Archivio tag | Neolitico

Vicenza. Al museo Naturalistico Archeologico al via la mini-rassegna “Giovani archeologi raccontano”: due dottorandi presentano i loro progetti di dottorato e illustrano materiali del museo utilizzati per le loro ricerche

vicenza_archeologico_ciclo-giovani-archeologi-raccontano_locandina

Al via al museo Naturalistico Archeologico la mini-rassegna “Giovani archeologi raccontano” promossa da musei civici Vicenza, università di Trento, università di Ferrara, Amici dei Musei Vicenza, Gruppo Archeologico CRT. Infatti grazie alla collaborazione con i musei civici Vicenza, l’università di Trento, l’università di Ferrara e gli Amici dei Musei Vicenza sono state organizzate, a gennaio 2025, due conferenze aperte al pubblico nelle quali due dottorandi presenteranno i loro progetti di dottorato e illustreranno anche come siano stati utili per le loro ricerche i materiali presenti nel museo Naturalistico Archeologico di Vicenza. Si inizia giovedì 9 gennaio 2025, alle 18, con Marika Ciela (dottoranda università di Trento) su “Sotto un’altra lente. Raccontare le comunità neolitiche del Veneto Occidentale attraverso lo studio delle ceramiche”. Quindi martedì 28 gennaio 2025, alle 18, con Marzio Cecchetti (dottorando università di Ferrara) su “In Altopiano sessant’anni dopo. La riscoperta del sito paleolitico di Riparo Battaglia e la frequentazione preistorica dell’Altopiano di Asiago”.

Montecchio di Negrar (Vr). Il prof. Tecchiati presenta i risultati dello scavo archeologico di Colombare di Villa alle “conferenze del giovedì” dell’associazione Piro Ma Cogno. Qualche anticipazione per “archeologiavocidalpassato.com”

montecchio-di-negrar_incontro-scavo-archeologico-a-colombare-di-villa_prof-tecchiati_locandinaA Montecchio di Negrar di Valpolicella (Vr) tornano le “conferenze del giovedì” dell’associazione Piro Ma Cogno alla sala civica di via don Tacchella. Giovedì 7 novembre 2024, alle 21, il professor Umberto Tecchiati, direttore delle ricerche allo scavo archeologico a Colombare di Villa, nell’incontro “Archeologia. Lo scavo archeologico di Colombare di Villa” parlerà dell’avanzamento delle ricerche durante la campagna 2024, conclusasi a fine settembre. L’ingresso è gratuito, fino a esaurimento posti.

Il prof. Tecchiati anticipa ad archeologiavocidalpassato.com i temi dell’incontro: “Presento all’associazione Piro Ma Cogno di Montecchio di Negrar di Valpolicella i risultati degli scavi alle Colombare di Negrar svolti nel settembre di quest’anno. Abbiamo completato lo scavo della casa del Neolitico Tardo datata intorno al 3900 a.C. con la scoperta di nuove fosse che ospitavano pali portanti di questa casa e abbiamo potuto portare in luce per la prima volta dall’inizio delle nostre ricerche anche stratificazioni dell’età del Rame in un sondaggio attiguo”.

Verona. Al museo civico di Storia Naturale conferenza del prof. Umberto Tecchiati (università di Milano) su “La ripresa degli scavi nel sito preistorico delle Colombare di Negrar” promossa dall’associazione Naturalisti veronesi “Francesco Zorzi”

verona_storia-naturale_tecchiati_ripresa-scavi-colombare-di-negrar_locandinaMartedì 9 maggio 2023, alle 17.30, nella sala “Sandro Ruffo” del museo civico di Storia Naturale di Verona, nuovo appuntamento con le conferenze curate dall’associazione Naturalisti veronesi “Francesco Zorzi”. Il professor Umberto Tecchiati dell’università di Milano parlerà della ripresa degli scavi nel sito archeologico a Colombare di Negrar e del progetto che, dal 2018, ha ripreso lo scavo in un sito preistorico indagato per la prima volta più di settant’anni fa proprio da uno degli “antenati” del museo, Francesco Zorzi. L’accesso è libero fino all’esaurimento dei posti.

negrar_villa-spinosa_prima-uva-6300-anni-fa_scavo_5_foto-negrar-valpolicella-news

Ricerche nel sito archeologico di Colombare di Negrar di Valpolicella (foto PrEcLab)

Le Colombare di Negrar sono un sito chiave per comprendere l’evoluzione socio-economica e culturale dell’Italia settentrionale nel periodo compreso tra il Neolitico recente e l’età del Bronzo. Il sito si configura inoltre, anche per la sua strategica collocazione geografica al margine dell’idrovia atesina, come un nodo essenziale delle comunicazioni e del transfer interculturale a vasto raggio con l’area padana e alpina. Lo sfruttamento locale dell’ottima selce vetrosa dei Lessini pone le Colombare al centro di una fitta rete di scambi di materie prime che specialmente nella preistoria recente investivano sia la Pianura Padana che le aree alpine interne al di qua e al di là dello spartiacque alpino. Il progetto, avviato nel tardo 2018, ha ripreso, con criteri scientificamente e metodologicamente aggiornati, lo scavo in un sito preistorico indagato per la prima volta più di settant’anni fa da Francesco Zorzi. Il taglio fortemente paleo-ambientale delle ricerche attualmente in corso vale a precisare il carattere dell’economia di sussistenza del sito attraverso lo studio dei resti botanici e faunistici, e inoltre la durata effettiva della sua occupazione. I campionamenti paleo-ambientali sono finalizzati alla ricostruzione della qualità delle attività antropiche e della loro collocazione nell’ambiente naturale (vedi anche Negrar. Nel sito archeologico di Colombare l’università di Milano ha scoperto la prima uva della Valpolicella: 6300 anni fa questo frutto veniva già consumato. “Ma attenzione: per ora nella terra dell’Amarone non si può parlare di vino del Neolitico. Non ci sono ancora le prove. Dobbiamo continuare le ricerche. Che però costano e richiedono tempo” | archeologiavocidalpassato).

Roma. Al museo delle Civiltà, “CONNESSIONI. Oggetti, saperi, parole, culture e civiltà”: convegno internazionale, in presenza e on line, nel ricordo di Filippo Maria Gambari a due anni dalla sua prematura scomparsa. Tre giorni di contributi dal Paleolitico all’Età Storica: ecco tutto il ricco programma

roma_muciv_Bicchiere-con-iscrizione-in-lingua-celtica-da-Castelletto-Ticino-560-a.C.-circa_foto-muciv

Bicchiere con iscrizione in lingua celtica da Castelletto Ticino (560 a.C.) scelto come logo del convegno internazionale “Connessioni” in ricordo di Filippo Maria Ganbari (foto muciv)

A due anni dalla prematura scomparsa di Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà dal 2017 al 2020, gli viene dedicato il convegno internazionale “CONNESSIONI. Oggetti saperi parole culture e civiltà”, in programma dal 16 al 18 novembre 2022, al museo delle Civiltà a Roma, nella sala conferenze “F.M. Gambari” del Palazzo delle Scienze. L’evento, realizzato in collaborazione con tutti gli istituti che lo hanno visto protagonista nel corso della sua lunga carriera all’interno del ministero della Cultura, ospiterà contributi che spazieranno dal Paleolitico all’età storica, senza tralasciare le politiche dei beni culturali, la valorizzazione del patrimonio e le attività avviate al museo delle Civiltà (vedi Archeologia in lutto. È morto per Covid-19 Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, una lunga carriera di ricerca e dirigenziale, con centinaia di pubblicazioni. Era direttore del Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, a un passo dalla pensione. Il cordoglio del ministro e dei colleghi | archeologiavocidalpassato). È possibile seguire il convegno in diretta su Zoom: https://zoom.us/j/93438081787.

filippo-maria-gambari_foto-muciv

Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà di Roma-Eur, morto il 19 novembre 2020 (foto Muciv)

L’intento è quello di omaggiare lo studioso, il collega, il dirigente sempre pronto all’ascolto e disponibile al consiglio e alla collaborazione. Instancabile nella ricerca e disponibile a trasmettere il proprio sapere e la propria competenza, amava condividere la sua passione e il suo entusiasmo. La sua profonda cultura e il suo desiderio di conoscere lo hanno portato ad affrontare tematiche diverse e apparentemente molto distanti tra loro. Sebbene i suoi interessi e i suoi studi si siano concentrati prevalentemente sulla protostoria italiana, sulla storia della paletnologia, sull’arte rupestre e sulla normativa dei beni culturali e l’organizzazione del ministero, i suoi compiti di dirigente lo hanno condotto a realizzare progetti e iniziative in tutti i campi dell’archeologia, dell’antropologia, dell’etnografia, della storia dell’arte e delle tradizioni popolari. Il suo legame con la realtà sociale e territoriale con la quale di volta in volta interagiva gli ha permesso di connettere quest’ultima con gli spazi e le tematiche proprie dell’archeologia. Il programma completo e il libro degli abstract ò disponibile a questo link https://museocivilta.cultura.gov.it/…/connessioni…/

PROGRAMMA DI MERCOLEDÌ 16 NOVEMBRE 2022. Alle 9, saluti istituzionali: Massimo Osanna, direttore generale dg musei; Andrea Viliani, direttore del museo delle Civiltà. Segue un ricordo di Filippo Maria Gambari: Andrea Cardarelli, Sapienza università di Roma – dipartimento di Scienze dell’Antichità; Monica Miari, presidente dell’istituto italiano di Preistoria e Protostoria; Paolo Boccuccia, museo delle Civiltà. Sezione POLITICA DEI BENI CULTURALI, MUSEOGRAFIA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO. Alle 10, Luigi Malnati, su “Archeologia urbana e archeologia preventiva: un rapporto da ripensare”; 10.15, Alessandro Asta, Annalisa Capurso, Diletta Colombo, Grazia Maria Facchinetti, Pierluigi Giroldini, Stefano Giuliani, Lucia Mordeglia, Italo M. Muntoni, Paola Ventura, su “Quali prospettive per la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici? il punto di vista di Api Mibact”; 10.30, Alessandro D’alessio, Paola Francesca Rossi, su “Tutelare, studiare, diffondere: la policy del parco archeologico di Ostia Antica sulla gestione dei resti umani antichi”; 10.45, Valentino Nizzo, su “Corna e archetipi: del buon uso dell’analogia”; 11, Franco Nicolis,su “Grammatica dell’archeologia. Un approccio all’archeologia del passato contemporaneo”. Dopo il coffee break, alle 11.30, Marco Fabbri, Paolo Boccuccia, David Chacon, Alessia Francescangeli, Giovanni Ligabue, Roberto Marcuccio, Massimo Mecella, Maura Medri, Alessandra Molinari, Massimo Morvillo, Marcella Pisani, su “Il Progetto SCIBA. Sistema cartografico informatizzato di bibliografia archeologica”; 11.45, Silvia Giorcelli, su “Filippo Maria Gambari e i colloques internationaux sur les Alpes dans l’antiquit: un’esperienza scientifica e umana; 12, discussione. Sezione PALEOLITICO. Alle 12.15 Francesca Alhaique, Alessia Argento, Francesco Bucci Casari degli Atti di Sassoferrato, Isabella Caricola, Ivana Fiore, Biagio Giaccio, Cristina Lemorini, Ilaria Mazzini, Stefano Mercurio, Lorenzo Monaco, Maria Rita Palombo, Daniela Rossi, Ernesto Santucci, Enza Spinapolice, Andrea Sposato, su “Dall’archeologia preventiva alla valorizzazione… con il contributo delle indagini scientifiche. Dati preliminari sul sito del MIS 11c (415-406 Ka) di via del Casale Lombroso (Località Massimina, Roma)”; 12.30, Fabio Negrino, Roberto Maggi, Ivano Rellini, Nadia Campana, su “Tra val Graveglia e val di Vara: il sito musteriano di monte Coppello (Ne, Genova). Sezione NEOLITICO. Alle 12.45 Annaluisa Pedrotti et alii, su “Gruppo di statuette Vinča di probabile provenienza illecita. Strategie e tecniche di diagnostica per stabilire l’autenticità”; 13, Francesca Radina, su “Ornamenti neolitici da grotta della Tartaruga di Lama Giotta nel museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari; 13.15, discussione. Dopo la pausa pranzo, sezione ENEOLITICO. Alle 14.45, Philippe Curdy, Manuel Mottet, su “Il megalitismo nell’arco alpino: nuovi dati sulle pratiche rituali e funerarie”; 15, Daniele Albertini, Paolo Boccuccia, Francesco Di Gennaro, Nadia Marconi, su “Connessioni tra generazioni di ricercatori: preistoria nelle valli del Salto e del Velino”; 15.15, Marco Serradimigni, Marta Colombo, Neva Chiarenza, su “Un sito archeologico fra le statue stele: nuovi dati dalla Tana della Volpe (Fivizzano, Loc. Equi Terme – Ms) nel quadro dell’età del Rame in Lunigiana e nelle aree limitrofe”. Sezione ENEOLITICO / ETÀ DEL BRONZO. Alle 15.30, Andrea Arcà, Damien Daudry, Angelo Eugenio Fossati, su “Da Barocelli a Gambari, lo studio dell’arte rupestre nelle Alpi Occidentali”; 15.45 Nadia Campana, Chiara Dodero, Cristiano Nicosia, Andrea Vigo, Roberto Maggi, su “Nuovi dati sull’occupazione di età campaniforme della Pianaccia di Suvero”. Dopo il coffee break, alle 16.15, Umberto Tecchiati, Paola Salzani, Cristiano Putzolu, su “Nuove ricerche sul paesaggio archeologico dei Monti Lessini occidentali tra l’orizzonte campaniforme e il Bronzo finale”; 16.30, Andrea Dolfini, Cristiano Iaia, Isabella Caricola, Stefano Viola, su “Gli oggetti raccontano: 10 anni di analisi funzionale sui metalli preistorici italiani”; 16.45, discussione. Sezione ETÀ DEL BRONZO. Alle 17, Marco Baioni, Annalisa Gasparetto, Barbara Grassi, Fiorenza Gulino, Cristina Longhi, Nicola Macchioni, Claudia Mangani, Nicoletta Martinelli, Nicola Patucelli, Andrea Perin, Ilaria Petrucci, Benedetto Pizzo, Maurizio Reverberi, Emanuele Saletta, su “Una porta in legno dal Lucone di Polpenazze dalla scoperta alla valorizzazione”; 17.15, Costanza Paniccia, su “Nuove riflessioni sull’insediamento di Trino Vercellese (VC) nel quadro della media età del bronzo in Italia nordoccidentale”; 17.30, Giorgio Baratti, su “Aspetti del popolamento protostorico tra Sesia e Ticino alla luce delle recenti ricerche”; 17.45, Maria Bernabò Brea, Maria Maffi, su “Il sito della media età del Bronzo della Piscina di Travo (Piacenza)”; 18, discussione.

PROGRAMMA DI GIOVEDÌ 17 NOVEMBRE 2022. Alle 9.30, Andrea Cardarelli, su “Alla conquista del cielo. Deposizioni votive su sommità montane nell’Appennino centro-settentrionale durante la tarda età del Bronzo”; 9.45, Michele Cupitò, su “Il central place di Fondo Paviani dopo la crisi delle terramare. Prime riflessioni sul ruolo della (ex) polity delle Valli Grandi Veronesi nel quadro del “sistema Frattesina”; 10, Paola Aurino, su “Il Bronzo medio in Campania: nuove realtà funerarie e insediative dalle recenti indagini preventive”; 10.15, Paolo Bellintani, Mateusz Cwaliński, Ivana Angelini, su “Ambre e vetri dalla necropoli di Allumiere – loc. Poggio della Pozza (scavi Peroni 1960). Nuove indagini tipologiche e di caratterizzazione delle materie prime”; 10.30, Anna De Palmas, Marta Pais, Luca Doro, Noemi Fadda, su “Impronte dal passato: intrecci e cesteria nell’età del bronzo della Sardegna”; 10.45, Alberto Cazzella, Giulia Recchia, su “Apporti esterni e sviluppi locali nel consumo di bevande/cibi alcoliche fra IV e II millennio a.C. nell’Italia a sud del Po e nelle isole adiacenti”; 11, Massimo Cultraro, su “L’idromele di Agamennone: per un’archeologia delle bevande/cibi fermentate nella Grecia micenea”. Dopo il coffee break, alle 11.30, Franco Marzatico, “Pastori, formaggio e metallo: economia di malga e produzione metallurgica”; 11.45, Antonella Traverso, Elena Balduzzi, Paola Chella, Chiara Davite, Alberto Manfredi, Fabiola Sivori, su “Nuovi dati per una rilettura del cosiddetto cocciopesto: Chiavari (GE) e Vado (SV)”; 12, Barbara Grassi, Claudia Mangani, Diego Voltolini, su “Oltre i funerali: altre forme di ritualità nella necropoli protogolasecchiana della Malpensa (VA)”; 12.15, discussione. Sezione ETÀ DEL FERRO. Alle 12.30, Mauro Squarzanti, Fabio Gernetti, su “Lo stato dell’arte del centro proto urbano di Castelletto Ticino durante la prima età del Ferro”; 12.45, Silvia Paltineri, su “Il boccale dipinto dalla seconda tomba di guerriero di Sesto Calende: note su alcuni esperimenti di decorazione vascolare figurata da contesti della prima età del Ferro in Italia settentrionale”; 13, Francesco Rubat Borel, su “La venuta del re: una rilettura storica ed antropologica sulla leggenda di Belloveso, l’arrivo dei Galli in Italia e la fondazione di Mediolanum”. Dopo la pausa pranzo, alle 14.30, Lucia Isabella Mordeglia, su “Le sepolture golasecchiane di Motto Lagoni a Mercurago (Arona, NO). Nuovi dati dalla revisione dei contesti”; 14.45, Anna Maria Fedeli, Francesca Roncoroni, su “Le fasi preromane dell’area dell’anfiteatro di Milano”; 15, Diego Voltolini, su “Segmento di comunità: la situla di Caravaggio”; 15.15, Michela Ruffa, su “La ceramica d’impasto a Gropello Cairoli, loc. S. Spirito in Lomellina. Dati preliminari dall’abitato della prima età del Ferro”; 15.30, Marica Venturino, Marina Giaretti, su “Contributo alla definizione della tipologia vascolare della media età del Ferro nella Liguria interna”; 15.45, Maria Cristina Chiaromonte Trerè, su “Percorsi e ricerche”; 16, Piera Melli, Marta Bruschini, Elisabetta Starnini, Sara Chierici, Daniele Arobba, su “Oggetti identitari? Le borchie/bottone in bronzo: tipologia, cronologia, distribuzione, contesti, analisi di laboratorio”. Dopo il coffee break, alle 16.30, Mauro Cortelazzo, su “Armille in pietra ollare dell’età del ferro in Valle d’Aosta”; 16.45, Gwenael Bertocco, Alessandra Armirotti, su “I Salassi nella Valle d’Aosta della seconda età del Ferro: il territorio, le risorse e la cultura materiale”; 17, Patrizia Solinas, su “Sulle iscrizioni leponzie della necropoli di Oleggio”; 17.15, Carla Buoite, Daniela Locatelli, su “Tra Liguri ed Etruschi: il villaggio di via Saragat a Parma”; 17.30, Roberto Macellari, su “Archeologia del Vino attraverso alcuni corredi femminili dalle frontiere dell’Etruria padana”; 17.45, discussione.

PROGRAMMA DI VENERDÌ 18 NOVEMBRE 2022. Alle 09.30, Fabrizio Finotelli, Miari Monica, Paola Poli, su “La II età del Ferro a ovest di Bologna: recenti acquisizioni tra Reno e Samoggia”;09.45, Patrizia Von Eles, Lorenza Ghini, Laura Mazzini, Marco Pacciarelli, su “La prima occupazione rurale dell’agro felsineo orientale: il caso dell’Imolese”; 10, Federica Gonzato, Annalisa Pozzi, su “Romagna protostorica: lo studio del popolamento dell’età del Ferro”; 10.15, Giulia Patrizi, Paola Poli, Elena Rodriguez, su “I fusi e le conocchie di Verucchio. Oggetti del sapere femminile e indicatori di legami collettivi nella prima età del Ferro”; 10.30, Irene Baroni, Paolo Boccuccia, Anna De Santis, Gianfranco Mieli, su “L’organizzazione delle comunità della prima età del Ferro nell’area centrale di Roma attraverso l’analisi delle tombe infantili”; 10.45, Massimo Casagrande, Patrizia Luciana Tomassetti, Pina Corraine, Stefania Casula, Gianluca Zini, su “Pozzo Sacro di Irru a Nulvi (Sardegna), dalla tutela alla valorizzazione”; 11, discussione. Dopo il coffee break, sezione ETÀ STORICHE. Alle 11.30, Paola Di Maio, su “Oltre la morte. Una coppia di sposi a banchetto: l’influenza dell’iconografia etrusca su terrecotte fittili piemontesi e locarnesi”; 11.45, Alessandro Betori, “Il rilievo storico romano in ambito alpino tra ricezione e attardamento: Susa, Avigliana, Bormio”; 12, Francesco Muscolino, su “Un anello argenteo da Ricengo a altri ritrovamenti da indagini archeologiche nel Cremasco”; 12.15, Elisa Panero, su “Lungo l’asta del fiume Sesia: insediamenti romani dal II secolo a.C. nel Vercellese antico”; 12.30, Daniela Gandolfi, Giovanni Mennella, su “Bormanus/Diana o Bormanus e Diana in un pagus della Liguria occidentale?”; 12.45, Marco Podini, su “Ville e divinità della provincia reggiana”; 13, François Wiblé, su “Culture de la vigne et production de vin en Valais (Vallis Poennina, CH): état de la question suite à des trouvailles archéologiques et des analyses récentes ainsi qu’à la redécouverte d’une inscription de Croatie”. Dopo la pausa pranzo, alle 14.30, Cristina Anghinetti, Manuela Catarsi, Patrizia Raggio, su “Le antiche radici della vocazione viti-vinicola della valle parmense del Taro”; 14.45, Viola Cecconi, Jan Gadeyne, Cécile Brouillard, Alessandra Sperduti, su “I neonati di Artena, “Piano della Civita” (RM). Bioarcheologia di un nucleo di sepolture tardo-antiche”; 15, Grazia Facchinetti, Daniela Castagna, Omar Larentis, su “La necropoli infantile della villa romana di San Giorgio di Mantova, loc. Valdaro”; 15.15, Francesca Garanzini, Angela Guglielmetti, su “Borgosesia (VC): dal vicus romano all’insediamento altomedievale. Nuovi dati dallo “scavo” nei depositi del Museo di Archeologia e Paleontologia Carlo Conti”; 15.30, Marta Conventi, Fabrizio Geltrudini, Augusto Pampaloni, Mario Testa, Alessandra Starna, Elisabetta Neri, Elisa Del Galdo, Daniele Arobba, Costanza Cucini, Mariapia Riccardi, su “Deinde fac foueam… in qua ardeat ignis sub forma. Impianti produttivi per campane presso la chiesa di San Clemente ad Albenga”; 15.45, discussione. Dopo il coffee break, sezione ATTRAVERSO IL MONDO E IL TEMPO. Alle 16.15, Valeria Bellomia, Ivana Fiore, Donatella Saviola, su “Piume preziose fra trama e ordito. Riscoperta di un tessuto messicano coloniale nei depositi del Museo delle Civiltà”; 16.30, Davide Domenici, David Buti, Costanza Miliani, su “Nuovi studi sui mosaici mesoamericani del Museo delle Civiltà”; 16.45, Laura Giuliano, su “Cercando la luce celata nella roccia. Il progetto indo-italiano di ricognizione nelle grotte brahmaniche dell’India occidentale”; 17, Giuliana Calcani, Maria Luisa Giorgi, Loretta Paderni, su “L’antitesi originale/copia – autentico/falso nella valutazione di beni culturali extraeuropei”; 17.15, Gaia Delpino, Rosa Anna Di Lella, Claudio Mancuso, “L’ex Museo Coloniale di Roma al Museo delle Civiltà”; 17.30, discussione.

Fermo. Le ricerche dell’università Federico II di Napoli e della soprintendenza hanno individuato un abitato dell’Età del Bronzo sul colle Girfalco

fermo_colle-girfalco_scavi-archeologici_scoperte-età-del-bronzo_tracce-abitato_foto-unina

Tracce dell’abitato dell’Età del Bronzo scoperto sul colle Girfalco di Fermo (foto unina)

Nuove scoperte a Fermo: un abitato dell’Età del Bronzo. Dal 18 al 31 luglio 2022 si è svolta una campagna di scavo archeologico sul fianco orientale del colle Girfalco a Fermo, nei pressi dell’abside della cattedrale di S. Maria Assunta. Lo scavo è stato condotto in regime di concessione ministeriale dal dipartimento di Studi umanistici dell’università di Napoli “Federico II” – Monte Sant’Angelo, diretto da Marco Pacciarelli, in stretta collaborazione con la soprintendenza per le provincie di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata (funzionario responsabile Federica Grilli).

fermo_colle-girfalco_scavi-archeologici_scoperte-età-del-bronzo_ceramica-incisa_foto-unina

Frammento ceramico con la decorazione incisa o intagliata tipica della c.d. cultura appenninica (foto unina)

Le ricerche hanno permesso di mettere in luce e indagare una sezione stratigrafica in posto nella quale sono stati riconosciuti diversi strati, in prevalenza riferibili a un abitato della fase 3 della media Età del Bronzo (XIV secolo a.C.), e in parte forse al Neolitico (VI-inizi IV millennio a.C.). Gli strati hanno restituito molti frammenti ceramici, alcuni dei quali recanti la decorazione incisa o intagliata tipica della c.d. cultura appenninica, oltre a manufatti in selce e ossidiana, a resti di ossa animali, a carboncini, a semi, il cui studio permetterà, insieme all’analisi dei campioni pollinici e dei residui del contenuto organico dei vasi, di ottenere un’articolata ricostruzione dell’ambiente e delle attività economiche.

fermo_colle-girfalco_scavi-archeologici_scoperte-età-del-bronzo_fasi-ricerche_foto-unina

Lo scavo archeologico sul colle Girfalco di Fermo (foto unina)

Le indagini hanno consentito di accertare la presenza di un abitato stabile dell’Età del Bronzo (e forse del Neolitico) sul colle del Girfalco – sito strategico di eccezionale rilevanza dal quale è possibile controllare un territorio molto vasto – che finora era stata solo ipotizzata in base al rinvenimento, avvenuto in passato, di frammenti ceramici in giacitura secondaria.

Fiavè (Tn). Il museo delle Palafitte festeggia i primi 10 anni con un evento speciale: un pomeriggio di festa con ingresso e visite guidate gratuite, l’inaugurazione della mostra “Sulle palafitte: una storia che continua”

fiave_museo-palafitte_compleanno_locandina

Il museo delle Palafitte di Fiavè (Tn) compie dieci anni: la locandina dell’evento

Domenica 10 aprile 2022 il museo delle Palafitte di Fiavé, in Trentino, festeggia alle 14.30 i primi 10 anni con un evento speciale. Un pomeriggio di festa con ingresso e visite guidate gratuite, l’inaugurazione della mostra “Sulle palafitte: una storia che continua” con fotografie di Anna Brenna e l’intervento del coro Cima Tosa. Nell’occasione il polo museale palafitticolo di Fiavé sarà intitolato a Renato Perini, cittadino onorario e scopritore delle palafitte fiavetane.

fiave_museo-palafitte_allestimento_foto-sabap-tn

La ricostruzione del villaggio palafitticolo di Fiavè nel museo delle Palafitte di Fiavè (foto soprintendenza trento)

Il museo delle Palafitte racconta le vicende dei diversi abitati palafitticoli succedutisi lungo le sponde del lago Carera, bacino di origine glaciale, tra tardo Neolitico ed età del Bronzo. Gli scavi hanno portato alla luce resti di capanne costruite sulla sponda lacustre (3800 – 3600 a.C.), ma anche secondo il classico modello della palafitta in elevato sull’acqua (1800 – 1500 a.C. circa). Un’evoluzione di questa tipologia sono le capanne su pali ancorati ad una complessa struttura a reticolo adagiata lungo la sponda e sul fondo del lago (1500 – 1300 a.C.). Negli ultimi secoli del II millennio a.C. l’abitato si sposta sul vicino Dos Gustinaci, dove sono state rinvenute abitazioni con fondazioni in pietra. L’eccezionale stato di conservazione non solo dei pali, ma anche di molti altri materiali organici, rende queste palafitte particolarmente affascinanti, consentendo di penetrare in aspetti della vita delle comunità preistoriche generalmente sconosciuti alla ricerca archeologica.

fiave_museo-palafitte_allestimento_1_foto-sabap-tn

Al museo delle Palafitte di Fiavè (Tn) esposti gli straordinari oggetti, rinvenuti dagli archeologi nel corso delle ricerche (foto soprintendenza trento)

Il museo espone una selezione degli straordinari oggetti, rinvenuti dagli archeologi nel corso delle ricerche, che suscitano stupore per la loro modernità. Sono migliaia i materiali caduti in acqua, accidentalmente o gettati al tempo delle palafitte, preziose testimonianze di notevoli conoscenze tecniche e costruttive e di abilità artigiana. Si tratta di vasi in ceramica, ma anche di monili in bronzo e – rarissimi all’epoca – in ambra baltica e in oro. Una collezione unica in Europa è quella costituita dai circa trecento esemplari di oggetti in legno: stoviglie e utensili da cucina, fra i quali tazze, mestoli, vassoi, strumenti da lavoro come secchi, mazze, falcetti, trapani, manici per ascia, oltre ad un arco e alcune frecce. Le particolari condizioni ambientali dei depositi lacustri hanno restituito persino derrate alimentari come spighe di grano, corniole, nocciole, mele, pere.

fiave_museo-palafitte_mostra-anna-brenna_locandina

Locandina della mostra fotografa “Sulle palafitte: una storia che continua” di Anna Brenna al museo delle Palafitte a Fiavè

fiave_museo-palafitte_esterno_foto-sabap-tn

Il museo delle Palafitte di Fiavè (foto soprintendenza trento)

La mostra “Sulle palafitte: una storia che continua”. Saranno esposte le immagini realizzate dalla fotografa lombarda Anna Brenna sul lago Inle, nella parte centrale della penisola del Myanmar (ex Birmania). Il lago ospita sulle sue rive circa 70mila abitanti per i quali l’acqua costituisce un elemento essenziale che contraddistingue ogni aspetto della vita quotidiana: si vive in palafitte di legno, si coltivano ortaggi e fiori in orti galleggianti, ci si sposta in barca nei canali formati dal lago, con l’acqua del lago ci si lava e si fa il bucato, sull’acqua del lago vengono organizzati mercati e il lago è popolato da pescatori. Le palafitte sono costruite in legno e lo stesso materiale è utilizzato anche come rivestimento per gli interni decorati con tappeti, stuoie e tessuti. Una realtà contemporanea che agli occhi dell’autrice richiama la vita nei villaggi palafitticoli che costellavano il territorio subalpino 4000 anni fa.

Negrar. Nel sito archeologico di Colombare l’università di Milano ha scoperto la prima uva della Valpolicella: 6300 anni fa questo frutto veniva già consumato. “Ma attenzione: per ora nella terra dell’Amarone non si può parlare di vino del Neolitico. Non ci sono ancora le prove. Dobbiamo continuare le ricerche. Che però costano e richiedono tempo”

L’annuncio in locandina era dei più accattivanti per la Valpolicella, terra in provincia di Verona da sempre vocata alla vitivinicoltura: “6300 anni fa la prima uva della Valpolicella. Presentazione degli scavi dell’università di Milano alle Colombare di Negrar di Valpolicella”. E le aspettative sono state rispettate dagli intervenuti all’incontro in Azienda Agricola Villa Spinosa a Negrar di Valpolicella (Vr): Roberto Grison, sindaco di Negrar di Valpolicella; Vincenzo Tinè, soprintendente Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza; Brunella Bruno, responsabile tutela archeologica Verona città e parte comuni della provincia; Paola Salzani, co-direttrice scientifica di progetto; Umberto Tecchiati, direttore scientifico dello scavo e docente di Preistoria ed Ecologia preistorica dell’università di Milano; Cristiano Putzolu del Laboratorio di Preistoria Protostoria ed Ecologia Preistorica del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’università di Milano (PrEcLab).

Ricerche nel sito archeologico di Colombare di Negrar di Valpolicella (foto PrEcLab)

“A quasi 70 anni dalle prime indagini a cura del museo di Storia Naturale di Verona”, spiegano al PrEcLab di Milano, “è stato compiuto un notevole salto in avanti nella conoscenza del sito di Colombare di Negrar e del suo paleoambiente. Grazie alle collaborazioni con le università di Mannhein e di Bologna per le datazioni al radiocarbonio e soprattutto con l’ateneo di Modena e Reggio Emilia per le analisi archeobotaniche, è stato possibile non solo estendere l’arco di vita del villaggio a quasi 3000 anni di frequentazione, ma anche scoprire la più antica attestazione della vite in Valpolicella, i cui frutti erano conosciuti già 6300 anni fa. Le analisi del paleoambiente, perno delle ricerche dell’équipe milanese, collocano insomma il sito archeologico di Colombare di Negrar nel cuore di un comprensorio ricco di potenzialità naturali, confermando la vocazione produttiva di quest’area del Veneto. Un elemento di continuità straordinario tra passato e presente, che potrà essere confermato solo dalle analisi dei nuovi campioni raccolti durante la campagna di scavo 2021, giunta al termine”.

Ricerche nel sito archeologico di Colombare di Negrar di Valpolicella (foto PrEcLab)

Ma attenzione a non fare confusione o non azzardare conclusioni al momento premature. “Parliamo di uva, non di vino”, ribadiscono gli esperti del PrEcLab di Milano. “Siamo consapevoli del fascino suscitato dalla notizia. Eppure, per correttezza nei confronti del territorio, non ci pare giusto fare credere ciò che non è ancora stato dimostrato. 6300 anni fa si produceva il vino in Valpolicella? Al momento, dobbiamo dire che non lo sappiamo. Però sappiamo che si mangiava l’uva. La più antica uva della Valpolicella. È una notizia meravigliosa! Prima o poi, ci piacerebbe dirvi che qui si faceva anche il primo vino del territorio. Ma non è il momento. Questi dati non li abbiamo. Non ancora. Servono più ricerche, più analisi. Più fondi. Forse, più voglia del territorio stesso di riscoprirsi. Noi crediamo fortissimamente in questa ricerca. Crediamo possa fare bene a tutti: istituzioni, imprese locali, abitanti. Ma solo se vi raccontiamo davvero le cose come stanno e ci diamo la possibilità di riscoprire il passato insieme, un passo alla volta. Per questo, per noi, mettere i puntini sulle i è così importante”.

Ricerche nel sito archeologico di Colombare di Negrar di Valpolicella (foto PrEcLab)

Storia e sviluppo delle ricerche a Colombare di Negrar. “Partiamo da una premessa”, spiegano gli esperti del PrEcLab: “Le nostre ricerche stanno dando ottimi frutti. Le analisi di laboratorio hanno rivelato la presenza di pollini di vite negli strati archeologici. Questo ci ha fatto ipotizzare che la pianta della vite, probabilmente ancora selvatica, fosse comunque accudita già nel Neolitico e sfruttata per i suoi frutti. Da quel che sappiamo finora possiamo ipotizzare che alle Colombare, nel Neolitico, si mangiasse l’uva. Non sappiamo altro”.

Ricerche nel sito archeologico di Colombare di Negrar di Valpolicella (foto PrEcLab)

“È impossibile che a Negrar 6300 anni fa ci fosse il vino? No”, assicurano al PrEcLab, giusto per non spegnere i legittimi entusiasmi dimostrati dal territorio. “Ma per poterlo affermare servono altri elementi. Per esempio, avere tracce di vino nei contenitori di ceramica. Ciò non significa che siamo alla ricerca spasmodica di tracce di vino nei contenitori. Dipenderà molto dalla qualità dei reperti trovati e dalla possibilità di raccogliere campioni. Insomma – concludono -, per ora niente vino. Siamo certi solo del consumo dell’uva 6300 anni fa. In quello che oggi è uno dei principali distretti del vino in Italia. Cosa significa? In pratica, che siamo di fronte a una bellissima notizia, ma che per parlare esplicitamente di vino Neolitico a Negrar… dobbiamo continuare le ricerche. Che però costano e richiedono tempo”.

Rovereto preistorica: la Fondazione Museo Civico Rovereto propone “Paolo Orsi e l’inizio dell’archeologia lagarina” per scoprire la Busa dell’Adamo, piccola grotta scoperta e scavata da Paolo Orsi, abitata fra la fine del Mesolitico e l’inizio del Neolitico (VI millennio a.C.)

L’archeologo roveretano Paolo Orsi (foto Fmcr)

Tornano le uscite alla scoperta della Rovereto preistorica, per conoscere storia e storie di Rovereto insieme agli archeologi della Fondazione Museo Civico di Rovereto. Sabato 5 settembre 2020, alle 10, con “Paolo Orsi e l’inizio dell’archeologia lagarina” per scoprire la Busa dell’Adamo. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con il Comune di Rovereto ed è gratuita, ma con posti limitati per rispettare le normative legate all’emergenza Covid-19. Prenotazione consigliata. Punto di ritrovo al parcheggio in via Al Bersaglio a Lizzana di Rovereto. Gli archeologi del museo civico di Rovereto accompagnano i visitatori al sito, per riscoprire le origini dell’archeologia lagarina e il ruolo fondamentale di Orsi. In caso di pioggia l’iniziativa è annullata.

La grotta Busa dell’Adamo (Rovereto) scoperta e scavata da Paolo Orsi, frequentata tra Mesolitico e Neolitico (foto Fmcr)

Il sito archeologico “Busa dell’Adamo” è situato ai Lavini di Marco. Si tratta di una piccola grotta frequentata fra la fine del Mesolitico e l’inizio del Neolitico (VI millennio a.C.). Scoperta e scavata dall’archeologo roveretano Paolo Orsi nel 1882, ha restituito numerose schegge e strumenti in selce, alcuni strumenti in osso, alcuni frammenti ceramici e vari resti faunistici riferibili a maiale, capra, bue e cervo. Purtroppo la maggior parte di questo materiale è andata dispersa a causa degli stravolgimenti causati dalle due guerre mondiali. La “Busa dell’Adamo” è, in ogni caso, un sito archeologico di notevole rilevanza perché copre un arco cronologico molto importante: quello del passaggio da una società predatrice ad una società produttrice, ossia da bande semi-nomadi di cacciatori-raccoglitori a gruppi insediativi stabili ad economia agro-pastorale.

Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 2^ parte, dal Neolitico al Ferro

Le vetrine con testimonianze del Neolitico nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” (foto Graziano Tavan)

Locandina della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”

Dalla fine del Paleolitico in poi le raffigurazioni femminili iniziano a essere presenti su larga scala. Continua così il nostro viaggio alla scoperta del ruolo della donna seguendo la seconda parte della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. Attraverso i millenni si può leggere una loro continuità icnografica, pur declinata in lente evoluzioni stilistiche. Il passaggio da un’economia di pura sussistenza, come quella paleolitica, a un’economia più strutturata e tecnologicamente progredita, contrassegna la più straordinaria avventura dell’uomo moderno: la grande rivoluzione neolitica. Avvenuta tra i 12mila e i 10mila anni fa, vede articolarsi la società secondo schemi e ruoli del tutto nuovi.

Il betilo proveniente da Sa Mandara Samassi nel Medio Campitano (foto Graziano Tavan)

I betili. “Durante il VI millennio a.C.”, scrive Carlo Lugliè dell’università di Cagliari, “la Sardegna è interessata da un fenomeno di grande portata storica. L’isola entra infatti nel processo migratorio verso l’Occidente di gruppi di coloni neolitici, comunità portatrici della tecnologia di domesticazione di vegetali e animali utili per la sussistenza. In questa fase l’isola viene esplorata interamente e, in rapido progresso di tempo, occupata in ogni distretto geografico, come rivelato dalla densità del tessuto residenziale. L’introduzione delle specie domesticate prima ignote nell’isola (es., cereali quali il frumento, l’orzo; animali come la pecora, il maiale e il bue) è solo uno degli aspetti tra i più macroscopici di una profonda variazione degli assetti insediativi-organizzativi ma anche ideologici della società, che si riflette in produzioni materiali innovative quali quella dei contenitori vascolari in ceramica”. In tutto il bacino del Mediterraneo il Neolitico medio (VI millennio a.C.) è caratterizzato da statue di piccole e piccolissime dimensioni. Raramente ci vengono restituite sculture di dimensioni maggiori: una delle più importanti è un betilo rinvenuto in Sardegna, figura antropomorfa in granito databile al Neolitico medio (II metà del V millennio a.C.) proveniente da Sa Mandara Samassi (Medio Campitano). Interessante, sopra la linea di cintura, la particolare lavorazione a “Z”, che denota la presenza di una veste ornata.

La statuetta femminile del Neolitico medio proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius a Cabras (Or) (foto Graziano Tavan)

Le statuette femminili del Neolitico medio sono emerse da diversi contesti abitativi, funerari, cultuali. Numerose le “statuette steatopigiche”, ovvero caratterizzate dai glutei abbondanti. Alcune appaiono particolarmente raffinate, tutte sono caratterizzate da una significativa attenzione alla postura: in piedi, sedute, con le braccia lungo i fianchi o piegate sul grembo o flesse, con le mani che sorreggono i seni. Sono segni evocativi di fertilità e regalità. Come la figura antropomorfa con mani sul petto in calcare proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (Cabras, Or). Il corpo è sagomato in due blocchi sferoidi sovrapposti e una linea sottile, visibile nel dorso, ne accentua la divisione. Il petto è staccato dal triangolo pubico dal quale si dipartono gli arti inferiori voluminosi. L’elevato livello di finitura delle superfici, incise e ben lisciate, si caratterizza nella resa naturalistica delle mani frangiate e portate al petto.

Bronzetti nuragici al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)

La donna nuragica. “Per quanto riguarda l’età del Bronzo e la prima età del Ferro, che coincidono con la gran parte della civiltà nuragica (XVII-VII sec. a.C.)”, scrive Anna Depalmas dell’università di Sassari, “la documentazione archeologica della componente femminile della società è esigua. L’assenza di rappresentazioni figurative umane caratterizza le espressioni artistiche delle comunità insediate nei nuraghi e nei piccoli gruppi di case circostanti durante il Bronzo medio e recente. Il profondo mutamento che investe la società nuragica dell’età del Bronzo finale si dovette riflettere anche nelle forme espressive con l’avvio di un processo che rivolse una crescente attenzione alla figura umana, che giunse a compimento nella fase successiva. Benché non siano note le tappe intermedie di questo percorso, sappiamo che all’inizio del IX sec. a.C. sono già diffuse le statuine di bronzo che rappresentano il più importante documento per la ricostruzione della società sarda della prima età del Ferro. Tra i soggetti rappresentati la figura femminile riappare, dopo più di un millennio di assenza, mostrandoci un’identità complessa costruitasi nel lungo processo che, lungi dall’estrema idealizzazione delle dee madri eneolitiche, ha portato alla raffigurazioni le donne reali, compiutamente inserite nelle società sarda della prima età del Ferro”.

La cosiddetta Madre con Infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria di Serri (Ca) (foto Graziano Tavan)

La cosiddetta Madre dell’Ucciso dalla grotta di Sa Domu e S’Orku a Urzulei (Nu) (foto Graziano Tavan)

Con le età del Bronzo e del Ferro, la bronzistica nuragica si esprime anche in repertori di donne calate in ruoli terreni, verosimilmente complementari a una figura maschile egemone e divinizzata. I soggetti sono spesso domestici: mogli, sorelle, madri, talvolta sorprese nel dolore del lutto. Fortemente evocativa la Madre dell’ucciso, statuetta bronzea dalla grotta di Sa Domu e S’Orku (Urzulei, Nu) che rappresenta l’incontro con il dolore di una Donna e Madre dell’età nuragica. O la Donna con infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria (Serri, Ca). “La rappresentazione di queste madri sedute su uno sgabello circolare a cinque piedi costituisce un’iconografia di particolare rilievo”, continua Depalmas, “che potrebbe rimandare alla commemorazione di un mito o di un racconto celebrativo nell’ambito del patrimonio narrativo delle comunità nuragiche. E proprio la ricorrente associazione della figura femminile con lo sgabello, evocato nelle riproduzioni in pietra delle capanne delle riunioni, rafforza l’ipotesi che le donne sarde della prima età del Ferro potessero rivestire ruoli sociali di rilievo”.

La riproposizione di un corredo tombale dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (foto Graziano Tavan)

Sono le sepolture a restituire il maggior numero possibile di rappresentazioni femminili. I defunti accompagnati da queste statuine dei quali è stato possibile stabilire il genere erano tutti individui maschi. La presenza di queste sculture sembra affermare il loro status e, potenzialmente, la loro condizione di appartenenza a una specifica ascendenza ancestrale, forse mitizzata. Alla fine del Neolitico in Sardegna si affermano e tombe collettive, luoghi dove vengono progressivamente disposti i diversi membri delle comunità di appartenenza. Nelle fasi preistoriche e protostoriche sembra non ci fossero differenze di genere nei rituali di inumazione. Nell’età del Ferro riappaiono le sepolture individuali, come le tombe a pozzetto della necropoli di Monte e’Prama (Cabras, Or). Qui, fra gli individui finora ritrovati, è presente una sola femmina. Tutti gli altri sono maschi giovani e robusti, a indicare che la necropoli era riservata a una categoria specifica. Vecchi, bambini e donne venivano sepolti altrove, in tombe non ancora individuate.

Il caratteristico vaso a cestello del IV millennio a.C. dal villaggio di Puisteris di Mogoro (Or) (foto Graziano Tavan)

Nel Neolitico anche le attività di competenza femminile si articolano in diverse specializzazioni. Per esempio, alla cura della prole si affianca la produzione di contenitori ceramici, funzionali alla preparazione e alla conservazione dei cibi. L’attributo di madre e nutrice si estende così, dopo il tempo della gestazione e dell’allattamento, oltre il proprio corpo. E con nuova efficacia: la disponibilità di cibi bolliti, più facili da digerire, contribuirà notevolmente a incrementare le prospettive si sopravvivenza del bambino e la loro salute. La diffusione della cerealicoltura, introdotta anche in Sardegna a partire dal VI millennio a.C., è documentata dalle sottili analisi palinologiche e paleobotaniche su resti di semi e piante rinvenuti presso i diversi contesti abitativi. Ma sono testimoniate soprattutto dalle numerose macine e macinelli in pietra, utilizzati per la trasformazione del cereale in farina. Dal Neolitico in poi costituiranno una presenza costante nel focolare domestico. Alcune figure femminili in ginocchio sembrano compiere proprio il gesto del macinare. Ai ritratti familiari e alle donne con la cesta sul capo, intente al lavoro, si affiancano rappresentazioni di donne offerenti. Ampi mantelli, importanti copricapo, vesti accurate che talvolta sembrano paramenti. Posture fissate in un gesto ieratico, come di chi officiasse qualche rito.

La bellissima collana con vaghi di conchiglia del V millennio a.C. dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (foto Graziano Tavan)

L’uso dei monili non è da intendersi qui in una dimensione puramente estetica, di semplice abbellimento. Rappresenta innanzitutto un contrassegno sociale: un codice che rende immediatamente riconoscibili i ruoli e le gerarchie vigenti in quelle comunità. “I monili preistorici, a differenza di quello che potremmo essere indotti a pensare dal confronto con i corrispettivi moderni”, interviene l’archeologa Valentina Puddu, “non avevano una connotazione di genere. Essi devono piuttosto essere intesi come prodotti culturali distintivi, tratti da un contesto di tradizione, di costumi e di valori che un individuo, sia esso uomo, donna o bambino, adottava sia in termini di unione che di divisione: l’ornamentazione personale dava una identità alla persona, definendola all’interno di un gruppo e contemporaneamente escludendola da altri”.

“La Terra del 1968”, il telaio realizzato da Maria Lai (foto Graziano Tavan)

Una trasversalità tematica fa da cornice alla mostra: nel corso dell’apertura dell’esposizione sono stati previsti numerosi appuntamenti con contenuti dal taglio non soltanto archeologico e antropologico-etnografico, ma anche sociologici, con richiami all’attualità. Un mondo al femminile che nei millenni, attraversando le sfere del mito, del sacro, del religioso e del quotidiano, giunge fino a noi. Il trait d’union tra le prime comunità antropiche e i giorni nostri è il telaio di Maria Lai che, con la sua opera La Terra del 1968, rappresenta il simbolo narrativo della mostra. Le trame e l’ordito simbolicamente evidenziati dall’artista, narrano la storia di donne.

Cagliari. Al via i “Pomeriggi della Fondazione” con il Mediterraneo al centro degli incroci di civiltà. Si inizia con la direttrice del museo del Bardo di Tunisi su “La Provincia romana d’Africa e il bacino del Mediterraneo: tempo libero e intrattenimenti nel segno dell’omologazione”

Il grande cortile interno del museo del Bardo di Tunisi, protagonista della prima conferenza sugli incroci di civiltà nel Mediterraneo

Locandina de “I Pomeriggi alla Fondazione” a Cagliari sugli “Incroci di civiltà”

Quattro incontri promossi a Cagliari per approfondire gli “incontri di civiltà” nel Mediterraneo a corollario della mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo”, in corso fino al 16 giugno nella doppia sede di Palazzo di Città e del museo Archeologico nazionale di Cagliari. Spunti di riflessione sulle connessioni, i contatti, le analogie e le differenze nello sviluppo delle culture e delle civiltà che gravitavano sul Mediterraneo e sui collegamenti con l’Oriente e il Caucaso dal Neolitico all’Età del Bronzo – cuore dell’esposizione – fino all’affermazione romana. Il tutto con un occhio di riguardo alla Sardegna (per la quale si sta definendo un incontro specifico) che ha sviluppato la peculiare cultura nuragica, ma che pure mostra relazioni significative con le altre civiltà e comunque al centro di importanti scambi e contatti. Tra i mesi di aprile e giugno 2019, nella sede della Fondazione di Sardegna, in via San Salvatore da Horta 2 a Cagliari, protagonisti per “I Pomeriggi della Fondazione” (a ingresso è libero fino ad esaurimento posti disponibili), protagonisti importanti personalità del panorama archeologico, culturale ed accademico italiano ed internazionale. L’iniziativa si svolge in stretta collaborazione con gli altri promotori della grande mostra inter-nazionale recentemente inaugurata – la Regione Sardegna, il Mibac-Polo museale della Sardegna, i musei civici di Cagliari e il museo statale Ermitage, con il supporto di Ermitage Italia. Si inizia martedì 9 aprile alle 17.30 con Fatma Naït Yghil, direttrice del museo nazionale del Bardo di Tunisi, su “La Provincia romana d’Africa e il bacino del Mediterraneo: tempo libero e intrattenimenti nel segno dell’omologazione”. Segue, martedì 7 maggio 2019, Giorgio Ieranò, professore ordinario di Letteratura greca all’università di Trento, su “In viaggio con Medea: sulle rotte del mito tra il Mediterraneo e il Caucaso”. Terzo appuntamento mercoledì 22 maggio 2019, con Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, su “Il Mann e il Mediterraneo”. Chiude “I Pomeriggi della Fondazione”, mercoledì 5 giugno 2019, Frederik Mario Fales, professore ordinario di Storia del Vicino Oriente antico e di Filologia semitica all’università di Udine, su “Gli Shardana e i Popoli del Mare”.

Fatma Naït Yghil, direttrice del museo nazionale del Bardo di Tunisi

Ospite d’eccezione del primo appuntamento di martedì 9 aprile 2019 sarà Fatma Naït Yghil, direttrice del museo nazionale del Bardo di Tunisi, che parlerà de “La Provincia romana d’Africa e il bacino del Mediterraneo: tempo libero e intrattenimento nel segno dell’omologazione”. Già responsabile ricerche Storia e archeologia romana all’istituto nazionale del Patrimonio di Tunisi, Fatma Naït Yghil è responsabile scientifica della Collezione dei mosaici e sculture del museo nazionale del Bardo di Tunisi. Laureata presso la Facoltà di Lettere e Filosofi a di Tunisi con un master in Storia e una tesi sugli spettacoli in Africa in epoca romana, vanta anche un Diplome d’Etudes Approfondisse (DEA) in Storia e archeologia antica con uno studio sulle “Pratiche sportive e spettacoli dei giochi atletici e di pugilato in Africa nell’epoca romana” e un dottorato in Storia antica e Archeologia antica dedicato alla “Ricerca sugli svaghi e spettacoli nell’Africa in epoca romana”. È autrice di numerosi articoli sullo sport, sui giochi e sulle attività legate al tempo libero nell’Africa romana e sul museo nazionale del Bardo. Ha partecipato, con altri autori tunisini e stranieri, alla realizzazione del libro sul Bardo in omaggio alle vittime del 18 marzo 2015 sotto la guida di Samir Aounallah: “Un monumento, un museo, io sono il Bardo”. Docente alla facoltà di Scienze umane e sociali di Tunisi ha diretto diverse tesi e progetti di laurea per i corsi di diverse facoltà di Tunisi. Ha ricoperto importanti ruoli istituzionali come Segretario generale dell’ufficio ICOM Tunisia ed è membro dell’ufficio ICOMOS Tunisia. Ha più volte curato o coordinato mostre temporanee come: commissario tunisino per la mostra “Il Bardo ad Aquileia”, coordinatrice franco-tunisina per la mostra “Lieux Saints Partages”, in partenariato con il MUCEM, museo delle Civiltà europee e il Mediterraneo e l’istituto nazionale del Patrimonio, museo nazionale del Bardo, commissario della mostra sul sito archeologico di Dougga presso la sede dell’UNESCO a Parigi, in occasione del 20° anniversario dell’iscrizione del sito nella Lista del Patrimonio Mondiale.

Mosaico romano con “Lottatori nudi in presa” provenienti dalla terme di Ghigti, oggi al Bardo

L’altro mosaico romano con “Lottatori nudi in presa” provenienti dalla terme di Ghigti, oggi al Bardo

Salito alla ribalta delle cronache internazionali per il sanguinoso attentato perpetrato dall’Isis il 18 marzo 2015, con 22 vittime e oltre 40 feriti, il museo nazionale del Bardo è il più antico museo del nord Africa e ospita una delle più straordinarie raccolte archeologiche al mondo, vantando soprattutto una ineguagliabile collezione di mosaici di epoca romana, di cui alcuni esemplari sono stati eccezionalmente prestati per la mostra “Le civiltà e il Mediterraneo”. In particolare, tra le opere giunte da Tunisi ed esposte al museo Archeologico nazionale di Cagliari in dialogo con la collezione permanente – oltre a sculture e importanti manufatti – anche due mosaici del II-III sec. d.C., entrambi raffiguranti due “Lottatori nudi in presa” provenienti dalla terme di Ghigti. Grazie all’intervento della direttrice del Bardo, moderato da Manuela Puddu, funzionaria archeologa del museo Archeologico nazionale di Cagliari, il pubblico avrà l’occasione di conoscere meglio un aspetto affascinante della cultura romana, quello del tempo libero e dell’intrattenimento: non una semplice occasione di svago, quanto una modalità attraverso cui affermare superiorità e potere da parte dei romani.

L’imponente anfiteatro romano di El Jem in Tunisia (foto Graziano Tavan)

Intorno la metà del III secolo d.C. vi erano oltre 100 anfiteatri in tutto l’impero, 32 nella sola provincia d’Africa: è semplice capire quanto i giochi rappresentassero un forte elemento di romanizzazione, un mezzo attraverso il quale inglobare le società locali ed assoggettarle al potere imperiale. Una presenza tanto significativa di arene nei territori nordafricani può essere spiegata tenendo conto di un fattore importante nell’industria dei giochi, specialmente in quelli venatori: nelle venationes, spettacoli che ricreavano scene di caccia, ottenere animali esotici dagli angoli più remoti dell’impero rappresentava un’ostentazione di ricchezza e potere da parte dell’imperatore, che cosi aveva l’occasione di mostrare al popolo animali che altrimenti non avrebbe mai visto. Le terre della provincia d’Africa abbondavano tanto di rinoceronti, orsi, pantere e leoni tali da rendere l’approvvigionamento di animali per la vendita a circhi ed anfiteatri un’attività alquanto redditizia, al punto che vi furono personaggi che giunsero a farsi una buona reputazione in questo campo: è il caso di Olimpo, cantato dai poeti africani come uomo dal viso amato da coloro che “apprezzano l’ebano e l’ombra violetta che orna i prati verdeggianti”…