“Il colle di San Briccio 3000 anni fa”, un viaggio tra archeologia, architettura e natura in due tappe: al museo di Storia naturale di Verona conferenza, docu-film e visita ai reperti; e a San Briccio (Lavagno) visita guidata al Forte

Frame del docu-film “Il colle di San Briccio 3000 anni fa. Viaggio tra protostoria e storia” di Giovanni Tosi
“Il colle di San Briccio 3000 anni fa”: è un viaggio tra archeologia, architettura e natura quello proposto dalle associazioni San Briccio in Festa e All’ombra del Forte in collaborazione con il museo di Storia naturale di Verona, la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza, e l’associazione Alteritas-Interazione tra i Popoli, in due giornate: venerdì 23 maggio e sabato 31 maggio 2025. L’iniziativa vuole riportare alla memoria frammenti di vita di una piccola comunità di Veneti antichi che sul colle di San Briccio ha vissuto, lavorato, creduto, attraverso i reperti archeologici presenti nei depositi e nelle sale espositive dei Musei Civici e della Soprintendenza di Verona. Il progetto, ideato da Giovanni Tosi e attuato da un team di volontari, ha portato alla realizzazione di un docu-film e di roll-up espositivi.
Si inizia venerdì 23 maggio 2025, alle 16.30, al museo di Storia naturale di Verona, in lungadige Porta Vittoria 9. In sala conferenze “S. Ruffo” intervengono Giovanni Tosi, curatore del progetto; Nicoletta Martinelli e Massimo Saracino, museo di Storia Naturale; Paola Salzani, soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona Rovigo Vicenza; Simona Marchesini, associazione Alteritas-Interazione tra i Popoli. Quest’ultima interviene su xFormal, un progetto nato per verificare l’impatto dell’apprendimento informale e non formale nei musei su studenti e cittadini di ogni età e che ha interessato alcuni reperti provenienti da San Briccio ed esposti nel museo di Storia naturale di Verona.
Segue la proiezione del docu-film “Il colle di San Briccio 3000 anni fa”. Al termine della proiezione sarà possibile approfondire la storia delle ricerche archeologiche di San Briccio attraverso i roll-up posizionati nell’atrio e ammirare i reperti esposti nella sala della Preistoria veronese. Chiuderà un momento conviviale.

Planimetria del sito del colle di San Briccio (Lavagno, Vr) dalla scheda del Catalogo generale dei Beni culturali (foto mic)
Il “viaggio” continua sabato 31 maggio 2025 al Forte di San Briccio, nel comune di Lavagno (Vr). Ritrovo alle 10 nel piazzale antistante il forte. Visita guidata all’omonimo forte militare, oggetto delle prime ricerche e recuperi archeologici durante la sua costruzione tra il 1883 e il 1888. Ingresso gratuito con prenotazione online entro il 29 maggio al link https://rb.gy/ndua8l. “Il colle su cui sorge il forte San Briccio di Lavagno – si legge nella scheda del Catalogo generale dei Beni culturali del Mic – fu sede di insediamenti in epoche preistoriche e storiche. La posizione strategica è confermata da una pista stradale preistorica ai piedi dell’altura, corrispondente al tracciato della via Postumia (II secolo a.C.). La prima frequentazione risale all’eneolitico (III millennio a .C.) e continua in tarda età del bronzo (seconda metà II millennio a.C.) e durante l’età del Ferro (I millennio a.C.), quando l’abitato assume una rilevante importanza testimoniata dall’abbondanza di materiali archeologici rinvenuti. Nella zona dovevano verosimilmente esserci anche un sepolcreto ed un santuario o area votiva. La continuità di insediamento è confermata anche nell’età romana. Durante gli scavi per il forte, vennero individuate le fondamenta riferibili al castello medievale documentato anche da fonti scritte. Ad esclusione del mappale occupato dal forte, la cui costruzione deve aver distrutto la stratigrafia antica e le strutture relative al castello, le aree poste all’esterno del forte presentano ancora stratigrafie e strutture antiche”.
Milano. Al museo d’Arte della Fondazione Rovati di Milano cinque incontri “Lingue e scritture dell’Italia preromana. Alfabeti, letture, significati, funzioni, storia, società”
L’Italia antica era un mosaico di popoli: Etruschi, Celti, Veneti, Reti, Umbri, Piceni, Latini, Osci, Apuli, Bruzi, Siculi. Ciascuno aveva la propria lingua e praticava la scrittura in una grande varietà di situazioni e di tipologie linguistiche. L’esposizione al museo d’Arte della Fondazione Rovati di Milano di due importanti prestiti archeologici legati ai temi della lingua e della scrittura (la Stele di Lemno e la Stele di Vicchio), è l’occasione di ciclo di incontri “Lingue e scritture dell’Italia preromana. Alfabeti letture significati funzioni storia società” organizzati da Fondazione Luigi Rovati in collaborazione con l’Istituto nazionale di Studi Etruschi ed Italici su alcune lingue dell’Italia preromana approfondendone l’uso e la funzione all’interno dei diversi contesti storici, fino alla contemporaneità e alle prospettive future di lingua e scrittura. Gli incontri sono gratuiti e a ingresso libero, fino a esaurimento posti disponibili. Si consiglia la prenotazione. Il biglietto per la conferenza non include l’accesso al museo d’Arte. Il programma. Mercoledì 1° marzo 2023, alle 17, “L’Etrusco” con Giuseppe Sassatelli (Istituto nazionale di Studi Etruschi e Italici): Prenota ora. Mercoledì 8 marzo 2023, alle 17, “Il Retico” con Simona Marchesini (università di Verona): Prenota ora. Mercoledì 15 marzo 2023, alle 17, “Il Piceno” con Valentina Belfiore (Direzione regionale Musei dell’Abruzzo): Prenota ora. Mercoledì 22 marzo 2023, alle 17, “Il Venetico” con Anna Marinetti (università Ca’ Foscari): Prenota ora. Mercoledì 29 marzo 2023, alle 17, “Nuovi linguaggi” con Mario Abis (università Iulm): Prenota ora.
Alla ricerca delle lingue perdute: dal retico al venetico, dall’osco-umbro all’etrusco. A Verona seconda tappa del gruppo di ricerca europeo che censisce e valorizza le lingue frammentarie d’Europa

Tavoletta scrittoria con caratteri dell’alfabeto venetico conservata al museo Archeologico atestino di Este
Alla ricerca delle lingue perdute: dal retico al venetico, dall’osco-umbro all’etrusco. Fa tappa a Verona la Seconda Training School promossa dal gruppo di ricerca europeo AELAW (COST Action “Ancient European Languages and Writings”) costituito nel 2014 per censire e valorizzare le lingue frammentarie d’Europa, di cui l’Italia detiene il primato con oltre 15mila iscrizioni in etrusco, osco, umbro, venetico, messapico, retico, camuno, leponzio e altre lingue di minore entità. A due anni dalla prima scuola di formazione sulle lingue frammentarie della Spagna preromana, tenutosi a Jaca (sui Pirenei), il progetto, finanziato dall’Unione Europea, fa ora tappa nella città scaligera dove dal 5 all’8 settembre 2016 al centro studi sulle interazioni tra popoli Alteritas con sede nel Seminario vescovile. La rete scientifica con capofila l’università di Saragozza, e composta da 24 centri di ricerca e 40 ricercatori, in rappresentanza di 13 Paesi europei, farà il punto sulle iscrizioni italiche di età pre-romana. E c’è anche un obiettivo ambizioso. “Entro il 2019, il gruppo di ricerca si è posto l’obiettivo di pubblicare dei piccoli volumi a scopo divulgativo, restituire ai centri di ricerca e atenei d’Europa validi strumenti di studio di tali lingue, e formare una nuova classe di giovani ricercatori europei”, spiega la vice presidente del progetto Simona Marchesini, coordinatore scientifico di Alteritas, “che tengano vivo lo studio di questo patrimonio culturale che nonostante il notevole rilievo per la storia d’Europa è a rischio smarrimento anche nei vari atenei e centri di ricerca”. Un esempio concreto è dato dalla recente la pubblicazione sul celtiberico, lingua frammentaria della Spagna, a cura del professor Francisco Beltrán.
La prof. Marchesini, tra i pochi specialisti al mondo di Messapico e Retico, ne è sicura: “È proprio nella comunicazione dei popoli “minoritari” del mondo antico, dissoltisi nei processi di romanizzazione, infatti, che rinveniamo informazioni utili anche con riguardo ai popoli moderni. Informazioni storiche, geografiche, religiose ma soprattutto anagrafiche: studiando i nomi di persona e la loro mobilità riusciamo a ricostruire la storia sociale di questi popoli, le loro reciproche relazioni e i motivi della loro scomparsa”. E precisa: “Già nel mondo antico infatti i viaggi a lunga distanza, le relazioni commerciali tra comunità consentivano la condivisione di molti aspetti della cultura materiale e immateriale, quali il bere, il mangiare, gli usi del vestire, ma anche aspetti più speculativi come la poesia, la musica o la religione”.
Molto articolato il programma della tappa veronese coordinata da Francisco Beltrán (Chair), dell’Universidad de Zaragoza, e da Simona Marchesini (Vice Chair), Alteritas di Verona, e con la partecipazione di alcuni dottorandi del dipartimento Culture e Civiltà dell’università di Verona diretto dal prof. Alfredo Buonopane (Storia Romana). Interverranno specialisti delle lingue dell’Italia preromana, da quelle del Nord Italia come il leponzio (presente dal Piemonte al Veneto occidentale), il camuno (in Valcamonica), il retico (lingua dei Reti, stanziati in Trentino, in Alto Adige e in parte del Veneto occidentale) e il venetico (la lingua indoeuropea attestata in Veneto, di cui conosciamo circa 600 iscrizioni), a quelle del Centroitalia, quali l’etrusco, l’osco, l’umbro e altre lingue Italiche, fino a quelle del Sud, tra cui il messapico (in Puglia), l’elimo e il siculo-sicano in Sicilia. E poi ci sarà un collegamento via Skype con il prof. Rex Wallace dell’Università di Amherst (Massachusetts) che sta studiando l’iscrizione di una grande stele etrusca appena emersa da scavi americani sul Mugello (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/08/27/toscana-il-27-agosto-dichiarato-giornata-degli-etruschi-che-apre-le-celebrazioni-etrusche-eventi-in-20-comuni-a-firenze-mostra-dei-tesori-inediti-dellantico-santuario-etr/) e con il gruppo di studio del progetto archeologico di Roca (Melendugno, Puglia) che, grazie a recenti rilevamenti 3D, sta rinnovando il censimento delle centinaia di iscrizioni messapiche ancora inedite, rinvenute nella celebre e affascinante Grotta Poesia.
Durante il meeting, l’équipe di ricercatori, dottorandi e assegnisti, insieme agli specialisti più accreditati, proseguirà quel confronto portato avanti con periodici incontri in diverse sedi europee per scambiarsi risultati, spunti di metodo, e fare il punto su alcuni gruppi di lingue, determinare i criteri adatti alla pubblicazione di queste risorse, elaborare contenuti per il sito web (http://elaw.unizar.es/), scambiarsi gli strumenti per lo studio delle lingue frammentarie (cosiddette per lo stato in cui ci vengono dal tempo restituite). Alcune di queste, infatti, come il venetico, l’osco umbro, il leponzio e il celtiberico erano imparentate nel ceppo linguistico indoeuropeo. Altre, come l’etrusco e il retico, peraltro correlate, formavano una famiglia linguistica autonoma.
“Ma Ötzi, che lingua parlava?”: apre all’archeoparc della Val Senales la mostra che racconta la storia del linguaggio e delle lingue dalla mummia del Similaun ai nostri giorni

Che lingua parlava Oetzi, la mummia del Similaun? Le risposte nella mostra all’archeoparc della Val Senales
Ma Ötzi, la mummia del Similaun, oggi conservata al museo archeologico di Bolzano, che lingua parlava 3500 anni fa? Se lo sono chiesto alcuni archeologi e linguisti che hanno raccolto le loro ricerche, le loro ipotesi e le loro conclusioni nella mostra “Ma Ötzi, che lingua parlava? Parlare e scrivere – ieri e oggi” che viene inaugurata domenica 21 giugno alle 10 all’archeoParc della Val Senales. La mostra, che rimarrà aperta fino al 1° novembre, racconta la storia del linguaggio e delle lingue, iniziando dalle origini fino ai giorni nostri. Da quand’è che parliamo? Quale lingua usava Ötzi? E perché abbiamo iniziato a scrivere? “Ma Ötzi, che lingua parlava?” si occupa della genesi e dell’evoluzione della lingua parlata e scritta, focalizzando soprattutto le lingue della regione alpina e i tempi di Ötzi. La mostra è stata realizzata da un gruppo di persone con a capo Simona Marchesini, archeologa e linguista di Verona, e Johanna Niederkofler, direttrice dell’archeoParc.
Niederkofler spiega com’è nata l’idea della mostra: “Spesso io ed il mio team siamo chiamati dai visitatori a confrontarci sulla domanda se Ötzi parlasse e quale fosse la sua lingua.” Marchesini, che presiede Alteritas, un istituto che si occupa da anni dello scambio interculturale in società moderne e antiche, si è mostrata un’alleata ideale per concretizzare l’idea. Entusiasta anche lei della collaborazione rivela: “Trattare domande fondamentali della storia dell’umanità – come lo sono quelle legate alla lingua – e renderle accessibili a un pubblico più ampio è un compito affascinante”. Diversi oggetti messi a disposizione da vari prestatori illustrano le funzioni della lingua e due minilaboratori invitano a lavori manuali, ma anche a riflettere: “La mostra racconta anche di questa pluralità di strategie comunicative. Vorremmo stimolare i visitatori a confrontare le lingue e le varietà delle lingue che parlano, scoprendo le loro similitudini e differenze”, conclude Niederkofler. Il sindaco di Senales, Karl Josef Rainer, aprirà la mostra ufficialmente. Quindi seguirà un aperitivo e alle 11 una visita guidata con le due curatrici Simona Marchesini e Johanna Niederkofler.





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