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Roma. Anna Filigenzi su “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan”: conferenza in presenza e on line per il ciclo di incontri “Ripensare il mondo. Il confronto tra culture nella formazione delle civiltà”, presentato dal museo delle Civiltà e ISMEO

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Locandina dell’incontro “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan” con Anna Filigenzi

Cosa può e deve fare l’archeologia? C’è ancora per essa uno spazio sociale da riconquistare e valori umani da riaffermare? La Missione Archeologica Italiana dell’ISMEO, attiva dal 1957, ha cercato possibili risposte entro il perimetro etico e scientifico della ricerca, dell’avanzamento degli studi e della condivisione delle conoscenze. Non solo per difendere e proteggere il patrimonio materiale, ma per difenderne e proteggerne anche i valori immateriali. Questa operazione dipende dalla nostra capacità e volontà di comprendere la connessione dell’archeologia con la storia e la dimensione umana. Questo il tema dell’incontro “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan”: un racconto di esperienze, che dal lavoro sul campo, hanno condotto a ricostruzioni di frammenti di storia condivisa. Appuntamento giovedì 23 giugno 2022, alle 16.30, nella sala conferenza del Palazzo delle Scienze a Roma, nell’ambito del ciclo di incontri “Ripensare il mondo. Il confronto tra culture nella formazione delle civiltà”, presentato dal museo delle Civiltà e ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente). La conferenza sarà trasmessa anche in diretta streaming sul canale YouTube del Museo delle Civiltà: https://youtu.be/OY8kdYRwAHs.

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L’archeologa Anna Filigenzi in Afghanistan dove dirige la missione archeologica italiana dal 2004 (foto ismeo)

L’archeologia in Afghanistan è condizionata, oggi come ieri, da una storia conflittuale, contrassegnata alla fine degli anni Settanta dall’occupazione sovietica e dagli eventi che a questa sono seguiti (quali la guerra civile, il regime talebano, l’occupazione internazionale, l’interludio democratico che non ha interrotto i conflitti in corso e, infine, il recente ritorno al potere dei Taliban). Sullo sfondo di questo scenario, l’archeologia diviene bersaglio di una propaganda che la rappresenta come espressione di una élite, più interessata a cose inerti che alle persone, o tenta di servirsene per mostrare all’opinione pubblica occidentale il volto umano e progressista della politica. Nel frattempo, la filiera locale dei beni culturali, con le sue infrastrutture e professionalità, duramente colpita dai lunghi anni del conflitto e, a partire dai primi anni 2000, sulla strada di una faticosa rinascita, ripiomba in una situazione pericolosamente precaria.

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L’archeologa Anna Filigenzi

Anna Filigenzi è professore associato di Archeologia e storia dell’arte dell’India all’università di Napoli “L’Orientale”. Dirige dal 2004 la Missione Archeologica Italiana in Afghanistan e dal 1984 è membro attivo della Missione Archeologica Italiana in Pakistan. È vice-presidente dell’ISMEO e della SEECHAC ed è membro di diverse istituzioni scientifiche, in Italia e all’estero, e di comitati editoriali stranieri. Il suo lavoro sul campo, le sue pubblicazioni e la sua attività didattica hanno come oggetto principale l’archeologia e la storia dell’arte dell’area compresa tra il Nord-Ovest del Subcontinente indiano, le regioni himalayane e l’Asia Centrale, con particolare riferimento ai periodi gandharico e post-gandharico; al rapporto tra culture religiose, politica e società civile; ai rapporti culturali tra Pakistan settentrionale, Kashmir, Afghanistan, Himalaya occidentale e Xinjiang, soprattutto in relazione allo sviluppo e alla circolazione di forme di arte visiva. Ha all’attivo numerosi progetti di ricerca, individuali e collettivi, svolti in Italia e all’estero, e numerose pubblicazioni.

Pakistan. La missione italiana nello Swat dell’Ismeo/università Ca’ Foscari Venezia ha scoperto uno dei più antichi templi buddhisti nel Gandhara, nell’antica città di Barikot, risalente al II sec. a.C. Ecco i risultati delle ricerche e le prospettive future

Veduta aerea del tempio buddista scoperto a Barikot, nello Swat, dalla missione archeologica italiana dell’Ismeo e dell’università Ca’ Foscari di Venezia (foto ismeo/unive)

L’ultima campagna di scavo 2021 della missione italiana in Pakistan ha riportato alla luce uno dei più antichi templi buddhisti nel Gandhara, nell’antica città di Barikot, nella regione dello Swat. Ne dà notizia il magazine di Ca’ Foscari. La datazione si attesta intorno alla seconda metà del II secolo a.C., ma probabilmente risale ad età più antica, al periodo Maurya, dunque III secolo a.C., ma lo potranno confermare solo le datazioni al radiocarbonio (C14). La scoperta getta una nuova luce sulle forme del buddhismo antico e la sua espansione nell’antico Gandhara e aggiunge un nuovo tassello a ciò che si conosce sull’antica città. Da diversi anni direttore di quella che è la più antica missione archeologica italiana attiva in Asia è il professor Luca Maria Olivieri dell’università Ca’ Foscari Venezia (dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea). Allo scavo del 2021 hanno partecipato la dr. Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt) vice-direttrice della Missione, e il dr. Michele Minardi (università ‘L’Orientale’ di Napoli). “La scoperta di un grande monumento religioso fondato in età indo-greca”, spiega Olivieri, “rimanda senz’altro ad un grande ed antico centro di culto e di pellegrinaggio. Lo Swat è terra sacra del Buddhismo già in età indogreca”. La missione fondata nel 1955 da Giuseppe Tucci è gestita dal 2021 anche dall’ Ateneo veneziano in collaborazione con l’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente), con il co-finanziamento del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, in collaborazione con il dipartimento provinciale pakistano di archeologia (DOAM KP) e con il locale Swat Museum. 

Il colle di Barikot nella valle dello Swat in Pakistan (foto ismeo/unive)

La città di Barikot è nota nelle fonti greche e latine come una delle città assediate da Alessandro Magno, l’antica Bazira o Vajrasthana. Le stratigrafie scavate dalla Missione, datate col radiocarbonio, dimostrano l’esistenza della città ai tempi della spedizione di Alessandro Magno intorno al 327 a.C. (https://doi.org/10.1016/j.nimb.2019.05.065). Si tratta di una città importante che gestiva tutto il surplus agricolo produttivo della valle dello Swat. La valle è speciale tra quelle del Karakorum-Hindukush perché gode di un microclima che permette di avere due raccolti dallo stesso terreno durante l’anno, grano o riso, uno in primavera e uno alla fine dell’estate. Barikot era dunque una sorta di “città-granaio” di cui anche Alessandro Magno si servì prima di proseguire il suo percorso verso l’India. Curzio Rufo la descrive come urbs opulenta nelle sue Historiae Alexandri Magni per definirne la ricchezza agricola. Il sito è impressionante, una valle verdissima in una sorta di pianoro di montagna a circa 800 mt. di altezza con sullo sfondo le montagne dell’Hindukush e con una storia che va dall’età del Bronzo fino alla fine del Medioevo.

Il tempio e gli scavi 2021. Barikot fu occupata ininterrottamente dalla protostoria (1700 a.C.) al periodo medievale (XVI secolo), con oltre 10metri di stratigrafia archeologica. Proprio verso la fine della campagna di scavo del 2021, nel mese di ottobre, dopo aver completato lo scavo dell’acropoli della città, gli archeologi della Missione decidono di spostarsi ed esplorare un’area al centro della città antica che era già stata oggetto di razzie clandestine evidenziate da ampie buche, in un terreno recentemente acquisito dalle autorità pakistane. E qui la sorpresa. A poco a poco si rivela un interessante monumento buddhista, preservato, nonostante i ripetuti vandalismi, di oltre tre metri di altezza. Un edificio dalla forma particolare: un podio absidato sul quale si erge una cella cilindrica, con all’interno uno stupa. Si tratta chiaramente di un’architettura legata ad un contesto buddhista. Ai lati del monumento ci sono uno stupa minore, una cella e il podio di un pilastro monumentale. La scala che conduce alla cella è stata ricostruita in tre fasi, la più recente risalente al III secolo d.C., coeva ad una serie di stanze in forma di pronao che conducevano ad un ingresso che si apriva su un cortile pubblico affacciato su un’antica strada. La scala più antica recava ancora in situ un’iscrizione dedicatoria in Kharoshti, paleograficamente del I sec. d.C., metà della quale è stata trovata rovesciata e riutilizzata nel piano tardo di cui sopra. Sono state inoltre ritrovate delle monete negli strati inferiori e insieme a molte iscrizioni su ceramica in kharoshti. Il monumento fu abbandonato quando, ai primi del IV secolo, la città bassa fu distrutta da un disastroso terremoto. Sotto il monumento gli archeologi hanno trovato un monumento più antico fiancheggiato da un piccolo stupa di tipo arcaico, la cui datazione va indietro al periodo indo-greco, 150 a.C., periodo in cui regnava il re indogreco, Menandro I o i suoi immediati successori. Menandro secondo la tradizione buddhista indiana si sarebbe convertito al buddhismo. Ma le sorprese non erano terminate. A pochi giorni dalla fine dello scavo, nel mese di dicembre, si è visto che parti del monumento indo-greco erano infatti costruite su strutture ancora più antiche i cui livelli hanno rivelato materiali ceramici che a Barikot sono caratteristici delle fasi datate al III secolo a.C. La cronologia sarà confermata dalle analisi radiocarboniche (C14) che saranno molto precise visto che durante gli scavi sono stati fatti flottare più di 10.000 lt di terreno e sono stati ottenuti 58 contenitori di campioni di semi carbonizzati. Alla fine dello scavo nel dicembre del 2021 sono stati documentati e inventariati 2109 oggetti. Vasellame, monete, iscrizioni, sculture in pietra e stucco, oggetti in terracotta, sigilli e monili sono stati consegnati al nuovo Swat Museum, con sede nella capitale Saidu Sharif, interamente ricostruito dalla Missione archeologica italiana dopo l’attentato del 2008.

Veduta aerea dell’acropoli sul colle di Barikot nello Swat in Pakistan (foto ismeo/unive)

Altre scoperte. Lo scavo della Missione di quest’anno ha portato interamente alla luce un tempio Shahi dedicato a Vishnu che misura nella sua interezza 21 metri x 14. Datato al radiocarbonio al 700 d.C. e demolito sotto i Ghaznavidi dopo il 1000 d.C., il tempio conserva solo il podio (conservato per circa 2 metri di altezza), i relativi pavimenti, parte cospicua della decorazione a lesene con capitelli pseudo-ionici, notevoli esempi della decorazione in stucco e frammenti dei gruppi scultorei in marmo del periodo Turki Shahi. È stata inoltre messa in luce l’acropoli tardoantica, mentre alla base di questa è stata anche scoperta una piccola necropoli di età storica scavata in collaborazione con Massimo Vidale dell’università di Padova (anche qui si attendono i dati radiocarbonici). Un ulteriore ritrovamento sempre a Barikot è legato anche alla scoperta di una delle antiche vie cittadine che dalla porta urbica scoperta quest’anno lungo la cinta muraria indo-greca, risaliva verso il centro della città. Il tempio absidato trovato quest’anno ed altri due santuari buddhisti rinvenuti negli anni scorsi si affacciavano sui due lati di questa via. Questa ultima scoperta potrebbe essere la prova dell’esistenza di una vera e propria via dei templi lungo l’asse viario che dal settore periferico delle mura risaliva verso l’acropoli.

Panoramica dello scavo 2021 a Barikot nello Swat della missione archeologica italiana in Pakistan dell’Ismeo/università Ca’ Foscari (foto ismeo/unive)

Le prospettive future di Barikot. Lo scavo ricomincia a febbraio 2022, le concessioni sono state già ottenute, nella zona a nord del monumento absidato per cercare la strada che costeggiava l’abitato ed una serie di strutture templari di importanza probabilmente maggiore a quelle già messe in luce. Da nominare anche un importante progetto collaterale allo scavo, anche questo diretto da Luca Maria Olivieri. Il progetto si occupa del paleoclima dello Swat in età tardo-antica (sul problema della cosiddetta LALIA o Late Ancient Little Ice Age) “Late Antique Swat Ecology and Resilience: Climate and Habitat in Interfacial periods” ed è svolto insieme a Dario Battistel (dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica). Il progetto biennale finanziato nel quadro dei progetti SPIN 2021 di Ca’ Foscari, vede anche la collaborazione di Nicola Di Cosmo (Princeton University), Ulf Büntgen (Cambridge University), Federico Squarcini (dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea) e Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt). Tra i progetti della Missione già in corso con Ca’ Foscari, vanno ricordati il progetto “Ellenismo e India. Tecnologie della pietra e dei cantieri nel Gandhara: Saidu Sharif I” diretto da Luca M. Olivieri, che ha prodotto una monografia che è in corso di stampa con Edizioni Ca’ Foscari nella nuova serie Marco Polo diretta da Sabrina Rastelli e Elisabetta Ragagnin (dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea). Va menzionato inoltre il gruppo di studio “Lo Swat di Alessandro: toponomastica, archeologia e testi” con Claudia Antonetti (dipartimento di Studi Umanistici) e studiosi di vari atenei in Italia e all’estero, nonché il progetto SPIN diretto da Claudia Antonetti “Social, ritual and ceremonial use of wine in the Gandharan area, from the Achaemenids to the Kushans”, che si svolge in stretta collaborazione con la Missione archeologica in Swat.