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“Le piramidi viste dagli Arabi. L’antico Egitto secondo la visione arabo-islamica”: incontro a Roma con l’archeologo Generoso Urciuoli

La classica immagini delle piramidi egizie nella piana di Giza

L’archeologo Generoso Urciuoli

Qual era il rapporto tra il mondo dei faraoni e i nuovi conquistatori arabi? In che modo il mondo islamico si relazionò con il passato di quel territorio dalla cultura millenaria? Si può parlare di un’egittomania di matrice arabo/islamica? In che modo gli studiosi islamici si rapportarono con la scrittura geroglifica? Si potrebbe affermare che lo studio dell’antico Egitto è iniziato a partire dal IX secolo? Può un territorio, indipendentemente dalle cesure e dalle Civiltà che si sono susseguite, rimanere intriso di memoria culturale, compresi anche alcuni aspetti religiosi? Domande intriganti, temi che mostrano come si possa affrontare un argomento noto come la civiltà del Nilo da un’altra angolazione, meno usuale: risposte e temi che saranno trattati all’interno della conferenza “Le piramidi viste dagli Arabi. L’antico Egitto secondo la visione arabo-islamica”, giovedì 16 marzo 2017, alle 16.30, in sala Spinelli a Palazzo Baleani, in corso Vittorio Emanuele II 244 a Roma, promossa dal Centro Studi Petrie, in collaborazione con l’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente). Protagonista dell’incontro Generoso Urciuoli, laureato in Civiltà Bizantina all’università di Torino, e un percorso di formazione in ambito archeologico con un master in tecniche di scavo archeologico e corsi di alta specializzazione in “instrumentum domesticum” (Pontificio Istituto Archeologia Cristiana di Roma), in ceramica e Archeologia subacquea (Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera). Con Urciuoli il punto di vista sull’Antico Egitto non sarà eurocentrico ma verrà proposta la visione arabo-islamico tramite l’analisi di documenti redatti dagli scrittori arabi di epoca medievale.

Mostra “All’ombra delle piramidi” al museo Barracco di Roma: viaggio ai tempi dei faraoni delle grandi piramidi. Accanto alla stele di Nefer (2500 a.C.) ricostruita la tomba in scala 1:1 del dignitario di corte

Le tre grandi piramidi svettano dalla piana di Giza

Le tre grandi piramidi svettano dalla piana di Giza

Il museo Barracco a Roma

Il museo Barracco a Roma

A Roma, al museo Barracco, la si può ammirare da più di un secolo: è la cosiddetta “stele della falsa porta” proveniente dalla tomba del dignitario Nefer, vissuto in Egitto ai tempi della IV Dinastia (2575-2465 a.C.), quella dei grandi faraoni costruttori delle piramidi.  Ma ora e fino al 28 maggio 2017 nel museo di Scultura antica di corso Vittorio Emanuele a Roma si può vivere l’esperienza eccezionale di entrare in una vera e propria tomba egizia: quella di Nefer, ovviamente. Proprio la ricostruzione fedele della piccola cappella funeraria aggiunta da Nefer alla struttura della sua tomba, una mastaba posta nel cimitero reale ai piedi della grande piramide di Cheope, rappresenta il pezzo forte della mostra “All’ombra delle piramidi”, un’esposizione unica nel suo genere dove sarà possibile respirare appieno l’atmosfera dei faraoni della IV dinastia, i grandi costruttori di piramidi.  Tutto nasce dalla figura di Nefer. Proprio il suo alto incarico a corte (era il soprintendente di tutti gli scribi del re, il soprintendente dei magazzini delle provviste e della “casa delle armi”) permise a Nefer di aver l’onore di essere sepolto nel cimitero reale di Giza, ai piedi della grande piramide, in una mastaba, edifici funerari caratteristici delle prime dinastie della civiltà egizia, di forma troncopiramidali, destinati ad accogliere il pozzo funerario che metteva in comunicazione l’area esterna con la camera sepolcrale sotterranea che ospitava il sarcofago del defunto ed il suo corredo. Nefer, come si diceva, aggiunse alla struttura della tomba una piccola cappella funeraria, rivestita di rilievi, che è stata ricostruita al museo Barracco nelle sue dimensioni originali. I rilievi della tomba dispersi in diversi musei europei e americani (Parigi, Louvre; Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek; museo di Birmingham, University of Pennsylvania Museum di Philadelphia; museum of Fine Arts di Boston) sono riprodotti per immagini all’interno della cappella funeraria ricostruita in modo da restituire l’immagine generale di una tomba egizia del III millennio avanti Cristo.

Lo schema di una tomba a mastaba dell'Antico Egitto

Lo schema di una tomba a mastaba dell’Antico Egitto

La mostra “All’ombra delle piramidi”, al museo Barracco, presenta nella loggia esterna al primo piano del museo la ricostruzione in scala 1:1  della cappella funeraria di Nefer con slides retroilluminate che riproducono nella sua completezza la decorazione a rilievo al suo interno. L’esposizione è promossa da Roma Capitale, assessorato alla Crescita culturale – sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, mentre l’organizzazione è affidata a Zètema Progetto Cultura.  Dal museo Barracco arriva invece la “stele della falsa porta” in calcare del dignitario Nefer che raffigura una scena di offerta con il defunto seduto davanti ad una tavola. Una lunga iscrizione in geroglifico presenta la formula funeraria “offerta che concede il sovrano…” cui segue l’elenco di tutti i doni che l’offerente, simbolicamente presentato come il re, dona al defunto come corredo per il suo viaggio nell’aldilà: pane, acqua, cibo, incensi, belletti, latte, cereali, verdure, frutti, dolci, stoffe di diversi tipi e misure e poi “1000 vitelli, 1000 giovani antilopi, 1000 gru, 1000 oche”.

La cosiddetta "Stele della falsa porta" dalla tomba del dignitario Nefer conservata al museo Barracco di Roma

La cosiddetta “Stele della falsa porta” dalla tomba del dignitario Nefer conservata al museo Barracco di Roma

Ma come è arrivata a Roma la stele di Nefer?  La stele fu acquistata da Giovanni Barracco a un’asta a Parigi nel 1868: si vendevano in quell’occasione le opere della collezione di Napoléon-Joseph-Charles-Paul Bonaparte, detto Plon Plon, figlio del fratello minore di Napoleone I. Il principe aveva progettato, per il 1858, un viaggio in Egitto, sulle orme della spedizione napoleonica del 1798-1801. Per accogliere degnamente un ospite così illustre il governatore d’Egitto, Said Pacha, decise di organizzare preventivamente una serie di campagne di scavo in modo che il principe potesse provare il piacere della “scoperta” dei tesori archeologici dell’Egitto faraonico che emergevano, come per incanto, dalla sabbia del deserto.  Per preparare questa messa in scena venne convocato in Egitto il famoso egittologo Auguste Mariette, allora conservatore aggiunto delle antichità egizie del Louvre. Mariette giunse in Egitto nel 1857 e, in un breve lasso di tempo, riuscì ad aprire fino a 35 cantieri di scavo dirigendo personalmente gli scavi e controllando attivamente tutte le importanti scoperte che avvenivano nei diversi luoghi. La messe dei ritrovamenti emersa da quelle esplorazioni fu impressionante, sia per qualità che per quantità. Il viaggio fu annullato, ma il principe ricevette in omaggio una serie di opere egizie, tra cui spiccava la stele di Nefer. Plon Plon conservava queste opere all’interno della sua sontuosa Maison Pompéienne, fatta costruire a Parigi su ispirazione di una domus di Pompei. In un momento di difficoltà politica le prince Napoléon vendette casa e collezione. La stele di Nefer divenne il primo pezzo della raccolta di Giovanni Barracco.

“Tutankhamon a Roma nel 2018”: Zahi Hawass alla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico di Paestum ha annunciato un tour mondiale della maschera funeraria del famoso faraone prima che tutto il tesoro di Tut sia trasferito al Grand Egyptian Museum (Gem) in costruzione a Giza. Intanto nuovi studi: “Sotto la Sfinge non c’è nulla, altro che alieni!”

La maschera funeraria di Tutankhamon: uno dei tesori trovati da Carter e Carnarvon nella tomba del giovane faraone

La maschera funeraria di Tutankhamon: uno dei tesori trovati da Carter e Carnarvon nella tomba del giovane faraone

paestum_borsa-turismo_bmtaLa maschera funeraria di Tutankhamon sarà esposta eccezionalmente a Roma nel giugno 2018. Non è una boutade. Ad annunciarlo ufficialmente in un incontro molto applaudito alla XIX Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum una fonte attendibile: l’ex segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità egizie, Zahi Hawass. Il “faraone” è tornato. E anche se oggi – dopo le alterne vicissitudini che lo hanno coinvolto direttamente dalla caduta del governo Mubarak – non riveste più un ruolo ufficiale (rimane comunque nella commissione governativa incaricata di far rientrare i tesori egizi dal mondo), rimane ancora l’egittologo egiziano più famoso lontano dal Nilo, sempre pronto a difendere e valorizzare il patrimonio artistico del suo Paese e, in definitiva, a promuovere l’Egitto. “La maschera è stata finalmente riportata al suo splendore da un nuovo recente restauro – spiega – e dalla fine del prossimo anno la porteremo in giro per il mondo, fino ad esporla a Roma. Vogliamo che i rapporti tra le nostre nazioni riprendano fortissimi come una volta. Dovete tornare in Egitto – esorta- abbiamo bisogno degli italiani per tenere vivi i nostri monumenti. Vi assicuro che ora il mio Paese è sicuro”. Se Hawass vede “l’operazione Tut” come già fatta, da parte delle autorità egiziane la prudenza è d’obbligo. Non solo non si sbilanciano sul tour della maschera di Tutankhamon e tanto meno sulle date, ma ricordano pure che al momento per legge la maschera d’oro è uno dei tesori inamovibili e che non possono andare all’estero. Vedremo.

L'archeologo Zahi Hawass davanti alla maschera di Tut in un'immagine esclusiva per SC Exhibitions

L’archeologo Zahi Hawass davanti alla maschera di Tut in un’immagine esclusiva per SC Exhibitions

Ma come sarà allora possibile che uno dei tesori più famosi al mondo conservati nel museo Egizio del Cairo prenda la strada dell’estero? In realtà questa sarebbe una operazione di marketing abbastanza frequente quando i grandi musei si trovano costretti a fermare le visite del pubblico per impegnativi interventi di ristrutturazione o di riallestimento. Pensiamo alla “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer capolavoro-simbolo della Mauritshuis  dell’Aia, o, per restare in ambito egizio, la collezione del museo nazionale di Antichità di Leiden ancora in Olanda, che hanno girato il mondo mentre si restauravano le rispettive sedi museali. Anche la maschera funeraria di Tutankhamon potrebbe dunque diventare ambasciatore speciale e straordinario del tesoro del faraone bambino, ma non più come simbolo del museo Egizio del Cairo bensì del nuovo Grande museo Egizio del Cairo, il Gem (Grand Egyptian Museum), che sta sorgendo nella piana di Giza, all’ombra delle piramidi: più di una decina di anni fa, infatti, di fronte alla situazione oggettiva del museo di piazza Tahir, un palazzo neoclassico inaugurato nel 1902, sovraccaricato di mummie, statue e altri reperti (“Un magazzino”, bollato a Parigi), l’allora ministro della Cultura Farouk Hosny accarezzò l’idea di un nuovo museo Egizio, che ospitasse tutto il tesoro della tomba di Tutankhamon,  scoperta nel 1922, per ospitare il quale si individuò uno spazio nel museo Egizio del Cairo, che da allora fu costretto a “stringersi”, per conservare il prezioso tesoro: oggi custodisce 160mila pezzi, di cui esposti solo 60mila. Alla fine il Gem, su una superficie di 47 ettari, conterrà 100mila pezzi provenienti da 5 aree dell’Antico Regno, 4500 dei quali saranno l’intera collezione dei ritrovamenti di Tutankhamon. “La questione è che oggi la presentazione dei tesori del faraone Tut è giocoforza circoscritta a due gallerie in un’unica sala, troppo poco per un repertorio di quel livello”, dice Tarek Tawfik, direttore del progetto del nuovo Grand Egyptian Museum, che metterà in mostra gli oggetti con criterio tematico. “I reperti saranno presentati in modo tale che i visitatori abbiano idea dell’ambiente in cui sono stati trovati”.

La selva di gru del cantiere del Grand Egyptian Museum a Giza

La selva di gru del cantiere del Grand Egyptian Museum a Giza

Ma quando aprirà il Gem? In questi anni gli annunci della data di inaugurazione si sono sprecati, complicata anche dagli eventi politici che hanno coinvolto l’Egitto dal 2011. Per ora a Giza si può vedere una selva di gru che disturbano non poco lo skyline delle piramidi. Ma stavolta la data del 2018 sembrerebbe abbastanza plausibile. Non solo per l’annuncio di Zahi Hawass dalla platea della Bmta di Paestum, ma anche perché, come avrebbe confermato il ministro delle Antichità egizie Khaled El-Enany, sarebbe già iniziato lo spostamento del tesoro di Tutankhamon destinato a trasferirsi permanentemente al Gem di Giza dopo più di 80 anni di presenza al Cairo.

L'incontro con Zahi Hawass alla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico

L’incontro con Zahi Hawass alla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico

A Paestum non si è parlato solo di Tutankhamon. Spaziando a tutto campo, Zahai Hawass si è scagliato contro quei “musei che vendono antichità come quello di Toledo in Ohio e contro i folli dell’Isis che hanno l’obiettivo di rubare i nostri tesori per rivenderli. Chiunque compera opere rubate – stigmatizza – è un collaboratore dell’Isis. L’Unesco deve insegnare a chi lavora nei musei in Libia, Iraq e Siria come nascondere i propri tesori”.  Zahi Hawass ha poi raccontato come i comandanti dell’esercito siano intervenuti a preservare i tesori custoditi al museo Egizio del Cairo durante i due anni di crisi tra il 2010 e il 2011 (“Mille tombaroli hanno provato a depredare il museo”, ricorda), per poi illustrare come, per la prima volta, si stiano eseguendo le scansioni delle Piramidi grazie ai nuovi radar messi a disposizione per le ricerche del team scientifico tra Il Cairo, Alessandria e la Valle dei Re.  In quest’ultimo sito con tecniche progettate in Italia in collaborazione con l’università di Torino. “Forse già a dicembre riusciremo ad annunciare nuove grandi scoperte. Intanto posso confermare anche a voi che sotto la Sfinge non ci sono gli alieni”, ha scherzato, mostrando le immagini frutto di 32 perforazioni effettuate con le nuove tecniche che confermano come sotto la roccia non ci sia nulla.

L’ultima bufala sulle piramidi dal candidato alle presidenziali Usa, Ben Carson: “Erano granai, non tombe”. Il ministro egiziano alle antichità El Damathy: “Non merita risposta”. Ma quella credenza ha radici nel Medioevo

Le piramidi della piana di Giza in Egitto: nei secoli sono state oggetto delle più bizzarre tesi

Le piramidi della piana di Giza in Egitto: nei secoli sono state oggetto delle più bizzarre tesi

Le piramidi come granai di Giuseppe: è l’ultima bufala sulle monumentali tombe della IV dinastia. Gli egittologi degni di questo nome e i veri appassionati e cultori della civiltà dei faraoni in gergo li definiscono “piramidioti”: quei personaggi, più o meno pittoreschi, che si lanciano in esegesi e teorie sulla genesi delle piramidi della piana di Giza, che già gli antichi avevano inserito nelle sette meraviglie del mondo, ma che da sempre sono state oggetto delle più fantasiose bizzarrie: e non si fa riferimento solo alla matrice aliena o alle congiunzioni astrali con le costellazioni, Orione in primis. Nei secoli è stato ipotizzato che l’architetto costruttore sia stato addirittura l’artefice dell’Arca, Noè (John Taylor, 1859). O addirittura che i faraoni siano stati guidati da Satana in persona (Joseph T. Rutheford, leader dei testimoni di Geova). Ma si è anche pensato che le piramidi fossero inizialmente colline utilizzate come cave e che siano state tagliate a forma d piramide (Fort Wayne Jaournal Gazette, 1884). E non poteva mancare un collegamento con Atlantide: Ignazio di Loyola Donnelly, ex membro del Congresso del Minnesota, ossessionato dalla leggenda di Atlantide, nel 1882 sostenne che gli abitanti di Atlantide fondarono in Egitto la loro più antica colonia a immagine e somiglianza dell’isola atlantica, dominata appunto da una piramide. Come si vede non è mai un egittologo a parlare, ma persone delle più disparate estrazioni sociali che si permettono di avanzare nuove ipotesi sulle piramidi.

Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Ben Carson, nel video del 1998

Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Ben Carson, nel video del 1998

E così vale anche per l’ultima bufala. In realtà, una bufala a scoppio ritardato (perché se ne viene a conoscenza solo ora, ma fu espressa nel 1998) e che soprattutto non è neppure nuova, perché riprende una tradizione medievale: “Le piramidi d’Egitto sono state costruite da Giuseppe, il personaggio biblico, per conservare il grano e non, come credono gli archeologi, per dare sepoltura ai faraoni”. La tesi è del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Ben Carson, che contende a Donald Trump la palma di front-runner tra i candidati del Grand Old Party. In realtà, come detto, questa tesi espressa dal neurochirurgo oggi in pensione non è di questi giorni ma risale a un suo intervento, ripreso da un video pubblicato dal sito Buzzfeed, in una cerimonia di laurea all’Università di Andrews, istituto legato alla Chiesa cristiana avventista del Settimo giorno. Ma in tanti anni non ha cambiato opinione. Interpellato infatti dalla Cbs, il candidato repubblicano ha dichiarato di essere “ancora della stessa idea. La mia teoria personale è che è stato Giuseppe a costruire le piramidi per conservare il grano”, spiega Carson, sostenendo che non si potrebbe giustificare altrimenti la loro dimensione: “Gli archeologi ritengono che le piramidi siano state costruite per servire da tombe ai faraoni. Ma, se ci pensiamo bene, allora vorrebbe dire che queste tombe sono davvero enormi”. Dal Cairo il commento, come è ovvio che sia, è lapidario. A intervenire è il ministro delle Antichità, Mamdouh el-Damaty. “Carson merita una risposta? No”. E Mahmoud Afifi, capo del dipartimento delle antichità egiziane, aggiunge: “Le dichiarazioni di Carson sono paragonabili ad altre teorie simili e altrettanto inaccurate sulle piramidi, come quelle che le ritengono le ultime testimonianze di Atlantide. “Tante persone stanno cercando di dimostrare che le piramidi non sono state costruite come tombe”, insiste Afifi. “Forse queste dichiarazioni servono per farsi pubblicità, come quell’uomo che non è un archeologo e che dice che servivano come depositi di grano”.

La Sfinge e la grande piramide a Giza: nei secoli la pssione per l''Egitto è diventata "moda"

La Sfinge e la grande piramide a Giza: nei secoli la pssione per l”Egitto è diventata “moda”

“L’origine di quest’ultima bufala è spiegata dall’adesione di Carson alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno che”, come ben scrive Mattia Mancini nel blog di Egittologia Djed Medu (https://djedmedu.wordpress.com/2015/11/10/bufale-eggizie-le-piramidi-sono-granai/), “crede nell’infallibilità delle Sacre Scritture. In questo modo, Giuseppe, dopo aver interpretato i sogni del faraone, sarebbe diventato visir e avrebbe fatto costruire le piramidi per immagazzinare il grano durante i periodi di fertilità. In realtà, però, la Bibbia non fa alcun riferimento alle piramidi; basta leggere i versetti in questione (Genesi 41, 46-49): “Giuseppe aveva trent’anni quando entrò al servizio del faraone, re d’Egitto. Quindi Giuseppe si allontanò dal faraone e percorse tutta la terra d’Egitto. Durante i sette anni di abbondanza la terra produsse a profusione. Egli raccolse tutti i viveri dei sette anni di abbondanza che vennero nella terra d’Egitto, e ripose i viveri nelle città: in ogni città i viveri della campagna circostante. Giuseppe ammassò il grano come la sabbia del mare, in grandissima quantità, così che non se ne fece più il computo, perché era incalcolabile”. Si parla, a seconda delle traduzioni, di “depositi” o “magazzini del re”. Allora come si è arrivati a una conclusione simile?”

Le piramidi egiziane intese come i capannoni di Giuseppe in un mosaico del XII secolo in una delle cupole della Basilica di San Marco a Venezia

Le piramidi egiziane intese come i capannoni di Giuseppe in un mosaico del XII secolo in una delle cupole della Basilica di San Marco a Venezia

Come si diceva credenza ha radici lontane. Si diffuse infatti nel Medioevo, con le prime fonti che presentano le piramidi come grandi silos che risalgono al VI secolo, forse per un errore nell’etimologia del nome accostato a “pyros”, grano in greco. Le piramidi furono identificate come “Granai di Giuseppe” appunto nel VI secolo da Gregorio di Tours nella sua “Storia dei Franchi”. Ma la sua teoria fu resa popolare da opere come “Il libro di John Mandeville”, molto diffusa nel XIV secolo. E non è un caso, vista la popolarità della storia, che una descrizione delle piramidi egiziane intese come i capannoni di Giuseppe appaia anche in un mosaico del XII secolo in una delle cupole della Basilica di San Marco a Venezia.

Egitto. Scoperta nella necropoli di Abusir la tomba di Khentkaus III, regina sconosciuta della V dinastia, forse moglie del faraone Neferefre

La tomba di Khentkaus III, regina finora sconosciuta della V Dinastia, scoperta ad Abusir vicino a Saqqara

La tomba di Khentkaus III, regina finora sconosciuta della V Dinastia, scoperta ad Abusir vicino a Saqqara

“Eccezionale scoperta in Egitto”, ha annunciato il ministro Mamdouh Eldamaty, e la notizia sembra quasi sorprendere. Non è così. Anche se gli antichi egizi ci hanno lasciato scritto di tutto e di più, l’Egitto riesce ancora a stupirci e a “illuminare” alcuni periodi meno documentati o con situazioni politiche ingarbugliate e successioni dinastiche altrettanto confuse. Come è il caso della V Dinastia (2500-2350 a.C.), per intendersi quella successiva alla più famosa dinastia dei faraoni costruttori della grandi piramidi di Giza: Cheope, Chefren e Micerino. Un gruppo di archeologi della missione condotta ad Abusir dagli archeologi dell’Istituto Ceco di Egittologia, diretto dal professor Miroslav Barta, che sta facendo riemergere un vasto complesso funebre, ha riportato alla luce i resti di una tomba appartenente a una regina fino ad oggi sconosciuta, databile intorno a 4500 anni fa, regina che non figurava finora nella lista dei sovrani della V Dinastia. L’eccezionale ritrovamento, che è stato annunciato dal ministero egiziano delle Antichità, è avvenuto appunto nel sito Abusir, a sudovest del Cairo, e a nord di Saqqara, vicino al complesso della piramide del faraone Neferefre. La regina finora ignota si chiamava Khentkaus III, come si legge in una iscrizione portata alla luce all’interno della tomba stessa, e forse – secondo gli archeologi cechi – potrebbe essere stata la moglie del faraone Neferefre. “Con questa nostra scoperta abbiamo riportato alla luce un’altra parte sconosciuta della storia della V Dinastia”, spiega Miroslav Bárta, direttore degli scavi ad Abusir, “aggiungendo tessere al mosaico che ci è noto fino ad oggi. E ancora molto dovremo scoprire. Questi ritrovamenti illustrano anche l’importanza rivestita dalle donne nella corte reale e nell’Antico Egitto in generale”.

La necropoli di Abusir, a 25 chilometri a sud-ovest del Cairo, e a nord di Saqqara

La necropoli di Abusir, a 25 chilometri a sud-ovest del Cairo, e a nord di Saqqara

La necropoli di Abusir. A restituire i preziosi reperti è stata la necropoli di Abusir, uno dei siti più importanti dell’Antico Egitto, circa 25 chilometri a sud-ovest del Cairo, dove l’istituto di cultura ceco porta avanti campagne di scavo da quasi 55 anni. La tomba è parte di un piccolo cimitero a sud-est del complesso funerario del faraone Neferefre. In quella zona furono sepolti i membri dell’elite di corte vissuti all’epoca della V Dinastia (circa 2450 a.C.).

La falsa porta su una parete della cappella nella parte ipogea della mastaba

La falsa porta su una parete della cappella nella parte ipogea della mastaba

Alcuni oggetti del corredo della regina Khentkaus III trovati all'interno della tomba dagli archeologi cechi

Alcuni oggetti del corredo della regina Khentkaus III trovati all’interno della tomba dagli archeologi cechi

La sepoltura a mastaba. La sepoltura della regina Khentkaus III (contrassegnata come AC 30) è analoga nelle dimensioni e nella forma alle altre presenti nella medesima area. Si tratta di una tomba a mastaba, tipo ricorrente soprattutto durante le prime fasi della civiltà egizia, dalla forma “a gradone” cioè simile a un grosso tronco di piramide. La cappella, originariamente munita di false porte posizionate sulla parete occidentale, è collocata nel parte sotterranea della mastaba; al di sotto di essa c’è la camera sepolcrale, accessibile attraverso un pozzo verticale. Nonostante la tomba abbia subito negli anni gli attacchi dei tombaroli, gli archeologi hanno portato alla luce anche 24 vasi in pietra calcarea e numerosi utensili di rame, che facevano parte del corredo funerario della tomba. Le camere laterali della nuova tomba recano disegni e iscrizioni. Gli archeologi hanno identificato anche la destinazione funeraria della tomba, che era proprietà della “Moglie del Re” e “Madre del Re”, cioè Khentkaus III. L’ipotesi degli archeologi cechi è che Khentkaus III possa essere stata la moglie di Neferefre (2460-2458 a.C.), faraone della V Dinastia, su cui scarseggiano le notizie. Il suo titolo sarebbe cambiato in “Madre del Re”, quando il figlio Menkauhor è divenuto faraone.

Scorcio del pozzo della tomba Ac30 che porta alla camera sepolcrale di Khentkaus III

Scorcio del pozzo della tomba Ac30 che porta alla camera sepolcrale della regina Khentkaus III

La statua del faraone Neferefre conservata al museo Egizio del Cairo

La statua del faraone Neferefre conservata al museo Egizio del Cairo

Khentkaus III, regina sconosciuta. “La regina Khentkaus III, fino ad oggi sconosciuta, fu probabilmente moglie del re Neferefre, il cui complesso tombale che comprende una piramide incompleta e una significativa quantità di reperti (come un archivio di papiri o una collezione di statuette di sovrani), venne scoperto dagli egittologi cechi vicino a questa tomba tra gli anni ’80 e ’90”, spiega uno degli archeologi che hanno lavorato agli scavi, Jaromir Krejčí. Ma, sottolineano gli esperti, anche l’altro titolo della regina, quello di “madre”, è molto importante e può dire parecchie cose agli studiosi. Se la regina venne sepolta durante il regno di Niuserre, come sembrerebbe dai sigilli, si può ipotizzare dunque che fu la madre del faraone Menkauhor che successe a Niuserre sul trono d’Egitto. Purtroppo le informazioni su questo sovrano sono piuttosto scarse ma la scoperta potrebbe costituire proprio un’occasione per cercare di comprendere meglio quali potevano essere le relazioni tra la famiglia reale e le persone sepolte ad Abusir.

Dalle Piramidi a Luxor: l’Egitto dal cielo. Mostra all’università di Milano con le prime foto aeree realizzate da Theodor Kofler nel 1914

La piana di Giza con le Piramidi (e nessuna urbanizzazione selvaggia!) in una foto di Kofler del 1914

La piana di Giza con le Piramidi (e nessuna urbanizzazione selvaggia!) in una foto di Kofler del 1914

Dalle Piramidi a Luxor. L’Egitto dall’alto come non lo si potrà mai più vedere: dal cielo, con gli occhi delle camere fotografiche di cento anni fa. Guardare dall’alto l’Egitto, nell’anno dello scoppio della Grande Guerra, attraverso una raccolta di 21 immagini tra le prime a essere scattate da un aereo: ccco l’eccezionalità della mostra “L’Egitto dal cielo, 1914. La riscoperta del fotografo Theodor Kofler, pioniere, prigioniero, professionista” aperta all’università Statale di Milano fino al 13 marzo dopo un lavoro di ricerca decennale sui materiali conservati negli Archivi di Egittologia dell’ateneo milanese. “Lo scopo della mostra è presentare le fotografie aeree di Kofler, per lo più inedite, che rappresentano il suo capolavoro, e far conoscere tanto il pioniere della fotografia archeologica aerea, quanto il fotografo prigioniero che divenne un vero professionista tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta”, spiega Patrizia Piacentini, egittologa della Statale e curatrice della mostra. L’esposizione celebra dunque Kofler, ma vuole essere anche il ricordo di un’epoca in cui, in mezzo alle atrocità della guerra, gli uomini, individualmente, sapevano ancora rispettare gli altri uomini.

Il pilota austriaco e fotografo Theodor Kofler

Il pilota austriaco e fotografo Theodor Kofler

L’identità di Theodor Kofler, fotografo fino a oggi pressoché sconosciuto nonostante la sua abilità, è stata riscoperta grazie a una ricerca decennale della prof. Patrizia Piacentini, titolare di Egittologia del Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’università di Milano, e del suo gruppo di ricerca internazionale condotta in vari paesi europei e africani. Theodor Kofler, pilota austriaco di Innsbruck, pioniere della fotografia aerea, nel 1914 sorvolò la zona delle piramidi di Giza e quindi risalì il Nilo fino a Karnak e Luxor. Ma durante la prima guerra mondiale Kofler fu preso prigionieri dagli inglesi e internato a Malta. In seguito riprese a volare in Africa, andando a morire in un incidente sul lago Vittoria. Queste sue foto egiziane erano finite nella raccolta privata di Alexandre VariIle, che nel 2001 la lasciò in eredità all’Università milanese.

I colossi di Memnone a Tebe Ovest nelle foto di Theodor Kofler

I colossi di Memnone a Tebe Ovest nelle foto di Theodor Kofler

L’allestimento – curato da Alessio Carpanelli – propone una lettura di luoghi – le Piramidi, i templi di Karnak e Luxor o i monumenti della riva occidentale tebana – e di tempi – correva l’anno 1914 – “ritratti” per la prima volta da un punto di vista “insolito”, come lo è stato il suo autore, quel Theodor Kofler, visionario e straordinario pioniere di un modo molto attuale di raccontare il mondo con la forza delle immagini. “Ventuno immagini eccezionali”, sintetizza Piacentini, “scattate nella prima metà del 1914 da aerei che si sono potuti identificare, riproducono le piramidi, i templi di Karnak e Luxor e alcuni monumenti della riva occidentale tebana. Si tratta di una raccolta unica, di grande valore per l’Egittologia, la Storia della fotografia e la Storia dell’aviazione, mentre il suo autore è importante anche per la microstoria della Prima Guerra Mondiale”.  E continua: “La mostra mette in luce un certo rispetto del “nemico” nei campi di prigionia che non era sempre e solo propaganda: fuori c’era la guerra, ma il valore e le capacità degli uomini potevano essere riconosciuti. Pur nella sofferenza della separazione dalle famiglie, della privazione della libertà, di condizioni di vita non facili, ma lontano dalle trincee, gli uomini potevano riuscire a conservare la loro dignità e a essere apprezzati per le loro qualità”. La ricerca ha individuato anche i fotografi con cui Kofler fu in stretto contatto, in Egitto e a Malta, e gli studi al Cairo nei quali lavorò, o di cui fu titolare, prima e dopo la  Prima Guerra Mondiale. Uno di essi fu attivo fino agli anni Cinquanta del Novecento, quando Theodor lasciò per sempre l’Egitto.

Il grande complesso templare di Karnak fotografato nel 1914 da Kofler

Il grande complesso templare di Karnak fotografato nel 1914 da Kofler

La sede della mostra, l’università degli Studi di Milano, costituisce la prima tappa di un’esposizione pensata itinerante, e costituisce uno dei principali eventi nell’ambito delle celebrazioni per i 90 anni dell’Università. Sui pannelli della mostra e nel catalogo, testi esplicativi sono accompagnati da fotografie e disegni del periodo maltese di Kofler (fine 1914-1916) e da fotografie realizzate al Cairo (1916-1950), da poco acquisite dall’Associazione Per-megiat onlus per la Tutela e la Valorizzazione delle Biblioteche sull’Antico Egitto che dal 2001 sostiene la Biblioteca e gli Archivi di Egittologia milanesi. Sono previste visite guidate – su prenotazione scrivendo a egittologia@unimi.it – affidate agli studenti di Egittologia della Statale. Alla mostra è dedicata anche una guida online in italiano e inglese – accessibile con App gratuita “Egitto a Milano”.