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Prende forma l’antica città romana di Claterna, nel Bolognese: con la campagna 2018 individuati nuovi ambienti ed edifici e quasi certamente anche l’impianto termale. Presentazione ufficiale dei risultati di scavo

L’ipotesi di ricostruzione del teatro di Claterna su foto aerea del sito (grafuca 3D di Paolo Nanni)

Nel luglio 2018 sono ripresi gli scavi archeologici nell’area di Claterna, la città romana che giace sotto i campi del territorio di Ozzano dell’Emilia. E i risultati sono stati sorprendenti. La campagna di scavo 2018 ha portato grandi novità per la conoscenza dell’antica città che si estende per 600 metri lungo la Via Emilia per 600 metri e per 300 metri a nord e sud della stessa strada consolare. Gli scavi nella domus del Fabbro e nel teatro hanno individuato nuovi ambienti che aiutano a definire meglio forma e dimensione dei due edifici mentre la realizzazione della pista ciclabile lungo la via Emilia ha portato in luce un grande mosaico forse pertinente all’impianto termale. E, novità assoluta di quest’anno, è stata effettuata una ricerca geomagnetica su tutta la pianta del sito. “Alcune città hanno molte vite – sottolineano in soprintendenza -, una per ogni strato che viene in luce. Per sua fortuna Claterna ne ha solo una, più una seconda che si prefiggono di darle gli scavi e le ricerche sistematiche intraprese dal 2005 da soprintendenza, associazioni culturali, amministrazioni comunali e università, grazie al sostegno finanziario di alcuni mecenati. Da 1500 anni la città romana che dorme pressoché intatta sotto i campi della frazione Maggio di Ozzano dell’Emilia, a mezzo metro di profondità, è la protagonista di un grande progetto di studio e valorizzazione archeologica”. Grazie al finanziamento di CRIF SpA e al contributo di Gruppo IMA SpA e RENNER Italia SpA, la soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Bologna e l’associazione culturale “Centro Studi Claterna Giorgio Bardella e Aureliano Dondi” hanno avviato un nuovo progetto di esplorazione e valorizzazione di Claterna a cui hanno partecipato anche l’università Ca’ Foscari di Venezia e l’università di Siena (che ha effettuato ricerche geomagnetiche) e gli studenti delle scuole superiori che hanno aderito al progetto di “alternanza scuola lavoro”, grazie all’apporto dei dieci Rotary Club di Bologna.

La presentazione della campagna 2018 a Claterna: da sinistra, Maurizio Liuti, Marco Mobili, Anna Rita Muzzarelli, Luca Lelli, Saura Sermenghi, Cristina Ambrosini, Renata Curina, Alessandro Golova Nevsky e Claudio Negrelli

Queste straordinarie novità e rinvenimenti sono stati presentati ufficialmente sul sito della città romana di Claterna, stradello Maggio in località Maggio di Ozzano dell’Emilia (Bo) da Cristina Ambrosini, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le provincie di Modena, Reggio Emilia e Ferrara (“Un grazie a quanti a Claterna rendono concreta l’archeologia del territorio, dagli amministratori pubblici alle associazioni culturali, dagli studenti ai volontari. Quello di Claterna non è solamente un progetto di ampio respiro che garantisce uno sviluppo di qualità ma un’esperienza che, oltre a ricadute sul piano turistico, aiuta il recupero del senso di comunità”); Saura Sermenghi, presidente dell’associazione culturale “Centro Studi Claterna Giorgio Bardella e Aureliano Dondi” (“La ricerca scientifica ha un’importanza strategica per la salvaguardia del patrimonio culturale”); Luca Lelli, sindaco di Ozzano dell’Emilia (“I lavori del museo Città di Claterna sono in dirittura d’arrivo”); Anna Rita Muzzarelli, assessore a Castel San Pietro Terme (“Fondamentali passione e dedizione condivise da tutti coloro che operano per la valorizzazione dell’antica città romana. Noi in corrispondenza della zona archeologica realizzeremo una piazzetta di sosta lungo la pista ciclabile”); Maurizio Liuti, direttore comunicazione CRIF; Daniele Vacchi, direttore corporate communications gruppo IMA; Marco Mobili, responsabile R&D RENNER Italia; Alessandro Golova Nevsky, delegato dei Rotary Club Bologna, per il coordinamento del progetto di alternanza scuola-lavoro (“Significativi l’impegno e la disponibilità dei tanti studenti dei licei i istituti tecnici di Bologna che hanno aderito al progetto prodigandosi ben oltre i tempi stabiliti nelle operazioni di ricerca, scavo e prima pulitura dei reperti, anticipando fin d’ora la disponibilità a proseguire questa esperienza anche nel 2019”); Claudio Negrelli, responsabile scientifico dell’associazione culturale “Centro Studi Claterna Giorgio Bardella e Aureliano Dondi”.

La ricostruzione delle strutture della domus del Fabbro a Claterna, riutilizzando materiali e tecniche antiche (foto di Paolo Nanni)

I potenti blocchi della cavea del teatro portati alla luce dagli scavi 2018 (foto di Maurizio Molinari)

Claterna nasce nel II secolo a.C. con una duplice funzione – riassumono gli archeologi della soprintendenza -: da un lato è un importante snodo viario all’incrocio fra via Emilia, torrente Quaderna e una via transappenninica, forse la Flaminia minor, dall’altra come centro di mercato e servizi. Nel I secolo a.C. Claterna, come tante altre città italiche, diventa un municipium con competenza sul vasto territorio compreso fra i torrenti Idice e Sillaro. Dopo il periodo di massimo splendore collocabile nella prima età imperiale, la città sopravvive fino alla tarda antichità (V-VI secolo d.C.), seppure notevolmente ridimensionata, per poi venire totalmente abbandonata fino al completo oblio. Fin dall’Ottocento, l’antica città romana di Claterna è stata un campo d’indagine privilegiato per l’archeologia emiliano-romagnola. L’unicità di Claterna è dovuta al fatto di non aver avuto una continuità storica analoga a quella degli altri centri sorti lungo la via Emilia (da Rimini a Piacenza) e questa assenza di stratificazione ha offerto la possibilità di indagare la città nella sua estensione e configurazione originale, senza le modifiche intervenute nel tempo. A partire dagli anni ’80, la soprintendenza ha intrapreso la progressiva acquisizione dell’ampia superficie su cui si estende l’antica città romana e dal 2005 si è dato vita a un grande progetto di studio e valorizzazione con enti locali e associazioni culturali. L’obiettivo delle ricerche e dei sondaggi sistematici intrapresi nell’ultimo decennio è di chiarire alcuni aspetti topografici (i suoi limiti, l’articolazione interna, gli spazi pubblici e sacri quali foro, basilica, edifici templari e teatro) e cronologici (dalla fondazione e dall’eventuale origine preromana al declino) dell’antica città e di valorizzare alcuni spazi per consentire al pubblico di visitare le evidenze archeologiche più suggestive, come la Casa del fabbro e la Domus dei mosaici. E allora vediamo meglio i risultati della campagna 2018, accompagnati virtualmente da Renata Curina, archeologa della soprintendenza, e Claudio Negrelli e Maurizio Molinari del centro studi Claterna.

Il settore Nord della domus del Fabbro a Claterna con i nuovi ambienti scavati in profondità (foto da drone di Paolo Nanni)

Molte e interessanti le novità emerse dalle ricerche 2018. Nella domus del Fabbro, sono proseguite le ricerche nella nuova area aperta verso Nord, operando più in profondità per raggiungere le fasi imperiali di I – III secolo d.C. “La scoperta più importante”, annunciano Curina, Negrelli e Molinari, “è stata quella di un secondo peristilio, un’area cortiliva porticata dotata di pozzo sulla quale affacciava una cucina. Sono stati anche scoperti un altro cortile e altri ambienti, questi ultimi intonacati. La domus insomma sta prendendo sempre più forma, confermandosi come un grande e complesso organismo architettonico”. Dal punto di vista della ricostruzione delle strutture, anche quest’anno si è proseguito nel progetto, aggiungendo nuovi ambienti, oltre alla ricostruzione di uno dei pozzi ritrovati negli anni precedenti. La sperimentazione continua con materiali e tecniche differenti, sempre però ispirate al sapere costruttivo degli antichi romani.

La strutture della cavea del teatro di Claterna si vedono bene nella foto da drone di Paolo Nanni

“Abbiamo proseguito le ricerche anche nel settore del Teatro, aprendo un’area molto vasta di fianco a quella dell’anno scorso. Le indagini sono ancora in corso ma va segnalato il ritrovamento di strutture di fondazione della cavea, in grandi blocchi di arenaria, che si stanno rivelando molto più profonde e ben conservate di quanto non fosse emerso l’anno scorso. L’esplorazione della parte bassa della cavea ha restituito anche materiali lapidei lavorati, come un grosso frammento di cornice, mentre sono iniziate quest’anno le indagini nella zona dell’orchestra e degli ingressi laterali che si trovano a profondità elevate in quanto parte della struttura è stata parzialmente costruita sotto il livello di calpestio antico. Queste scoperte stanno definendo la forma architettonica di un grande teatro, consentendoci in futuro di proporne una ricostruzione sempre più dettagliata”.

Prospezioni magnetometriche nel settore sud di Claterna

Ricerche geomagnetiche ed edifici pubblici. La campagna di scavo 2018 ha consentito di avviare un progetto sognato da tempo: l’esplorazione estensiva della città attraverso le più moderne tecnologie geofisiche. “Abbiamo trovato un ottimo interlocutore nell’università di Siena, in particolare nel prof. Stefano Campana, stimato e famoso ricercatore che vanta un’esperienza pluriennale nello specifico campo delle prospezioni su città e territori antichi e medievali”. I risultati non si sono fatti attendere: l’integrazione tra le nuove prospezioni geomagnetiche condotte dall’università di Siena (ben 16 ettari sui 18 del totale urbano) e la mappatura delle tracce aerofotografiche portata avanti in lunghi anni di ricerche ha prodotto un quadro quasi completo dell’area urbana e di parte del suburbio. “Questi nuovi dati ci permettono ora di individuare meglio, tra le tante altre particolarità, tutto il comparto pubblico, compresi alcuni edifici mai individuati prima, e la scansione interna del tessuto urbano. Un materiale di assoluto interesse che stiamo studiando nei particolari e che sarà oggetto di analisi nei prossimi mesi”.

Mosaico a motivi geometrici bianco-neri del complesso termale di Claterna (foto di Cristina Falla)

Ultima ma non meno importante novità di quest’anno è la scoperta legata alla realizzazione della pista ciclabile che collegherà San Lazzaro di Savena e Castel San Pietro Terme: le ricerche dirette dalla soprintendenza hanno intercettato un grande mosaico e potenti strutture proprio nel luogo dove le prospezioni e le foto aeree inducevano a ritenere che esistesse un grande edificio pubblico, probabilmente termale. Un nuovo tassello nella costruzione dalla seconda vita di Claterna. Scavi e indagini future confermeranno o chiariranno la natura di questa costruzione.

Due progetti sul patrimonio ebraico e sui luoghi della storia della comunità ebraica bolognese presentati a Bologna nella tavola rotonda “Bologna Ebraica. Storia e Patrimonio della Città”

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

Anello d’oro recuperato dagli scavi del cimitero ebraico medievale di Bologna (foto Roberto Macrì)

Da una parte la pubblicazione “Il Cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione”, finanziata dalla Fondazione Del Monte, dall’altra il progetto “Sui passi della Bologna ebraica”, finanziato dalla Fondazione Carisbo: sono i due progetti sul patrimonio ebraico e sui luoghi della storia della comunità ebraica bolognese che saranno presentati da soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e dalla Comunità Ebraica di Bologna nella tavola rotonda “Bologna Ebraica. Storia e Patrimonio della Città” in programma giovedì 10 Maggio 2018, alle 17, nella sala della Cultura di Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna, in via Castiglione a Bologna. Alla tavola rotonda, condotta dal direttore del Corriere di Bologna, Enrico Franco, partecipano Fabio Roversi Monaco, presidente Genus Bononiae; Marco Lombardo, assessore Relazioni europee e internazionali, Cooperazione internazionale, ONG, Lavoro, Attività produttive, Politiche per il Terzo Settore, Progetto “Insieme per il Lavoro”, Comune di Bologna; Daniele De Paz, presidente Comunità Ebraica di Bologna; Leone Sibani, presidente Fondazione Carisbo; Sabina Magrini, segretariato regionale del MiBACT per l’Emilia Romagna; Guido Ottolenghi, presidente Fondazione Museo Ebraico di Bologna. Nel corso della tavola rotonda i progetti saranno presentati dalle archeologhe del MiBACT, Renata Curina e Valentina Di Stefano, dall’antropologa Maria Giovanna Belcastro, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, e da Giacomo Sanzani, consulente di comunicazione multimediale. L’iniziativa si avvale del patrocinio del Comune di Bologna e dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Bologna (per la scoperta del cimitero ebraico vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/02/archeologia-medievale-scoperto-in-via-orfeo-a-bologna-il-cimitero-ebraico-soppresso-450-anni-fa-con-le-sue-408-sepolture-e-il-piu-grande-ditalia-e-il-secondo-in-europa-sara-il-fulcro-di-un/).

Al via gli incontri del Gabo “…comunicare l’archeologia…”, un viaggio alla scoperta di etruschi, goti, bizantini, longobardi, veneti antichi, celti, romani, popoli mediterranei dell’età del Bronzo e abitatori delle terramara

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d’Italia

Approfondimenti ed escursioni collegate: è un programma molto articolato quello proposto dal gruppo Archeologico bolognese nel ciclo di conferenze del primo semestre 2018 “…comunicare l’archeologia…”: da febbraio a giugno 2018 sarà un appassionante viaggio alla scoperta di etruschi, goti, bizantini, longobardi, veneti antichi, celti, romani, e ancora: dai popoli mediterranei dell’età del Bronzo agli abitatori delle terramara. Il Gabo aderisce ai Gruppi Archeologici d’Italia, in collaborazione con i quali sono promosse campagne di ricerca, scavi e ricognizioni d’interesse nazionale, alle quali è dedicata soprattutto la stagione estiva, in collaborazione con le competenti soprintendenze Archeologiche. Il Gruppo Archeologico Bolognese collabora inoltre con il museo nazionale Etrusco “Pompeo Aria” di Marzabotto, il museo “Luigi Donini” di San Lazzaro di Savena e il museo della Civiltà Villanoviana (MUV) di Castenaso. La sede di quasi tutti gli incontri, che si tengono al martedì alle 21, è quella tradizionale: il centro sociale “G. Costa” in via Azzo Gardino 48 a Bologna.

Frammento di ceramica a figure rosse conservato al museo Archeologico nazionale di Adria

Il fascino di Persepoli, la capitale achemenide voluta dal re Dario

Il ciclo di conferenze del Gabo inizia martedì 20 febbraio 2018, alle 21, al “Costa”. La prima parte della serata sarà dedicata a presentare l’attività sociale febbraio-giugno 2018. Quindi Silvia Romagnoli, archeologa specializzata in Etruscologia e Travel Designer, con “Un giorno ad Adria. Vita quotidiana in un emporio etrusco nel Delta del Po”  ci porta a conoscere l’importante città portuale fin dalle origini, collocata lungo un ramo – oggi estinto – del Po. Prima emporio etrusco, quindi scalo fluviale commerciale greco nel V a.C., poi sostituito nel IV secolo a.C. dall’emporio etrusco di Spina. Adria divenne successivamente colonia dei Greci di Siracusa, quindi centro dei Galli e infine insediamento romano nel III secolo a.C. I più importanti reperti provenienti dalla città di Adria sono conservati al museo Archeologico nazionale di Adria: e il Gabo ha già programmato la gita ad Adria e al museo Archeologico nazionale per sabato 24 febbraio 2018, con la stessa Silvia Romagnoli e l’archeologa Maria Longhena: numerosissimi i frammenti di ceramica attica a figure nere e rosse esposti insieme ai vasellami di bronzo etruschi, riferibili principalmente al VI e V sec. a.C. quando il porto conobbe il suo periodo di massimo splendore. Dell’età ellenistica è invece la cosiddetta “Tomba della Biga”, una straordinaria sepoltura di tre cavalli con i resti metallici di un carro a due ruote. Per quanto riguarda l’epoca romana, i vetri di ottima qualità sono l’indizio della prosperità del luogo. Il ciclo continua martedì 27 febbraio 2018, sempre alle 21 al “Costa”, con un altro viaggio “in Iran”: Claudio Busi, cultore di storia documentarista e viaggiatore, il suo diario di viaggio in Iran arricchito con un filmato.

Il prezioso “missorium” d’argento rinvenuto a Cesena, un piatto di uso simbolico-celebrativo

La cosiddetta Dea di Caldevigo, bronzetto votivo al museo di Este

Il viaggio alla conoscenza dei popoli antichi riprende martedì 6 marzo 2018, sempre alle 21 al “Costa”, con Cinzia Cavallari, archeologa della soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Bologna, che introduce la mostra “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia”, al museo civico Medievale di Bologna, dal 17 febbraio al 17 giugno 2018:  un viaggio nel tempo di quasi un Millennio che racconta le trasformazioni delle città e del territorio e l’affermarsi dei nuovi ceti dirigenti goti, bizantini e longobardi: castelli, monasteri, edifici di culto e Comuni, i nuovi centri di potere, hanno scritto la storia dell’intera regione dal IV-V secolo agli inizi del XIV (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/27/a-bologna-medioevo-svelato-storie-dellemilia-romagna-attraverso-larcheologia-grazie-alle-scoperte-archeologiche-degli-ultimi-40-anni-una-mostra-al-museo-civico-m/). Anche in questo caso è prevista una visiyta guidata alla mostra in data ancora da definire. La settimana successiva, martedì 13 marzo 2018, si fa la conoscenza dei veneti antichi. L’archeologa Maria Longhena parlerà de “La civiltà atestina: genti e culture del Veneto antico”. All’incontro segue sabato 17 marzo 2018 la gita a Este con visita guidata al museo nazionale Atestino a cura di Maria Longhena e Silvia Romagnoli. Il museo nazionale Atestino illustra la civiltà dei Veneti antichi, che ha caratterizzato lo sviluppo sociale e culturale locale nel corso del I millennio a.C., in dinamico rapporto con il mondo etrusco, celtico e romano. Fin dal 1876 sono emerse a Este le più consistenti testimonianze di questa civiltà, oggi esposte nelle 11 sale del museo: descrivono la vita quotidiana, le manifestazioni artistiche, quelle della religiosità e dei rituali funerari, per ricostruire la società e sottolineare analogie e differenze con l’attualità.

Il logo del progetto “2200 anni lungo la via Emilia”

La prima pagina del New York Times del febbraio 1922 con la notizia della scoperta della tomba di Tutankhamon

Sono viaggi diversi quelli proposti dagli ultimi tre incontri di marzo, per il primo dei quali si cambiano giorno, orario e sede. L’appuntamento è infatti domenica 18 marzo 2018, alle 16.30, al museo della Civiltà Villanoviana in via B.Tosarelli 191 a Castenaso (Bo), per “Le interviste impossibili” con Umberto Eco che intervista Muzio Scevola, testo di Umberto Eco. Marco Mengoli, archeologo e docente di italiano e storia alle scuole superiori, nella parte dell’intervistatore; Michele Gambetti nella parte di Muzio Scevola, protagonista di una nota leggenda romana dalla quale deriva il modo di dire “Mettere la mano sul fuoco riguardo a qualche cosa”, per indicare di essere sicuri su un determinato fatto o espressione: il suo gesto estremo. Introduce l’intervista Paola Poli, archeologa e curatrice del museo della Civiltà Villanoviana (MUV) di Castenaso. Martedì 20 marzo 2018, si torna al “Costa” alle 21,  per una passeggiata virtuale lungo la strada consolare che ha dato il nome a un’intera regione: “La via Emilia tra storia ufficiale e memoria privata” illustrata da Erika Vecchietti, archeologa specializzata in Archeologia Romana, che preparerà la visita di aprile alle mostre del progetto “2200 anni lungo la via Emilia”. L’ultimo incontro del mese, martedì 27 marzo 2018, alle 21 al “Costa”, con Graziano Tavan, giornalista e curatore dell’archeoblog “Archeologiavocidalpassato”, si affronta il rapporto tra archeologia e comunicazione: “Ricerca e divulgazione: archeologia sui giornali tra Tutankhamon e Indiana Jones”, excursus su come è cambiato nei secoli il concetto di archeologia, per passare poi all’archeologia come disciplina e come ricerca sul campo, fino a quando uscendo dagli ambienti accademici l’archeologia diventa divulgazione per raggiungere il grande pubblico attraverso la comunicazione sui giornali, non solo in Italia.

Il manifesto della mostra “Mutina Splendidissima. La città romana e la sua eredità” al Foro Boario di Modena dal 25 novembre 2017 all’8 aprile 2018

La locandina della mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017” a Reggio Emilia

Il programma del mese di aprile apre sabato 7 con la gita a Modena e Reggio Emilia con Erika Vecchietti per le mostre sulla via Emilia. Al foro Boario di Modena la mostra “Mutina Splendidissima”, dove i reperti e le opere d’arte, accostati a preziose testimonianze provenienti da numerosi musei italiani, affiancano le ricostruzioni virtuali dei principali monumenti di Mutina (le mura, il foro, l’anfiteatro, le terme, una domus) che fanno da contrappunto alla descrizione delle città dal periodo precedente la sua fondazione, avvenuta nel 183 a.C., alla decadenza verificatasi nella tarda età imperiale (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/11/24/mutina-splendidissima-la-citta-romana-e-la-sua-eredita-apre-a-modena-la-mostra-clou-per-i-2200-anni-della-fondazione-della-colonia-romana-sulla-via-emilia-che-racconta-le-origini/). Al Palazzo dei musei di Reggio Emilia c’è invece la mostra “On the road”, un percorso virtuale che ci permette di conoscere i segreti della via Emilia, la sua costruzione, le sue strutture, i suoi servizi, ma anche le città sorte lungo il suo tracciato e le popolazioni che le abitavano (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/14/on-the-road-la-mostra-di-reggio-emilia-propone-una-riflessione-sulla-storia-della-via-emilia-e-sul-suo-fondatore-sul-significato-della-strada-nella-contemporaneita-in-un-itinerari/). Gli incontri riprendono martedì 10 aprile 2018, alle 21 al “Costa”, con “Nuove testimonianze archeologiche dalla città romana di Claterna”: Renata Curina, archeologa della soprintendenza di Bologna, Maurizio Molinari, archeologo dell’associazione “Civitas Claterna”, e Claudio Negrelli, archeologo responsabile scientifico dell’associazione “Civitas Claterna”, illustreranno i risultati della campagna di scavo 2017 che ha inaugurato un nuovo progetto triennale di ricerca focalizzato su due precisi settori dell’antica città di Claterna: la già nota Casa del Fabbro,  dove sono stati scoperti nuovi ambienti (un piccolo impianto termale e altri vani con pozzi e cucina) e l’area centrale destinata in antico agli edifici pubblici, che ha rivelato le imponenti strutture del teatro e di un secondo edificio dell’area pubblica (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/11/02/claterna-fu-promossa-da-m-vipsanio-agrippa-il-genero-di-augusto-i-risultati-della-campagna-di-scavo-2017-potrebbero-cambiare-la-datazione-della-citta-romana-sulla-via-emilia-tra-bologna-e-imola-sc/). Il martedì successivo, 17 aprile, alle 21 al “Costa”, Maurizio Cattani, dell’università di Bologna, affronta il tema “Isole di Storia. Esplorare il Mediterraneo nell’età del Bronzo”.

La terramara di Pragatto in provincia di Bologna

Si riprende martedì 8 maggio 2018, alle 21 al “Costa”, con Monica Miari, archeologa della soprintendenza di Bologna, che ci porta nel mondo delle terramara, tipo di insediamento apparso nella pianura padana a sud del Po durante l’Età del Bronzo, attorno al 1550 a.C.: si tratta di un villaggio di capanne costruite su un impalcato ligneo cinto da un argine e da un fossato. La denominazione viene dalla “terramarna” raccolta sui bassi rilievi emergenti della pianura e anticamente usata per concimare i campi. La conferenza illustra i “Nuovi dati dagli scavi della terramara di Pragatto”, la più importante e ricca terramara della provincia di Bologna, scoperta nel 1879 dall’archeologo Antonio Zannoni. Gli incontri chiudono martedì 15 maggio 2018, alle 21 al “Costa”: “Viaggio in Etruria con George Dennis: Vulci ”. Letture e commenti da “Cities and cemeteries of Etruria” di George Dennis e proiezione del documentario “Vulci” di Alan Badel a cura di Silvia Romagnoli. Ma il Gabo riserva un appuntamento anche in giugno: dal 5 al 10 giugno 2018, viaggio in Provenza sulle tracce delle vestigia romane e visita alla replica della famosa Grotta di Chauvet.

Archeologia medievale. Scoperto in via Orfeo a Bologna il cimitero ebraico soppresso 450 anni fa: con le sue 408 sepolture è il più grande d’Italia e il secondo in Europa. Sarà il fulcro di un progetto interdisciplinare per il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia di Bologna

Veduta di una porzione dell’area di scavo del cimitero ebraico medievale di via Orfeo a Bologna (foto Cooperativa Archeologia)

Bologna racchiusa nelle sue mura nella pianta del Blaeu (1640)

Soppresso 450 anni fa, col tempo se n’erano perse le tracce del cimitero ebraico medievale di Bologna, citato dalle fonti storiche e documentarie, anche se una tradizione popolare non ha mai dimenticato la presenza degli “orti degli ebrei”. Ci ha pensato l’archeologia. Recenti indagini archeologiche a Bologna hanno infatti individuato il cimitero ebraico medievale, il più grande finora noto in Italia con le sue 408 sepolture, il quale ora sarà oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo. “È la più vasta area cimiteriale medievale mai indagata in città, testimone di eventi che hanno radicalmente mutato la storia e la vita di una parte della popolazione bolognese tra il XIV e il XVI secolo. Per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi ma dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento -che autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici della città- sopravvive per secoli solo nel toponimo di Orto degli Ebrei”, raccontano Renata Curina e Valentina Di Stefano, archeologhe della soprintendenza, e Laura Buonamico di Cooperativa Archeologia, alla presentazione della scoperta, presenti il sindaco di Bologna, Virginio Merola; Maria Grazia Fichera, della direzione Archeologia del Mibact; Luigi Malnati, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Daniele De Paz, presidente della Comunità Ebraica di Bologna; David Menasci, delegato Unione Comunità Ebraiche Italiane; Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna; Francesco Ubertini, magnifico rettore Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Maria Giovanna Belcastro, docente di antropologia all’ateneo bolognese.

Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano

Tra il 2012 e il 2014, l’area che si è poi rivelata essere il “perduto” cimitero ebraico medievale di via Orfeo è stata oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico estensivo, condotto dalla Cooperativa Archeologia come indagine preventiva alla costruzione di un complesso residenziale. Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano. “Le fonti d’archivio riportano che quest’area fu acquistata nel 1393 da un membro della famiglia ebraica dei Da Orvieto (Elia ebreo de Urbeveteri)”, continuano le tre archeologhe, “per poi essere lasciata in uso agli ebrei bolognesi come luogo di sepoltura. Questa funzione permane fino al 1569, quando l’emanazione di due Bolle Papali condanna le persone di religione ebraica ad abbandonare le città dello Stato Pontificio e ad essere cancellate dalla memoria dei luoghi dove avevano vissuto e operato. Uno degli effetti più violenti di queste persecuzioni è l’autorizzazione a distruggere i cimiteri e a profanare le sepolture ebraiche presenti in città. Una damnatio memoriae che riesce solo in parte visto che negli atti e registri degli anni seguenti, ma soprattutto nella consuetudine orale, quell’area continua ad essere indicata come Orto degli Ebrei”.

Preziosi anelli rinvenuti nell’area del cimitero ebraico di via Orfeo

Il cimitero ebraico medievale scoperto in via Orfeo a Bologna non è solo il più grande finora noto in Italia (e secondo in Europa solo a quello di York in Inghilterra) ma un’opportunità unica di studio e ricerca. Sono state scavate 408 sepolture di donne, uomini e bambini, alcune delle quali hanno restituito elementi d’ornamento personale in oro, argento, bronzo, pietre dure e ambra. Un gruppo di lavoro composto da soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Bologna, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Comunità Ebraica di Bologna e ricercatori indipendenti, con il supporto del Comune di Bologna, cercherà di ricomporne le vicende storiche, ricostruendo le dinamiche insediative e l’evoluzione topografica e sociale dell’area. Uno degli obiettivi primari del Progetto è l’elaborazione di un piano di recupero della memoria e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia della comunità bolognese. “Il cimitero di via Orfeo”, interviene l’antropologa culturale Valentina Rizzo, “è un caso unico in Europa per elementi informativi e rappresenta uno straordinario campo di collaborazione tra discipline scientifiche e istituzioni pubbliche. L’obiettivo conclusivo del lavoro di ricerca è la restituzione dei resti umani alla Comunità al fine di garantire una sepoltura secondo il rito ebraico e la restituzione di uno scenario storico e culturale alla contemporaneità. Verranno per questo studiate e concretizzate azioni di valorizzazione e divulgazione che inquadrino il periodo e gli accadimenti legati al cimitero di via Orfeo, come memoria e come eredità patrimoniale culturale ebraica nella città di Bologna”.

Bracciale di pietre dure rinvenuto nel cimitero ebraico di via Orfeo (foto Roberto Macri)

Con il Breve del 28 novembre 1569, Pio V dona l’area del cimitero ebraico alle suore della vicina chiesa di San Pietro Martire, accordando alle monache la facoltà “di disseppellire e far trasportare, dove a loro piaccia, i cadaveri, le ossa e gli avanzi dei morti: di demolire o trasmutare in altra forma i sepolcri costruiti dagli ebrei, anche per persone viventi: di togliere affatto, oppure raschiare e cancellare le iscrizioni ed altre memorie scolpite nel marmo”. “Lo scavo archeologico”, spiegano  Curina, Di Stefano e Buonamico, “ha riportato in luce gli sconvolgenti effetti di questo provvedimento: circa 150 tombe volontariamente manomesse per profanare la sacralità delle sepolture, nessuna traccia delle lapidi che dovevano indicare il nome dei defunti, forse vendute o riutilizzate. Proprio da via Orfeo vengono probabilmente le quattro splendide lapidi ebraiche esposte nel museo civico Medievale di Bologna”.

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

L’area cimiteriale di via Orfeo ha restituito 408 sepolture a inumazione perfettamente ordinate in file parallele, con fosse orientate est-ovest e capo del defunto rivolto a occidente. “La razionale organizzazione planimetrica delle tombe e la presenza di oggetti d’ornamento di particolare ricchezza sono peculiarità difficilmente riscontrabili nei cimiteri coevi. Ulteriori ricerche consentiranno di analizzare le conseguenze del passaggio di proprietà del terreno al monastero di San Pietro Martire, verificando l’eventuale presenza anche di sepolture cristiane inserite nell’area del precedente cimitero ebraico. Gli studi archeologici analizzeranno sia le sequenze stratigrafiche, che attestano una frequentazione dell’area dall’Età del Rame all’età moderna, sia i materiali recuperati nello scavo, avvalendosi anche del confronto con alcuni contesti cimiteriali ebraici scavati in Inghilterra, Francia e Spagna. Tra gli oggetti rinvenuti negli scavi, un approfondimento sarà dedicato ai numerosi gioielli medievali, di cui verranno studiate caratteristiche stilistiche, tecniche di realizzazione e significati delle incisioni presenti”.

Gli inumati del cimitero medievale saranno studiati e poi riconsegnati alla Comunità ebraica

Nell’ambito della collaborazione tra università di Bologna, soprintendenza per la città metropolitana di Bologna e Comunità Ebraica di Bologna si inserisce lo studio antropologico degli inumati (oltre 400) del cimitero medievale di via Orfeo condotto dal laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense, diretto da Maria Giovanna Belcastro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Lo studio prevede di esaminare molte caratteristiche biologiche dei singoli inumati avvalendosi di un approccio integrato tra analisi morfologiche, microbiologiche, molecolari e tomografiche al fine di ricostruire la storia e la vita della comunità ivi rappresentata. “Oltre alla composizione demografica del gruppo”, sintetizza la prof.ssa Belcastro, “si prevede di ricostruire lo stato di salute, la dieta, eventuali specializzazioni nelle attività lavorative, aspetti relativi ai riti funerari, la provenienza geografica legata a possibili spostamenti da altre aree europee. Per giungere a questi risultati il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense esaminerà gli aspetti relativi alla ricostruzione dell’integrità dei resti scheletrici per procedere alla ricostruzione del profilo biologico (stima dell’età e attribuzione del sesso degli inumati), dello stato di salute e nutrizionale attraverso l’esame di tutte le alterazioni e patologie ossee e dentarie, e delle attività lavorative svolte in vita”. Alla fine i dati verranno raccolti e integrati in un geodatabase per offrire, da un lato uno strumento di gestione delle informazioni di scavo e di laboratorio, dall’altro un supporto significativo per lo studio del contesto, grazie all’elaborazione di planimetrie generate attraverso visualizzazioni tematizzate. “Il modello di studio integrato che emerge, che vede l’integrazione di quanto noto dalle fonti storiche e documentarie, dei dati archeologici e biologici, unitamente alla collaborazione con la Comunità ebraica di Bologna, rappresenta un unicum”, conclude Belcastro. “Lo studio del cimitero di via Orfeo – che non ha confronti in Italia e pochi in Europa – e la ricostruzione della vita della comunità ivi rappresentata offre alla città di Bologna la possibilità di ricostruire una parte importante della propria storia e, più in generale, alla società una riflessione che consenta di andare sempre più verso modelli inclusivi di convivenza”.

“On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”: Reggio Emilia celebra con una grande mostra la via tracciata nel 187 a.C. da Marco Emilio Lepido. Personaggi e storie, spaccati sociali e modi di vivere dell’antichità raccontati da oltre 400 reperti archeologici unici, dal cinema e dal digitale

Il tracciato della via Emilia che ancora oggi attraversa il centro di Reggio Emilia

Un uomo: il console Marco Emilio Lepido; il suo nome: Aemilius; la sua strada: via Aemilia; una città: Regium Lepidi – Reggio Emilia. È un percorso lineare quello che lega Marco Emilio Lepido alla Via Emilia e al capoluogo di Reggio Emilia. Mentre Modena e Parma festeggiano i 2200 anni della loro fondazione (183 a.C.), Reggio Emilia celebra con una grande mostra, “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”, la via tracciata nel 187 a.C. da Marco Emilio Lepido, il console romano che giocò un ruolo fondamentale nel dare forma istituzionale al Forum che da lui poi prese il nome di Forum o Regium Lepidi. La mostra dedica una particolare attenzione alla figura di Marco Emilio Lepido, il geniale costruttore che, sgominati Celti e Liguri, decise la costruzione di una lunghissima strada che collegasse le colonie di Rimini e Piacenza: una strada che avrà alterne fortune nel corso dei secoli ma che non sarà mai abbandonata. La storia della strada di origini preromane si intreccia con quella della città che porta il nome del fondatore della via Aemilia e del territorio che attraversa.

Il manifesto della mostra “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017” al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia

Il tracciato della via Emilia da Rimini a Piacenza

Un ritratto in marmo del console Marco Emilio Lepido

La mostra “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”, che apre a Reggio Emilia sabato 25 novembre 2017, celebra la via consolare lungo la quale, da sempre, si sono incontrare persone, idee e culture diverse, contribuendo alla formazione di una città aperta e rivolta verso il futuro. Un monumentale racconto storico che si immerge nell’attualità: personaggi e storie, spaccati sociali e modi di vivere dell’antichità raccontati da reperti archeologici unici (oltre 400, provenienti da importanti musei nazionali o presenti nelle collezioni della città), dal cinema e dal digitale. Questo il cuore della mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017”, allestita nel Palazzo dei Musei di Reggio Emilia dal 25 novembre 2017 al 1° luglio 2018, propone una riflessione a 360 gradi sulla storia della via Emilia, sul suo fondatore e sul significato dell’importante arteria nella contemporaneità. La via Emilia ha lasciato un segno indelebile nel nome della città, unica fra i capoluoghi della regione a ricordare il gentilizio del suo costruttore; e la regione Emilia-Romagna è probabilmente l’unica al mondo a derivare il proprio nome da quello della strada su cui si impostava l’intero popolamento del suo territorio. Ma la strada non ha marchiato solo il nome. In tanti secoli ha mantenuto il suo tracciato, per lo meno in ambito urbano, continuando a veicolare merci e persone, e con esse anche idee, lingue e sensibilità religiose differenti, creando i presupposti per una città accogliente verso lo straniero, nell’antichità come ai giorni nostri. Da limes, cioè linea di confine fra l’Italia romana e un nord abitato da popolazioni “altre”, la Via Emilia sarebbe infatti presto diventata non solo asse portante delle comunicazioni padane ma collante di genti di lingua, idee e culture diverse, contribuendo alla formazione di una società aperta e rivolta al futuro. “Marco Emilio Lepido”, spiega il soprintendente Luigi Malnati, uno dei curatori della mostra, “è stato un personaggio determinante anche se non sufficientemente ricordato nei manuali di storia. La strada che porta il suo nome, e che ha poi dato il nome a un’intera regione, è frutto del suo progetto politico di costruire uno spartiacque tra i territori romani e quelli controllati dagli alleati a difesa delle popolazioni barbariche del nord, ma la via nata a scopo militare ha poi assunto funzioni civili e commerciali diventando quindi un luogo di unione”.

Un tratto della via Emilia riportato alla luce dagli scavi urbani in Reggio Emilia del 1931-1932

Il logo del progetto “2200 anni lungo la via Emilia”

Fra gli obiettivi della mostra che Reggio Emilia dedica alla Via Emilia romana e al suo fondatore Marco Emilio Lepido c’è quello di avvicinare al grande pubblico l’archeologia e la storia, per riscoprire le origini della città attraverso importanti reperti esposti in prestigiose location museali e sorprendenti contaminazioni che attualizzino il passato in maniera informale e creativa, raccontando il significato della strada consolare nella contemporaneità. Ecco perciò coinvolti luoghi diversi, diffusi e quotidiani della città, con l’aiuto del cinema (citazioni da famosi film peplum), delle tecnologie più avanzate e della “personificazione” della storia. Il percorso espositivo, che riunisce alle testimonianze dal Reggiano alcuni importanti prestiti da prestigiosi musei, documenta la fortuna della strada dagli antefatti di età preromana al Medioevo, portando al centro dell’attenzione la figura del costruttore, il console Marco Emilio Lepido. L’antica Regium Lepidi si mette in mostra nelle sale del nuovo museo di palazzo S. Francesco per illustrare il ruolo essenziale della città attestato anche da importanti resti archeologici, in parte esposti per la prima volta. Le ricostruzioni dei mezzi di trasporto e degli scenari stradali sono parte fondamentale dell’esposizione. La mostra “On the road. La Via Emilia 187 a.C. – 2017” è promossa dai Musei Civici di Reggio Emilia, dal Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l’Emilia-Romagna e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, con il contributo di Credem e Iren e il patrocinio di Anas. Curata da Luigi Malnati, Roberto Macellari ed Italo Rota, si avvale di un Comitato scientifico composto da Giovanni Brizzi, Annalisa Capurso, Francesca Cenerini, Antonella Coralini, Mauro Cremaschi, Renata Curina, Maurizio Forte, Maria Luisa Laddago, Daniela Locatelli, Roberto Macellari, Luigi Malnati, Giada Pellegrini, Elisabetta Pepe, Marco Podini e Paolo Sommella. La mostra fa parte del grande progetto di promozione della cultura e del territorio “2200 anni lungo la Via Emilia” www.2200anniemilia.it  promosso da tre città – Reggio Emilia, Parma e Modena a cui si aggiungerà Bologna in un secondo momento -, due soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio –quella per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e quella di Parma e Piacenza- e dalla Regione Emilia-Romagna (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/04/12/la-via-emilia-ecco-il-ricco-calendario-di-grandi-mostre-presentazione-di-ricerche-e-scoperte-archeologiche-ricostruzioni-3d-cyber-archeoologia-ed-eventi-per-celebrare-i-2200-anni-dalla-fondazione/).

La ricostruzione 3D del foro romano in Reggio Emilia (musei civici)

I resti del foro romano sotto palazzo Spalletti Trivelli a Reggio Emilia

L’esposizione si sviluppa nelle tre sedi di Palazzo dei Musei, palazzo Spalletti Trivelli e museo Diocesano e in altri luoghi del centro storico coinvolti a vario titolo nel circuito tematico della mostra. Fra questi il municipio, che rende omaggio alla figura del suo fondatore accogliendo il visitatore con la scultura settecentesca di Marco Emilio Lepido, ora restaurata da Angela Allini di Opus Restauri con il contributo del Lions Club Marco Emilio Lepido di Reggio Emilia, oppure l’incrocio fra la via Emilia e via Crispi (che ricalca il tracciato di una strada romana obliqua riportata in luce di recente sotto palazzo Busetti) dove una riproduzione 3D della statua del console (realizzata da Geis–Geomatics engineering innovative solutions) segnala l’itinerario verso Palazzo dei Musei. Nella sede del museo Diocesano viene approfondito il tema del primo Cristianesimo lungo la via Emilia (Via Aemilia, Via Christi) mentre palazzo Spalletti Trivelli, sede del gruppo bancario Credem, ospita una sezione dedicata all’edilizia romana sullo sfondo dei resti del foro della città tuttora conservati nei sotterranei dell’istituto di credito (Regium Lepidi underground).

“Dona militaria” (onorificenze) da un monumento fuebre di Rubiera, oggi ai musei civici di Reggio Emilia (foto Carlo Vannini)

Ma la mostra vera e propria è ospitata nel Palazzo dei Musei, un percorso che coinvolge l’intero edificio con installazioni, ricostruzioni 3D, proiezioni e l’esposizione di oltre 400 reperti provenienti da importanti musei nazionali e da collezioni della città che illustrano le sette aree tematiche: L’Emilia prima dell’Aemilia, Via Emilia-SS9, Marco Emilio Lepido e la sua città, Ruote zoccoli e calzari, La buona strada, Racconti per l’eternità, Est modus in rebus. L’allestimento, curato dall’architetto Italo Rota, punta a restituire alla sensibilità contemporanea i preziosi reperti archeologici esposti, inserendoli in ricostruzioni virtuali dell’antica strada romana e contestualizzandoli con l’aiuto di spezzoni di celebri film peplum. Si può rivivere l’affascinante storia della via Emilia attraverso le vicende dei suoi protagonisti mentre una serie di installazioni multimediali, sovrapponendo la via Emilia storica a quella contemporanea, consentono di cogliere con immediatezza persistenze, differenze e analogie.

La riproduzione 3D della statua di Marco Emilio Lepido posta all’incrocio fra la via Emilia e via Crispi

Gli altri eventi. La mostra è affiancata da una serie di iniziative promosse da vari enti e istituzioni culturali fra cui quelle dei dieci Comuni reggiani depositari di materiali archeologici che propongono eventi collegati al tema della Via Emilia, dalle passeggiate sulle strade della centuriazione alle visite a ponti e segmenti di vie antiche, da convegni scientifici ad attività divulgative e didattiche. In occasione della mostra saranno realizzati progetti educativi sul tema della viabilità e dell’incontro tra culture e popoli diversi e incontri con archeologi e storici dell’antichità di università, soprintendenze e musei che tratteranno il tema della viabilità antica e contemporanea nel Reggiano, in Emilia, nell’Impero romano. Oltre alle visite guidate alla mostra e a musei e siti di interesse archeologico in città e in altri luoghi del Reggiano, sono in programma workshop e seminari per studenti di topografia, archeologia e antichistica inerenti i temi della mostra, con il coinvolgimento di urbanisti e architetti del paesaggio.

Claterna fu promossa da M. Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto? I risultati della campagna di scavo 2017 potrebbero cambiare la datazione della città romana sulla via Emilia tra Bologna e Imola. Scoperti nuovi ambienti della domus del Fabbro e soprattutto intercettato il grande teatro

31 ottobre 2017, presentazione degli scavi. Da sinistra: Maurizio Liuti, Daniele Vacchi, Annarita Muzzarelli, Luca Lelli, Alessandro Golova Nevsky, Saura Sermenghi, Renata Curina, Claudio Negrelli e Maurizio Molinari (foto Paolo Nanni)

Fu veramente Marco Vipsanio Agrippa, il famoso genero e generale di Augusto, che come patronus della città si fece promotore della costruzione di Claterna? E fu il teatro scoperto nella campagna di scavo 2017 l’edificio nel quale il contemporaneo Publius Camurius Nicephorus, un magistrato locale nominato in una sintetica iscrizione funeraria ritrovata non lontano da Claterna, organizzò ludi (forse giochi scenici) per cinque giorni? Persone e volti che prendono lentamente forma attraverso le memorie materiali di Claterna frutto delle ricerche archeologiche. I risultati della campagna di scavo Claterna 2017, definita “molto fortunata”, sono stati presentati nel corso di una visita guidata che si è tenuta martedì 31 ottobre 2017 con interventi di Renata Curina, archeologa della soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le provincie di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Luca Lelli, sindaco di Ozzano dell’Emilia; Annarita Muzzarelli, assessore di Castel San Pietro Terme; Saura Sermenghi, presidente dell’associazione culturale “Centro studi Claterna – Giorgio Bardella, Aureliano Dondi”; Maurizio Liuti, direttore comunicazione CRIF (Azienda sostenitrice); Daniele Vacchi, direttore corporate communications Gruppo IMA (Azienda sponsor) e Alessandro Golova Nevsky, Rotary Club Bologna (Coordinamento progetto di alternanza scuola-lavoro).

Tabula Peutingeriana: la posizione di Claterna lungo la via Emilia tra Bononia e Forum Cornelii

La campagna di scavo 2017 ha inaugurato un nuovo progetto triennale di ricerca focalizzato su due precisi settori dell’antica città di Claterna: la già nota Casa del Fabbro e l’area centrale destinata in antico agli edifici pubblici. Scoperti nuovi ambienti della domus del Fabbro (un piccolo impianto termale e altri vani con pozzi e cucina) e le imponenti strutture del teatro e di un secondo edificio dell’area pubblica. Nel dettaglio, per la Casa del Fabbro è proseguita sia l’attività di scavo iniziata nel 2005 (scoprendo appunto nuovi ambienti della domus) che quella di archeologia sperimentale (ricostruendo in scala reale e in situ nuovi muri e stanze). Per quanto riguarda l’area centrale degli edifici pubblici – un’assoluta novità degli scavi 2017- è finalmente iniziata l’attività di ricerca in uno dei settori più importanti e al tempo stesso meno conosciuti della città romana, intercettando subito parti del teatro e alcune fondazioni perimetrali di un altro grande edificio pubblico. Rinvenimenti che gettano nuova luce sulla storia della città, imprimendo una svolta fondamentale alla ricerca archeologica e al progetto di valorizzazione dell’antico municipio romano, posto sulla via Emilia tra le colonie romane di Bologna (Bononia) e Imola (Forum Cornelii). Claterna fu infatti fondata alla confluenza nell’Emilia di un’altra strada romana che attraversava l’Appennino, forse la via Flaminia Minor, che congiungeva la strada emiliana con Arezzo. Oggi, le nuove scoperte potrebbero far rivedere all’età augustea la datazione che finora fissava la fondazione della città coeva alla realizzazione della via Emilia (187 a.C.), quindi verso l’inizio del II secolo a.C.

Veduta aerea dell’area archeologica di Claterna nel 2004, prima che iniziassero le campagne di scavo sistematiche

Gli scavi nella campagna 2017 sono stati condotti dall’associazione culturale “Centro Studi Claterna – Giorgio Bardella e Aureliano Dondi”, formata da volontari e archeologi professionisti, sotto la direzione scientifica della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le provincie di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, e in sinergia con i Comuni di Ozzano dell’Emilia e di Castel San Pietro Terme. Grazie all’apporto organizzativo dei Rotary Club di Bologna, all’attività di ricerca hanno collaborato gli studenti delle scuole secondarie superiori che hanno aderito al progetto di “alternanza scuola lavoro”. L’università Ca’ Foscari di Venezia e la Scuola di Specializzazione in Archeologia delle Università di Trieste, Udine e Venezia (SISBA) hanno infine partecipato alla campagna di scavo sia per la ricerca archeologica stratigrafica che per la formazione sul campo dei futuri archeologi. La realizzazione del progetto è stato possibile grazie al fondamentale finanziamento di CRIF Spa, con il contributo di Gruppo IMA, che da sempre sostiene e incoraggia la valorizzazione di Claterna, e di numerosi altri sponsor privati. Ora, con le informazioni scientifiche di Renata Curina, archeologa della soprintendenza, e direttore dell’area archeologica di Claterna; e di Claudio Negrelli e Maurizio Molinari, responsabili scientifici dell’associazione “Centro Studi Claterna – Giorgio Bardella e Aureliano Dondi”, facciamo una visita guidata virtuale nella città romana di Claterna, per conoscere meglio i risultati della campagna di scavo 2017, settore per settore.

Lo scavo della Casa del Fabbro nella città romana di Claterna

Lo scavo e la ricostruzione della Casa del Fabbro (settore 11). Lo scavo della domus del settore 11 è iniziato nel mese di giugno 2017 con l’asportazione dei riempimenti delle spoliazioni, cioè le trincee lasciate da coloro che nel Medioevo cavarono fino alle fondamenta gli antichi materiali costruttivi della città -ormai da tempo abbandonata- per reimpiegarli altrove. Quest’anno è stata scoperta un’altra importante serie di ambienti della domus del Fabbro che si sviluppavano verso Nord, probabilmente attorno a un cortile, mentre si è proseguito con l’attività di archeologia sperimentale, ricostruendo (in scala reale e in situ) uno dei muri perimetrali dell’edificio (quello verso Ovest, cioè verso lo Stradello Maggio) con base in laterizi romani e alzato in terra cruda. Gli studenti di Ca’ Foscari di Venezia hanno eseguito i disegni delle strutture e delle stratificazioni emerse nella fase precedente, impostando le basi topografiche (picchettatura) per i successivi rilievi. “Nella parte est della nuova area di scavo”, spiegano gli archeologi, “è venuto alla luce quello che parrebbe essere una sorta di piccolo settore termale privato pertinente alla domus: è stato infatti individuato un vano con suspensurae, i tipici mattoni circolari in genere associati agli ipocausti dei calidari termali. Tra il materiale di crollo sono stati trovati interessanti frammenti di un mosaico che forse decorava il pavimento soprastante”. Più a Sud, è stata scoperta un’altra pavimentazione in cocciopesto (battuto cementizio a base fittile), particolarmente ben conservata nonostante la scarsa profondità dal piano di campagna attuale, e un’altra pavimentazione ribassata, funzionale a sua volta alla presenza di un pozzo.

Veduta dall’altro dell’area di scavo 2017 nella Casa del Fabbro (foto Paolo Nanni)

La possibilità di scavare in profondità ha rivelato una serie di strati che descrivono con precisione le varie fasi di vita della domus durante un lunghissimo periodo di tempo. “Poiché in archeologia si procede a ritroso (dal più recente al più antico man mano che si scava)”, continuano  Curina, Negrelli e Molinari, “si sono subito trovate strutture murarie e pavimenti in terra battuta databili al V–VI secolo d.C,, cioè coeve alle ultime fasi di rioccupazione dell’edificio: sappiamo infatti che in questo luogo, dopo l’abbandono della domus, si stabilirono degli artigiani che lavoravano il ferro (da cui la denominazione di domus del Fabbro), dei quali abbiamo ritrovato l’officina e gli ambienti in cui risiedevano con le proprie famiglie”. Proseguendo lo scavo, è stato individuato uno strato di crollo più antico (III-IV secolo) per lo più riferibile a un tetto, vista l’ampia presenza di tegole e coppi.

Ipotesi di ricostruzione di una domus di Claterna, la Casa dei Mosaici

Sotto questo crollo sono stati individuati almeno tre ambienti. Il primo dotato di pozzo realizzato con mattoni puteali disposti in circolo. “Si tratta di un rinvenimento molto importante perché potrebbe raccontare molte cose sulla vita quotidiana della domus: i pozzi sono fondamentali in primis per studiare il tema dell’approvvigionamento idrico della città e poi perché dentro i pozzi venivano spesso gettati oggetti d’uso (sia in fase di utilizzo che in fase di abbandono) spesso in ottimo stato di conservazione”. Il secondo ambiente, quello più a nord, ha restituito due piani pavimentali sovrapposti: uno più antico in battuto cementizio (cocciopesto) e uno più recente, realizzato con un sottile riporto di argilla e calce. Il terzo ambiente, centrale, ha invece restituito un focolare a terra, oltre a resti di ceramiche, carboncini e cenere: è quindi probabile che si trattasse della cucina. “Lo scavo di quest’anno”, concludono i ricercatori, “ha dunque individuato una nuova ala della Casa del Fabbro in grado di raccontarci molte cose sulla vita quotidiana: un piccolo ambiente riscaldato e una serie di ambienti di carattere funzionale, con pozzi e cucina”.

La foto aerea mostra con impressionante chiarezza le tracce del teatro romano e di altri edifici pubblici (Foto Maurizio Molinari, 2015)

Lo scavo del settore pubblico della città di Claterna: il teatro (settore 16). Tra luglio e ottobre 2017 è stato aperto un nuovo settore di scavo (settore 16) nell’area “pubblica” della città e cioè in quel comparto a Nord della via Emilia occupato da una serie di grandi edifici già individuati da foto aeree e satellitari. “È stata un’esplorazione di capitale importanza”, assicurano  Curina, Negrelli e Molinari, “perché non si scavava in questo settore dalla fine del XIX secolo cioè da quando Edoardo Brizio aveva fatto eseguire alcuni saggi che avevano individuato, tra l’altro, lo spiazzo forense. In anni più recenti, foto satellitari e riprese aeree oblique avevano evidenziato come, oltre alla supposta area del foro (inteso come piazza aperta), esistesse tutta una serie di edifici sepolti, organizzati con cura al centro della città, che per planimetria e ampiezza potevano ben figurare come i monumenti del comparto pubblico claternate”. Gli scavi si sono concentrati nell’area dove le foto aeree mostravano le evidenti tracce di un edificio teatrale e sono stati progettati in modo da intercettare una porzione della cavea, dell’orchestra e dell’edificio scenico, per la ragguardevole estensione di circa m 40 x 10, poi ulteriormente ampliata.

Foto dal drone delle strutture di fondazione in pietra arenaria della cavea del teatro (foto Paolo Nanni)

Ipotesi di ricostruzione del teatro romano di Claterna

Dopo un primo strato di distruzione, sono venute in luce le inequivocabili tracce del teatro, in particolare delle fondazioni e di parte degli alzati della cavea. “Una scoperta francamente inaspettata”, ammettono gli archeologi, “perché i più ritenevano che, nel migliore dei casi, si sarebbero trovate solo labili tracce, comprensibili solo agli specialisti. La realtà archeologica si è invece rivelata ben diversa restituendo enormi blocchi squadrati di pietra arenaria (probabilmente da cave locali), sapientemente connessi a formare possenti muri dall’andamento circolare. Questi resti, che coincidono perfettamente con le tracce evidenziate dalle foto aeree, sono i muri di sostegno della summa cavea cioè delle gradinate del settore più alto su cui sedevano gli spettatori. Più verso Nord sono state rilevate altre tracce che ci fanno ritenere che la parte inferiore delle gradinate (ima cavea) e l’orchestra possano trovarsi a una quota sensibilmente inferiore rispetto al piano di campagna coevo, ancora tutta da scoprire perché coperta da un potente strato di terra”. A Nord il teatro confinava con l’asse stradale di uno dei decumani principali della città mentre verso Sud alcune tracce parrebbero indicare le fondazioni della parte più esterna della cavea, costruita probabilmente su portico. Ancora più a Sud, cioè verso il foro, un piano di ciottoli separava il teatro da un altro grande edificio pubblico, di cui sono state intercettate alcune fondazioni perimetrali.

Moneta con l’effige di Ottaviano Augusto rinvenuta negli scavi di Claterna

Un impegno per il futuro. Lo scavo 2017 è stato dunque particolarmente fortunato. La scoperta dell’area pubblica di Claterna e delle strutture imponenti di alcuni dei suoi più insigni edifici sono destinate a gettare nuova luce sulla storia della città e a imprimere una svolta alla ricerca archeologica e al progetto di valorizzazione del centro antico. “Certo rimane molto da fare”, ribadiscono in soprintendenza. “Il saggio nel settore 16 è servito soltanto a valutare le caratteristiche principali dell’edificio teatrale e del suo stato di conservazione. L’area esplorata corrisponde infatti solo a una piccola frazione della reale estensione del teatro e qualsiasi futuro progetto di ricerca dovrà tenere conto della sua grande ampiezza e profondità (per dare un’idea, si calcola che dovesse essere largo circa 60 metri)”. Ma se tanti sono gli interrogativi, resta l’entusiasmo per quella che si preannuncia come una ricerca in grado di aggiungere qualcosa di veramente inestimabile al patrimonio culturale del territorio ozzanese. Dalla datazione dei primi materiali raccolti (monete, ceramiche) e dalle caratteristiche dei resti della decorazione architettonica (frammenti di decori vegetali in pietre calcaree e di rivestimenti in marmo) sembrerebbe plausibile una cronologia relativa alla prima età imperiale, da ricondurre quindi all’epoca di Augusto (che morì nel 14 d.C.) anche se è prematura qualsiasi considerazione al riguardo.