Due progetti sul patrimonio ebraico e sui luoghi della storia della comunità ebraica bolognese presentati a Bologna nella tavola rotonda “Bologna Ebraica. Storia e Patrimonio della Città”

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)
Da una parte la pubblicazione “Il Cimitero ebraico medievale di Bologna: un percorso tra memoria e valorizzazione”, finanziata dalla Fondazione Del Monte, dall’altra il progetto “Sui passi della Bologna ebraica”, finanziato dalla Fondazione Carisbo: sono i due progetti sul patrimonio ebraico e sui luoghi della storia della comunità ebraica bolognese che saranno presentati da soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e dalla Comunità Ebraica di Bologna nella tavola rotonda “Bologna Ebraica. Storia e Patrimonio della Città” in programma giovedì 10 Maggio 2018, alle 17, nella sala della Cultura di Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna, in via Castiglione a Bologna. Alla tavola rotonda, condotta dal direttore del Corriere di Bologna, Enrico Franco, partecipano Fabio Roversi Monaco, presidente Genus Bononiae; Marco Lombardo, assessore Relazioni europee e internazionali, Cooperazione internazionale, ONG, Lavoro, Attività produttive, Politiche per il Terzo Settore, Progetto “Insieme per il Lavoro”, Comune di Bologna; Daniele De Paz, presidente Comunità Ebraica di Bologna; Leone Sibani, presidente Fondazione Carisbo; Sabina Magrini, segretariato regionale del MiBACT per l’Emilia Romagna; Guido Ottolenghi, presidente Fondazione Museo Ebraico di Bologna. Nel corso della tavola rotonda i progetti saranno presentati dalle archeologhe del MiBACT, Renata Curina e Valentina Di Stefano, dall’antropologa Maria Giovanna Belcastro, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, e da Giacomo Sanzani, consulente di comunicazione multimediale. L’iniziativa si avvale del patrocinio del Comune di Bologna e dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Bologna (per la scoperta del cimitero ebraico vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/02/archeologia-medievale-scoperto-in-via-orfeo-a-bologna-il-cimitero-ebraico-soppresso-450-anni-fa-con-le-sue-408-sepolture-e-il-piu-grande-ditalia-e-il-secondo-in-europa-sara-il-fulcro-di-un/).
Archeologia medievale. Scoperto in via Orfeo a Bologna il cimitero ebraico soppresso 450 anni fa: con le sue 408 sepolture è il più grande d’Italia e il secondo in Europa. Sarà il fulcro di un progetto interdisciplinare per il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia di Bologna

Veduta di una porzione dell’area di scavo del cimitero ebraico medievale di via Orfeo a Bologna (foto Cooperativa Archeologia)
Soppresso 450 anni fa, col tempo se n’erano perse le tracce del cimitero ebraico medievale di Bologna, citato dalle fonti storiche e documentarie, anche se una tradizione popolare non ha mai dimenticato la presenza degli “orti degli ebrei”. Ci ha pensato l’archeologia. Recenti indagini archeologiche a Bologna hanno infatti individuato il cimitero ebraico medievale, il più grande finora noto in Italia con le sue 408 sepolture, il quale ora sarà oggetto e punto di partenza di un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale ebraico del capoluogo felsineo. “È la più vasta area cimiteriale medievale mai indagata in città, testimone di eventi che hanno radicalmente mutato la storia e la vita di una parte della popolazione bolognese tra il XIV e il XVI secolo. Per 176 anni è stato il principale luogo di sepoltura degli ebrei bolognesi ma dopo le bolle papali della seconda metà del Cinquecento -che autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici della città- sopravvive per secoli solo nel toponimo di Orto degli Ebrei”, raccontano Renata Curina e Valentina Di Stefano, archeologhe della soprintendenza, e Laura Buonamico di Cooperativa Archeologia, alla presentazione della scoperta, presenti il sindaco di Bologna, Virginio Merola; Maria Grazia Fichera, della direzione Archeologia del Mibact; Luigi Malnati, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Daniele De Paz, presidente della Comunità Ebraica di Bologna; David Menasci, delegato Unione Comunità Ebraiche Italiane; Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna; Francesco Ubertini, magnifico rettore Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Maria Giovanna Belcastro, docente di antropologia all’ateneo bolognese.

Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano
Tra il 2012 e il 2014, l’area che si è poi rivelata essere il “perduto” cimitero ebraico medievale di via Orfeo è stata oggetto di uno scavo archeologico stratigrafico estensivo, condotto dalla Cooperativa Archeologia come indagine preventiva alla costruzione di un complesso residenziale. Il sepolcreto si colloca nei pressi del monastero di San Pietro Martire, nell’isolato compreso tra via Orfeo, via de’ Buttieri, via Borgolocchi e via Santo Stefano. “Le fonti d’archivio riportano che quest’area fu acquistata nel 1393 da un membro della famiglia ebraica dei Da Orvieto (Elia ebreo de Urbeveteri)”, continuano le tre archeologhe, “per poi essere lasciata in uso agli ebrei bolognesi come luogo di sepoltura. Questa funzione permane fino al 1569, quando l’emanazione di due Bolle Papali condanna le persone di religione ebraica ad abbandonare le città dello Stato Pontificio e ad essere cancellate dalla memoria dei luoghi dove avevano vissuto e operato. Uno degli effetti più violenti di queste persecuzioni è l’autorizzazione a distruggere i cimiteri e a profanare le sepolture ebraiche presenti in città. Una damnatio memoriae che riesce solo in parte visto che negli atti e registri degli anni seguenti, ma soprattutto nella consuetudine orale, quell’area continua ad essere indicata come Orto degli Ebrei”.
Il cimitero ebraico medievale scoperto in via Orfeo a Bologna non è solo il più grande finora noto in Italia (e secondo in Europa solo a quello di York in Inghilterra) ma un’opportunità unica di studio e ricerca. Sono state scavate 408 sepolture di donne, uomini e bambini, alcune delle quali hanno restituito elementi d’ornamento personale in oro, argento, bronzo, pietre dure e ambra. Un gruppo di lavoro composto da soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Bologna, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Comunità Ebraica di Bologna e ricercatori indipendenti, con il supporto del Comune di Bologna, cercherà di ricomporne le vicende storiche, ricostruendo le dinamiche insediative e l’evoluzione topografica e sociale dell’area. Uno degli obiettivi primari del Progetto è l’elaborazione di un piano di recupero della memoria e la valorizzazione del patrimonio culturale ebraico e della storia della comunità bolognese. “Il cimitero di via Orfeo”, interviene l’antropologa culturale Valentina Rizzo, “è un caso unico in Europa per elementi informativi e rappresenta uno straordinario campo di collaborazione tra discipline scientifiche e istituzioni pubbliche. L’obiettivo conclusivo del lavoro di ricerca è la restituzione dei resti umani alla Comunità al fine di garantire una sepoltura secondo il rito ebraico e la restituzione di uno scenario storico e culturale alla contemporaneità. Verranno per questo studiate e concretizzate azioni di valorizzazione e divulgazione che inquadrino il periodo e gli accadimenti legati al cimitero di via Orfeo, come memoria e come eredità patrimoniale culturale ebraica nella città di Bologna”.
Con il Breve del 28 novembre 1569, Pio V dona l’area del cimitero ebraico alle suore della vicina chiesa di San Pietro Martire, accordando alle monache la facoltà “di disseppellire e far trasportare, dove a loro piaccia, i cadaveri, le ossa e gli avanzi dei morti: di demolire o trasmutare in altra forma i sepolcri costruiti dagli ebrei, anche per persone viventi: di togliere affatto, oppure raschiare e cancellare le iscrizioni ed altre memorie scolpite nel marmo”. “Lo scavo archeologico”, spiegano Curina, Di Stefano e Buonamico, “ha riportato in luce gli sconvolgenti effetti di questo provvedimento: circa 150 tombe volontariamente manomesse per profanare la sacralità delle sepolture, nessuna traccia delle lapidi che dovevano indicare il nome dei defunti, forse vendute o riutilizzate. Proprio da via Orfeo vengono probabilmente le quattro splendide lapidi ebraiche esposte nel museo civico Medievale di Bologna”.

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)
L’area cimiteriale di via Orfeo ha restituito 408 sepolture a inumazione perfettamente ordinate in file parallele, con fosse orientate est-ovest e capo del defunto rivolto a occidente. “La razionale organizzazione planimetrica delle tombe e la presenza di oggetti d’ornamento di particolare ricchezza sono peculiarità difficilmente riscontrabili nei cimiteri coevi. Ulteriori ricerche consentiranno di analizzare le conseguenze del passaggio di proprietà del terreno al monastero di San Pietro Martire, verificando l’eventuale presenza anche di sepolture cristiane inserite nell’area del precedente cimitero ebraico. Gli studi archeologici analizzeranno sia le sequenze stratigrafiche, che attestano una frequentazione dell’area dall’Età del Rame all’età moderna, sia i materiali recuperati nello scavo, avvalendosi anche del confronto con alcuni contesti cimiteriali ebraici scavati in Inghilterra, Francia e Spagna. Tra gli oggetti rinvenuti negli scavi, un approfondimento sarà dedicato ai numerosi gioielli medievali, di cui verranno studiate caratteristiche stilistiche, tecniche di realizzazione e significati delle incisioni presenti”.
Nell’ambito della collaborazione tra università di Bologna, soprintendenza per la città metropolitana di Bologna e Comunità Ebraica di Bologna si inserisce lo studio antropologico degli inumati (oltre 400) del cimitero medievale di via Orfeo condotto dal laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense, diretto da Maria Giovanna Belcastro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Lo studio prevede di esaminare molte caratteristiche biologiche dei singoli inumati avvalendosi di un approccio integrato tra analisi morfologiche, microbiologiche, molecolari e tomografiche al fine di ricostruire la storia e la vita della comunità ivi rappresentata. “Oltre alla composizione demografica del gruppo”, sintetizza la prof.ssa Belcastro, “si prevede di ricostruire lo stato di salute, la dieta, eventuali specializzazioni nelle attività lavorative, aspetti relativi ai riti funerari, la provenienza geografica legata a possibili spostamenti da altre aree europee. Per giungere a questi risultati il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense esaminerà gli aspetti relativi alla ricostruzione dell’integrità dei resti scheletrici per procedere alla ricostruzione del profilo biologico (stima dell’età e attribuzione del sesso degli inumati), dello stato di salute e nutrizionale attraverso l’esame di tutte le alterazioni e patologie ossee e dentarie, e delle attività lavorative svolte in vita”. Alla fine i dati verranno raccolti e integrati in un geodatabase per offrire, da un lato uno strumento di gestione delle informazioni di scavo e di laboratorio, dall’altro un supporto significativo per lo studio del contesto, grazie all’elaborazione di planimetrie generate attraverso visualizzazioni tematizzate. “Il modello di studio integrato che emerge, che vede l’integrazione di quanto noto dalle fonti storiche e documentarie, dei dati archeologici e biologici, unitamente alla collaborazione con la Comunità ebraica di Bologna, rappresenta un unicum”, conclude Belcastro. “Lo studio del cimitero di via Orfeo – che non ha confronti in Italia e pochi in Europa – e la ricostruzione della vita della comunità ivi rappresentata offre alla città di Bologna la possibilità di ricostruire una parte importante della propria storia e, più in generale, alla società una riflessione che consenta di andare sempre più verso modelli inclusivi di convivenza”.
“On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”: Reggio Emilia celebra con una grande mostra la via tracciata nel 187 a.C. da Marco Emilio Lepido. Personaggi e storie, spaccati sociali e modi di vivere dell’antichità raccontati da oltre 400 reperti archeologici unici, dal cinema e dal digitale
Un uomo: il console Marco Emilio Lepido; il suo nome: Aemilius; la sua strada: via Aemilia; una città: Regium Lepidi – Reggio Emilia. È un percorso lineare quello che lega Marco Emilio Lepido alla Via Emilia e al capoluogo di Reggio Emilia. Mentre Modena e Parma festeggiano i 2200 anni della loro fondazione (183 a.C.), Reggio Emilia celebra con una grande mostra, “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”, la via tracciata nel 187 a.C. da Marco Emilio Lepido, il console romano che giocò un ruolo fondamentale nel dare forma istituzionale al Forum che da lui poi prese il nome di Forum o Regium Lepidi. La mostra dedica una particolare attenzione alla figura di Marco Emilio Lepido, il geniale costruttore che, sgominati Celti e Liguri, decise la costruzione di una lunghissima strada che collegasse le colonie di Rimini e Piacenza: una strada che avrà alterne fortune nel corso dei secoli ma che non sarà mai abbandonata. La storia della strada di origini preromane si intreccia con quella della città che porta il nome del fondatore della via Aemilia e del territorio che attraversa.

Il manifesto della mostra “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017” al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia
La mostra “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017”, che apre a Reggio Emilia sabato 25 novembre 2017, celebra la via consolare lungo la quale, da sempre, si sono incontrare persone, idee e culture diverse, contribuendo alla formazione di una città aperta e rivolta verso il futuro. Un monumentale racconto storico che si immerge nell’attualità: personaggi e storie, spaccati sociali e modi di vivere dell’antichità raccontati da reperti archeologici unici (oltre 400, provenienti da importanti musei nazionali o presenti nelle collezioni della città), dal cinema e dal digitale. Questo il cuore della mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017”, allestita nel Palazzo dei Musei di Reggio Emilia dal 25 novembre 2017 al 1° luglio 2018, propone una riflessione a 360 gradi sulla storia della via Emilia, sul suo fondatore e sul significato dell’importante arteria nella contemporaneità. La via Emilia ha lasciato un segno indelebile nel nome della città, unica fra i capoluoghi della regione a ricordare il gentilizio del suo costruttore; e la regione Emilia-Romagna è probabilmente l’unica al mondo a derivare il proprio nome da quello della strada su cui si impostava l’intero popolamento del suo territorio. Ma la strada non ha marchiato solo il nome. In tanti secoli ha mantenuto il suo tracciato, per lo meno in ambito urbano, continuando a veicolare merci e persone, e con esse anche idee, lingue e sensibilità religiose differenti, creando i presupposti per una città accogliente verso lo straniero, nell’antichità come ai giorni nostri. Da limes, cioè linea di confine fra l’Italia romana e un nord abitato da popolazioni “altre”, la Via Emilia sarebbe infatti presto diventata non solo asse portante delle comunicazioni padane ma collante di genti di lingua, idee e culture diverse, contribuendo alla formazione di una società aperta e rivolta al futuro. “Marco Emilio Lepido”, spiega il soprintendente Luigi Malnati, uno dei curatori della mostra, “è stato un personaggio determinante anche se non sufficientemente ricordato nei manuali di storia. La strada che porta il suo nome, e che ha poi dato il nome a un’intera regione, è frutto del suo progetto politico di costruire uno spartiacque tra i territori romani e quelli controllati dagli alleati a difesa delle popolazioni barbariche del nord, ma la via nata a scopo militare ha poi assunto funzioni civili e commerciali diventando quindi un luogo di unione”.
Fra gli obiettivi della mostra che Reggio Emilia dedica alla Via Emilia romana e al suo fondatore Marco Emilio Lepido c’è quello di avvicinare al grande pubblico l’archeologia e la storia, per riscoprire le origini della città attraverso importanti reperti esposti in prestigiose location museali e sorprendenti contaminazioni che attualizzino il passato in maniera informale e creativa, raccontando il significato della strada consolare nella contemporaneità. Ecco perciò coinvolti luoghi diversi, diffusi e quotidiani della città, con l’aiuto del cinema (citazioni da famosi film peplum), delle tecnologie più avanzate e della “personificazione” della storia. Il percorso espositivo, che riunisce alle testimonianze dal Reggiano alcuni importanti prestiti da prestigiosi musei, documenta la fortuna della strada dagli antefatti di età preromana al Medioevo, portando al centro dell’attenzione la figura del costruttore, il console Marco Emilio Lepido. L’antica Regium Lepidi si mette in mostra nelle sale del nuovo museo di palazzo S. Francesco per illustrare il ruolo essenziale della città attestato anche da importanti resti archeologici, in parte esposti per la prima volta. Le ricostruzioni dei mezzi di trasporto e degli scenari stradali sono parte fondamentale dell’esposizione. La mostra “On the road. La Via Emilia 187 a.C. – 2017” è promossa dai Musei Civici di Reggio Emilia, dal Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l’Emilia-Romagna e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, con il contributo di Credem e Iren e il patrocinio di Anas. Curata da Luigi Malnati, Roberto Macellari ed Italo Rota, si avvale di un Comitato scientifico composto da Giovanni Brizzi, Annalisa Capurso, Francesca Cenerini, Antonella Coralini, Mauro Cremaschi, Renata Curina, Maurizio Forte, Maria Luisa Laddago, Daniela Locatelli, Roberto Macellari, Luigi Malnati, Giada Pellegrini, Elisabetta Pepe, Marco Podini e Paolo Sommella. La mostra fa parte del grande progetto di promozione della cultura e del territorio “2200 anni lungo la Via Emilia” www.2200anniemilia.it promosso da tre città – Reggio Emilia, Parma e Modena a cui si aggiungerà Bologna in un secondo momento -, due soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio –quella per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e quella di Parma e Piacenza- e dalla Regione Emilia-Romagna (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/04/12/la-via-emilia-ecco-il-ricco-calendario-di-grandi-mostre-presentazione-di-ricerche-e-scoperte-archeologiche-ricostruzioni-3d-cyber-archeoologia-ed-eventi-per-celebrare-i-2200-anni-dalla-fondazione/).
L’esposizione si sviluppa nelle tre sedi di Palazzo dei Musei, palazzo Spalletti Trivelli e museo Diocesano e in altri luoghi del centro storico coinvolti a vario titolo nel circuito tematico della mostra. Fra questi il municipio, che rende omaggio alla figura del suo fondatore accogliendo il visitatore con la scultura settecentesca di Marco Emilio Lepido, ora restaurata da Angela Allini di Opus Restauri con il contributo del Lions Club Marco Emilio Lepido di Reggio Emilia, oppure l’incrocio fra la via Emilia e via Crispi (che ricalca il tracciato di una strada romana obliqua riportata in luce di recente sotto palazzo Busetti) dove una riproduzione 3D della statua del console (realizzata da Geis–Geomatics engineering innovative solutions) segnala l’itinerario verso Palazzo dei Musei. Nella sede del museo Diocesano viene approfondito il tema del primo Cristianesimo lungo la via Emilia (Via Aemilia, Via Christi) mentre palazzo Spalletti Trivelli, sede del gruppo bancario Credem, ospita una sezione dedicata all’edilizia romana sullo sfondo dei resti del foro della città tuttora conservati nei sotterranei dell’istituto di credito (Regium Lepidi underground).

“Dona militaria” (onorificenze) da un monumento fuebre di Rubiera, oggi ai musei civici di Reggio Emilia (foto Carlo Vannini)
Ma la mostra vera e propria è ospitata nel Palazzo dei Musei, un percorso che coinvolge l’intero edificio con installazioni, ricostruzioni 3D, proiezioni e l’esposizione di oltre 400 reperti provenienti da importanti musei nazionali e da collezioni della città che illustrano le sette aree tematiche: L’Emilia prima dell’Aemilia, Via Emilia-SS9, Marco Emilio Lepido e la sua città, Ruote zoccoli e calzari, La buona strada, Racconti per l’eternità, Est modus in rebus. L’allestimento, curato dall’architetto Italo Rota, punta a restituire alla sensibilità contemporanea i preziosi reperti archeologici esposti, inserendoli in ricostruzioni virtuali dell’antica strada romana e contestualizzandoli con l’aiuto di spezzoni di celebri film peplum. Si può rivivere l’affascinante storia della via Emilia attraverso le vicende dei suoi protagonisti mentre una serie di installazioni multimediali, sovrapponendo la via Emilia storica a quella contemporanea, consentono di cogliere con immediatezza persistenze, differenze e analogie.

La riproduzione 3D della statua di Marco Emilio Lepido posta all’incrocio fra la via Emilia e via Crispi
Gli altri eventi. La mostra è affiancata da una serie di iniziative promosse da vari enti e istituzioni culturali fra cui quelle dei dieci Comuni reggiani depositari di materiali archeologici che propongono eventi collegati al tema della Via Emilia, dalle passeggiate sulle strade della centuriazione alle visite a ponti e segmenti di vie antiche, da convegni scientifici ad attività divulgative e didattiche. In occasione della mostra saranno realizzati progetti educativi sul tema della viabilità e dell’incontro tra culture e popoli diversi e incontri con archeologi e storici dell’antichità di università, soprintendenze e musei che tratteranno il tema della viabilità antica e contemporanea nel Reggiano, in Emilia, nell’Impero romano. Oltre alle visite guidate alla mostra e a musei e siti di interesse archeologico in città e in altri luoghi del Reggiano, sono in programma workshop e seminari per studenti di topografia, archeologia e antichistica inerenti i temi della mostra, con il coinvolgimento di urbanisti e architetti del paesaggio.







































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