo del tempio G di Selinunte con gli elementi delle singole colonne colorati con colori diversi (foto Graziano Tavan)
Il tempio G presentava 8 colonne sul fronte e 17 sui fianchi. Il peristilio circondava un naos suddiviso in 3 navate. Sgarbi ha già un’idea dei costi dell’operazione: circa 15 milioni di euro da coprire con sponsorizzazioni, senza gravare sul bilancio pubblico. Da una prima stima il prezzo della ricostruzione per ogni colonna sarebbe di 600mila euro. “Ho chiesto preventivi a quattro diverse fonti”, ha chiarito, “e ritengo che quello più autorevole sia il progetto da 12 milioni elaborato dalla soprintendenza del Mare, ente capofila, con la soprintendenza del sito”. Un altro progetto, che prevede la ricostruzione anche della cella e di altre componenti del tempio, si avvicinerebbe ai 35 milioni di euro. “Ho detto alle due soprintendenze di mettersi d’accordo e di darmi un preventivo certo, che pare potrebbe essere intorno ai 15 milioni con la ricostruzione del solo peristilio”. Sgarbi, una volta che avrà in mano il progetto definitivo (“Questione di settimane”), cercherà dei mecenati che lo possano sostenere. “La volontà politica della ricostruzione esiste”, ha concluso, “gli studi sono stati in gran parte esperiti con un convegno del 2013, altri studi sono stati fatti e quelli dell’università di Camerino sono utili sul piano della geologia”.









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