Veduta generale dell’area archeologica della Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella (foto graziano tavan)
“La Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella: una ricerca interdisciplinare”: è il titolo della giornata di studi promossi dall’università di Verona che si tiene lunedì 16 dicembre 2024, in sala Gazzola nella sede della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza, in piazza San Fermo 3° a Verona, dedicata ai risultati preliminari degli scavi archeologici della Villa dei mosaici di Negrar di Valpolicella (Vr). La partecipazione è aperta a tutti gli interessati A seguire un brindisi con vino della Valpolicella, offerto dalle aziende agricole Benedetti “La Villa” e Franchini di Negrar. È Gianni De Zuccato, direttore dello scavo archeologico, come funzionario archeologo della Sabap di Verona, a presentare e anticipare ai lettori di archeologiavocidalpassato.com i temi del convegno. E con l’occasione ne approfitta per ripercorrere lo sviluppo della ricerca archeologica, dallo scavo alla presentazione dei risultati alla comunità, non solo scientifica, e per descrivere la villa come risulta dagli scavi nella sua articolazione tra la zona residenziale e l’area produttiva, nell’arco della “vita” della struttura tardo-antica.
“Il 16 dicembre 2024 – esordisce De Zuccato – ci sarà questa giornata di studio ospitata dalla soprintendenza di Verona, in piazza San Fermo, e organizzata dall’università di Verona – dipartimento Culture e Civiltà, per un aggiornamento delle ricerche sulla villa romana tardo-antica di Negrar di Valpolicella. L’idea di fare una giornata è nata perché abbiamo sentito l’esigenza di informare la popolazione in generale, ma anche tutti coloro che avevano seguito le varie vicende, lo scavo, o avevano fatto una visita a Negrar, e comunque gli studiosi interessati per informarli sullo stato di avanzamento delle ricerche. Non è una giornata conclusiva delle ricerche, delle indagini sulla villa di Negrar, perché i lavori – soprattutto la parte dello studio – è tuttora in corso. Abbiamo però sentito il bisogno di mettere al corrente di quello che stiamo facendo. Ci sono parecchi gruppi di lavoro che fanno capo a specialisti delle diverse materie, e abbiamo sentito l’esigenza di informare le persone. Perché è facile pensare, per chi non è addetto ai lavori, che concluso lo scavo tutto sia finito, e l’unica cosa che rimane da fare sia quella di creare un’area archeologica. Non è così. Per far parlare i resti che sono stati trovati è importante lo studio, l’analisi di quello che si è rinvenuto. E al di là degli studi ormai classici che riguardano gli scavi archeologici – quindi lo studio dei materiali nelle varie classi di ceramica, metalli, pietra, ecc. -, al giorno d’oggi si fanno ormai di routine delle indagini che fino a pochi anni fa non erano possibili per i costi e che adesso per fortuna sono stati molto ridotti: mi riferisco non solo alla datazione attraverso il Radio Carbonio 14, ma anche ad altri tipi di analisi, come gli isotopi, che permettono di determinare o almeno di chiarire altri aspetti come la paleo-dieta (in riferimento alle sepolture a inumazione) ma anche la provenienza degli individui che sono stati sepolti nell’area. E poi tutto quello che riguarda la paleobotanica, con l’individuazione di quelli che gli archeologi chiamano i macro resti, cioè semi, resti vegetali in generale: quindi determinazione di questi, ma anche oltre. Ad esempio l’università di Verona, con la professoressa Diana Bellin, sta conducendo delle indagini per tentare di ricomporre il DNA dei vinaccioli rinvenuti in uno degli scarichi della villa per vedere se quei vinaccioli siano riconducibili a vigneti, a tipi di vigne dell’epoca ma che siano le progenitrici anche delle vigne oggi presenti in Valpolicella. Rimane poi sullo sfondo, ma è naturalmente molto importante, la ricerca sulla presenza della lavorazione delle uve e quindi la produzione del vino perché naturalmente siamo in Valpolicella, e quindi la ricerca è stata anche indirizzata in questo senso e ha avuto dei buoni risultati, che non anticipo”.
Archeologi e operatori riportano alla luce di mosaici pavimentali della villa rustica romana di Negrar di Valpolicella, poi chiamata Villa dei Mosaici (foto comune di negrar)
Purtroppo c’è stato il Covid, che ci ha ostacolato gli scavi – come ha ostacolato un po’ tutto – per cui abbiamo dovuto sospendere per un po’ di tempo. Era tutto molto difficile. Però in un paio di anni siamo riusciti a portare quasi a termine questa impresa, cioè lo scavo diciamo di tutta l’area. In realtà che non sia tutta l’area qualche dubbio ce l’abbiamo. Ma comunque è quasi tutta l’area della villa. A differenza di altre ville tardo-antiche famose, senza andare lontanissimo penso a Desenzano però si potrebbe arrivare anche a Piazza Armerina alla Villa del Casale, che sono organizzate più a padiglioni, la villa di Negrar si presenta come un corpo unico, una specie di monoblocco con qualche estensione, tipo l’area delle terme.
I resti della fontana al centro del cortile-giardino della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)
È tutto un blocco che ruota attorno al peristilio, cioè a un cortile-giardino centrale circondato da un colonnato che aveva una fontana al centro. Sicuramente era molto bello, avrà avuto piante e fiori. Questa parte l’abbiano scavata quasi tutta. Abbiamo individuato dei resti che vanno oltre i limiti dello scavo attuale sia a Nord sotto la strada asfaltata, sia a Est verso la valle dove abbiamo individuato i limiti di un muro che forse circondava un’area aperta o semiaperta che però non abbiamo potuto scavare perché è fuori dalla proprietà disponibile per gli scavi. E anche verso Sud ci sono dei muri che proseguono sotto al vigneto. Insomma, non posso dire che l’abbiano scavata tutta!
Dettaglio del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar con i mosaici policromi e una base di colonna del porticato (foto graziano tavan)
Pianta schematica della Villa dei Mosaici di Negrar a cura della Sabap di Verona, con evidenziate le aree mosaicate (residenziali) e quelle lastricate (produttive) (foto graziano tavan)
“Comunque – continua De Zuccato – quello che oggi si può vedere se uno va a visitare il sito, anche in condizioni ancora di cantiere, perché i resti sono stati coperti e protetti con delle coperture che mi auguro siano provvisorie benché siano state efficaci in questi anni in cui i resti sono stati portati alla luce, sono dei ruderi, certamente. La prima cosa che secondo me balza agli occhi è la quantità di resti di mosaici presenti e che ci hanno fatto dare alla villa il nome di villa dei mosaici, perché è un po’ ciò che la caratterizza. Intorno al cortile-giardino c’è un corridoio, un po’ l’antenato del chiostro delle chiede medievali, e su questo chiostro si affacciavano vari ambienti. La villa è suddivisa tra una parte residenziale verso Est, e una parte produttiva verso Ovest, separate da un muro. Probabilmente erano collegate anche tra di loro però sono anche nettamente separate.
Villa dei Mosaici di Negrar: l’ambiente absidato dei cosiddetti “appartamenti” (foto comune di negrar)
“La parte che era stata scoperta 100 anni fa e che abbiamo riportato alla luce – sottolinea De Zuccato – è la parte di rappresentanza, la parte bella, quella dove il padrone della villa, il dominus, riceveva i suoi amici, e probabilmente li riceveva anche organizzando pranzi o cene. C’era una grande sala, la sala dei ricevimenti e dei banchetti. Ai due lati, due coppie di stanze, che noi identifichiamo come appartamenti, che probabilmente ospitavano anche la camera da letto dei padroni, dei proprietari. Una situazione analoga a questa doveva esistere anche sul lato settentrionale che purtroppo è stato pesantemente danneggiato nel 1974 dallo scavo per la costruzione di una casa. È stata purtroppo distrutta l’aula principale, l’aula absidata. Queste aule, infatti, avevano la caratteristica nell’età tardo-antica, cioè IV-V secolo, di avere un muro tondeggiante come appunto l’abside delle chiese soprattutto medievali. Quest’aula è stata distrutta completamente. Sono rimasti degli ambienti, che anche qui chiamiamo appartamenti, ai lati di quest’aula. Uno conserva quasi integro un mosaico. Un altro è un ambiente molto particolare. Non sappiamo esattamente cosa fosse, ma la particolarità di questo ambiente è che al centro ha una piccola vasca a sette lati, ettagonale. E dall’altro ci sono i resti di una delle due stanze, pavimentata a mosaico anche questa, mentre un’altra era già stata danneggiata in antico. Sulla sala con vasca ettagonale stiamo ancora approfondendo le indagini perché la presenza di questa strana forma del catino della vasca ci indurrebbe a pensare a un possibile battistero. Però il discorso è ancora in sospeso.
Il quartiere termale della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)
“Poi c’è il settore termale lì vicino, a Nord-Est – descrive De Zuccato -. Un settore ampio, articolato. C’è lo spogliatoio, un grande frigidarium; il calidarium; il tepidarium. C’è una piccola saletta, forse un laconicum una sudatio. C’è il prefurnio. C’è la vasca per i bagni in acqua fredda. Insomma è un settore molto affascinante. Sul lato Est ci sono delle altre stanze, mentre non ci sono stanze sul lato Ovest che confina col settore produttivo.
La foto originale del 1922 rappresentante il mosaico della Sala A della villa romana di Negrar (foto archivio sabap-vr)
“Due parole sui mosaici che si possono vedere. A parte quelli che erano conosciuti attraverso le foto in bianco e nero della Campanile e attraverso i frammenti che erano stati strappati ancora nell’800 e portati al museo Archeologico al Teatro Romano, abbiamo trovato un altro pavimento a mosaico sul lato Est, un mosaico abbastanza semplice però ugualmente interessante. Il lato Est conserva anche una scalinata in pietra, perché la villa era disposta su terrazze per seguire un po’ il declivio naturale della collina.
Veduta d’insieme dei mosaici policromi del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)
“Il mosaico più bello – spiega De Zuccato – è sicuramente quello che è conservato sul lato Ovest del peristilio e che presenta una serie di tondi che racchiudono delle figure, anche di persone: una figura femminile, un volto femminile, un volto maschile, un busto maschile; degli oggetti, vasi. Un canestro di frutta; degli animali, uccelli. Anche il telaio del disegno di questi tondi figurati è interessantissimo perché ha delle soluzioni che suggeriscono una profondità spaziale, una profondità di volume al mosaico. È una cosa particolarissima. Gli specialisti dicono che al momento è un unicum”.
“Per quello che riguarda invece la parte produttiva – continua De Zuccato -, l’altra caratteristica che ne fa anche qui un unicum, è la presenza di una grande struttura articolata in tre ambienti: al centro un ambiente scoperto e ai lati due ambienti coperti. Ma la caratteristica che ne fa appunto una cosa unica è la pavimentazione in lastre di pietra: dovrebbe trattarsi di un grandissimo magazzino, lungo una trentina di metri. Ci siamo chiesti che cosa potesse contenere questo magazzino, a cosa potesse servire, oltre alla raccolta delle normali produzioni, normali derrate, che venivano dalla proprietà, da quel fundus, dai terreni che stavano attorno alla villa. Abbiamo fatto anche qui una serie di analisi che hanno evidenziato quasi ovunque il contatto con mosto e con vino. A fianco di quest’area c’è una grande piattaforma che ospitava uno spazio con una vasca per la produzione del mosto calcatorium, insomma il mosto che veniva prodotto schiacciando l’uva coi piedi. Però abbiamo trovato anche due grossi contrappesi per il torchio meccanico, perciò anche questi dovevano essere presenti in sede. Poi abbiamo trovato un po’ dappertutto i resti di lastre che servivano a sorreggere le lastre laterali. Un po’ come le fontane che sono tuttora presenti in Valpolicella. Solo che in questo caso dovevano contenere mosto e vino. Quello che non abbiamo trovato, e che inizialmente credevamo di trovare, erano questi grandi contenitori per il mosto e per il vino che vediamo seminterrati nelle ville del Centro-Sud d’Italia, i cosiddetti dolia de fossa. Qui invece non ci sono. Ma non ci sono perché qui a Negrar, come in altre situazioni nel Nord Italia e anche nel resto dell’Europa, il mosto e il vino venivano già allora raccolti in botti di legno che si prestavano meglio anche per il trasporto, con i carri via strada, o con il trasporto fluviale. Un po’ come le botti che sono raffigurate sulla famosa stele di Tenazio Essimno, trovata qualche anno fa a Passau (antica Batavium, ndr) in Baviera (e oggi conservata all’Oberhaus Museum di Passau, ndr), che ricorda appunto questo personaggio nativo di Trento, il cui nome però lo dichiara originario della Valpolicella, un commerciante di vini. E lui nel suo monumento funerario si è fatto raffigurare appunto al fianco di una catasta di piccole botti, delle botticelle, con cui sicuramente trasportava il vino.
Veduta d’insieme dell’area produttiva della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)
“Altre situazioni particolari di quest’area produttiva, di cui si parlerà estesamente nella giornata del 16 dicembre, sono una serie di ambienti che forse facevano parte di una prima sistemazione della villa. Ci stiamo chiedendo se questa grande struttura, questo grande magazzino in lastre non sia stato realizzato quando una parte della villa viveva già. E quindi la suggestione è che questo magazzino potesse servire per la produzione certamente del vino ma magari anche per l’appassimento delle uve secondo la tradizione che è riconducibile a Cassiodoro e che potrebbe farne uno dei luoghi di produzione di quell’acinaticium (acinatico) nella sua lettera al re Teodorico. Ci stiamo lavorando – conclude De Zuccato – soprattutto per quello che riguarda la datazione, perché vorrebbe dire che questa produzione vitivinicola è durata parecchio nella villa, forse anche oltre il limite della vita della villa stessa come tale”.
“La vita della villa con i resti così come li vediamo oggi – spiega De Zuccato – forse termina poco dopo la fine dell’Impero romano. Pensiamo che la villa sia vissuta per tutto il V secolo, anche se non è proprio semplice stabilire dei confini cronologici tra un’epoca e l’altra. Però abbiamo trovato tracce notevoli di quella che noi abbiamo chiamato, in una delle sessioni del convegno, Dopo la villa, perché c’è una frequentazione chiara, diffusa anche dell’area della villa e di quelle che probabilmente erano le strutture sicuramente in parte ancora in piedi, ancora in discreto stato, e in parte forse integrate da strutture nuove fatte con materiali di demolizione, di recupero dei muri della villa. E poi andando avanti nel tempo, con il proseguire della decadenza di queste strutture e delle demolizioni, si arriva anche al VII, l’VIII secolo, forse anche al IX secolo. Quindi siamo in età contemporanea alla presenza di Teodorico, dei Goti, e poi dei Longobardi. Questo è sicuro per il fatto che sono presenti alcune sepolture fatte all’interno delle strutture della villa. Sepolture povere, soprattutto di bambini, che sono state datate tra il VII e l’VIII secolo. Ma la cosa interessante è che sul limite delle strutture della villa abbiamo trovato anche due tombe di età longobarda. Una di queste due tombe è riferibile a una principessa (?), una nobildonna sicuramente perché aveva tre bracciali, due dei quali molto belli, bracciali tipicamente longobardi a tamponi, e uno in ferro. Nell’altra tomba invece c’erano vari inumati. È stata una tomba utilizzata più volte, una tomba multipla, e anche qui con i segni della cultura longobarda, i caratteristici pettini in osso, delle perle in pasta vitrea. Ciò vuol dire che la villa ha continuato a vivere per un bel po’ di tempo. Tutto questo è oggetto di studio. Anche le tracce delle abitazioni realizzate tra i resti della villa sono interessanti: in parte sono state realizzate con materiali di spoglio, ma in parte sono state realizzate con strutture di legno, perché ci sono i buchi nei pavimenti che testimoniano questi impianti. Di questa fase abbiamo trovato una grande abbondanza di materiali ceramici, come stoviglie da cucina, materiali insomma di uso comune, cosa che invece abbiamo trovato in maniera scarsissima per quello che riguarda la villa in età romana. Lì c’è una povertà assoluta forse proprio perché la villa è stata spogliata intenzionalmente prima di essere abbandonata”.
IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA DI STUDIO LUNEDÌ 16 DICEMBRE 2024. Alle 9.30 Saluti istituzionali: Andrea Rosignoli (soprintendente ABAP per le province di Verona Rovigo, Vicenza), Paolo De Paolis (direttore dipartimento di Culture e Civiltà – università di Verona); Fausto Rossignoli (sindaco di Negrar di Valpolicella). INTRODUZIONE Alle 10, Vincenzo Tinè (soprintendente ABAP VE-Met), “Il progetto di studio e la valorizzazione”. SESSIONE 1: LA VILLA Presiede Francesca Ghedini (università di Padova) Alle 10.15, Patrizia Basso, Nicola Delbarba (università di Verona), Gianni de Zuccato (già soprintendenza ABAP Verona Rovigo, Vicenza), “La villa: considerazioni planimetriche e funzionali”; 10.45, Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), “I rivestimenti pavimentali: decorazione, funzione e cronologia”; 11, pausa caffè; 11.15, Monica Salvadori (università di Padova), Katia Boldo, Simone Dilaria, Anna Favero, Federica Stella Mosimann, Clelia Sbrolli, “Approcci multidisciplinari per la conoscenza della pittura parietale in contesto: il caso della villa di Negrar”; 11.30, Diana Dobreva, Anna Nicolussi (università di Verona), “Note preliminari sulla ceramica tardoantica della villa: osservazioni cronologiche, tipologiche e archeometriche”; 11.45, Dario Calomino (università di Verona), “Il quadro dei ritrovamenti monetali”. SESSIONE 2: DOPO LA VILLA Presiede Andrea Augenti (università di Bologna) Alle 12, Fabio Saggioro, Nicola Mancassola (università di Verona), Alberto Manicardi (SAP), “Le fasi di frequentazione altomedievale”; 12.30, Nicola Mancassola (università di Verona), “Le ceramiche da cucina altomedievali”; 12.45, pausa pranzo; 14.15, Laura Bonfanti, Irene Dori (università di Firenze), Alessandra Varalli (Aix-Marseille Université, CNRS, Ministère de la Culture, LAMPEA), “Gli inumati altomedievali: i risultati delle analisi bioarchaeologiche e isotopiche”; 14.30, Elisa Possenti (università di Trento), Lisa Martinelli (università di Udine), “I reperti metallici e in osso lavorato di età medievale”. SESSIONE 3 APPROCCI ANALITICI Presiede Jacopo Bonetto (università di Padova) Alle 14.45 Gianfranco Valle (geoarcheologo professionista), “Studio geomorfologico e ricostruzione ambientale”; 15, Valeria Luciani, Elena Marrocchino, Michele Zuccotto (università di Ferrara), “Caratterizzazione in sezione sottile di materiali lapidei”; 15.15, pausa caffè; 15.30, Elena Marrocchino, Michele Sempreboni (università di Ferrara), “Prime analisi sui leganti”; 15.45, Silvia Bandera (università di Verona), “Analisi dei resti faunistici”; 16, Marco Marchesini, Madalina Daniela Ghereg, Silvia Marvelli, Anna Chiara Muscogiuri, Elisabetta Rizzoli (Laboratorio di Palinologia e Archeobotanica C.A.A. Nicoli), “Vegetazione, viticoltura e alimentazione attraverso le analisi archeobotaniche”; 16.30, dibattito.
Sulla rocca di Canossa (Re) sono riprese le ricerche archeologiche
Cartolina del Castello di Canossa, realizzata intorno al 1915, conservata nella fototeca Panizzi
La locandina che promuove le iniziative per il bicentenario della nascita di Gaetano Chierici
Andare a Canossa. Era il gennaio 1077 quando l’imperatore Enrico IV si umiliò davanti a papa Gregorio VII perché venisse ritirata la scomunica, dopo aver atteso tre giorni davanti al castello di Matilde di Canossa. Al castello, nel bicentenario della nascita di Gaetano Chierici, il padre della paletnologia italiana, sono tornati gli archeologi. E pochi mesi dall’inizio della campagna di scavo si presentano i primi risultati, il 15 febbraio 2019, al teatro Comunale di Canossa, con la giornata di studi “Ancora a Canossa. La ricerca archeologica 2018/2019”. “Si torna quindi a parlare del castello di Canossa – spiegano i promotori – grazie a un articolato programma incentrato sulla tutela del sito nel senso più ampio del termine. Da un lato, i lavori di messa in sicurezza della rupe, preceduti da verifiche archeologiche, che hanno avuto come base di partenza uno studio geomorfologico della rupe stessa, porteranno non solo a una maggiore stabilità dei versanti, ma anche a una migliore conoscenza delle fasi strutturali precedenti l’odierna. Dall’altro, la ricerca archeologica realizzata negli ultimi due anni dalle università, su concessione del Mibac, sta portando a interessanti scoperte sulla sistemazione della parte basale e intermedia della rupe che frutteranno una maggiore definizione della cronologia e della topografia dei luoghi e delle strutture. All’interno di questi eventi principali si inscrivono i numerosi rapporti di collaborazione con le realtà locali e il mondo dell’associazionismo, in un clima di vivace e proficuo scambio, che trovano giusta cornice in questa giornata di studi promossa da Alma Mater Studiorum di Bologna, università di Verona, Comune di Canossa, Club alpino italiano, Club Albinea Ludovico Ariosto, soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e Polo museale dell’Emilia-Romagna”. La giornata rientra fra le iniziative promosse per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Gaetano Chierici. Gaetano Chierici nacque infatti a Reggio Emilia da Nicola e Laura Gallinari il 24 settembre 1819. E sempre a Reggio Emilia morì il 9 gennaio 1886.
Don Gaetano Chierici, scienziato, sacerdote, patriota, insegnante, ma soprattutto il fondatore e il padre della paletnologia italiana
Il Bullettino di Paletnologia italiana di Chierici, Pigorini e Strobel
Ma chi è Gaetano Chierici? Se n’è parlato l’anno scorso in un convegno a Reggio Emilia. Fu sacerdote per scelta e vocazione e, pur subendo negli anni ostracismi e punizioni, non abbandonò mai la Chiesa né la fede. Fu patriota, monarchico, liberale e anti-temporalista. Fu insegnante di vasta cultura, sia nelle discipline umanistiche sia in quelle matematiche. Fu impegnato nel sorgere delle prime istituzioni cattoliche a carattere sociale. Fu animatore dell’associazionismo culturale, come testimoniano gli incarichi ricoperti nella Deputazione di Storia Patria e nel Cai. Fu soprattutto un archeologo, in rapporto con gli ambienti più avanzati di questa disciplina, che partendo da studi classici approdò alla Paletnologia e contribuì a gettare le basi in Italia di questa “novissima scienza”. Don Gaetano Chierici fu tutto questo. Ma soprattutto con Luigi Pigorini e Pellegrino Strobel è stato il fondatore e il padre della paletnologia italiana (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/06/24/a-reggio-emilia-convegno-internazionale-nel-200-della-nascita-del-concittadino-don-gaetano-chierici-scienziato-sacerdote-patriota-insegnante-ma-soprattutto-il-fondatore-e-il-padre-della-pal/).
Veduta panoramica della rocca di Canossa (foto archivio Arteas)
La prof. Paola Galetti dell’università di Bologna
Venerdì 15 febbraio 2019 alle 10 al Teatro Comunale di Ciano d’Enza – Canossa (Re) saranno dunque presentati i risultati della campagna di scavo archeologica condotta a settembre e ottobre 2018 alla Rocca di Canossa (RE) dalle università di Bologna e Verona con il supporto del Club alpino italiano (Comitato Scientifico Centrale, Gruppo regionale Emilia-Romagna e Sezione di Reggio Emilia). A distanza di oltre 140 anni dalla prima campagna di ricerca archeologica avviata a Canossa, il Cai si è dunque nuovamente impegnato per sviluppare una nuova attività di indagine, mettendo a disposizione dei due atenei, con il contributo del Lions Club Albinea e Canossa, le risorse necessarie per aprire un nuovo cantiere di ricerca. Fu infatti grazie all’iniziativa degli alpinisti del Cai che nel lontano 1877 furono avviati gli scavi archeologici che portarono alla riscoperta dell’antico castello di Canossa e, poco dopo, condussero alla fondazione del museo nazionale tuttora esistente. Gli scavi furono diretti da uno dei più eminenti archeologi italiani, che era anche dirigente del Cai: Gaetano Chierici, fondatore delle moderne scienze paleontologiche. La campagna di scavo, supportata logisticamente dal Comune di Canossa, è stata condotta da un’equipe di venti studenti di archeologia (guidati dal prof. Fabio Saggioro, dalla prof.ssa Paola Galetti, dal dott. Nicola Mancassola e dai giovani ricercatori Elisa Lerco, Federico Zoni e Mattia Cantatore), la cui impegnativa attività ha aperto una nuova e inaspettata pagina nella storia millenaria del monumento canossiano. Dopo la ricognizione sistematica del 2017, una serie di sondaggi di scavo ad ampliamento nel settore orientale del sito, che risultava pressoché sconosciuto e mai veramente oggetto di indagini archeologiche sistematiche, ha individuato un tratto di una muratura di cinta e tracce di attività e crolli, inquadrabili tra la fine del XII e il XVI secolo. In altre due aree di indagine, sono stati messi in luce i resti di strutture residenziali conservate in alzato, in alcuni punti, per oltre due metri e totalmente interrate dall’abbandono del sito. Ne sono state individuate quattro al momento, ma è probabile che, sulla base di una serie di elementi riscontrati durante le ricerche, si possa ipotizzare l’esistenza di oltre una decina di edifici, ancora in buono stato di conservazione.
Ricerche archeologiche sostenute dal Cai
Il Comitato scientifico del Club alpino italiano
Il Gruppo Regionale Cai, dopo aver concorso all’ottenimento delle autorizzazioni di legge per il nuovo scavo archeologico, ha sottoscritto un apposito protocollo con gli atenei bolognese e veronese. Obiettivo ambizioso del progetto è quello non soltanto di studiare e portare alla luce un settore sino ad oggi sconosciuto del monumento canossiano, ma di riuscire anche a realizzarvi un importante parco archeologico all’aria aperta nel quale, anche grazie all’ausilio di interventi di archeologia sperimentale, i visitatori potranno avere la rara opportunità di calarsi direttamente nella dimensione di vita del medioevo, all’epoca in cui Canossa divenne il fulcro delle più importanti vicende della storia europea. È un progetto talmente complesso che avrà la durata di 8 anni e che è stato reso possibile avviare anche grazie al contributo finanziario dei Lions Clubs territorialmente competenti. “L’insieme di tutte queste circostanze fa quindi di Canossa un luogo fortemente testimoniale ed altamente identitario dell’impegno scientifico del Cai dai suoi primordi sino ai nostri giorni, da comparare e affiancare per la sua grande valenza agli altri grandi siti identitari nazionali del Cai: dal Monte dei Cappuccini a Torino, al Monviso”.
Le rovine della rocca di Canossa nel 1950 (fototeca Panizzi)
La locandina della giornata di studi “Ancora a Canossa. La ricerca archeologica 2018/2019”
Articolato il programma della giornata di studi del 15 febbraio 2019. Alle 10 si inizia con i saluti degli enti promotori: Comune di Canossa, Cai, Lions club Albinea “Ludovico Ariosto”, Provincia di Reggio Emilia, parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, ufficio Beni culturali e nuova edilizia Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, associazione di volontariato culturale “Matilde di Canossa”, segretariato regionale del Mibac per l’Emilia Romagna. Alle 10:45, i saluti di Cristina Ambrosini, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; e alle 11, quelli del direttore Andrea Quintino Sardo per il Polo museale Emilia-Romagna. Quindi gli interventi. Alle 11:15, Gianluca Bandiera e Claudia Romano (Provveditorato OO.PP. Lombardia ed Emilia Romagna) su “Consolidamento della Rupe del castello di Canossa e delle relative infrastrutture”; 11:30, Annalisa Capurso (soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara) su “Canossa e la sua tutela tra passato, presente e futuro”; 11:45, Paola Galetti e Fabio Saggioro su “Introduzione ai lavori: la ricerca 2018-2019”; 12, Paola Galetti su “La ricerca storica dopo le celebrazioni matildiche”; 12:15, Elisa Lerco, Nicola Mancassola e Fabio Saggioro su “La Ricerca archeologica del 2018: risultati”. Dopo la pausa pranzo, i lavori riprendono alle 14, con Giuliano Cervi su “Il Cai a Canossa”; 14:15, Federico Zoni su “Nuovi dati sull’edilizia rurale dell’area canossana”; 14:30, Mattia F.A. Cantatore su “Gaetano Chierici a Canossa”; 14:45, Danilo Morini su “Canossa e Quattro Castella: un sistema?”; 15, Cristina Ferretti su “L’impegno di Franca Ferretti nella valorizzazione di Canossa”. Infine dalle 15:15 alle 16, Discussione e conclusioni “Prospettive future di ricerca”.
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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