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Israele. L’eccezionale scoperta nel deserto di Giuda: a 70 anni dal ritrovamento dei Rotoli del Mar Morto, nella vicina Grotta dell’Orrore trovati frammenti di un rotolo biblico di 2mila anni fa, monete ebraiche del II sec. d.C., un cesto vecchio di 10mila anni e la mummia di una bambina di 6mila anni fa

Archeologi della missione dell’IAA nella grotta dell’Orrore (deserto di Giuda) che ha restituito i frammenti di un rotolo biblico di 2mila anni fa (foto Israel Authority of Antiquities)

A 70 anni dalla straordinaria scoperta a Qumran dei Rotoli del Mar Morto, nelle grotte che si aprono nella falesia a picco sulla depressione più profonda al mondo, nuova eccezionale scoperta archeologica in Israele: la missione dell’Israel Antiquities Authority (IAA), che dal 2017 opera nel deserto della Giudea, ha trovato frammenti di un rotolo biblico di 2mila anni fa: contiene un testo in greco del periodo di Bar Kokhba, l’uomo che nel II secolo d.C. guidò la terza rivolta giudaica contro l’impero romano, passata alla storia come terza guerra giudaica che si concluse nel 135 d.C.. I frammenti, nascosti e protetti dai sedimenti di secoli, contengono testi dei profeti Zaccaria e Naum. L’area del ritrovamento dei frammenti non è lontana da Qumran, il luogo dove fra il 1947 e il 1956 furono ritrovati gran parte dei Rotoli del Mar Morto, circa 900 documenti tra i quali libri della bibbia ebraica e testi della comunità locale, probabilmente essena, considerato il più importante ritrovamento archeologico del XX secolo. I Rotoli del Mar Morto rappresentano la più antica testimonianza di un testo biblico, essendo datati tra il 150 a.C. e il 70 d.C.

Frammento del rotolo biblico con testo in greco trovato nella Grotta dell’Orrore nel deserto di Giudea in Israele (foto Agi)

Ma se la scoperte dei primi Rotoli del Mar Morto, come spesso succede in archeologia, furono casuali (un pastore beduino avrebbe trovato la prima grotta inseguendo una capra che si era staccata dal gregge), la missione, avviata nel 2017 dall’IAA e finanziata dal ministero del Patrimonio, è nata per contrastare e fermare il fenomeno dei saccheggi da parte dei ladri di antichità, ed evitare quindi il depauperamento del patrimonio culturale israeliano. I ritrovamenti più importanti sono venuti dalla cosiddetta Grotta dell’Orrore: un tesoretto di monete dell’epoca della Rivolta (II sec. d.C.); uno scheletro di bambino (più probabilmente di bambina, non è ancora sicuro) avvolto in un panno di 6mila anni, parzialmente mummificato; un enorme cestino e coperchio. “Per quanto ne sappiamo”, spiegano gli archeologi israeliani, “è il cestino più antico del mondo trovato completamente intatto”.  

Con un video l’Autorità israeliana per le Antichità ha cercato di riassumere i risultati eccezionali di questa missione archeologica nel deserto di Giudea attraverso le parole dei protagonisti: Amir Ganor, capo dell’Unità di prevenzione dei furti; Ofer Sion, capo del dipartimento di rilevamento; Oriah Amichai, archeologo; Chaim Cohen, archeologo; Eitan Klein, vicedirettore dell’Unità di prevenzione dei furti; Pnina Shor, fondatrice dell’unità per i rotoli del deserto della Giudea; Ronit Lupu, archeologo preistorico; Na’ama Sukenik, curatore di materiali organici. Raccontano i vari momenti delle ricerche, le difficoltà affrontate per raggiungere queste grotte ma anche le loro emozioni di toccare per la prima volta questi suoli rimasti intatti da quando furono occupati dagli ebrei che fuggendo dalle rivolte antiromane, seguite alla distruzione del tempio di Gerusalemme, qui trovarono rifugio, portando con sé quelle cose che sarebbero state necessarie una volta tornati alla vita normale a guerra finita (“Noi archeologi in queste grotte ricostruiamo la vita di coloro che alla fine non sono sopravvissuti”). Facciamo così la conoscenza della Grotta dell’Orrore, nella riserva di Naval Herver, e dell’eccezionale ritrovamento: i frammenti dei rotoli (“Amir, dalla grotta, mi senti? Ti sento. Vieni in fretta. Abbiamo scoperto cose incredibili. Veramente? Cosa hai trovato? Frammenti di pergamena. È fantastico qui!”). La grotta si trova 80 metri sotto la vetta della collina, è fiancheggiata da gole e può essere raggiunta solo scendendo precariamente in corda doppia lungo la scogliera a strapiombo. Nei frammenti, scritti in greco, gli esperti israeliani hanno ritrovato e ricostruito 11 righe di testo del libro del profeta Zaccaria e un versetto da quello di Naum.  

Una delle monete ebraiche trovate nella grotta dell’Orrore nel deserto di Giuda in Israele (foto agi)

In una diversa area dello scavo sono state fatte altre straordinarie scoperte: monete del II secolo d.C., il corpo mummificato di una bambina di 6000 anni fa e una cesta integra di 10mila anni fa, la più antica del suo genere. Le numerose monete, che risalgono alla rivolta di Bar Kochba, il “figlio della stella”, presentano simboli ebraici come un’arpa e palme da dattero. Insieme alle monete rinvenuti anche utensili come punte di freccia e di lancia, tessuti, sandali e persino pettini per pidocchi.

Lo scheletro parzialmente mummificato di bambina di 6mila anni fa trovata nella grotta dell’Orrore nel deserto di Giudea (foto Israel Authority of Antiquities)

Vicino alla parete rocciosa della stessa grotta, gli archeologi hanno ritrovato lo scheletro parzialmente mummificato di quella che sembra una bambina, avvolta in un panno, posta in posizione fetale (“Si possono anche vedere i resti di capelli e un po’ di pelle”). Lo scheletro era coperto da un panno intorno alla testa e al petto, simile a una piccola coperta che sembra essere stata rimboccata “come un genitore fa con il figlio la sera”, spiegano dall’IAA. Sia lo scheletro che la fascia erano ben conservati. Uno studio preliminare di una Tac della bambina di 6mila anni fa, condotto dalla dottoressa Hila May dell’Università di Tel Aviv, suggerisce che aveva 6-12 anni.

Il cesto di 10mila anni fa trovato nella grotta dell’Orrore nel deserto di Giudea (foto Israel Authority of Antiquities)

Un altro ritrovamento, attualmente senza pari in tutto il mondo, è stato scoperto in una delle grotte di Muraba’at nella Riserva di Nahal Darga: un enorme cesto intatto con un coperchio che era anche eccezionalmente ben conservato a causa delle temperature elevate e dell’estrema aridità della regione. Il cesto risale al periodo neolitico pre-ceramico, circa 10500 anni fa, e secondo gli esperti è il più antico mai ritrovato intatto e la sua importanza è quindi immensa. Il cesto aveva una capacità di 90-100 litri ed era apparentemente utilizzato per la conservazione. Il reperto fornisce nuovi affascinanti dati sulla conservazione dei prodotti circa mille anni prima dell’invenzione della ceramica. Il cesto è realizzato con materiale vegetale e il suo metodo di tessitura è insolito. Quando è stato trovato era vuoto e solo la ricerca futura di una piccola quantità di terreno rimanente al suo interno: “Ci fornirà nuovi dati sulle persone che si stabilirono in questa grotta”.

“Defacing the Past”: una mostra al British Museum di Londra illustra la particolare applicazione della “damnatio memoriae” sulle monete imperiali romane confrontate con esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia. Ne parla l’archeologo numismatico Dario Calomino

Il cosiddetto “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo con il ritratto del figlio Geta cancellato

Ritratti scalpellati e violentati, statue distrutte, monumenti danneggiati: quando si voleva cancellare il ricordo di un personaggio pubblico non si rispettava niente e nessuno. In ogni epoca, in ogni luogo. È la cosiddetta Damnatio memoriae, termine non presente nel diritto latino, ma che nel diritto latino si concretizzava nella pena della cancellazione della memoria di una persona e la distruzione di qualsiasi traccia che potesse tramandarla ai posteri, come se quella persona non fosse mai esistita. In Egitto, ad esempio, il tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, a Tebe, sulla sponda ovest del Nilo, è forse uno dei casi più famosi: statue rimosse, frantumate o sfigurate. Alla morte della regina-faraone infatti Thutmosi III prima e il figlio Amenofi II poi procedettero alla sistematica cancellazione di Hatshepsut dai monumenti, eliminando la sua figura e i suoi cartigli. E nel mondo romano sono stati molti gli imperatori colpiti dalla damnatio memoriae. Ricordiamo, tra gli altri, Caligola, Nerone, Domiziano, Commodo, Eliogabalo, Massenzio, Treboniano Gallo, Didio Giuliano. Ma la stessa condanna non risparmiò neppure uomini e donne di spicco, come Seiano, il braccio destro dell’imperatore Tiberio, oppure la madre di Nerone, Agrippina, o ancora Geta, fratello di Caracalla che non esitò a farlo assassinare e a far sì che se ne perdesse ogni traccia. Emblematico proprio il caso di Geta: sul famoso “tondo severiano” che raffigura la famiglia dell’imperatore Settimio Severo il volto di Geta appare cancellato. Il nome di Geta, invece, è stato fatto “sparire” sempre da Caracalla dall’arco del padre Settimio Severo nel foro a Roma, sostituito dalle parole optimis fortissimisque principibus, mentre la sua figura è stata abrasa dall’arco severiano di Leptis Magna, il Libia.

Il manifesto della mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome” allestita al British Museum di Londra

Dario Calomino, archeologo numismatico

Ma la damnatio memoriae non interessò solo i monumenti: l’immagine del personaggio caduto in disgrazia fu cancellato qualche volta anche dal dritto delle monete circolanti. Lo spiega bene la mostra “Defacing the past. Damnation and desecration in imperial Rome”, allestita nella sala 69 del British Museum di Londra fino al 7 maggio 2017, che affronta la storia romana da una prospettiva diversa, quella delle monete con immagini abrase per condannare la memoria di imperatori romani deceduti o per minare il potere di quelli ancora viventi. La mostra presenta una selezione di monete, iscrizioni, sculture e papiri che mostrano immagini e simboli di potere cancellati nell’antichità. Ci sono esempi da Egitto, Mesopotamia e Grecia, a dimostrazione che i romani continuarono una consuetudine molto antica. “L’abitudine di cancellare dalle iscrizioni i nomi dei governanti e leader politici caduti in disgrazia”, spiega Dario Calomino, archeologo numismatico al British Museum, “così come di deturpare o distruggere le loro immagini, esisteva in Egitto e nel Vicino Oriente, come nel mondo greco. Nell’antica Roma si consolidò tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C. Le monete però sono state abrase solo raramente. Ciò dipende dal fatto che, poiché le monete continuavano a circolare anche dopo la damnatio memoriae, la gente temeva che un’alterazione del conio potesse minarne la sua validità. Per questo le monete sono state cancellate solo in circostanze eccezionali”.

L’eccezionale Cameo Blacas con l’effige del divo Augusto conservato al British Museum di Londra

Uno dei pezzi più pregiati in mostra è il famoso Cameo Blacas, al British Museum dal 1867, quando fu acquisita la famosa collezione di antichità che Luigi, duca di Blacas, aveva ereditato dal padre, tra cui il Tesoro dell’Esquilino. Il cameo romano antico, in sardonica con quattro strati alternati di bianco e marrone, insolitamente grande (quasi 13 centimetri), mostra la testa di profilo del divo Augusto, realizzato probabilmente dopo la sua morte avvenuta nel 14 d.C. “La damnatio memoriae scattava più frequentemente quando gli imperatori avevano fretta di essere divinizzati prima della morte”, spiega Calomino. “Molti gli imperatori divinizzati dopo la loro morte, ma questo non era sufficiente per alcuni che, come Caligola, voleva essere venerato come un dio in vita. Altri imperatori erano considerati non meno pericolosi perché volevano cambiare la religione della tradizione romana. Come è il caso di Elagabalo. Una delle sue monete è in mostra: non è stata abrasa, ma presenta l’imperatore come sommo sacerdote del dio siriano Sole-Elagabal, che voleva porre al di sopra di Giove”. Da questo momento il potere imperiale è diventato sempre più transitorio e, nella prima metà del III sec. d.C. assistiamo a una sequenza di generali che vengono acclamati e deposti a tempo di record dalle diverse legioni dell’impero. “Ci sono due esempi interessanti di monete coniate da Massimino il Trace, imperatore per un brevissimo periodo dal 235 al 238, deturpate in modo diverso: una mostra il volto graffiato dell’imperatore, mentre l’altra ha un lato interamente abraso, su cui è stata stampata una H (maiuscola della eta, lettera dell’alfabeto greco), che in greco indicava il numero 8, per registrare il valore della moneta. Ma è stato lasciato leggibile il nome e il simbolo della città di emissione”.