Napoli. Prorogata al 10 aprile la grande mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” al museo Archeologico nazionale
Lunedì 13 febbraio 2023 non sarà l’ultimo giorno. Come, in qualche modo, fatto intuire dal direttore Paolo Giulierini all’inaugurazione il 21 dicembre 2023, la grande mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” al museo Archeologico nazionale di Napoli, che in meno di due mesi ha richiamato più di 50mila visitatori, è stata prorogata fino al 10 aprile 2023: “Siamo lieti di poter prolungare fino alle festività pasquali una esposizione così preziosa, con un focus su Napoli città bizantina per circa sei secoli, e approfondendo i legami fra Grecia e Italia meridionale. Ringrazio per questo i prestatori stranieri” (vedi Grandi mostre tra 2022 e 2023. Al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” curata da Federico Marazzi. L’introduzione del direttore Paolo Giulierini | archeologiavocidalpassato). L’esposizione sviluppa in quindici sezioni le fasi storiche successive all’Impero Romano d’Occidente, tra le testimonianze napoletane anche una moneta dedicata a San Gennaro. La mostra è curata da Federico Marazzi con il coordinamento per il MANN di Laura Forte e propone oltre quattrocento oggetti provenienti dalle collezioni del MANN e da prestiti concessi da 57 dei principali musei e istituzioni che custodiscono in Italia e in Grecia materiali bizantini (33 istituti italiani, 22 musei greci isole incluse, Musei Vaticani e Fabbrica di San Pietro).

Anello in oro e gemma in pasta vitrea proveniente da Senise (PZ)) e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Grazie alla collaborazione con il ministero ellenico della Cultura, molti dei materiali esposti sono visibili per la prima volta: diversi manufatti sono stati rinvenuti, infatti, nel corso degli scavi per la realizzazione della metropolitana di Salonicco. Altri reperti, concessi in prestito dalla soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono stati ritrovati negli scavi della linea 1 della metropolitana. In allestimento sculture, mosaici, affreschi, instrumentum domesticum, sigilli, monete, ceramiche, smalti, suppellettili d’argento, oreficerie ed elementi architettonici danno conto di una complessa realtà, connotata da eccellenze manifatturiere e artistiche. Grazie ai simboli dell’Impero d’Oriente, la creatività del mondo antico “transita”, così, verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e arricchito da innesti culturali iranici e arabi.
Grandi mostre tra 2022 e 2023. Al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” curata da Federico Marazzi. L’introduzione del direttore Paolo Giulierini

La mostra “Bizantini” nel Salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto sergio siano)

Locandina della mostra “Bizantini” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 21 dicembre 2022 al 13 febbraio 2023
“Bizantini”: è una delle grandi mostre che il 2022 lascia in eredità al nuovo anno. Al museo Archeologico nazionale di Napoli il 21 dicembre 2022 è stata inaugurata la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”, curata da Federico Marazzi (università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli), che rimarrà aperta fino al 13 febbraio 2023. Il progetto scientifico dell’esposizione è stato sviluppato da un team di studiosi italiani della civiltà bizantina, team guidato dallo stesso Federico Marazzi e composto da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini. La mostra, coordinata da Laura Forte (responsabile Ufficio mostre al Mann) e organizzata da Villaggio Globale International, è realizzata con il sostegno della Regione Campania (POC Campania 2014-2020) e in collaborazione con l’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Il progetto di allestimento è di Andrea Mandara e quello grafico di Francesca Pavese.
Il progetto. A introdurci alla mostra “Bizantini” è il direttore del Mann, Paolo Giulierini. “Il progetto della mostra dei Bizantini – spiega ad archeologiavocidalpassato.com –, nasce dopo lunghe interlocuzioni con importanti partner greci, con Venezia, con Ravenna. Alla fine, tramite il coordinamento di Villaggio Globale, abbiamo deciso di realizzare la prima grande tappa a Napoli, a partire dal 21 dicembre 2022 e fino al 13 febbraio 2023, con un’eventuale proroga. La mostra prende in considerazione il volto di Napoli bizantina, di quello che fu il ducato intorno al 1000 d.C. Ma soprattutto dà un quadro di quello che fu l’impero bizantino dal suo sorgere fino alla sua caduta alla metà del Cinquecento. Si parlerà dell’Imperatore e della sua corte, degli edifici di culto, e degli edifici pubblici e privati nella vita quotidiana, delle gioiellerie, dell’esercito, e insomma di quanto fu difficile tenere il punto ancora per mille anni dopo la caduta di Roma, e perché ancora le idee del mondo classico resistessero e di come poi, dopo la caduta avvenuta per via dei Turchi, i germi della classicità passassero attraverso la fuga di alcuni sapienti greci da Costantinopoli a Firenze, alla corte di Lorenzo de’ Medici, e ispirassero l’Umanesimo e poi il Rinascimento”.

L’allestimento della mostra “Bizantini” nel salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Il celebre scrittore inglese Robert Byron attribuiva la grandezza di Bisanzio alla “triplice fusione” di un corpo romano, una mente greca, un’anima orientale e mistica. Una fusione che l’arte e la cultura interpretarono e seppero diffondere attraverso i secoli, come emerge dalla ricchissima mostra che sviluppa in quindici sezioni le fasi storiche successive all’impero Romano d’Occidente, dedicando un focus a Napoli (città “bizantina” per circa sei secoli, dopo la conquista da parte di Belisario e le sue armate nel 536 d.C.) e approfondendo i legami fra Grecia e Italia meridionale.

Il direttore del Mann, Paolo Giulierini, nella mostra “Bizantini” (foto mann)
“Esiste una Campania archeologica dopo la caduta di Roma e raccontare in una grande mostra i mille anni di questo impero è per il Mann una nuova tappa del percorso, partito dai Longobardi, verso una più completa identità del nostro stesso museo”, commenta Giulierini. “Napoli bizantina è un tema cruciale e per molti sarà una sorpresa, alla scoperta di un intreccio di destini tra la città e l’impero lungo sei secoli, dopo la sottomissione a Roma, il tratto più lungo della sua storia. E anche quando il dominio bizantino di Napoli evaporò, questo legame con l’Impero non fu mai rinnegato e si trasformò in volano per tenere vivi i contatti con il Mediterraneo, la tensione verso altri mondi. Il Mann è quindi il luogo ideale in Italia per raccontare questa storia”.

Sant’Anastasia: icona dell’ultima metà del XIV secolo proveniente da Naxos (foto Eforato delle Antichità delle Cicladi)
Diversi i temi affrontati: la struttura del potere e dello Stato; l’insediamento urbano e rurale; gli scambi culturali; la religiosità; le arti e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa. Sono oltre quattrocento le opere esposte, provenienti dalle collezioni del Mann e da prestiti concessi da 57 dei principali musei e istituzioni che custodiscono in Italia e in Grecia materiali bizantini (33 istituti italiani, 22 musei greci isole incluse, Musei Vaticani e Fabbrica di San Pietro). Grazie alla prestigiosa collaborazione con il ministero ellenico della Cultura, molti dei materiali in allestimento sono visibili per la prima volta: diversi manufatti sono stati rinvenuti, infatti, nel corso degli scavi per la realizzazione della metropolitana di Salonicco. Altri reperti, concessi in prestito dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono stati ritrovati negli scavi della linea 1 della metropolitana.

Frammento di un pavimento a mosaico del V secolo conservato al museo Bizantino e Cristiano di Atene (foto museo bizantino cristiano)
Gli oggetti in mostra si distinguono per la varietà di materia e funzione: sculture, mosaici, affreschi, instrumentum domesticum, sigilli, monete, ceramiche, smalti, suppellettili d’argento, oreficerie ed elementi architettonici danno conto di una complessa realtà, connotata da eccellenze manifatturiere e artistiche. Grazie ai simboli dell’Impero d’Oriente, la creatività del mondo antico “transita”, così, verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e arricchito da innesti culturali iranici e arabi.

L’allestimento della mostra “Bizantini” nel salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Premesse storiche e ragioni di una mostra: il mito di Bisanzio. Dopo circa quarant’anni dall’ultima esposizione in Italia, una mostra racconta il mondo affascinante e complesso dell’Impero Bizantino: quell’Impero Romano d’Oriente (Romèi erano chiamati e si autodefinivano i suoi abitanti), sopravvissuto per quasi dieci secoli alla caduta della pars Occidentis, quando il barbaro Odoacre nel 476 riuscì a deporre l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo. Fu allora che Costantinopoli, la città sul Bosforo, l’antica Byzantion rifondata nel 330 dall’Imperatore Costantino come “Nuova Roma”, divenne il centro e il cuore politico, istituzionale e culturale dell’Impero Romano. Un Impero che, di fatto, continuò a vivere fino al 1453 (anno della caduta della capitale in mano ai Turchi di Maometto II), assumendo nel tempo connotati diversi: la lingua greca, ad esempio, era usata per gli atti ufficiali e il Cristianesimo era stato assunto come religione di stato, fondante l’identità dell’Impero. Questo “mutamento di pelle” indusse gli eruditi, dal Seicento in poi, a cercare un nuovo nome – Impero Bizantino – per indicare una realtà politica che connetteva Oriente e Occidente, contribuendo così innegabilmente non solo alla formazione dell’Europa medievale, ma anche alla genesi dell’Umanesimo. Una volta superati i pregiudizi primo-settecenteschi, che associavano al bizantinismo le negatività di una burocrazia invalidante e di una società statica, il mito di Bisanzio, impero multietnico, è cresciuto in questi ultimi tempi.

Anello in oro e gemma in pasta vitrea proveniente da Senise (PZ)) e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Uno sguardo al presente. La mostra di Napoli getta uno sguardo su un mondo che è lo specchio di tutto quanto l’Occidente aveva perduto con il crollo dell’Impero Romano e che avrebbe lentamente e faticosamente riconquistato nei secoli successivi all’anno Mille: tecniche artistiche e produttive, modi di intendere l’estetica degli oggetti, scritti e saperi. L’esposizione getta luce anche sulle strutture di un impero universale e autocratico ma capace, allo stesso tempo, di tenere unita una società multietnica e composita, di cui sono stati eredi sia l’impero zarista che l’Islam sultaniale. A partire dalla presa di Costantinopoli anche il sultano ottomano userà il titolo di “imperatore di Roma” e nel suo Impero la cultura romano-bizantina sarà perpetuata di fatto. La storia ci aiuta sempre a capire il presente: le contrapposizioni successive e molte delle tensioni e dei conflitti, che tutt’oggi interessano quell’area definita da Fernand Braudel “Mediterraneo Maggiore”, hanno di fatto trovato linfa nel vuoto determinato dalla caduta di Bisanzio e dalle ceneri dell’Impero.
Al via la mostra “I Greci prima dei Greci. Alle origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli” articolata in tre sedi: museo civico di Procida, museo Archeologico nazionale di Napoli e parco archeologico dei Campi Flegrei
Il museo Archeologico nazionale di Napoli, il parco archeologico dei Campi Flegrei, la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli e il museo civico di Procida “Sebastiano Tusa” partecipano a Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 condividendo il progetto della mostra “I Greci prima dei Greci. Alle origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli” (29 settembre – 31 dicembre 2022). La mostra ripercorre le tappe fondamentali della presenza greca nel golfo di Napoli, che tanta parte ebbe nello sviluppo socio-economico e culturale della Campania antica e, più in generale, nella formazione della cultura occidentale. La mostra sarà presentata al pubblico giovedì 29 settembre 2022, alle 12, al Castello di Baia (Bacoli, via Castello n.39), con un secondo momento inaugurale nel pomeriggio, alle 17, al museo Archeologico nazionale di Napoli.

Una fase dell’allestimento al museo Archeologico nazionale di Napoli della mostra “I Greci prima dei Greci” (foto mann)
Il percorso espositivo si articola in modo complementare nelle sedi coinvolte e prende avvio al museo civico di Procida, dove si presenta il ruolo di Vivara nella media età del Bronzo quale importante snodo commerciale nella rete di traffici marittimi attivi nel bacino del Mar Mediterraneo. Sull’isolotto giunsero dalla Grecia intraprendenti mercanti micenei, alla ricerca di materie prime, soprattutto metalli. Il racconto prosegue con un focus dedicato alla civiltà micenea e alle attestazioni materiali riconducibili a questa cultura nel Golfo di Napoli, con particolare riguardo alle evidenze da Vivara e, nell’entroterra, dal sito di Afragola. Si passa poi a illustrare la ripresa dei contatti tra Egeo e area campana nella prima metà dell’VIII secolo a.C., dopo la cesura riscontrata a partire dallo scorcio del II millennio a.C. Con la nascita di Pithekoussai, infine, si introduce il tema della colonizzazione greca in Occidente. L’itinerario si conclude al parco archeologico dei Campi Flegrei (museo Archeologico dei Campi Flegrei al Castello di Baia e al parco archeologico di Cuma), dove s’illustra la fondazione di Cuma, che rappresenta il definitivo stanziamento sulla terraferma di genti elleniche in Campania. Qui i Greci impiantarono una vera e propria città, leggibile in ogni sua parte (abitato, necropoli, santuari).

Ceramica micenea in situ nello scavo archeologico di Vivara (foto archivio MCP Missione Vivara)
La prima tappa della mostra, al museo civico di Procida, si svilupperà nella sezione “Storia antica dell’isola di Procida” e, in particolare, nella sala III, dedicata al porto-approdo di Vivara, alla vita quotidiana, agli incontri e agli scambi. Nel corso della media età del Bronzo Vivara, grazie alla sua posizione strategica e alla sua particolare conformazione morfologica, divenne uno dei centri più importanti nell’ambito dei traffici marittimi che collegavano la Grecia micenea con il Mediterraneo occidentale. Le imbarcazioni provenienti dall’Egeo approdavano presso l’antico porto-approdo vivarese (oggi sommerso) portando grandi giare adatte all’uso quotidiano ma anche vasi finemente decorati con pittura brillante, caratterizzati da motivi floreali, cerchi concentrici, spirali e bande, oggi testimoniati dal ritrovamento di numerosi frammenti ceramici. A raccontare la presenza greco-micenea sull’isolotto sono anche preziosi oggetti ornamentali, manufatti in bronzo e numerose tracce riconducibili alla lavorazione dei metalli. L’area flegrea ha visto un’intensa frequentazione dei primi naviganti egei fin dalla prima metà del II millennio a.C., frequentazione che sembra interrompersi per poi riprendere con quella che viene definita la prima colonizzazione greca in Occidente, avvenuta nel corso dell’VIII secolo a.C., prima con l’impianto di Pithekoussai e poi nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C. con la fondazione di Cuma. Il museo civico di Procida ospiterà alcuni reperti provenienti da una delle tombe più antiche indagate proprio presso l’antica colonia greca di Cuma, i cui approfondimenti saranno affrontati presso le sedi espositive del parco archeologico dei Campi Flegrei.

Oggetti in bronzo da Vivara conservati nella sezione Preistoria e Protostoria del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto giorgio albano)
Il racconto al Mann si articolerà nelle sezioni permanenti “Preistoria e Protostoria” e “L’isola d’Ischia”, mediante il dialogo tra una selezione di reperti e apparati didattici già in allestimento e oggetti custoditi nei depositi, svelati al pubblico per l’occasione. Il percorso prenderà avvio nella sala CXXIX con un’introduzione dedicata alla civiltà micenea, supportata da un piccolo saggio della sua arte: tre vasi di fattura egea appartenenti al ricchissimo patrimonio “sommerso” del Mann, accompagnati da brevi cenni sulla storia della loro acquisizione. Addentrandosi nella sezione “Preistoria e Protostoria”, la narrazione proseguirà nella sala CXLVII: qui si presenteranno i dati a disposizione sulle interazioni tra i Micenei e l’area del Golfo di Napoli durante l’età del Bronzo, partendo dalle testimonianze di Vivara (Bronzo medio) – in esposizione permanente – e, per l’entroterra, dai materiali archeologici provenienti dal sito di Afragola (Bronzo recente e finale), messi a disposizione dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli. Alcuni manufatti di provenienza egea, appartenenti a corredi funerari dalle necropoli di Capua e Cuma (sala CXXVII), offriranno lo spunto per illustrare la fase dei contatti tra Egeo e Campania nella prima età del Ferro. Nella sala CXXV della sezione “Isola d’Ischia”, infine, si descriverà la nascita di Pithekoussai, primo episodio della colonizzazione greca in Occidente.

Oggetti da Cuma conservati al museo Archeologico dei Campi Flegrei nel castello di Baia (foto di vittorio infante)
Il percorso espositivo del PAFLEG riguarda il tema del consolidamento della presenza greca nel territorio flegreo e coinvolge il parco archeologico di Cuma e il museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia, con l’obiettivo di tracciare un percorso di approfondimento che racconti i luoghi connessi all’arrivo dei Greci a Cuma e le interrelazioni culturali che quest’approdo genera. Tale racconto si declina nel Museo in un’esperienza immersiva che interessa ciò che si suole definire “cultura materiale”, non luoghi ma oggetti, che custodiscono storie, serbano la memoria di viaggi e ripercorrono rotte marittime. In questo percorso tra le sale del Museo della sezione Cuma (in particolare, sale 5-10) sarà possibile scoprire come il “greco” è fatto di aspetti molto diversificati, di tante città che vantano prodotti di eccellenza e che in qualche modo nelle stive di navi si incontrano e approdano a Cuma e nelle isole. Qui, dove ogni cosa parla un linguaggio greco, dalle evidenze strutturali agli oggetti di uso quotidiano, avvengono ancora altri incontri con le genti dell’entroterra e si viene a creare un’eccezionale relazione interculturale, della quale gli oggetti conservano la memoria e registrano la diffusione, ma che di fatto è concepita da uomini.
Ischia. “Pithecusa: vecchi scavi, nuove scoperte”: prima conferenza all’Archeologico di Lacco Ameno del progetto “Kepos 2022 paesaggi e archeologia” promosso dalla Fondazione Walton per valorizzare il patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola
Nasce a Ischia “Kepos 2022 paesaggi e archeologia”, progetto di divulgazione scientifica promosso dalla Fondazione Walton per valorizzare il patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola d’Ischia. Responsabile Scientifico del progetto, l’archeologa Mariangela Catuogno. “Kepos 2022 paesaggi e archeologia” è un articolato progetto di conferenze e convegni, che mira a riflettere sul patrimonio archeologico, culturale e naturalistico dell’isola d’Ischia e del mondo mediterraneo, attraverso una divulgazione scientifica chiara ed efficace, con un focus sulle nuove forme di gestione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici presentate da specialisti del settore. Sette gli incontri in calendario ai quali interverranno studiosi, manager dei beni culturali ed esperti di divulgazione, per un approccio multidisciplinare al tema.

La Baia di Sammontano negli anni ’50 (foto progetto kepos)
Primo appuntamento venerdì 10 giugno 2022, alle 11, a Villa Arbusto di Lacco Ameno, sede del museo Archeologico di Pithecusae. La soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro e Maria Luisa Tardugno, funzionario archeologo responsabile per il territorio di Ischia, parleranno di “Pithecusa: vecchi scavi nuove scoperte”, illustrando le attività di tutela, fruizione e valorizzazione della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio dell’Area Metropolitana di Napoli sul territorio ischitano. L’incontro del 10 giugno 2022, che darà il via al ciclo di conferenze Kepos, preceduto da una breve presentazione del progetto, permetterà dunque di fare il punto sulla situazione isolana, tra lo splendore del passato, i piani per il futuro e le problematiche del presente, puntando a stimolare nella comunità ischitana il sentimento di identità e di partecipazione al patrimonio storico ed ambientale dell’isola e offrendo ai turisti la possibilità di conoscere lo straordinario patrimonio artistico ischitano.

Il logo di “Kepos 2022 Paesaggi e Archeologia”
Il logo di “Kepos 2022 Paesaggi e Archeologia” è l’immagine stilizzata dell’albero della vita che si trova sul fregio della Coppa di Nestore, prodotta a Rodi, tra il motivo a losanga e quello a meandro tratteggiato spezzato. Secondo alcuni l’elemento decorativo stilizzato compare anche nella produzione vascolare pithecusana locale: ad esempio è dipinto sul fondo di una lekythos e sulla vasca di numerosi crateri di produzione locale rinvenuti nell’abitato dell’antica Pithekoussai, diventando così la “firma” dell’artigiano. L’albero della vita fin dall’antichità fu simbolo di rinascita e di vitalità; nella produzione artistica pithecusana si configura come elemento mutuato dal mondo orientale, testimonianza dei precocissimi contatti commerciali con Al Minà, alla foce dell’Oronte, con Rodi e col Delta del Nilo. Kepos è un progetto culturale della Fondazione Walton – Giardini La Mortella, che nella sua mission propone un nuovo approccio alla gestione dei Beni Culturali alimentando il senso di partecipazione e rinascita collettiva: l’albero della vita di Kepos è paradigma della volontà, che anima questo progetto, costruttrice di una identità culturale consapevole, attenta alle innovazioni, dinamica e comunicativa nel suo proporsi.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale per “Lo scaffale del Mann” presentazione, in sala conferenze e on line, del libro “Ialiso I. la necropoli: gli scavi italiani (1916-1934). Il periodo protogeometrico e geometrico (950-690 a.C.)” di Matteo d’Acunto

Per il ciclo “Lo scaffale del Mann”, appuntamento mercoledì 12 gennaio, alle 16, in sala conferenze del museo Archeologico nazionale di Napoli per la presentazione del libro “Ialiso I. la necropoli: gli scavi italiani (1916-1934). Il periodo proto-geometrico e geometrico (950-690 a.C.)” (2020, Scuola archeologica italiana Atene) di Matteo d’Acunto, professore di Archeologia classica all’università di Napoli “L’Orientale”. È possibile seguire l’incontro anche da remoto, tramite il link: meet.google.com/irs-avsd-ebk. Intervengono con l’autore: Paolo Giulierini, direttore del Mann; Andrea Manzo, direttore del dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo dell’università di Napoli “L’Orientale”; Teresa E. Cinquantaquattro, soprintendente ABAP per l’area metropolitana di Napoli, docente all’Orientale; Emanuele Papi, direttore della Scuola archeologica di Atene; Luca Cerchiai, università di Salerno.

Matteo D’Acunto (università L’Orientale di Napoli)
Il volume inaugura l’edizione scientifica aggiornata degli scavi delle necropoli di Ialysos condotti dapprima dalla Missione Archeologica Italiana e poi dalla Soprintendenza durante l’occupazione di Rodi, negli anni dal 1916 al 1934. Esso considera le tombe databili al periodo protogeometrico e geometrico (X-VIII sec. a.C.); grazie alla liberalità degli archeologi greci esso tiene conto dei risultati dei loro scavi, e si propone di definire la fisionomia di Ialysos nel quadro degli altri siti coevi del Dodecaneso, della Grecia, di Cipro e del Vicino Oriente.
Roma. Per il ciclo “Dialoghi in Curia” del parco archeologico del Colosseo presentazione del libro “Architetture perdute. Decorazioni architettoniche fittili dagli scavi tra Palatino, Velia e valle del Colosseo (VII-IV secolo a.C.)” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes

Nuovo appuntamento del ciclo “Dialoghi in Curia”: giovedì 25 novembre 2021, in Curia Iulia, alle 16.30, presentazione del recente volume “Architetture perdute. Decorazioni architettoniche fittili dagli scavi tra Palatino Velia e valle del Colosseo (VII-IV secolo a.C.)” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes, edito da Naus. Introduce Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo; presentano Vincenzo Bellelli, dirigente di ricerca all’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR; e Teresa Elena Cinquantaquattro, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli. Saranno presenti gli autori. Prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti su www.eventbrite.it. Ingresso da Largo della Salara Vecchia, 5. All’ingresso del PArCo sarà richiesto di esibire, oltre all’invito, il certificato verde e di indossare la mascherina. L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalla Curia Iulia sulla pagina Facebook del PArCo: https://www.facebook.com/parcocolosseo.

La copertina del libro “Architetture perdute” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes
Il libro indaga il paesaggio del costruito di un’area sacra emersa nel cuore della Roma arcaica nel corso degli scavi decennali condotti da Sapienza-Università di Roma tra le pendici del Palatino e la valle del Colosseo. Documentazione stratigrafica e presentazione analitica dei materiali architettonici si intrecciano in un racconto che permette di restituire la sequenza degli interventi di monumentalizzazione dell’area, ritenuta sede delle Curiae Veteres, tra epoca tardo orientalizzante e periodo tardo classico.

Clementina Panella (università Sapienza Roma)
Clementina Panella, già professore ordinario di ‘Metodologia e tecniche della ricerca archeologica’ alla Sapienza-Università di Roma, ha diretto importanti scavi: Ostia, Terme del Nuotatore; Cartagine, Centuria A; Roma, Porticus Liviae, area della Meta Sudans e pendici nord-orientali del Palatino. Le sue ricerche riguardano l’archeologia urbana, la topografia di Roma, la cultura materiale, in particolare le produzioni di età ellenistica e romana e i rapporti commerciali tra l’Italia e le province in età imperiale e tardoantica, e le metodologie delle scienze applicate allo studio dei siti archeologici pluristratificati.

Carlo Rescigno (università della Campania)
Carlo Rescigno è professore ordinario di ‘Archeologia Classica’ all’università della Campania “Luigi Vanvitelli” e coordinatore del corso di dottorato in ‘Archeologia e Culture del Mediterraneo Antico’ alla Scuola Superiore Meridionale. Conduce scavi e ricerche a Cuma, Stabiae e a Neapolis. È socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei. È autore di oltre 100 pubblicazioni e di numerose monografie.

Antonio F. Ferrandes (università Sapienza Roma)
Antonio F. Ferrandes, ricercatore al dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza-Università di Roma, insegna ‘Archeologia della Produzione e del Commercio’ e ‘Classical Archaeology’. I suoi interessi riguardano i metodi della ricerca archeologica, l’archeologia urbana, l’archeologia dell’architettura e del paesaggio, la cultura materiale, l’archeologia della produzione e la storia dei commerci mediterranei (con un focus sulla città di Roma nel periodo medio- e tardo-repubblicano). Ha partecipato a numerose indagini sul campo (Roma, Ventotene, Pompei, Pantelleria) e alle ricerche sulle pendici nord-orientali del Palatino, cui ha dedicato numerosi rapporti preliminari e alla cui edizione definitiva sta attualmente lavorando.
Aperta al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Gli Etruschi al Mann”: un inedito focus sulla realtà di una Campania etrusca con 600 reperti (di cui 200 visibili per la prima volta). I tesori “scoperti” nei depositi del Mann costituiranno una nuova sezione permanente del museo napoletano

Una vetrina della mostra “Gli Etruschi e il Mann” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Giorgio Albano)
“Gli Etruschi al MANN tornano per restare. Non solo con una mostra raffinata e dall’altissimo rigore scientifico, ma con l’annuncio dell’allestimento permanente che restituirà alla fruizione del pubblico un altro fondamentale pezzo della storia del nostro Museo, ‘casa’ dei tesori di Pompei ed Ercolano, così come custode di eredità molto più antiche”: così Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, che nel giorno dell’inaugurazione della mostra “Gli Etruschi e il Mann” in programma al museo Archeologico nazionale di Napoli, dal 12 giugno 2020 al 31 maggio 2021, annuncia che diventerà un’altra sezione del museo. L’esposizione, che raccoglie circa 600 reperti (di cui 200 visibili per la prima volta), è curata da Paolo Giulierini (direttore del Mann) e Valentino Nizzo (direttore museo nazionale Etrusco di Villa Giulia); il coordinamento scientifico è di Emanuela Santaniello (funzionario archeologo del Mann) e l’organizzazione è di Electa. La mostra “Gli Etruschi e il MANN” è accompagnata dal catalogo edito da Electa, a cura di Valentino Nizzo. Per l’occasione è stato inoltre edito nelle pubblicazioni scientifiche “Quaderni del MANN” il volume, a cura di Valentino Nizzo, “Gli Etruschi in Campania. Storia di una (ri)scoperta dal XVI al XIX secolo”, strettamente correlato alle tematiche della seconda sezione del percorso espositivo.

La locandina della mostra “Pompei e gli Etruschi” alla Palestra Grande di Pompei fino al 2 maggio 2019
Una mostra preziosa, sorprendente, innovativa, che nasce anche dalla rete stabilita con il parco archeologico di Pompei, dove è stata ospitata la tappa iniziale del percorso con la mostra “Pompei e gli Etruschi” (dicembre 2018-maggio 2019). Già con “Egitto Pompei” (2016) e “Pompei e i Greci” (2017), esposizioni che hanno confermato la collaborazione tra il parco archeologico di Pompei e il Mann, è stato intrapreso un suggestivo viaggio per scoprire le civiltà del passato: anche grazie al coordinamento di Electa, la sinergia tra le due istituzioni proseguirà dopo la mostra sugli Etruschi, con la mostra “Pompei e Roma” prevista nella programmazione del parco archeologico. All’anteprima riservata a stampa ed istituzioni, hanno partecipato, insieme ai curatori, Rosanna Romano (direttore generale per le Politiche Culturali e il Turismo/ Regione Campania), Carlos Maldonado Valcàrcel (console generale di Spagna a Napoli), Teresa Elena Cinquantaquattro (soprintendente SABAP per l’area metropolitana di Napoli) e Luigi La Rocca (soprintendente SABAP per il Comune di Napoli). Il direttore generale del parco archeologico di Pompei, Massimo Osanna, non è intervenuto all’evento, ma ha mandato un messaggio di saluto ai partecipanti, ricordando che la rete tra istituzioni ha favorito itinerari espositivi dedicati ai legami tra la città vesuviana e le diverse culture dell’antichità.

Una delle “scoperte” nei depositi del Mann: coppia di orecchini in oro, lamina, applicazioni a stampo, filigrana (produzione dell’Etruria meridionale) della seconda meta del VI sec. a.C. (foto Mann)
“Gli Etruschi sono abitualmente associati ad altri territori, come la Toscana, il Lazio e l’Emilia Romagna. Solo dalla seconda metà dell’Ottocento, più o meno con l’Unità d’Italia, è stata accettata ufficialmente l’idea di una loro presenza in Campania. Ma nessuno aveva mai dedicato a questo tema una mostra di simili dimensioni”, ha detto Paolo Giulierini. “Attraverso reperti provenienti dai depositi del Museo, insieme a prestiti di altre istituzioni e collezioni, ricostruiremo una storia di frontiera, nella quale gli Etruschi possono essere considerati quasi come dei cowboy. Partendo probabilmente dall’Umbria, raggiunsero le pianure campane e le dominarono per diversi secoli, intrecciando legami culturali, commerciali e artistici molto stretti con gli altri abitanti di quei luoghi, gli altri popoli italici e i Greci”. Museo della capitale di un Regno, l’Archeologico di Napoli vanta, infatti, collezioni sterminate derivate sia da scavi che da acquisizioni come, ad esempio, quella del bronzetto dell’Elba, reperto più antico ritrovato sull’isola toscana. “Ma, soprattutto – continua Giulierini -, nei depositi c’è la testimonianza di una Campania centrale nel Mediterraneo e da sempre coacervo di popoli: Greci, Etruschi e Italici, a conferma che la ricchezza della cultura del Meridione sta nella diversità e nella contaminazione. Per comprendere in pieno gli Etruschi, oggi bisogna quindi volgersi anche al Sud e al patrimonio del Mann, dove duecento pezzi, praticamente inediti, splendono di nuova luce grazie allo straordinario lavoro del Laboratorio di Restauro del Museo. Un traguardo che mi riempie, come etruscologo, di personale soddisfazione, e che è occasione per ricordare la figura del celebre archeologo Marcello Venuti, nel 1727 fondatore dell’Accademia Etrusca e, poi, tra gli scopritori di Ercolano”.

Cista in bronzo da Palestrina conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (fine IV-inizio III sec. a.C.) (foto Mann)
L’esposizione abbraccia un arco temporale di circa sei secoli (X- IV sec. a.C.) e definisce un percorso di indagine che, sulle orme degli Etruschi, cerca di ricostruire le fondamenta storiche di questa popolazione, la cui grandezza derivava anche dal controllo delle risorse di due fertilissime pianure (quella padana nel Nord e quella campana nel Sud). Come ricordava, ancora nel II secolo a.C., il celebre storico greco Polibio “chi vuol conoscere la storia della potenza degli Etruschi non deve riferirsi al territorio che essi possiedono al presente, ma alle pianure” da loro controllate. La storia della scoperta della Campania etrusca si configura, quindi, come uno dei capitoli più avvincenti della ricerca archeologica in Italia e nel Mediterraneo: in tal senso, il ricchissimo patrimonio, custodito nei depositi del Mann e studiato in occasione della mostra, fornisce uno spaccato inedito nel panorama espositivo internazionale. L’allestimento della mostra negli ambienti collegati alla sezione “Preistoria e Protostoria”, appena riaperta al pubblico, crea un trait d’union con la sezione museale che, nel suo ultimo livello di visita, raccoglie reperti dell’Età del Bronzo e della prima Età del Ferro.

affibiaglio della Tomba Bernardini di Palestrina (inzio del secondo quarto del VII sec. a.C.) conservato al museo nazionale Etrusco di “Villa Giulia” (foto Villa Giulia)
“Scavare negli sterminati depositi del Mann è sempre un privilegio unico”, interviene Valentino Nizzo, direttore del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia. “Farlo per ‘andare a caccia di Etruschi’ lo ha reso ancora più avvincente. Da un lato perché si è così potuto delineare un rigoroso percorso storico-archeologico volto a ricostituire la trama di relazioni che caratterizzò la plurisecolare presenza degli Etruschi in Campania. Dall’altro perché l’approfondimento delle vicende antiquarie e collezionistiche legate alla riscoperta dell’importanza del loro dominio nella regione ha offerto una prospettiva per molti versi inedita sull’evoluzione della disciplina archeologica e sul contributo dato ad essa da generazioni di studiosi che, da Camillo Pellegrino a Giovanni Patroni, passando attraverso nomi del calibro di Giovan Battista Vico, Alessio Simmaco Mazzocchi, Johann Joachim Winckelmann, Pietro Vivenzio, Eduard Gerhard, Raffaele Garrucci, Theodor Mommsen, Giuseppe Fiorelli, Julius Beloch, si sono confrontati con questo presunto enigma, fino ad arrivare alla sua definitiva soluzione, al principio del ‘900, quando il reperto più prezioso, la Tegola di Capua, aveva ormai irreparabilmente lasciato il nostro Paese alla volta di Berlino”.

Piccolo calderone in argento dorato dell’Inizio del secondo quarto del VII sec. a.C. dalla Tomba Bernardini di Palestrina, conservato al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma (foto Villa Giulia)

Lekythos in ceramica a figure nere dell’Inizio del V sec. a.C. conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)
Il percorso si articola in due nuclei tematici principali, corrispondenti ad altrettante sezioni espositive con inestimabili reperti. “Gli Etruschi in Campania”: dal carattere prevalentemente archeologico, questo segmento dell’itinerario di visita è dedicato all’approfondimento della documentazione relativa alla presenza degli Etruschi nella regione, dagli albori del I millennio a.C. alla fase dell’affermazione del popolo dei Campani. Il declino della popolazione è sancito dalle sconfitte subite presso Cuma tra VI e V secolo a.C., in seguito alla quali comincia ad incrinarsi progressivamente la potenza etrusca nella Penisola e nel Mediterraneo; “Gli Etruschi al Mann”: questa sezione valorizza i materiali etrusco-italici, generalmente provenienti da aree esterne alla Campania, acquisiti sul mercato collezionistico dal Museo di Napoli in varie fasi della sua storia. Accanto ai capolavori in mostra, volumi, plastici e documenti d’epoca illustrano al visitatore l’evoluzione del pensiero scientifico in campo archeologico dal Settecento sino alla fine del Novecento, focalizzando l’attenzione sui protagonisti dell’archeologia campana ed, in particolare, su quelli che maggiormente hanno contribuito alla riscoperta del suo passato etrusco.
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