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#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 18.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, con la Galleria dei Sarcofagi ci porta nel Terzo Periodo Intermedio illustrando il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon

La Galleria dei Sarcofagi al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Il 18.mo appuntamento con le “Passeggiate con il direttore” è il primo dedicato al Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco illustra il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon che si trova all’inizio della Galleria dei Sarcofagi, ma che forse – precisa Greco – “andrebbe meglio definita come Galleria del Terzo Periodo Intermedio che ci fa capire cosa avviene alla fine del Nuovo Regno, all’epoca di Ramses XI”. Butehamon. è lo scriba della necropoli e probabilmente è lui ad abbandonare il villaggio di Deir el Medina e andare a vivere a Medinet Habu.

“Osservando il sarcofago di Butehamon”, spiega Greco, “colpiscono subito degli elementi di differenza rispetto ai sarcofagi visti in precedenza. Qui c’è un esplodere di colori e di decorazioni. Sembra quasi che ci sia un horror vacui, che ogni centimetro quadrato del coperchio sia coperto dalla decorazione. Perché? In questo momento non si costruiscono più tombe con decorazioni parietali come avevamo conosciuto nel Nuovo Regno. La crisi economica e politica dell’Egitto spinge quindi a cambiare il culto. Però tutti quei testi che decoravano le pareti sono fondamentali perché permettono la trasfigurazione del defunto, permettono al defunto di accedere alla vita dell’aldilà e allora vengono trasferiti nel sarcofago. Così il sarcofago sopperisce alla mancanza di decorazione della tomba e ne acquisisce tutti gli elementi”.

La parte superiore del sarcofago di Butehamon (foto museo Egizio)

Questo sarcofago ci introduce in quella tipologia dei “sarcofagi gialli”. Il termine è evidente e si vedrà bene con i sarcofagi di Tabakenkhonsu e di Khonsumes: questo colore giallo predominante va a sostituire l’oro che non viene più utilizzato. Il colore è ottenuto grazie all’orpimento, un pigmento a base di arsenico che dà appunto questa colorazione molto forte. “Osserviamo alcuni elementi: si vede che il coperchio esterno del sarcofago di Butehamon presenta nella parte superiore un collare wsekh sui cui lati c’è la testa di falco e di Horus; ha le braccia incrociate sul petto, con le mani chiuse a pugno, elemento tipico per definire il fatto che questo è un sarcofago di un uomo e non di una donna. Vedremo poi che le donne presentavano i sarcofagi con due mani distese. E poi al centro vi è un elemento importantissimo: la solarizzazione, il culto del dio Sole. C’è il simbolo dell’orizzonte con il disco solare sopra, e sotto vediamo il dio nella sua forma mattutina, nella sua forma di scarabeo khepri che spinge il disco solare. E poi la dea del cielo Nut che divide quasi in due il sarcofago.

“La cassa presenta elementi importantissimi legati al culto, legati proprio al fatto che il sarcofago sia un cosmogramma, che raccolga in sé in nuce tutti gli elementi fondamentali per la resurrezione del defunto. Ad esempio, su un lato, c’è una divinità maschile verde stesa, che è il dio Geb, la terra. Al di sopra, a fare quasi una volta, è la divinità femminile Nut, che è il cielo, sostenuta da Shu, dio dell’aria e dell’atmosfera. Bene questo è anche l’inizio di quella che noi potremmo chiamare teo-genesi ma anche antropogenesi. Non è solo la creazione degli dei ma anche la creazione degli uomini. Dall’unione del cielo e della terra, di Nut e Geb, nasceranno quattro divinità Iside, Nefti, Osiride e Seth, che rappresentano anche la lotta manichea tra il bene e il male. Osiride che entra poi in contrasto con Seth. Osiride è il primo sovrano dell’Egitto che viene combattuto e ucciso da Seth. Il bene però sappiamo vincerà perché Osiride, nonostante venga ucciso dal fratello, potrà poi resuscitare grazie all’opera di Iside e Nefti e diventare il sovrano dell’oltretomba. Qui in nuce quindi è rappresentato l’inizio di tutto, l’inizio della creazione degli dei, l’inizio della creazione del mondo. Il sarcofago però ci fa vedere dall’altra parte anche un qualcosa di estremamente interessante. Ci fa entrare, per quando gli umani lo possano fare, nel mondo dell’oltretomba. La campitura bianca a un certo punto si squarcia e dove il bianco non fa più da sottofondo vi sono delle scale che scendono nell’oltretomba. Questa è la Duat, l’oltretomba. Quindi possiamo aver uno sguardo nella Duat, nell’oltretomba, in quello che avverrà nell’aldilà. Ovviamente Osiride è ben presente e lo vediamo sul fondo della cassa con la rappresentazione del cosiddetto pilastro djed, che qui è quasi personificato perché ai lati le braccia del dio tengono in mano lo scettro e il flagello. I due occhi udjat e la corona atef sono sopra il pilastro djed. Il pilastro djed è esso stesso una rappresentazione di Osiride, rappresenta la sua colonna vertebrale. Quindi ancora una volta il sarcofago è il segno dell’unità solare osiriaca, di quello che l’Amduat, ovvero testo cosmografico dell’oltretomba che ci racconta del periplo solare nell’aldilà”.

#iorestoacasa. Il museo Egizio di Torino è chiuso, così il direttore Christian Greco porta il museo nelle case degli appassionati con “Passeggiate” che focalizzano su reperti esposti nelle vetrine: dalla corrispondenza tra padre e figlio alle mummie di animali, dal papiro dell’Amduat al sarcofago giallo della cantatrice di Amon agli artisti-artigiani di Deir el Medina

Il museo Egizio di Torino è chiuso dall’8 marzo 2020 per decreto come tutti i musei in Italia per contenere la diffusione del Coronavirus

“Dobbiamo ripartire dalla cultura”, Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, ne è convinto. “Adesso abbiamo un po’ di tempo per riprendere in mano i libri, ristudiare la storia e gli antichi. Il nostro museo sta facendo quello che può per portare qualche nozione dell’Antico Egitto ai cittadini, perché lì riscopriamo la nostra umanità e come le nostre paure non siano così cambiate dall’Età del Bronzo”. E continua: “Stiamo lavorando tantissimo perché il rapporto con il pubblico è fondamentale. La nuova sfida adesso è portare il museo fuori dal museo in modo digitale. Sul nostro sito web abbiamo un tour virtuale della mostra ‘Archeologia invisibile’, ho registrato delle pillole narrando un oggetto al giorno e porteremo il museo nelle case degli italiani, così tutti potranno fruire della cultura stando a casa in attesa della riapertura in sicurezza del museo”. Ed ecco i primi interventi del direttore Greco, a cominciare dall’appello: “Restiamo a casa”.

Dall’8 marzo 2020 il museo Egizio di Torino, come tutti i musei in Italia, è chiuso per decreto con l’obiettivo di contenere la diffusione del Coronavirus. Ma il museo arriva a casa degli appassionati. In questi giorni difficili, rispettiamo le disposizioni del Governo: restiamo a casa: è l’accorato appello di Greco. “Anch’io sono a casa, sono nella mia casa, il museo Egizio. Che è anche la casa di tutti voi, e per questo la sera il direttore vi racconta un oggetto: così il museo esce dal museo e viene da voi”. Il tema della sera è la passione di scrivere. Greco descrive due papiri esposti in museo. Contengono due lettere la prima viene scritta da uno scriba di Deir el Medina al figlio: “Non dormo più né di giorno né di notte perché non ricevo tue notizie”. L’altra è la risposta del figlio: “Le lettere io te le ho scritte, non è colpa mia se il servitore non le ha consegnate!”. Il direttore Greco commenta: “In questi giorni in cui siamo costretti a stare a casa riscopriamo il gusto della lentezza, del comunicare, dello scrivere”.

Ma il direttore Christian Greco aveva già iniziato una settimana prima dell’8 marzo 2020, quando si delineava già un quadro fosco ma non erano ancora scattate le restrizioni su tutto il territorio nazionale, a regalare agli appassionati “passeggiate” con piccole presentazioni di particolari oggetti esposti al museo. Infatti da 24 al 29 febbraio 2020 il museo Egizio di Torino è rimasto chiuso sulla base di un’ordinanza emessa dal ministero della Salute e della Regione Piemonte. Durante i giorni di chiusura il Direttore ha raccontato ai visitatori, alcune curiosità sulla collezione. Qui mostra la vetrina con alcune mummie animali, che tanto piacciono ai più piccoli. “Gli egizi”, spiega Greco, “facevano mummie di animali per tre ragioni principali: alcuni animali potevano essere mummificati perché potevano costituire il cibo per il defunto nell’Aldilà; altri erano animali che in vita erano animali domestici e quindi accompagnavano il proprietario nella “nuova vita”, la vita che continua. Infine altri animali, la maggior parte, venivano portati in dono al dio che si manifestava nella forma specifica di quell’animale, perché così il dio poteva essere benevolente nei confronti del defunto”.

In questa “Passeggiata” Christian Greco ci parla di un reperto davvero speciale: il papiro dell’Amduat, che si può ammirare in Sala 8, la Galleria dei Sarcofagi. “A partire dal Nuovo Regno”, spiega Greco, “nelle tombe reali troviamo una composizione che si chiama Am-duat, che significa “ciò che avviene nell’aldilà” o “colui che sta nell’aldilà” e narra il periplo del dio Sole nelle dodici ore notturne”. Poiché il Sole spariva a Occidente alla vista degli umani per ricomparire a Est dodici ore dopo, gli egizi pensavano che in quel periodo, che andava dal tramonto all’alba, il sole viaggiasse nell’Aldilà. Se il testo dell’Am-duat per tutto il Nuovo Regno si trova solo nelle tombe reali, a partire dal Terzo periodo intermedio comincia a essere scritto sui sarcofagi o sui papiri, e lo possono avere anche persone che non sono proprie della sfera regale. Al museo Egizio di Torino c’è un bellissimo papiro con il testo dell’Am-duat.

La “Passeggiata con il Direttore” continua ancora dalla Galleria dei Sarcofagi per raccontare alcune curiosità sul bellissimo sarcofago giallo della cantatrice di Amon Tabakenkhonsu. Il sarcofago giallo, per la sua particolare colorazione, compare con il III periodo intermedio, cioè dall’inizio del I millennio a.C. e presenta una decorazione fitta su tutta la superficie. “Le immagini e i testi che all’epoca d’oro dei faraoni venivano realizzati nelle tombe”, spiega il direttore Greco, “ora che le condizioni economiche non consentono più la realizzazione di grandi tombe vengono posti sul sarcofago perché possano accompagnare il defunto nell’Aldilà. Il sarcofago ora distingue il genere: quello della cantatrice di Amon si vede subito che è di una donna perché presenta le mani distese. In un sarcofago maschile le mani dell’uomo sono chiuse a pugno. Anche la parrucca è da donna, e poi ci sono gli orecchi e il segno dei seni”.

In questa “Passeggiata” il direttore Greco ci porta nel villaggio di Deir El Medina, il villaggio degli artigiani e degli artisti del faraone, fondato sotto la XVIII dinastia e che fu attivo per tutto il Nuovo Regno, cioè dal 1500 al 1070 a.C. per ospitare quanti erano chiamati a lavorare nella valle dei Re e delle Regine alla realizzazione delle tombe reali. “Una stele ci mostra bene come si consideravo questi artigiani”, spiega Greco. “Sopra ci sono le figure del faraone Amenofi I e della madre Ahmose Nefertari, che qui vengono adorati come i protettori di Deir El Medina: questo culto ancestrale è ripetuto su molte stele, e anche in intarsi e sugli ostraka. Sotto, i reali, nella prima riga di testo, l’artigiano si definisce “Servitore nel luogo della verità”: così era sentito dai suoi abitanti Deir el Medina”. Il museo Egizio di Torino è particolarmente ricco di reperti provenienti da questo sito perché Deir el Medina fu oggetto di scavo proprio dalla missione archeologica italiana diretta da Ernesto Schiaparelli che era anche direttore dell’Egizio.