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Casazza (Bg). Nell’area archeologica Cavellas, l’archeologo Andrea Breda presenta il libro “Strade e percorsi tra Alto Sebino, Val Cavallina, Val Borlezza e Valle Camonica dalla Preistoria al Medioevo” a cura di Marco Albertario e Cristina Longhi

casazza_area-archeologica-cavellas_libro-Strade-e-percorsi-tra-Alto-Sebino-Val-Cavallina-Val-Borlezza-e-Valle-Camonica-dalla-Preistoria-al-Medioevo_presentazione_locandinaSabato 1° aprile 2023, alle 17, a Casazza (Bg) nell’area archeologica Cavellas, l’archeologo Andrea Breda presenta il libro “Strade e percorsi tra Alto Sebino, Val Cavallina, Val Borlezza e Valle Camonica dalla Preistoria al Medioevo”, a cura di Marco Albertario e Cristina Longhi, edito da SAP società archeologica srl. Il volume è il primo della serie “Quaderni della Rete PAD (Paesaggi Archeologici Diffusi)”, una rete che promuove percorsi condivisi di conoscenza nel territorio in provincia di Bergamo.

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Copertina del libro “Strade e percorsi tra Alto Sebino, Val Cavallina, Val Borlezza e Valle Camonica dalla Preistoria al Medioevo”

Gli importanti comparti minerari della Val Seriana, della Val di Scalve e della Val Camonica, le risorse economiche differenziate del territorio compreso tra la Val Borlezza, il Lago d’Iseo e la Val Cavallina, caratterizzato da rilievi e laghi e solcato da facili vie di accesso alla pianura, hanno reso il settore nord-orientale della Provincia di Bergamo un territorio di “cerniera” tra Regione Alpina e Pianura Padana. Un ruolo importante i cui segni si possono ancora leggere nel paesaggio e nella geografia degli insediamenti. Le testimonianze archeologiche, architettoniche, artistiche e i documenti antichi, ma anche la memoria toponomastica e i percorsi viari raccontano aspetti delle dinamiche economiche e sociali a partire dal passato più remoto, definendo un paesaggio culturale. Il volume riprende e sviluppa gli spunti di novità emersi in occasione della giornata di studi Strade e percorsi tra Alto Sebino, Val Cavallina, Val Borlezza e Val Camonica dalla Preistoria al Medioevo tenuta a Lovere presso l’Accademia Tadini il 12 ottobre 2019, con l’intento di accompagnare il lettore nella conoscenza del territorio così come lo vediamo oggi, passando da un concetto lineare di percorso a una visione diffusa dell’attività dell’Uomo, artefice del paesaggio attuale. Gli autori tracciano le coordinate storiche, analizzano i percorsi viari e gli elementi distintivi – come torri, castelli, pievi e santuari – e presentano atti notarili e rendiconti commerciali, disegnando l’importanza strategica di un territorio e le sue relazioni con le regioni limitrofe. Il racconto non può che concludersi con quelle rilevanti evidenze archeologiche, i Paesaggi Archeologici Diffusi (PAD), da cui ha preso avvio e spunto la ragione di questo Volume e che costituiscono l’ideale punto di partenza del viaggio, utile strumento per leggere l’invisibile da parte di chi il territorio lo voglia conoscere percorrendolo.

Padova. Presentazione delle scoperte archeologiche e apertura al pubblico dell’ex chiesa di Sant’Agnese, dopo i lunghi e complessi interventi di recupero e restauro

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L’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova a conclusione dei restauri (foto sapab-met-ve)

Venerdì 31 marzo 2023, alle 18, avrà luogo a Padova la presentazione ufficiale al pubblico (su invito), e apertura al pubblico da sabato 1° aprile 2023, della ex chiesa di Sant’Agnese, a conclusione dei lunghi e complessi interventi di recupero e restauro cui hanno preso parte maestranze e professionalità di competenza multidisciplinare, attive in ambito archeologico, antropologico, architettonico e storico-artistico, sotto l’alta sorveglianza del personale tecnico scientifico della soprintendenza ABAP per l’area metropolitana Venezia e province Belluno Padova Treviso.

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Un’immagine della chiesa di Sant’Agnese a Padova prima dei bombardamenti (foto sabap-met-ve)

Note storiche. L’edificio religioso, che sorge nel centro storico della città all’incrocio tra via Dante e via Sant’Agnese, ha origini antichissime: il primo riferimento alla chiesa con funzione di parrocchia si desume da un documento del 1202 e la sua esistenza è già attestata in una pergamena del 1190. L’assetto attuale testimonia il vissuto storico particolarmente travagliato della costruzione, bombardata durante la seconda guerra mondiale, per essere poi sconsacrata nel 1949 e adibita all’uso di autofficina fino agli anni Ottanta del secolo scorso. A tale periodo risale la demolizione della zona absidale. In seguito alla chiusura dell’attività commerciale si è accresciuto lo stato di abbandono della chiesa, con il conseguente avanzamento del degrado che ha gravemente compromesso, in particolare, la conservazione dell’apparato decorativo del cinquecentesco portale in pietra di Nanto, tradizionalmente attribuito a Gian Maria Mosca e ricondotto dagli studi più recenti agli scultori rinascimentali Antonio e Giovanni Minello. La recente acquisizione dell’immobile da parte della Fondazione Peruzzo, con destinazione a centro culturale, ha consentito l’avvio dei lavori di ristrutturazione e di adeguamento dell’edificio. Sono state pertanto eseguite indagini conoscitive, campagne di scavo e operazioni di restauro che hanno permesso di acquisire nuovi dati.

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Scavi archeologici nell’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova (foto sabap-met-ve)

Le scoperte archeologiche. Nel corso delle attività di scavo archeologico (2007 per il locale interrato e il piccolo cimitero, 2015 e 2018 per la chiesa e 2020 per l’ascensore), condotte da SAP Società Archeologica e Tuzzato Studio Archeologia, sono state rinvenute testimonianze di varie epoche, a partire da quella preromana, negli scavi più profondi eseguiti nel retro della chiesa. Sono stati inoltre rinvenuti i resti di un tratto di strada basolata di epoca romana – fiancheggiata da marciapiedi e dotata di collettore fognario – che immetteva nel Kardo Maximus (l’attuale via Dante). Sotto il pavimento dell’aula ecclesiale è invece affiorata una complessa stratificazione comprensiva di strutture murarie, pavimentali e tombali risalenti a più fasi dell’edificio ecclesiastico, la cui prima fase costruttiva – con orientamento opposto all’attuale – risale presumibilmente al XII secolo, in accordo con i primi documenti noti.

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L’impilata di cassette con le migliaia di frammenti di intonaco recuperati negli scavi archeologici (foto sabap-met-ve)

È stato possibile riportare alla luce, tra l’altro, cinque lastre tombali a pavimento, di varia datazione, e un corpus di oltre cinquemila frammenti di intonaco dipinto, databili al tardo Trecento e inclusi in uno strato di riporto steso nel XV secolo, durante una delle fasi di ricostruzione della chiesa. La primitiva area absidale, anticamente collocata a est verso l’attuale via Dante, presentava due catini di diverso diametro: l’aula, secondo quanto ipotizzato dagli archeologi, è stata modificata tra il XII e la seconda metà del XIV secolo, epoca a cui potrebbe risalire il riuso di una delle lastre pavimentali decorate, ora frammentaria, databile all’XI secolo e inglobata come materiale di scarto nel pavimento. La seconda fase di costruzione della chiesa, orientata come la precedente ma dotata di una sorta di “pseudo abside” in sostituzione delle due preesistenti, era certamente decorata alle pareti, secondo quanto si desume dai frammenti superstiti degli affreschi tardo trecenteschi rintracciati durante gli scavi. L’edificio è stato in seguito ampiamente modificato e ruotato di 180 gradi, mediante l’inversione dell’orientamento del presbiterio e l’apertura del portale d’ingresso con affaccio su via Dante, mentre le dimensioni dell’aula rimanevano immutate. Risale a tale periodo anche l’inizio dei lavori per la costruzione del campanile, tuttora esistente, collocato a sinistra della nuova abside rettangolare. A conclusione degli scavi e in seguito al prelievo, alla movimentazione e alla messa in sicurezza dei reperti, si è proceduto a ripristinare la copertura del suolo con la messa in opera di un pavimento in pastellone. L’eccezionalità del sedime della ex chiesa di Sant’Agnese è stata riconosciuta con la dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante (provvedimento del 20 ottobre 2021), emanata dalla Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del Veneto.

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Una fase del restauro e ripristino della copertura dell’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova (foto sabap-met-ve)

Il progetto architettonico e il restauro. Il restauro, eseguito a partire dal 2015 su progetto dell’architetto Leonardo Borchia (Studio Borchia e Associati di Padova) con il coinvolgimento dell’impresa Pajaro e della ditta Passarella Restauri s.r.l., è stato finalizzato alla salvaguardia del disegno compositivo dei prospetti e della struttura esistente, mediante il recupero conservativo e funzionale degli elementi architettonici e spaziali originari, nell’ottica di un intervento non invasivo e di ricucitura – laddove possibile – delle trasformazioni e degli inserti novecenteschi, con soluzioni che potessero in qualche misura valorizzare anche la discontinuità nell’uso dei materiali, nell’ottica di una nuova e moderna fruizione. L’intervento conservativo, realizzato dalla ditta Passarella Restauri s.r.l., si è sviluppato in varie fasi che hanno previsto: indagini conoscitive sulle superfici di finitura della chiesa; consolidamento e restauro della struttura lignea e degli intonaci del controsoffitto; realizzazione di nuovi intonaci alle pareti della navata; rifacimento degli intonaci esterni; restauro del portale, della scultura a tutto tondo raffigurante Sant’Agnese (ora nuovamente esposta entro la nicchia al centro della facciata) e degli elementi lapidei; restauro del paramento murario esterno del campanile e realizzazione di nuovi intonaci all’interno della canna fumaria dello stesso; restauro degli affreschi superstiti e frammentari che decorano l’interno del campanile, raffiguranti un fregio a elementi architettonici in finto marmo; restauro dell’affresco rinascimentale a monocromo collocato nella lunetta facente parte della primitiva abside, raffigurante putti e ghirlande; restauro di due lapidi pavimentali; pulitura dei depositi incoerenti presenti sulla superficie dei frammenti degli affreschi trecenteschi, e manutenzione della strada romana portata alla luce nel corso degli scavi; restauro del dipinto a olio su tela raffigurante Sant’Agnese rifiuta i doni, di autore ignoto e databile alla metà del Seicento, facente parte della decorazione originaria della chiesa.

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Frammenti di intonaco dipinto dall’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova (foto sabap-met-ve)

La convenzione per il recupero e la valorizzazione dei reperti rinvenuti nel corso degli scavi. Il pregio dei reperti ritrovati nel corso dei lavori, di proprietà demaniale, e l’impegno della soprintendenza a tutelare e valorizzare tale patrimonio nell’ottica di renderlo fruibile nel contesto di appartenenza hanno indotto il soprintendente Fabrizio Magani a promuovere nel 2021 un accordo di collaborazione tra soggetto pubblico e privato, mediante la stipula di una convenzione con la Fondazione Alberto Peruzzo, finalizzata a precisare gli obblighi reciproci e a definire le specifiche attività connesse alla tutela, alla valorizzazione e alla manutenzione dei resti monumentali, affinché gli stessi fossero a conclusione dei lavori visibili alla collettività, nell’ottica di promuovere il prevalente interesse pubblico. Le professionalità della Soprintendenza, diversificate negli ambiti di competenza archeologica, architettonica, storico artistica, conservativa e giuridico amministrativa, hanno a tal fine attivamente operato in sinergia, assicurando piena collaborazione e supporto anche nelle attività di studio e di ricerca scientifica. A partire dall’intuizione del soprintendente Magani, che nel corso di un sopralluogo aveva rilevato la qualità pittorica di alcuni frammenti di intonaco affrescato, individuando su base stilistica la mano di Guariento, la soprintendenza ha elaborato uno studio progettuale di catalogazione e di riconoscimento stilistico e formale del corpus dei frammenti – preceduto da una ricerca storica, documentaria, iconografica e bibliografica – finalizzato alla ricomposizione di modelli decorativi, iconografici e figurativi attraverso l’indagine stilistica e formale della materia e il confronto con analoghe rappresentazioni pittoriche realizzate da maestranze attive in area veneta nel XIV secolo. La ricognizione sistematica dei materiali e lo studio degli stessi, condotto in sinergia tra il restauratore Giordano Passarella e la nostra collega Debora Tosato, ha permesso una nuova suddivisione dei frammenti in 55 vassoi sulla base della tecnica, dello stato di conservazione e di elementi riconducibili a caratteri di omogeneità morfologica e stilistica, al fine di produrre una prima catalogazione suddivisa secondo aree colorimetriche nell’osservanza di elementi tipologici distintivi.

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Pannello con ricomposizione dei frammenti di intonaco dipinto dall’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova (foto sapab-met-ve)

Nel corso del lavoro è stato possibile confermare l’attribuzione a Guariento di alcuni pezzi con panneggi, ciocche di capelli, occhi, bocche, ciuffi di barbe, incarnati e dita per evidenti similitudini e analogie stilistiche con i cicli decorativi a fresco realizzati dall’artista nella Cappella Carrarese (ora Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti) e nella chiesa degli Eremitani a Padova. Una selezione delle più significative tipologie e ricomposizioni dei frammenti è stata esposta nelle due vetrine visibili nello spazio interrato in corrispondenza dell’abside della chiesa, unitamente alle due restaurate lapidi di Apardo, figlio di Pazzino Donati, e di Nicolosa, figlia di Filippo Urri, studiate come le restanti lastre pavimentali dell’edificio ecclesiale dal prof. Franco Benucci (università  di Padova).

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Copertina del libro “Una nuova Sant’Agnese” (Skira)

Per ulteriori informazioni si rinvia ai contributi di Franco Benucci, Claudio Grandis, Vincenzo Mancini, Giordano Passarella, Debora Tosato e Stefano Tuzzato, pubblicati nel libro “Una nuova Sant’Agnese. Il recupero di una chiesa del XII secolo e un nuovo centro per l’arte” (Skira). Il volume racconta il recupero di un edificio storico, una chiesa del XII secolo, che dopo sette anni di restauro diventa un polo culturale e un centro per l’arte restituito alla città di Padova. È un racconto che contiene altre storie – l’operato di figure come l’archeologo, il restauratore, lo storico, l’architetto – perché un recupero così lungo e importante non può che essere frutto della collaborazione di molte professionalità di alto livello. Gli scavi hanno portato alla luce reperti importanti (in primis alcuni frammenti d’affresco di epoca giottesca) e il nuovo centro si pone come dialogo tra epoche storiche diverse, dall’edificio eretto all’inizio dello scorso millennio, ai frammenti del Trecento, alle opere di arte moderna e contemporanea che fanno parte della collezione della Fondazione Alberto Peruzzo. Il libro parla della storia del luogo, del suo recupero, ma anche della sua missione futura, e di come un sito dal ricco passato e dalla lontana spiritualità possa essere strappato dal degrado e recitare un ruolo chiave, grazie all’arte e alla cultura, nella società contemporanea. La Fondazione Alberto Peruzzo è un’istituzione non profit, nata nel 2015, impegnata nella diffusione dell’arte e nel recupero del patrimonio artistico del territorio. Il primo progetto è stato il recupero architettonico del Padiglione Venezia ai Giardini della Biennale, realizzato in collaborazione con Louis Vuitton, mirato al ripristino di un’importante sede dell’Esposizione Internazionale. Marco Trevisan ha ricoperto molti ruoli di responsabilità in musei, fondazioni e società private legate all’arte – ad esempio per il Guggenheim di Venezia, per FMR Art’è USA, per Affordable Art Fair – ed è stato direttore di Christie’s Italia. Ha insegnato allo IED di Venezia e ha tenuto conferenze presso le Università Ca’ Foscari di Venezia, Università Cattolica di Milano, Università di Padova e di Pavia. Oggi è art advisor e direttore della Fondazione Alberto Peruzzo. Nel 2021 ha pubblicato con Scheiwiller 24 Ore Cultura Ars factiva. La bellezza utile dell’arte, un’indagine sul rapporto tra arte, scienza e tecnologia.

Negrar. La nuova campagna di scavo ha interessato il settore Ovest della Villa dei Mosaici: emersi mosaici con raffigurazioni di animali che hanno riscontri in Oriente. Ma ora servono nuovi finanziamenti per proseguire le ricerche e indagare sull’area produttiva della villa: olio e, forse, vino

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I mosaici con raffigurazioni di animali emersi dallo scavo archeologico nel peristilio Ovest della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto sabap-vr)

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Gianni De Zuccato, archeologo della Soprintendenza di Verona, sullo scavo della Villa dei Mosaici di Negrar (foto Comune di Negrar)

Di trovare nuove porzioni di mosaici in soprintendenza ne erano sicuri. Ma certo non di trovare dei mosaici con raffigurazioni così belle da richiamare “altre iconografie molto più famose come la Villa degli Uccelli di Alessandria d’Egitto”. Parola dell’archeologo Gianni De Zuccato, direttore dello scavo alla Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella (Vr). E questo è solo un dettaglio dei risultati raggiunti in questa nuova fase di ricerca su cui è stato fatto il punto nei giorni scorsi da parte del soprintendente Vincenzo Tinè. Lo scavo è infatti ripreso a gennaio 2022. Questa volta è stata interessata la nuova area di proprietà della Società Agricola Franchini che, come già l’Azienda Benedetti, ha generosamente messo a disposizione i mezzi e sostenuto le spese per le operazioni preliminari allo scavo nel quadro di uno specifico accordo di valorizzazione pubblico-privato tra la soprintendenza e i proprietari. Ma ora per la prosecuzione degli scavi necessita urgentemente di ulteriori contributi finanziari per consentirne il completamento.

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Una fase degli scavi del marzo 2022 nel peristilio Ovest della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto sabap-vr)

Anche questo nuovo intervento è realizzato dalla SAP – Società Archeologica, sotto la direzione scientifica di Gianni De Zuccato della Soprintendenza. Il finanziamento è stato concesso dal Bacino Imbrifero Montano dell’Adige, grazie all’intervento del Comune di Negrar di Valpolicella, che fin dall’inizio ha affiancato la soprintendenza nelle nuove ricerche nel sito. L’università di Verona – Dipartimento Culture e Civiltà collabora agli scavi e agli studi, mentre l’Accademia di Belle Arti di Verona al restauro conservativo dei mosaici e dei materiali rinvenuti, con cui il Comune di Negrar di Valpolicella ha già attivato un protocollo d’intesa per la valorizzazione culturale del territorio.

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L’ampia area di scavo della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto Comune di Negrar)

Lo scavo archeologico della Villa romana dei Mosaici di Negrar di Valpolicella, intrapreso negli anni ’20 del secolo scorso è stato riavviato dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio nel 2019, mettendo in luce su un’ampia area di proprietà dell’Azienda Agricola Benedetti le strutture residenziali della villa. Particolare rilievo mediatico hanno avuto l’anno scorso i pavimenti mosaicati, ancora straordinariamente conservati di questa villa, che sono ora in corso di restauro e valorizzazione. L’Azienda Agricola Benedetti è fatta carico delle prime coperture provvisorie della parte residenziale scavata lo scorso anno che, oltre alla protezione, renderanno possibile il restauro e la visione pubblica dei mosaici in attesa del completamento dello scavo e della musealizzazione di tutta l’ampia area archeologica messa in luce, la cui progettazione è affidata al Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Mantova (vedi Negrar di Valpolicella (Verona). A meno di un anno dalla ri-scoperta della Villa dei Mosaici, una villa rustica a carattere residenziale e produttivo di media età imperiale (III sec. d.C.), Comune Soprintendenza e Aziende vitivinicole siglano un patto per lo scavo, la musealizzazione e la valorizzazione del sito immerso tra i vigneti: archeologia e vino, due eccellenze in sinergia. Il ministro Franceschini: “Modello di rapporto pubblico-privato da esportare” | archeologiavocidalpassato).

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Lo scavo archeologico alla Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella è realizzato dalla SAP – Società Archeologica, sotto la direzione scientifica di Gianni De Zuccato della Soprintendenza di Verona (foto sabap-vr)

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Alberto Manicardi, archeologo della Sap (foto sap)

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Il soprintendente di Verona Vincenzo Tinè (foto mic)

L’intervento di questi primi mesi del 2022 si è concentrato sul peristilio Ovest della villa. “Diversamente dagli altri lati del peristilio che hanno restituito bei mosaici geometrici”, spiega De Zuccato, “qui abbiamo trovato raffigurazioni di animali, e di altri soggetti, di una certa qualità, con l’uso di tessere dai colori vistosi. A prima vista queste raffigurazioni guardano a Oriente. La qualità sembra superiore a quella delle altre parti del peristilio: le tessere sono più piccole. Il disegno sembra molto più curato. Anche la parte geometrica sembra più complessa e più curata. Con il settore Ovest della villa abbiamo individuato quello che potrebbe essere il muro limite Ovest, ma vediamo che ci sono dei muri che continuano ancora. Quindi non abbiamo al certezza assoluta”. E Alberto Manicardi, archeologo Sap, ricorda che è stato tolto tutto lo strato che seppelliva la stratigrafia archeologica e anche il livello agricolo che copriva direttamente le strutture residuali. “Dalla strada romana – spiega – si scendeva a gradoni e ci si immetteva direttamente all’interno di un lungo cortile tutto lastricato, con una sorta di canaletta che lo perimetra e costituiva l’impluvium. Il lastricato è integro. Un lungo corridoio sicuramente scoperto, e poi due grandi ambienti molto lunghi, uno a destra e uno a sinistra, a Ovest e a Est, che costituivano questi lunghi ambienti a fianco di questo grande cortile”. Riprende De Zuccato: “Di questo settore non sappiamo nulla, sappiamo solo che è molto più ampio rispetto al settore Est della villa, dove c’erano solo una fila di stanze larghe circa un 5 metri. Qui invece lo spazio è molto più ampio. Potrebbero essere stanze ad uso agricolo come magazzini o forse anche alla lavorazione dei prodotti agricoli. Speriamo che si trovi qualche prova della lavorazione del vino”. Il soprintendente Vincenzo Tinè è prudente: “Siamo in fase di scavo, e quindi è presto per un’interpretazione finalmente complessiva della villa nelle sue due parti residenziale e produttiva. Dobbiamo capire bene anche queste strutture che stanno emergendo di tipo chiaramente produttivo funzionale alla produzione dell’olio e forse del vino: che cosa sono? Lo vedremo nelle prossime settimane”.