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“Salviamo l’archeologia italiana”: nuovo appello di 200 tra archeologi, storici dell’arte, architetti, funzionari e docenti universitari per fermare la riforma Franceschini e aprire un confronto

La sede del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo a Roma

La sede del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo a Roma

A fine gennaio l’appello “Salviamo l’archeologia italiana”, lanciato dall’associazione degli archeologi del pubblico impiego – comparto MiBACT (API-MiBACT) all’indomani delle comunicazioni del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, sullo schema di decreto ministeriale di riforma dell’organizzazione del ministero (https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/27/salviamo-larcheologia-italiana-appello-denuncia-degli-archeologi-del-pubblico-impiego-contro-il-decreto-franceschini-che-smantella-le-soprintendenze-archeologiche/). Un mese dopo a Firenze a Tourisma un’assemblea degli archeologi italiani ha ribadito il “no” alla riforma per salvare l’archeologia italiana. Passa un altro mese e nei giorni scorsi siamo a Roma al raduno nazionale “Archeologi (ma non solo) contro una riforma –caos” con un nuovo appello “Stop alla riforma Franceschini. Si discuta insieme”, firmato da 200 tra archeologi, storici dell’arte, architetti, funzionari e docenti universitari. Una giornata di lavori “per denunciare i guasti e il sostanziale caos che le misure adottate dal ministro Dario Franceschini, aggravate dalla legge Madia, stanno producendo in una rete di tutela e ricerca già grandemente indebolita”. Misure, dicono gli operatori, “calate dall’alto senza alcuna discussione né organicità”. Negli interventi – tra i molti, Pietro Giovanni Guzzo, l’ex sottosegretario ai beni culturali Roberto Cecchi – si parla di personale sotto organico, di “una totale latitanza di progetto culturale” e di norme che “legano le mani alla tutela, mentre il consumo del suolo incalza”. La richiesta, si legge nel documento finale, è innanzitutto quella di “una moratoria effettiva all’applicazione della riforma Franceschini per la mancanza di una precisa analisi dei fabbisogni di risorse, economiche e professionali, necessarie al buon funzionamento degli istituti” e “il mancato rispetto degli standard museali nei musei istituiti come autonomi o raccolti nei Poli”. Si auspica un confronto e una “stretta collaborazione Mibact e Miur” nel “rafforzamento della tutela del patrimonio culturale”, dice anche l’ex soprintendente all’archeologia di Roma Mariarosaria Barbera. Ma le critiche degli operatori riguardano anche “la mancanza di un rendiconto sull’attuazione del primo anno della riforma; la creazione dell’Istituto centrale di archeologia senza l’ampia consultazione promessa dal ministro; la separazione tra tutela e valorizzazione; il declassamento della funzione conoscitiva e del riconoscimento delle specializzazioni tecniche a partire da quelle del soprintendente”.

“Non chiudete il museo archeologico di Ischia”: appello dell’associazione Bianchi Bandinelli per evitare lo sfratto da Villa Arbusto dei tesori dell’antica colonia greca di Pithecusae

Uno scorcio del parco di villa Arbusto a Lacco Ameno di Ischia, sede del museo archeoloigico

Uno scorcio del parco di villa Arbusto a Lacco Ameno di Ischia, sede del museo archeoloigico

La mappa dell'isola d'Ischia, l'antica Pithecusae

La mappa dell’isola d’Ischia, l’antica Pithecusae

La storia dell’isola di Ischia, dalla preistoria alla colonia greca di Pithecusae fino all’età romana, è racchiusa tra le mura dell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto che ospita il museo archeologico di Ischia. E ora quel museo istituito 25 anni fa per esporre al pubblico i reperti che raccontano l’affascinante storia di Pithecusae, ritenuto il più antico insediamento fisso dei Greci che avevano raggiunto l’Italia Meridionale, rischia di chiudere. Un’ipotesi contro la quale scende in campo con un accorato appello l’associazione Bianchi Bandinelli: “Non chiudete il museo archeologico di Ischia a villa Arbusto”, edificio di fine Settecento ora di proprietà del Comune di Lacco Ameno, in difficoltà finanziaria come molti enti locali. Aperto circa 25 anni fa, il museo espone i tanti reperti che raccontano questa lunga storia, frutto degli scavi condotti sull’isola – in località San Montano, nel comune di Lacco Ameno – dalla fine degli anni ’40 del Novecento sotto la direzione di Giorgio Buchner, che ha studiato e pubblicato i contenuti di oltre settecento sepolture, deposte in fosse, di inumati e di incinerati, databili dalla metà dell’VIII a.C. all’età romana imperiale.

La cosiddetta "coppa di Nestore" conservata nel museo archeoloigco di villa Arbusto ad Ischia

La cosiddetta “coppa di Nestore” conservata nel museo archeoloigco di villa Arbusto ad Ischia

Il museo archeologico di Pithecusae rischia di chiudere

Il museo archeologico di Pithecusae rischia di chiudere

A Villa Arbusto sono conservati reperti dalla preistoria all'età romana

A Villa Arbusto sono conservati reperti dalla preistoria all’età romana

Tre le sezioni principali che espongono i reperti delle diverse epoche rinvenuti sull’isola: la Preistorica, con oggetti del neolitico, età del bronzo e del ferro composta perlopiù da materiali ceramici e litici. Il periodo greco, che raccoglie la corposa collezione dei reperti della colonia greca di Pithecusae. Così chiamarono Ischia gli Eubei che vi si insediarono nel VII sec. a.c.: per alcuni il nome significherebbe “l’isola delle scimmie” (i malefici Cercopi abitanti delle terre vulcaniche), per altri invece “l’isola dei vasi”. Una sezione è dedicata agli oggetti che testimoniano le prolifiche attività commerciali di Pithecusae con Oriente, Grecia, Spagna, Puglia e Sardegna. Un’altra alla raccolta di corredi funerari provenienti dalla necropoli di San Montano, di cui fanno parte i più importanti i vasi pitecusani, come la famosa “tazza da Rodi” sulla quale è inciso, in alfabeto euboico, un epigramma che allude alla celebre “coppa di Nestore” descritta nell’Iliade: versi, con cadenza epica, contemporanei alle più antiche parti dell’Iliade, nei quali si decanta il piacere di bere vino in una coppa perfetta come quella usata da Nestore. Si tratta della più antica iscrizione in lingua greca ritrovata in Italia, e fa il paio con una seconda che ci restituisce la firma di un decoratore di vasi in attività nella stessa Pithecusa. Infine, c’è il periodo romano, di cui fanno parte i rilievi votivi in marmo dal santuario delle Ninfe, in località Nitrodi (Barano), e dei lingotti in piombo e stagno della fonderia sommersa di Carta Romana. Buona parte di questo patrimonio archeologico di inestimabile valore ha ritrovato la luce grazie agli scavi effettuati da Buchner a partire dal 1952. Ora però il comune, in difficoltà finanziaria, avrebbe deciso di vendere Villa Arbusto, e il museo rischia lo sfratto. Da qui l’appello dell’associazione – sottoscritto già da decine di intellettuali, professori universitari ed esperti tra cui l’ex soprintendente di Pompei Pietro Guzzo – che chiede la ministero di beni culturali e turismo di vigilare sulla vicenda.