Archeologia in lutto. È morto a Roma a 77 anni il professor Frederick Mario Fales (università di Udine), archeologo e assiriologo di fama internazionale: appassionato studioso del Vicino Oriente antico, in particolare dell’impero assiro, si è occupato a lungo dell’Aquileia di epoca romana avviando, nel 2002, gli scavi nel sito delle Grandi Terme. Il ricordo dell’ateneo friulano e di chi l’ha conosciuto

Il prof. Frederick Mario Faled, assiriologo dell’università di Udine, è morto all’età di 77 anni (foto uniud)
Archeologia in lutto. È morto a Roma a 77 anni il professor Frederick Mario Fales, archeologo e assiriologo di fama internazionale. L’università di Udine ne piange la scomparsa. Frederick Mario Fales è stato ordinario di Storia del Vicino oriente antico del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dal 1994 al 2016. Appassionato studioso del Vicino Oriente antico, in particolare dell’impero assiro, si è occupato a lungo dell’Aquileia di epoca romana avviando, nel 2002, gli scavi nel sito delle Grandi Terme, che ha diretto a lungo. “Il professor Fales lascia una grande vuoto umano e scientifico nella nostra comunità accademica”, sottolinea il rettore dell’università di Udine, Roberto Pinton. “Alla commozione e al cordoglio dell’Ateneo per la scomparsa di un docente dotato di grande empatia si unisce il grande dispiacere e la tristezza per il venire meno di un grande studioso dell’antichità, lontana e vicina, come la nostra Aquileia alla quale ha dedicato intensi anni di studio dando un contributo fondamentale alla scoperta del tesoro inesplorato delle Grandi Terme. Ci consola il fatto che è stato tra i fondatori di una importante scuola archeologica di livello internazionale proprio all’Ateneo friulano che unito nel cordoglio esprime la più sentite condoglianze a tutti i suoi cari”.

Il professor Frederick Mario Fales (foto uniud)
Nato a Baltimora (Stati Uniti) nel 1946, dopo la laurea con Mario Liverani e Sabatino Moscati all’università di Roma “La Sapienza”, Frederick Mario Fales si è specializzato all’università di Heidelberg. Prima di Udine ha insegnato nelle università di Venezia, Padova e Verona. Ha partecipato e co-diretto numerose missioni archeologiche in Italia e all’estero, soprattutto in Iraq, Siria, Tunisia e Turchia. Era uno specialista nella traduzione dei testi cuneiformi assiri e aramaici. Ha partecipato al comitato editoriale di due progetti internazionali, con base a Berlino ed Helsinki, su testi neoassiri, ai quali ha anche ha contribuito con tre monografie.

Copertina del libro “Siria. Guida all’archeologia e ai monumenti” (Marsilio)
Lo ricordo ancora quel giorno del 1997. Io ero da poco più di un anno nella sede centrale del Gazzettino a Mestre. E seguivo per le pagine della Cultura le attività di ricerca delle università del Triveneto e di istituti come il centro studi di Giancarlo Ligabue. Quindi avevo incrociato anche Mario Fales. Quel giorno mi capitò in redazione con un volumetto fresco di stampa di Marsilio “Siria. Guida all’archeologia e ai monumenti” scritta con il contributo dei suoi allievi dell’università di Padova. Gli aveva già scritto anche la dedica. Schietto, sanguigno, di un’empatia immediata e coinvolgente. E in quel libro “tascabile” c’era tutta l’essenza della sua professione di studioso: l’amore per il Vicino Oriente, per la didattica e la docenza, per il rigore della divulgazione scientifica.

Mario Fales e Inti Ligabue all’inaugurazione della mostra “Prima dell’alfabeto” (foto fondazione ligabue)
Vent’anni dopo, nel 2017, è ancora lui al centro dell’attenzione. Fales, all’epoca ordinario all’università di Udine, cura la grande mostra “Prima dell’alfabeto”, tenutasi a Palazzo Loredan a Venezia da gennaio ad aprile 2017. Oltre 15mila i visitatori dell’iniziativa dedicata alla storia della scrittura e della sigillatura praticate nell’antica Mesopotamia. È coautore del catalogo “Segni prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”, in edizioni italiana e inglese (Firenze 2017). Il Vicino Oriente è ancora al centro della sua attenzione, ma nel frattempo il mondo è cambiato, conseguenza delle “primavere arabe”. Fales è amareggiato. Scrive: “Oggi [2017, ndr) il Vicino Oriente si è allontanato in maniera impressionante (…). Solamente in Tv mi ormai dato rivedere i cartelli stradali dei luoghi sull’alto Tigri come sull’alto Eufrate dove ho diretto scavi, dove ho preso abitazioni e macchinari in affitto, dove ho discusso giorno per giorno con la gente. Mosul, Jerablus, Kobane… il ricordo evoca luoghi di vivace e gaio mercato, di visite cordiali nelle case, di interminabili trattative, un tè dopo l’altro, per ottenere operai per l’attività archeologica. (…) Oggi cerco invano in Tv i volti di chi conoscevo tra i profughi che scappano in gruppi a piedi (…). Il Vicino Oriente sembra ormai essersi trasformato in un pianeta remoto, insensato, insondabile. (…) E noi? Banditi dai luoghi di scavo, oggi mete di predatori avidi di lucro, siamo tornati a osservare la Mesopotamia antica dalla sola visuale delle nostre biblioteche, pur se arricchiti nell’opera di interpretarne la storia e la cultura dalle tante impressioni del territorio – vegetazione, vie e distanze, climi – che quei decenni “sul campo” ci lasciarono negli occhi”. Ma non perde la voglia di favorire la conoscenza di quei popoli e quelle civiltà, e, grazie all’informatica e a un eccellente lavoro di squadra, sottolinea: “Pur se oggi siamo fisicamente lontani dalla Mesopotamia, la Terra tra i Due Fiumi riesce a rivivere nelle pagine del catalogo della mostra” resa preziosa dall’unicità, la varietà e la bellezza della collezione di antichità della Fondazione Giancarlo Ligabue”.

Aquileia, Grandi terme, 2022: il team di scavo dell’università di Udine che continua il lavoro iniziato da Mario Fales (foto uniud)
Non solo Vicino Oriente. Ma anche la vicina Aquileia. Lo ricorda la Fondazione Aquileia: “Esprimiamo il sentito cordoglio del CdA, del presidente, del direttore e del personale della Fondazione per la scomparsa del prof. Frederick Mario Fales. Già professore di Storia del Vicino Oriente all’università di Udine, è stato l’iniziatore degli scavi recenti nelle Grandi Terme di Aquileia, cominciati nel 2002. L’indagine nell’area archeologica, ora conferita dal ministero della Cultura alla Fondazione, prosegue ancora oggi: qui decine di archeologi si sono formati sotto il suo magistero e quello dei suoi collaboratori dell’ateneo udinese”.

Frederick Mario Fales mentre decifra una tavoletta cuneiforme a Tell Shiukh Fawqani in Siria (1996, foto Alberto Savioli)
Fales è stato delegato agli scavi archeologici e ha fatto parte del Senato accademico dell’Ateneo friulano. Ha tenuto la prolusione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2006-2007 intitolata “L’Antico Oriente nel XXI secolo dopo Cristo”. Ha anche presieduto i corsi di laurea e di laurea specialistica in Beni culturali. Nel 1996 ha organizzato e diretto il primo scavo dell’università di Udine in Oriente, a Tell Shiukh Fawqani, nella Siria del nord. “L’ho incontrato la prima volta a Padova nel 1992”, ricorda l’archeologo Giancarlo Garna, “l’ho ritrovato in Siria nel 1999, mi ha chiamato e voluto ad Aquileia nel 2002, che dire, era immenso, una cascata travolgente di scienza, idee, e simpatia. Che la tua medicina non ti manchi ma, ciao Mario”. E l’archeologo Paolo Liverani: “Un grande dolore, ho scavato con lui nel 1985, una persona speciale!”. “Riposa in pace”, scrive l’archeologo Massimo Saracino. E l’archeologo Rocco Palermo: “Addio, Mario. Atene, Duhok, Udine, Monaco, Napoli, e tante altre. Ogni volta era un’occasione per ridere (molto) e imparare (moltissimo)”.

Il professor Frederick Mario Fales (università di Udine)
Ha fondato (con la casa editrice Sargon di Padova) una rivista internazionale di studi neo-assiri, “Il Bollettino degli Archivi di Stato Assiri”, e la collana monografica Storia dell’Antico Vicino Oriente. I suoi lavori pubblicati includono circa 160 articoli su riviste accademiche, una decina di volumi congressuali o miscellanei e 13 monografie. Tra questi ultimi: “L’impero assiro. Storia e amministrazione, IX-VII sec. a.C.” (Roma-Bari 2001); “Saccheggio in Mesopotamia” (Udine 2004, 2004-6); “Guerre et paix en Assyrie: Religion et impérialisme” (Parigi 2010); “L’aramaico antico: storia, grammatica, testi commentati” (con G.F. Grassi, Udine 2016). Ha fondato e coordinato il Centro interdipartimentale per la Storia della medicina antica dell’università di Udine. Socio ordinario dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti, ha ricevuto il premio Internazionale “Luigi Tartùfari” per la Storia e la Letteratura orientale dall’Accademia dei Lincei nel 2017.
Quasi 15mila visitatori per la mostra “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura” a Palazzo Loredan di Venezia della fondazione Giacarlo Ligabue. Inti: “Grande successo. Nel 2018 a Venezia mostra sulla scoperta delle Americhe e dei suoi popoli”
Se qualcuno pensa che una mostra archeologica con oggetti di non facile comprensione come possono essere le tavolette cuneiformi mesopotamiche non riesca a coinvolgere il grande pubblico, a parlare e a emozionare anche i non esperti si dovrà ricredere. Parlano chiaro i numeri di bilancio della mostra “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”, che la Fondazione Giancarlo Ligabue ha promosso a Venezia in Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti: in tre mesi di apertura sono stati raggiunti quasi 15mila visitatori (14.558) con un tutto esaurito, già a un mese e mezzo dalla chiusura, da parte delle scolaresche alle quali sono stati dedicati laboratori didattici e visite guidate specifiche. Oltre 2500 sono stati infatti i ragazzi che hanno visitato la mostra con le diverse scuole e partecipato alle attività laboratoriali. Guarda il video dell’inaugurazione:
“Sono stati mesi di grande fatica ma anche di enormi soddisfazioni per tutto lo staff della Fondazione Giancarlo Ligabue e per i curatori, instancabili e sempre disponibilissimi”, commenta soddisfatto il presidente Inti Ligabue. “Credo che questa mostra abbia reso evidente l’impegno e lo sforzo della Fondazione per valorizzare quel patrimonio di opere – testimonianze preziose di culture e civiltà – che mio padre ha riunito nel corso della sua vita e che sono un valore per la conoscenza, la comprensione e il dialogo”. Ma Inti Ligabue guarda già avanti: “Quest’incredibile esperienza a contatto con il pubblico, le tantissime presenze alla mostra in poco più di 80 giorni e la risposta dei veneziani agli eventi organizzati dalla Fondazione nel primo anno e mezzo d’attività ci danno grande coraggio per pensare a qualcosa di permanente nei prossimi anni, una volta concluso il ciclo di mostre che abbiamo in programma. Nel frattempo ci rivediamo a Venezia nel 2018 con Il Mondo che non c’era, la scoperta delle Americhe e dei suoi popoli”.

Placchette in lamina d’oro raffiguranti un albero sacro e tre geni alati provenienti forse da Ziwiyé in Iran (Collezione Ligabue)
“Prima dell’alfabeto” curata dal prof. Frederick Mario Fales, grande assiriologo dell’università di Udine supportato da Roswitha Del Fabbro, ha avuto un riscontro di critica straordinario, esaltata dai media nazionali – dagli esperti del Sole 24 Ore a quelli della Stampa di Torino, dal Manifesto all’Osservatore Romano, dall’Espresso ad Archeo fino ai servizi su Radio e TV – per la qualità dei reperti, gli approfondimenti dei curatori in mostra e nel catalogo Giunti; per la scelta dello spazio espositivo – l’antica biblioteca settecentesca di Palazzo Loredan – e la cura dell’allestimento accompagnato da supporti multimediali e immersivi. Perfino “Gulp Mistery” la trasmissione per i ragazzi di Rai Gulp condotta da Simone Lijoi, ha voluto dedicare una puntata alla mostra, alla scoperta della nascita della scrittura tra le affascinanti tavolette in cuneiforme risalenti a 5000 anni or sono. E se tra i visitatori illustri “Prima dell’alfabeto” può annoverare il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia e l’archeologo e famoso divulgatore Alberto Angela, accompagnati entrambi dal presidente della Fondazione ed entrambi profondamente colpiti dall’esposizione, restano anche i lusinghieri commenti di plauso e le testimonianze raccolte nel libro dei visitatori: “Ho portato i miei genitori a questa bellissima e interessante mostra – scrive ad esempio Angelica di 9 anni di Vigonza – dopo esserci stata con la scuola”. Per Inti Ligabue “è una soddisfazione vedere come i bambini possono farsi affascinare dalla conoscenza ed essere talvolta il motore di nuove scoperte e passioni”. E il presidente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Gherardo Ortalli: “Attraverso un efficace percorso divulgativo e didattico la mostra ha disvelato passo passo un mondo remoto che è andato strutturandosi attraverso l’invenzione della scrittura, e ha intrecciato un dialogo ideale con la potenza del pensiero umanistico e scientifico custodito nella biblioteca dell’Istituto Veneto. L’Istituto è lieto di essere stato coinvolto in questo progetto che ha portato moltissimi visitatori di ogni età nelle sale abitualmente percorse da studiosi specializzati e auspica che tale collaborazione possa continuare in futuro con iniziative analoghe”.
Numeri di argilla, numeri di silicio: una storia straordinaria dai sistemi elaborati sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate all’epoca moderna. Il matematico Odifreddi protagonista dei “Dialoghi della Fondazione Ligabue” a margine della mostra “Prima dell’Alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”

Il sovrintendente reale Ebih-il, statua in gesso, scisto, conchiglie e lapislazzuli da Mari, in Siria, del 2400 a.C., oggi al museo del Louvre
“Calculi, cioè sassi. Calcolo, cioè sasso. La parola calcolo deriva dal diminutivo di calx, calcis (calcinaccio, pietruzza). Usiamo ancora adesso questo termine per indicare i calcoli ai reni. O alla bile. Pr i calcoli numerici si tratta ormai di un termine diventato metafora”. Inizia così Piergiorgio Odifreddi, matematico, storico della scienza, il suo saggio “Numeri e calcoli” nel catalogo Giunti della mostra “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura” promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue a Palazzo Loredan di Venezia fino al 25 aprile 2017. E continua: “Pietre d’argilla modellate come cilindri, coni e sfere di varie dimensioni sono state trovate negli scavi effettuati nei siti del Medio Oriente, in Turchia e in India. Le date nelle quali nelle quali si avvia questo sistema di conteggio sono diverse: dal IX al II millennio prima della nostra era. E dal IV millennio poi queste pietre vengono raccolte e confezionate in contenitori di argilla che si chiamano bullae (bolle). Le nostre bolle di accompagnamento che sono ancora adesso in uso derivano il loro nome dalle bolle che anticamente fungevano da documenti di trasporto di prodotti o merci perché venivano usate per registrare la quantità di oggetti trasportati. Un sistema di controllo per le merci o gli oggetti portati da un luogo all’altro”.

Il noto matematico Piergiorgio Odifreddi protagonista de “I Dialoghi della Fondazione Giancarlo Ligabue” a Venezia
Mercoledì 8 marzo 2017, alle 17, nella sala del Portego di Palazzo Franchetti a Venezia, sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, sarà proprio il matematico e grande divulgatore Piergiorgio Odifreddi il protagonista, del terzo appuntamento con “I dialoghi della Fondazione Giancarlo Ligabue”: incontri e conferenze con grandi intellettuali e personalità dei più diversi settori della cultura, tutti a ingresso gratuito, per stimolare il dibattito e la riflessione; per “conoscere e far conoscere” secondo il “motto” scelto dalla stessa Fondazione. Con “Numeri di argilla e numeri di silicio. Una storia straordinaria” Odifreddi accompagnerà il pubblico presente attraverso la grande avventura dei numeri e dei calcoli matematici a partire dal sistema elaborato oltre 7 mila anni fa nell’Antica Mesopotamia, grazie alle pietre d’argilla modellate fino all’età moderna con le lamine di silicio dei chip dei microprocessori. A introdurre e accompagnare l’intervento del noto matematico – laureato in Italia, America e Russia, autore non solo di numerose pubblicazioni di studio e ricerca ma anche di famosi libri di divulgazione scientifica e d’opinione , noto per le sue posizioni forti e spesso polemiche – sarà Adriano Favaro, responsabile editoriale della Fondazione Giancarlo Ligabue e curatore del catalogo della mostra “Prima dell’Alfabeto” a Palazzo Loredan, mostra che per l’occasione resterà aperta, l’8 marzo, fino alle 21.

Tavoletta con testo di natura amministrativa, con pittogrammi (3300-3100 a.C.) dalla Mesopotamia meridionale, oggi nella Collezione Ligabue
L’incontro con Odifreddi, come si diceva, è in concomitanza con la mostra “Prima dell’alfabeto”, che sta affascinando il pubblico e ha già il tutto esaurito delle scuole. A un mese e mezzo dall’apertura si sono già registrati quasi 4mila visitatori con ben 200 cataloghi venduti, ma soprattutto – a soli venti giorni dall’avvio erano già state prenotate visite e laboratori da parte di 102 classi delle scuole veneziane. Tutte esaurite le possibilità di visite scolastiche fino alla fine dell’esposizione. Una vera soddisfazione per Inti Ligabue, presidente della Fondazione e figlio del famoso imprenditore, studioso e collezionista veneziano, che ha voluto – con queste e con le altre esposizioni precedenti e future – far conoscere e rendere fruibile al pubblico quell’incredibile patrimonio d’arte e storia costituito dalla Collezione Ligabue, con un occhio di riguardo per le giovani generazioni e per Venezia.
“Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”: in mostra a Venezia per la prima volta tavolette e sigilli con iscrizioni in caratteri cuneiformi della collezione Ligabue

Tavoletta in argilla con scrittura cuneiforme e lingua accadica della collezione Ligabue, in mostra a Venezia
Sono piccoli segni incisi con lo stilo nell’argilla morbida. All’occhio inesperto sembrano tanti piccoli cunei. Li trovi su migliaia di tavolette di argilla, sui sigilli, sulle pareti di montagne o di palazzi. Perché quei segni rappresentano una delle più antiche scritture al mondo, il cuneiforme, nata intorno al 3200 a.C. in Mesopotamia, quasi in contemporanea con il geroglifico in Egitto. E durata ben 3500 anni. La nostra scrittura, tanto per fare un paragone, ne ha “solo” 2500. Proprio la nascita della scrittura, che segna uno dei capitoli più affascinanti e rivoluzionari della storia della civiltà, fondamentale per le dinamiche di trasmissione del sapere e per la conoscenza dell’antichità, è al centro della mostra “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”, a Palazzo Loredan a Venezia, una delle sedi dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, dal 20 gennaio al 25 aprile 2017. Quasi 200 reperti della Collezione Ligabue esposte per la prima volta – tra cui tavolette e straordinari sigilli risalenti a oltre 5000 anni or sono – rievocano le grandi civiltà dell’Antica Mesopotamia, un territorio oggi praticamente inaccessibile per le continue guerre. A impreziosire l’esposizione, tra reperti e apparati multimediali, anche testimonianze delle esplorazioni di Paul Emile Botta e Austen Henry Layard nel XIX secolo, con prestiti dai musei archeologici di Venezia e Torino.
Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue presieduta da Inti Ligabue, e curata dal professore Frederick Mario Fales, dell’università di Udine, uno tra i più noti assiriologi e studiosi del Vicino Oriente Antico, la mostra ci conduce in un viaggio indietro nel tempo, quasi 6000 anni or sono, nella Terra dei Due Fiumi, un universo di segni, simboli, incisioni ma anche di immagini e racconti visivi che testimoniano la nascita e la diffusione travolgente della scrittura cuneiforme, rivelandoci nel contempo l’ambiente sociale, economico e religioso dell’Antica Mesopotamia. Culla di civiltà straordinarie, oggi martoriata e saccheggiata dalla guerra e dal terrorismo che hanno reso inaccessibile il suo patrimonio di bellezza e conoscenza, la terra di Sumeri, Accadi, Assiri e Babilonesi ci viene raccontata e svelata grazie all’esposizione (patrocinata dalla Regione del Veneto e dalla Città di Venezia, main sponsor Ligabue SpA e Hausbrandt, con il contributo di DM Informatica, La Giara e Scattolon Renato) per la prima volta al pubblico, di quasi 200 preziose opere della Collezione Ligabue. “Una collezione di altri tempi”, come ama sottolineare F. Mario Fales, “quella messa insieme da Giancarlo Ligabue, imprenditore ma anche archeologo, paleontologo e grande esploratore scomparso nel gennaio 2015. Collezione straordinaria non solo per entità, qualità e per l’importanza storica di questi e altri materiali, ma in quanto testimonianza di un collezionismo slow, rispettoso dei luoghi che pure Giancarlo studiava e delle istituzioni, della ricerca e del sapere; un collezionismo appassionato, diretto a preservare la memoria e non a defraudare le culture con altri fini”.

Frammento di un bassorilievo assiro con il ritratto di re Sargon II dal palazzo di Sargon a Khorsabad in Iraq (museo delle Antichità di Torino)
Dai primi pittogrammi del cosiddetto proto-cuneiforme, rinvenuti a Uruk – annotazioni a sostegno di un sistema amministrativo e contabile già strutturato – all’introduzione della fonetizzazione (dai “segni-parola” ai “segni-sillaba”) la scrittura cuneiforme, con le sue evoluzioni, si sviluppò e si diffuse con estrema rapidità anche in aree lontane: dalla città di Mari sul medio Eufrate a Ebla nella Siria occidentale, a Tell Beydar e Tell Brak nella steppa siro-mesopotamica settentrionale. Abili scribi verranno formati per redigere documenti grazie a segni ormai classificati e vere e proprie scuole saranno istituite nei diversi centri, per insegnare a nuovi funzionari a leggere e scrivere. Centinaia di migliaia di tavolette di argilla – la materia prima della terra mesopotamica – hanno dato vita ad autentici archivi e biblioteche, in un mondo che aveva compreso il valore e il potere della scrittura: tavolette con funzioni contabili-amministrative, tavolette giuridiche, storiografiche, religiose e celebrative, o addirittura letterarie, racchiudono le storie, i lavori, i pensieri e i ritratti di uomini e re vissuti tremila anni prima di Cristo; miti e leggende di dei ed eroi. Si tratta soprattutto di tavolette cuneiformi e di numerosi sigilli cilindrici o a stampo ma anche sculture, placchette, armi, bassorilievi, vasi e intarsi provenienti da quell’antico mondo. A questi oggetti in mostra si affiancano, come detto, importanti prestiti del museo Archeologico di Venezia e del museo di Antichità di Torino: dal primo, bellissimi frammenti di bassorilievi rinvenuti dallo scopritore della mitica Ninive, Austen Henry Layard, che nell’ultimo periodo della sua vita si era ritirato proprio a Venezia, a Palazzo Cappello Layard (donò i suoi oggetti alla città nel 1875); dal secondo un frammento di bassorilievo assiro raffigurante il re Sargon II, scoperto nel 1842 da Paul Emile Botta – console di Francia a Mosul – e da lui donato al re Carlo Alberto.

Sigillo cilindrico paleobabilonese con iscrizione in cuneiforme e raffigurazioni: al centro la cosiddetta “dea nuda” e a fianco “l’uomo-toro”
Accanto alle tavolette, placchette e intarsi, in osso, in conchiglia, in oro o in avorio, bassorilievi e piccole figure, raffinati oggetti artistici e d’uso comune, ma soprattutto tanti importanti sigilli, straordinari per le figurazioni e le narrazioni, per il pregio artistico delle incisioni realizzate da abili sfragisti (bur-gul) e i diversi materiali usati. Creati per registrare diritti di proprietà e apposti fin dal periodo Neolitico sulle cerule – sorta di ceralacca a garanzia della chiusura di merci e stoccaggi – i sigilli, con l’avvento della scrittura, vengono apposti sulle tavolette o sulle buste di argilla (utilizzate fino al I millennio) per autenticare il documento, garantendo la proprietà di un individuo, il suo coinvolgimento in una transazione, la legalità della stessa. Come spiega l’archeologa Roswitha Del Fabbro “essi prima indicavano l’amministrazione, come oggi il timbro di un Comune, e col tempo vennero a rappresentare il singolo individuo, riportandone il nome, giungendo magari a presentare l’iscrizione di una preghiera”. Fino ad allora (cioè fino alle decifrazioni di Georg Friedrich Grotefend (1775 – 1853) e all’impresa di Henry Creswicke Rawlinson (1810 – 1895), che sospeso a 70 metri dal suolo copiò l’iscrizione trilingue di Dario I sulla parete rocciosa di Bisotun in Iran) furono soprattutto la Bibbia, debitrice di tanti racconti e suggestioni dell’antica Mesopotamia, e gli storici greci, latini e bizantini a tramandare in una luce più o meno leggendaria i nomi di luoghi come “il Giardino dell’Eden” o le maestose città di Ninive e Babele e quelli di personaggi come Nabucodonosor II, che distrusse Gerusalemme, o la regina Semiramide. In mostra le preziose tavolette raccontano di commerci di legname o di animali (pecore, capre, montoni o buoi), di coltivazioni di datteri e di orzo per la birra, di traffici carovanieri tra Assur e l’Anatolia, di acquisti di terreni e di case con i relativi contratti e le cause giuridiche; celebrano Gudea signore possente, principe di Lagash, promotore di grandi imprese urbanistiche e architettoniche; prescrivono le cure per una partoriente afflitta da coliche, con incluso l’incantesimo da recitare al momento del parto, o testimoniano l’adozione di un bimbo ittita da parte di una coppia o, ancora, le missive tra prefetti di diverse città-stato.
Ma il valore intrinseco dei sigilli cilindrici, già sostitutivi di quelli a stampo intorno alla metà del IV millennio, è dato dal fatto che essi erano generalmente realizzati in pietre semipreziose provenienti da luoghi molto lontani: i lapislazzuli (importati dal lontano Badakhshan, nell’odierno Afghanistan nord orientale, celebre per le miniere descritte anche da Marco Polo), l’ematite, la cornalina, il calcedonio; ma anche agata, serpentino, diaspro rosso o verde, cristallo di rocca. Per questo i sigilli furono spesso riutilizzati, diffondendosi anche come amuleti con valore apotropaico, ornamenti, oggetti votivi: veri status symbol talvolta indossati dai proprietari con una catenina o montati su spilloni. Nei sigilli cilindrici, in pochi centimetri, accanto alle iscrizioni venivano realizzati motivi iconografici sempre più raffinati, differenziati per periodi e aree geografiche. Sfilate di prigionieri davanti al re, scene di lotta tra eroi e animali, processioni verso il tempio, raffigurazioni di guerra e di vita quotidiana, donne-artigiane accovacciate, grandi banchetti, racconti mitologici: l’evoluzione stilistica, la raffinatezza delle incisioni diventano nel tempo sempre più evidenti. In epoca accadica gli intagliatori di sigilli prestano attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e di quello animale, curano la narrazione, la simmetria, l’equilibrio, la drammatizzazione. Si individuano e si susseguono nel tempo stili e tecniche anche con l’introduzione del trapano e della ruota tagliente, a scapito della manualità. I sigilli rappresentano insomma un unicum artistico, prima delle gemme greche e romane.



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