È uscito il libro “Apollo. Il caso Cleveland” di Tsao Cevoli che con spirito da detective ricostruisce le vicende dell’antica statua greca in bronzo, forse l’unico originale giuntoci del grande scultore greco Prassitele

Copertina del libro “Apollo. Il caso Cleveland” di Tsao Cevoli
Stati Uniti, 22 giugno 2004. Il Cleveland Museum of Art annuncia l’acquisto di un’antica statua greca di bronzo raffigurante il dio Apollo. Forse è l’unica opera originale di bronzo giuntaci del grande scultore greco Prassitele. È uno dei più sensazionali acquisti mai fatti da un museo americano. Da dove è sbucato un capolavoro del genere? Come è finito a Cleveland? “È dal 2004 che seguo il caso dell’Apollo di Cleveland”, spiega Tsao Cevoli, archeologo e giornalista, ricercatore indipendente della difesa del patrimonio culturale. Nel 2004 ha fondato e ora dirige l’Osservatorio internazionale Archeomafie, e nel 2005 l’Associazione nazionale archeologi che ha diretto fino al 2013. Nel 2008 ha fondato e dirige Archeomafie, la prima rivista scientifica dedicata in Italia al traffico illecito di antichità. E dal 19 maggio 2022 è disponibile il libro “Apollo. Il caso Cleveland” (Napoli 2022, Liberarcheologia Edizioni) in cui Cevoli racconta il caso. Con le armi dell’archeologia ed uno spirito da detective della storia cercheremo di ricostruire le vicende della statua, dalle mani del suo geniale artefice a quelle dei curatori del museo americano, attraverso un intricato labirinto di depistaggi, inganni e bugie, popolato da una miriade di saccheggiatori antichi e moderni, trafficanti senza scrupoli e criminali dal colletto bianco, in un lungo viaggio attraverso il tempo, alla difficile ricerca della verità.
Archeologia in lutto. All’età di 86 è morto a Roma Paolo Moreno, uno dei massimi studiosi dell’arte greca. A lui si deve il primo studio scientifico sui Bronzi di Riace. Malacrino (MArRC): “Il suo contributo resta fondamentale”. Grande divulgatore, a lui si devono identificazioni e attribuzioni da Fidia a Prassitele il Vecchio


Paolo Moreno, uno dei massimi studiosi dell’arte greca
L’Archeologia e la Storia dell’Arte antica sono in lutto. È scomparso a Roma, il 5 marzo 2021, Paolo Moreno, uno dei massimi studiosi dell’arte greca, protagonista di importanti identificazioni e attribuzioni da Fidia a Prassitele il Vecchio (quali autori, del gruppo colossale in bronzo di cui sono copia i Dioscuri del Quirinale) e dei Bronzi di Riace. I funerali si svolgeranno in forma privata. “La scomparsa, questa mattina a Roma, di Paolo Moreno lascia sgomenti. Sia per l’uomo, dalle nobili qualità umane, sia per lo studioso e l’archeologo, il cui contributo sui Bronzi di Riace resterà di fondamentale importanza per la ricerca scientifica”, è il primo commento rilasciato da Carmelo Malacrino, direttore del museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria, alla notizia della morte dell’archeologo e storico dell’arte di origini friulane, la cui ricerca scientifica è indissolubilmente legata alle due preziose statue conservate al MArRC. “Paolo”, continua Malacrino, “ci lascia a un anno dal cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi, in un momento in cui le fasi per la celebrazione dell’evento stanno per determinarsi. La sua assenza si farà sentire. È a Paolo Moreno, infatti, che si deve il primo studio scientifico sui Bronzi di Riace, oggetto di curiosità e interesse da parte dei più grandi studiosi. Moreno è stato il primo a intuire l’importanza delle nuove frontiere aperte dal mondo delle scienze applicate, in primis le analisi delle terre di fusione che hanno indicato la città di Argo, nel Peloponneso, come probabile area di produzione delle due sculture. Il suo nome, ne sono certo – conclude- non sarà dimenticato dal museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria e da tutto il mondo della cultura”.

Paolo Moreno, allievo di Doro Levi, Giovanni Becatti e Ranuccio Bianchi Bandinelli
Nato a Udine il 30 ottobre 1934, Paolo Moreno ha intrapreso gli studi classici al liceo ginnasio “Jacopo Stellini” della sua città natale, continuandoli all’università di Bari dove ha conseguito la laurea in Lettere e Filosofia nel 1958. Il successivo percorso formativo lo ha visto nel 1961 ad Atene, allievo di Doro Levi alla Scuola archeologica italiana di Atene, e a Roma alla Scuola Nazionale di Archeologia, dove ha ottenuto il diploma di perfezionamento nel 1964, allievo di Giovanni Becatti e Ranuccio Bianchi Bandinelli. Ha insegnato all’università di Bari, dove è stato direttore dell’Istituto di Archeologia, e a La Sapienza di Roma. Dal 1992 è stato titolare della cattedra di Archeologia e storia dell’arte greca e romana alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università Roma Tre. Era in pensione dal 2008. È stato redattore dell’Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, e ha partecipato ad analoghe iniziative internazionali. Ha diffuso le sue scoperte su celebri monumenti di arte antica attraverso articoli in riviste specializzate, relazioni a congressi, conferenze pubbliche, incontri nelle scuole, interviste per i media e scritti su periodici divulgativi. Frequenti sono stati i suoi contatti culturali con la Grecia: ha presentato a Rodi la nuova ricostruzione del Colosso di Rodi, ha tenuto conferenze a Salonicco e ad Atene, ha promosso la collocazione sull’acropoli Cadmea delle copie moderne dei Bronzi di Riace da lui ravvisati come due dei Sette eroi della spedizione contro Tebe; ha ricevuto da Sicione riconoscimenti per gli studi su Lisippo nativo della città.

Il libro di Paolo Moreno “I Bronzi di Riace. Il Maestro di Olimpia e i Sette a Tebe” (Electa)
Per Paolo Moreno quei due straordinari capolavori, originali del V secolo a.C. dalla bellezza mai vista prima, sono espressione di “un’arte che il rinascimento non ha mai neanche sfiorato”. Così lui stesso definiva i Bronzi di Riace nel documentario di Sky Arte andato in onda nel 2016, all’indomani della riapertura al pubblico del museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria. Al 2002 risale, infatti, il suo celebre volume “I Bronzi di Riace. Il Maestro di Olimpia e i Sette a Tebe”, edito per Electa, in cui una serrata analisi storico-artistica e letteraria ha portato l’archeologo friulano ad identificare i due Eroi di Riace con due delle numerose statue che costituivano il monumento eroico (heroon) dei Sette a Tebe e dei loro epigoni, posto sull’agorà di Argo ed eretto dagli Argivi all’indomani della vittoria di Oinòe contro gli Spartani (456 a.C.). Secondo Moreno, il Bronzo A rappresenterebbe l’eroe Tideo, opera di Ageladas il Vecchio, mentre il Bronzo B, l’indovino Anfiarao, opera di Alkamenes di Lemno, gli stessi maestri a cui sarebbe da attribuire la decorazione scultorea del tempio di Zeus a Olimpia. “Molte delle ipotesi di Moreno sulle due statue di Riace”, ricorda Malacrino, “sono state oggi integrate o superate da nuove acquisizioni scientifiche, ma rimane attuale la sua lezione di metodo, sull’importanza di interpretare insieme, in maniera sinottica, i dati storico-artistici, quelli letterari e quelli archeometrici. Moreno è stato allievo di grandi maestri dell’archeologia italiano del calibro di Ranuccio Bianchi Bandinelli, Doro Levi e Giovanni Becatti. Ha diretto l’Istituto di Archeologia dell’Università di Bari e dal 1992 è stato ordinario di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana all’Università di Roma Tre. Paolo Moreno è stato soprattutto un instancabile divulgatore della conoscenza del mondo antico, dai grandi maestri della classicità (Fidia e Prassitele soprattutto) alle grandi trasformazioni artistiche del mondo ellenistico e romano. Alla famiglia e agli affetti del prof. Moreno le più sentite condoglianze da parte di tutto il personale del museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria”.
L’Efebo torna a Sutri. Per due anni. Il capolavoro del primo periodo imperiale, copia romana di originale di Prassitele, ora dovrà essere valorizzato per poter restare dove fu trovato nel 1912
L’Efebo torna a Sutri. Per due anni. Ma se il capolavoro sarà valorizzato diventerà il simbolo della cittadina del Viterbese, per sempre. La statua di bronzo, alta 78 centimetri, del primo periodo imperiale, da lungo tempo conservata nel caveau di Palazzo Massimo del museo Nazionale Romano di Roma, è l’assoluta protagonista della mostra biennale inaugurata al museo del Patrimonium di Sutri alla presenza del sottosegretario uscente ai beni e alle attività culturali Antimo Cesaro e di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, il mecenate che più di tutti si è speso per ottenere la restituzione dell’opera, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, che da anni contribuisce al restauro e alla conservazione del patrimonio della cittadina. L’Efebo fu ritrovato nel 1912 a Sutri da due contadini, Giacomo Brigotti e Giuseppe Bomarsi, durante i lavori di dissodamento di un terreno che non presenta traccia di antico abitato e che fa presupporre la statua fosse stata portata e nascosta nel sito del ritrovamento. “È un capolavoro assoluto”, sottolinea Cesaro, “la scuola da cui deriva la copia potrebbe essere quella di Prassitele. L’Efebo è testimonianza di una civiltà millenaria che ancora oggi si rende attuale in un reperto che deve essere ospitato all’interno della comunità a cui appartiene, è anche occasione per creare economia della cultura e Sutri ha tutte le potenzialità per essere un centro di cultura e turismo a livello nazionale”.

L’Efebo di Sutri: figura maschile giovanile, con il braccio destro sul capo e il sinistro piegato per portare ad altezza del volto un oggetto ora mancante, forse uno specchio
La statua rappresenta una figura maschile giovanile, con il braccio destro sul capo e il sinistro piegato in modo da portare ad altezza del volto un oggetto ora mancante, forse uno specchio. Ha i capelli lunghi raccolti sopra la testa e stretti attorno alla nuca da un cercine, intorno al quale sono accolte le ciocche più lunghe. La gamba sinistra è spezzata perché probabilmente è stata strappata dal supporto originale, che è stato perduto. La somiglianza dell’Efebo con la maggior parte dei bronzi pompeiani lo vuole prodotto da un’officina nazionale, come si conveniva al gusto e al lusso dell’arricchita borghesia romana. “Moltiplicare l’idea di museo diffuso”, interviene Francesco Rutelli che, per primo, portò la statua da Roma a Sutri, “è un bene per l’Italia perché, a differenza del resto del mondo in cui i musei sono centralizzati, noi abbiamo circa 4400 piccoli musei: la sfida è trasformare gradualmente il nostro patrimonio diffuso in economia per il Paese”.
La mostra aperta a Sutri – come si diceva – ha una data di inizio, ma non ancora una data di chiusura. La soprintendenza romana ha infatti acconsentito a un prestito biennale dell’Efebo, che diventerà stabile se l’opera verrà valorizzata nel migliore dei modi. All’inaugurazione hanno preso parte, tra gli altri, anche il sindaco di Sutri, Guido Cianti e l’assessore alla cultura, Ercole Fabrizi. “Mi impegnerò”, assicura Emanuele, “a fare in modo che questo capolavoro da Sutri non si muova più, perché rimanga e dia gloria a questa meravigliosa città di cui è pregevole testimonianza. Vorrei far diventare Sutri la nuova Spoleto, perché ci sono indubbiamente i presupposti per farlo”.
Palermo. Il museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas”, con le ricche collezioni di arte punica e greca, è stato riaperto al pubblico dopo un lungo restauro. Oltre duemila reperti, molti mai esposti prima
#eccomidinuovo è l’hashtag che ha accompagnato tutto l’evento tanto atteso: la riapertura del museo Archeologico nazionale “Antonino Salinas” di Palermo. Il taglio del nastro ufficiale mercoledì 27 luglio 2016 alle 19 alla presenza dell’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio, il dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana Gaetano Pennino e la direttrice del museo Francesca Spatafora. Dopo i consistenti lavori di restauro dell’intero complesso monumentale e un rinnovato progetto espositivo, in attesa di completare il nuovo allestimento, si è deciso comunque di condividere con la comunità un primo importante traguardo, l’apertura cioè di una parte rilevante del museo che comprende oltre 2000 opere restaurate, alcune delle quali mai esposte al pubblico. “La riapertura al pubblico del museo Archeologico Antonino Salinas”, ha commentato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, “è un importante tassello di quel percorso per cui Palermo offre sempre più attività e luoghi di cultura, facendone strumenti per lo sviluppo sociale ed economico della città. Un importante risultato che, sono certo, contribuirà ad arricchire ulteriormente l’offerta culturale per i palermitani e i turisti che affollano il centro”.
Il museo Salinas di Palermo è il più antico e prestigioso museo della Sicilia, con una delle più ricche collezioni d’arte punica e greca d’Italia, nonché testimonianze di gran parte della storia siciliana. Il museo, dedicato ad Antonio Salinas, celebre archeologo e numismatico palermitano, è ospitato nella Casa dei Padri della Congregazione di San Filippo Neri, parte del complesso monumentale dell’Olivella, che comprende anche la chiesa di San Ignazio e l’attiguo Oratorio, confiscato alla congregazione nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi. Per andare incontro alle esigenze museali l’edificio venne completamente stravolto dalla sua forma originaria. E da allora ad oggi di interventi ne ha subito parecchi. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti degli alleati, ma fortunatamente le collezioni erano già state messe al sicuro nel monastero di San Martino delle Scale dall’allora direttrice del museo, Jole Bovio Marconi che nel 1949 si occupò del riallestimento museale con il recupero architettonico curato dall’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat. L’ultimo restauro e riammodernamento del museo è dei giorni nostri, intervento che ha costretto il Salinas alla chiusura tra il 2009 e il 2015. Ma ora finalmente i tesori in esso conservati sono di nuovo ammirabili dai visitatori.
Si va dagli interessanti reperti rinvenuti durante gli scavi subacquei (ancore di pietra, ceppi di piombo, lucerne, anfore ed iscrizioni) alla ricca sezione fenicio-punica con i sarcofagi dalla necropoli di Pizzo Cannita (Misilmeri) alle testimonianze da Mozia, Lilibeo e Monte Porcara (Bagheria). Grande interesse pure per le sale dedicate all’area archeologica di Selinunte, con la ricomposizione del frontone orientale con Gorgone del Tempio C, numerose metope con rilievi mitologici (Templi C ed E), sculture d’età arcaica e classica, la Tavola Selinuntina che celebra la ricchezza della città, le stele gemine del santuario di Zeus Meilichios. E poi ci sono oggetti e sculture provenienti da Solunto, Megara Hyblaea, Tindari, Camarina ed Agrigento, tra cui il grande ariete di bronzo del III secolo a.C. proveniente da Siracusa, l’Eracle che abbatte la cerva, copia romana da un originale di Lisippo, ed infine una copia romana in marmo del Satiro versante di Prassitele. L’epoca romana è, invece, documentata da una collezione di sculture e da mosaici staccati dalle ville di piazza Vittoria a Palermo, nei cui pressi era certamente collocato il foro della città romana.
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