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A Bologna nel giorno di Sant’Eligio, patrono degli orafi, mattinata di studi della soprintendenza su “Oreficerie e ornamenti: produzione e simbologia dall’antichità all’Ottocento”

Sant’Eligio, patrono degli orafi, rappresentato al lavoro in bottega in un famoso dipinto di Manuel Niklaus

La locandina dell’incontro di Bologna

“Un gioiello è per sempre”, parafrasando una famosa pubblicità. Stavolta sono orafi, archeologi e storici dell’arte a svelare i misteri degli oggetti più ambiti, quelle oreficerie che in ogni tempo hanno travalicato il mero valore materiale per arricchirsi di significati simbolici, religiosi e sociali. L’occasione sarà la festa di Sant’Eligio, patrono degli orafi, sabato 1° dicembre 2018 quando la soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Bologna propone una piccola ma ‘preziosa’ iniziativa “Oreficerie e ornamenti: produzione e simbologia dall’antichità all’Ottocento”. Agli inizi del IX secolo una descrizione in versi del Paradiso composta per uno dei figli dell’imperatore Ludovico il Pio presenta il Regno dei Cieli come la bottega di un orefice. L’autore Smaragdo, abate del monastero di Saint-Mihiel, immagina il Regno dei Cieli come un forziere di preziosi luccicanti e incorruttibili, in opposizione alle incertezze terrene. Parte da quest’immagine l’incontro con archeologi, storici dell’arte, restauratori e orafi proposto dalla soprintendenza di sabato 1° dicembre dalle 10 alle 13 a palazzo Dall’Armi Marescalchi di Bologna, sede della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio. Una mattinata dedicata alle oreficerie e ai preziosi, con proiezioni di immagini di gioielli databili dall’antichità all’Ottocento per lo più rinvenuti durante gli scavi e restaurati dal personale della Soprintendenza, conservati in musei o depositi o raffigurati in dipinti.

Fibula gota dagli scavi di Villa Clelia a Imola

Un giovane Adelmo Garuti (secondo da sinistra) nella bottega Degli Esposti di Bologna nel 1964

Il tema si presta a svariati approfondimenti e chiavi di lettura, non solo archeologiche, artistiche, tecniche e conservative ma anche simboliche, economiche e sociali poiché da sempre le oreficerie hanno espresso lo status delle classi più elevate. Gli archeologi Tiziano Trocchi e Cinzia Cavallari illustreranno rispettivamente le “Oreficerie villanoviane ed etrusche dal territorio emiliano-romagnolo” e i “Capolavori dell’oreficeria gota e longobarda in Emilia-Romagna” mentre la storica dell’arte Anna Stanzani farà una rapida carrellata sui “Gioielli dipinti”. Una sequenza di immagini commentate da Micol Siboni illustrerà il paziente lavoro dei restauratori della soprintendenza su reperti rinvenuti negli scavi archeologici mentre Gian Lorenzo Calzoni e Francesca Frasca introdurranno l’attività di Adelmo Garuti, orefice, collezionista nonché uno degli ultimi depositari delle tecniche dell’artigianato artistico. Partendo dagli strumenti orafi rappresentati nella pittura medievale e post-medievale, verranno mostrati oggetti analoghi a quelli riprodotti, spiegandone la funzione; grazie ad alcuni filmati si potrà assistere alle tecniche con cui si realizzavano gioielli spesso rarissimi come ad esempio la fibula-pendente in oro e pasta vitrea rinvenuta a Spilamberto. Il viaggio alla scoperta delle tecniche esecutive di reperti datati dall’evo antico all’Ottocento è completato da una piccola esposizione di antichi strumenti e oggetti per l’arte orafa come martelletti, incudine (tasso), bulini, trafila, trapani a mano e utensili per sbalzo e cesello provenienti dalla collezione privata di Adelmo Garuti.

“Chi rompe non paga (e i cocci sono i nostri)”: alla soprintendenza di Bologna una mattina da “archeologo in erba” all’insegna del divertimento per bambini dai 6 agli 11 anni

Alla soprintendenza di Bologna una giornata da “archeologo in erba” per i bambini

Una mattina da “archeologo in erba” all’insegna del divertimento, con attività di ricerca cocci, prima pulitura e ricomposizione dei frammenti recuperati sotto la guida di Siriana Zucchini e con l’aiuto dei restauratori della soprintendenza Mauro Ricci, Virna Scarnecchia, Micol Siboni e Monica Zanardi. Appuntamento sabato 13 ottobre 2018, dalle 9.30 alle 12.30, in via Belle Arti a Bologna, sede della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara (settore archeologia e belle arti), con “Chi rompe non paga (e i cocci sono i nostri). Vieni da noi, gioca, impara”: iniziativa per bambini dai 6 agli 11 anni. Prenotazione obbligatoria entro il 10 ottobre 2018 compreso a sar-ero.biblioteca@beniculturali.it (attendere e-mail di conferma), massimo 10 bambini per turno (pochi posti solo per il I° turno ore 9.30-11, II° turno esaurito).

Per questo “gioco” da piccoli Indiana Jones sarà predisposto un contenitore riempito con terreno, frammenti di ceramica, ossa ecc. per ricostruire un sito archeologico e simulare con i bambini uno scavo con archeologi e restauratori. Saranno affrontate in maniera stimolante e divertente le varie fasi del recupero dei reperti, la documentazione fotografica e grafica e il primo “restauro” degli oggetti rinvenuti. Si consiglia ai bambini di dotarsi di guanti in lattice o da giardino per operare in sicurezza durante tutte le fasi di lavoro.

Il culto di Dioniso e il mito di Teseo nella stele a bassorilievo della tomba del “signore” del sepolcreto etrusco di via Saffi a Bologna

Paola Desantis, a destra, studia con la restauratrice Antonella Pomicetti la stele etrusca scoperta nel sepolcreto di via Saffi a Bologna

L’archeologa della soprintendenza Paola Desantis, a destra, studia con la restauratrice Antonella Pomicetti la stele etrusca scoperta nel sepolcreto di via Saffi a Bologna

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d'Italia

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d’Italia

Della eccezionale scoperta nel 2007 del sepolcreto di via Saffi nel cuore della Bologna etrusca l’archeologa della soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna, Paola Desantis, aveva parlato per la prima volta alla comunità scientifica solo nel dicembre scorso al convegno di Etruscologia che si è tenuto ad Orvieto dal 13 al 15 dicembre 2013. Ma è stato proprio in occasione del ciclo di conferenze “…comunicare l’archeologia…” promosso dal Gruppo archeologico bolognese al centro sociale G.Costa di Bologna che Paola Desantis, responsabile dello scavo, ha illustrato per la prima volta a Bologna questa straordinaria sepoltura con stele insieme alle ultime novità sulla lettura delle raffigurazioni della stele emerse nei restauri tuttora in corso.

Stamnos attico a figure rosse trovato nel sepolcreto di via Saffi a Bologna

Stamnos attico a figure rosse trovato nel sepolcreto di via Saffi a Bologna

Nell’autunno 2007, gli scavi effettuati dalla soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna nell’ex cinema Marconi, in via Saffi a Bologna, hanno portato alla luce una necropoli etrusca databile tra il VI e il V secolo a.C. Il sepolcreto, costituito da 11 tombe con ricchi corredi in ceramica attica, ha restituito in particolare una straordinaria stele in arenaria scolpita a bassorilievo, con rappresentazione del viaggio del defunto nell’aldilà su un carro trainato da una pariglia di cavalli. A scoprire il sepolcreto fu l’ispettore onorario per l’archeologia Paolo Calligola che ne segnalò la presenza durante i lavori per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo in via Saffi, nell’ex cinema Marconi, immediatamente all’esterno del torrente Ravone. Lo scavo archeologico è stato eseguito dalla ditta Wunderkammer, sotto la direzione scientifica di Paola Desantis della soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna; lo studio epigrafico di Daniele Maras, le analisi osteologiche sono di Maria Giovanna Belcastro (UniBO). Il restauro dei materiali è stato eseguito da Antonella Pomicetti, Virna Scarnecchia, Monica Zanardi e Micol Siboni (Soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna) e dalla ditta Kriterion. Le foto sono di Roberto Macrì (Soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna).

“Le aree lungo questa strada, che ricalca il percorso dell’antica via Emilia in uscita occidentale dalla città”, spiega Desantis, “finora non avevano restituito alcuna testimonianza archeologica, né coeva alla strada romana né tantomeno precedente. Le 11 tombe rinvenute nel 2007 erano disposte lungo la sponda settentrionale di un ampio canale di epoca etrusca che pare segnare un reale confine, visto che sull’altra sponda non sono emersi dati archeologici rilevanti”.

La stele etrusca con bassorilievi dal sepolcreto di via Saffi a Bologna

La stele etrusca con bassorilievi dal sepolcreto di via Saffi a Bologna

Gli studi di Paola Desantis hanno indagato le caratteristiche delle diverse sepolture, mettendo in luce una “coerenza ideologica” che sembra collegarle l’una all’altra, e tutte insieme a quella che si configura come la tomba di riferimento principale, risalente alla metà del V secolo a.C., caratterizzata da una stele figurata di eccezionale qualità e dai significati e rinvii ideologici estremamente complessi. “Oggi è possibile ricostruire l’identità di chi è stato sepolto con quella particolare stele”, continua Desantis, “grazie all’eccezionale quantità di elementi a disposizione dell’archeologia e delle discipline scientifiche di cui ci si è potuti avvalere, a cominciare dallo studio delle ossa (mentre sono ancora in corso analisi genetiche, paleobotaniche e diagnostiche per immagini). La presenza poi di ceramica attica di straordinario pregio caratterizzata da una particolare iconografia, oltre a consentire una più precisa datazione della sepoltura con preziosi riferimenti cronologici, conduce in particolare al culto di Dioniso e al mito di Teseo, le cui immagini sono molto ricorrenti”. Il significato ideologico riassunto dalla stele è icastico: il viaggio del defunto verso l’aldilà su un carro dall’alta sponda, accompagnato da demoni che in varie guise lo facilitano e confortano, da quello che gli apre la via, a quello che balza dietro di lui sul carro, al capro che sembra proteggerne il viaggio dall’alto. La presenza di un satiro (al momento la più antica attestazione su una stele felsinea) ripropone anche sulla stele una particolare adesione al culto di Dioniso. Contribuisce in modo sostanziale a dare un’identità più precisa al defunto nella tomba  anche l’eccezionale presenza dell’iscrizione (a Felsina solo altre 14 stele la recano) che, evidenziata da colore rosso, dichiara i nomi corredati di gentilizio dei due sepolti. “La stele di via Saffi, rinvenuta con il contesto tombale cui era pertinente”, conclude Desantis, “arricchisce in maniera sostanziale il vasto quadro di riferimento delle stele felsinee, il cui complesso è di circa 210 monumenti nella massima parte dei casi però rinvenuti decontestualizzati e quindi privi del contesto tombale di riferimento che avrebbe consentito di datarli con sicurezza e leggerne le caratteristiche anche alla luce dei diversi aspetti del corredo”.